Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 16456 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 16456 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 13/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 26051/2020 r.g. proposto da:
COGNOME NOME, titolare della impresa individuale esercitata sotto la ditta RAGIONE_SOCIALE , rappresentato e difeso, giusta procura speciale allegata al ricorso, da ll’ AVV_NOTAIO, presso il cui studio elettivamente domicilia in Napoli, alla INDIRIZZO.
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, con sede in Milano, alla INDIRIZZO , in persona del presidente del collegio dei liquidatori e legale rappresentante pro tempore dottAVV_NOTAIO, rappresentata e difesa, giusta procura speciale apposta a margine del controricorso, dagli Avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, con cui elettivamente domicilia in Roma, alla INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO.
-controricorrente –
avverso la sentenza, n. cron. 1666/2020, della CORTE DI APPELLO DI MILANO, pubblicata il giorno 03/07/2020; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del giorno 07/06/2024 dal AVV_NOTAIO; lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del sostituto Procuratore Generale, NOME COGNOME, che ha chiesto accogliersi il ricorso.
FATTI DI CAUSA
RAGIONE_SOCIALE chiese ed ottenne, dal Tribunale di Milano, il decreto ingiuntivo n. 39055/2014, nei confronti di NOME COGNOME, quale titolare della RAGIONE_SOCIALE (obbligato principale), nonché di NOME COGNOME e NOME COGNOME, (quali garanti), con cui fu ad essi intimato di pagarle la somma di € 385.257,38, oltre interessi, spese e competenze di procedura. Tanto sul triplice presupposto che: i ) il 5 marzo 2007, NOME COGNOME aveva stipulato con RAGIONE_SOCIALE il contratto di finanziamento n. 700782, dell’importo di € 500.000,00, da rimborsare in centottanta rate mensili dall’l aprile 2007 all’l marzo 2022, al tasso variabile indicizzato indicato in contratto; ii ) NOME COGNOME e NOME COGNOME si erano costituite fideiussori; iii ) il COGNOME aveva interrotto i pagamenti a febbraio 2013 e, pertanto, RAGIONE_SOCIALE, il 24 febbraio 2014, aveva risolto di diritto il contratto di finanziamento affermandosi creditrice del primo di € 385.257,38 (di cui € 43.126,42, per rate mensili scadute e insolute; € 1.597,27, per interessi convenzionali di mora, al tasso convenzionale, calcolati sulla quota capitale fino al 23 ottobre 2014; € 340.533,69, per capitale residuo all’1 marzo 2013, come da piano di ammortamento alla rata n. 83), oltre ad interessi convenzionali da calcolarsi sia sulle rate scadute e non pagate (solo sulla quota capitale) dal 24 ottobre 2014 fino al saldo, sia sul capitale residuo dall’l marzo 2013.
1.1. Con autonome citazioni ritualmente e tempestivamente notificate, NOME COGNOME e NOME COGNOME proposero opposizione, ex art. 645 cod. proc. civ., avverso detta ingiunzione. Il primo dedusse l’indeterminatezza dei tassi praticati dalla RAGIONE_SOCIALE con particolare
riguardo alla mancata indicazione, nel contratto, del Tasso Annuo Nominale (TAN), instando, per tale motivo, per la nullità delle relative clausole, la rideterminazione dei rapporti dareavere tra le parti, l’accertamento dell’inesistenza del debito scadut o ascritto al mutuatario, la conseguente inefficacia della risoluzione per inadempimento intimata da RAGIONE_SOCIALE e la revoca del decreto ingiuntivo; la seconda, eccependo, pregiudizialmente, l’incompetenza territoriale del Tribunale di Milano assumendo la qualifica di consumatrice e la nullità della fideiussione da lei stipulata e, nel merito, l’illegittima capitalizzazione degli interessi, l’applicazione di interessi moratori usurari, la violazione della normativa antitrust per l’applicazione del tasso Euribor e l’indeterminatezza dei tassi praticati dalla convenuta con particolare riguardo alla mancata indicazione nel contratto del Tasso Annuo Nominale (TAN), chiedendo, per queste ragioni, dichiararsi la nullità delle relative clausole e la gratuità del contratto, con conseguente diritto la ripetizione delle somme indebitamente percepite da RAGIONE_SOCIALE e revoca del decreto ingiuntivo.
1.1.1. Costituitasi la RAGIONE_SOCIALE in entrambi i giudizi, e previa loro riunione, l’adito tribunale li decise con sentenza del 15 novembre 2018, n. 11450, con cui, tra l’altro, così dispose: « In accoglimento dell’opposizione proposta da COGNOME NOME, dichiara l’incompetenza del Tribunale di Milano a favore del Tribunale di Napoli – sezione distaccata di Ischia; per l’effetto, dichiara nullo e revoca il decreto ingiuntivo n. 39055/ 14 nei soli confronti di COGNOME NOME; ; accoglie l’opposizione di COGNOME NOME avverso il decreto ingiuntivo n. 39055/2014 che revoca; dichiara la nullità della clausola in punto di Tasso Annuo Nominale (TAN); accerta e dichiara l’inesistenza del debito scaduto di € 43.126,42 e del debito per interessi convenzi onali di mora di € 1.597,27; per l’effetto, accerta e dichiara l’inefficacia della risoluzione per inadempimento intimata da RAGIONE_SOCIALE in data 24 febbraio 2014; accerta e dichiara che il debito complessivo del mutuatario rideterminato alla data del 23 ottobre 2014 ammonta ad € 224.059,40 a favore di RAGIONE_SOCIALE (ora RAGIONE_SOCIALE in liquidazione); condanna NOME COGNOME a corrispondere a RAGIONE_SOCIALE (ora RAGIONE_SOCIALE in liquidazione) la somma
di € 224.059,40, oltre interessi legali dalla data della domanda al saldo; rigetta ogni altra domanda; ».
Pronunciando sui gravami, principale ed incidentale, promossi, rispettivamente, da RAGIONE_SOCIALE liquidazione e da NOME COGNOME contro quella decisione, l’adita Corte di appello di Milano li decise con sentenza del 18 giugno/3 luglio 2020, n. 1666, che così dispose: ‘, in parziale riforma (dei soli capi, cioè, relativi al rapporto processuale intercorso tra RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME) dell’impugnata sentenza n. 11450 del Tribunale di Milano pubblicata il 15.11.201: 1) Rigetta l’opposizione proposta da NOME COGNOME nei confronti del decreto ingiuntivo n. 39055/2014 emesso dal Tribunale di Milano e, per l’effetto, condanna NOME COGNOME a pagare a RAGIONE_SOCIALE la somma di € 340.533,69, a titolo di capitale residuo, con interessi di mora convenzionali dal 1.3.2013 al saldo, nonché la somma di € 43.126, 42, a titolo di rate di rimborso scadute e non pagate, con interessi di mora convenzionali da calcolarsi solo sulla quota capitale da ogni singola scadenza della rata al saldo. 2) Rigetta le domande proposte con appello incidentale da NOME COGNOME. 3) Condanna NOME COGNOME a rifondere le spese di lite sostenute da RAGIONE_SOCIALE, ».
2.1. Per quanto qui di interesse, quella corte: a ) ritenne non esservi « contraddittorietà, né indeterminatezza delle clausole contrattuali con cui era stato pattuito l’importo degli interessi dovuti dal mutuatario alla mutuante », così disattendendo la corrispondente doglianza del COGNOME. Rimarcò, in proposito, che, « nel contratto di mutuo in esame, non è specificato alcun tasso di interesse annuo (vale a dire il TAN), né del 3,50% né dell’8%, ma, come è pacifico, è specificato il TAEG/ISC ed è indicata la somma concretamente dovuta, in ogni rata di rimborso, a titolo di interessi. Premesso ciò, dal contratto di mutuo concluso risulta chiaramente che: viene fissato l’importo fisso della rata di rimborso (e nel piano di ammortamento, allegato al contratto e quindi parte integrante dello stesso, per ogni rata si distingue tra quota capitale e quota interessi); viene stabilita l’indicizzazione trimestrale dell’importo della rata secondo la variazione di Euribor 3 mesi; viene stabilito che l’importo della rata , fissato nel contratto, sarebbe stato
rideterminato, con riguardo alla quota interessi, ogni tre mesi in rapporto all’eventuale variazione intervenuta tra Euribor 3M (rilevato ad ogni trimestre) e il valore iniziale di Euribor 3M (convenzionalmente stabilito nel 3,50%, in quanto al momento della conclusione del contratto il valore di Euribor 3M oscillava intorno a tale misura); viene però stabilito che, qualora il valo re di Euribor 3M fosse sceso sotto la misura del 3,50%, l’importo della rata non sarebbe stato modificato, in quanto il valore di riferimento iniziale sarebbe comunque restato determinato nella misura del 3,50% (in altre parole l’importo originario della r ata, parametrato ad Euribor 3M, non poteva mai diminuire di valore ma poteva invece aumentare nel caso in cui e nella misura in cui Euribor 3M avesse superato il valore del 3,50%). Pertanto, qualora, nel corso del rapporto, Euribor 3M non avesse mai superato il 3,50% (come sarebbe accaduto secondo quanto asserito dall’appellato), l’importo della rata sarebbe sempre rimasto fermo nella cifra originaria fissata nel contratto (e nel piano di ammortamento), che, come sostenuto dall’appellato, corrispondeva oggettivamente ad un TAN del 8% (TAN, che, nonostante non fosse stato esplicitato nel contratto, l’appellato è riuscito senza problemi ad identificare correttamente) »; ii ) negò la configurabilità della nullità parziale del contratto di mutuo per mancata indicazione del Tasso Annuale Nominale (T.A.N.), pure invocata dal menzionato appellato. Affermò, in proposito, che, « Nella fattispecie in esame, il prezzo del mutuo è esplicitamente stabilito con l’indicazione nel contratto di mutuo della somma mensile dovuta d al mutuatario a titolo di rimborso e con la pattuizione del piano di ammortamento (che pacificamente costituisce parte integrante del contratto), in cui per ogni rata mensile è indicata la somma (quale parte della rata) dovuta dal mutuatario a titolo di interessi e la somma (sempre quale parte della rata) dovuta invece a titolo di restituzione del capitale; al riguardo occorre sottolineare che, contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale, tale somma (cioè l’importo dell’interesse mensilmente dovuto) non è un importo che deve essere calcolato, e di cui il mutuatario deve essere messo in grado di verificare l’esattezza in forza di parametri prestabiliti, ma è essa stessa oggetto di specifica diretta pattuizione tra le parti, la cui esattezza quindi non
ha alcun bisogno di essere verificata. Per quanto interessa, quindi, deve ritenersi ugualmente rispettoso della disciplina di cui all’art. 117 D.Lvo 385/1993 il contratto di mutuo (quale è quello in esame) in cui le parti, anziché pattuire in modo esplicito il TAN (sulla base del quale calcolare l’ammontare dell’interesse), hanno pattuito, come detto, in modo esplicito, allegando il piano di ammortamento, l’ammontare concreto degli interessi che, in ciascuna rata mensile di rimborso, il mutuatario era obbligato a pagare; le due grandezze sono infatti l’una collegata all’altra da una banale formula matematica, di guisa che, una volta determinata una delle due (indifferentemente il TAN o l’ammontare degli interessi per il periodo di tempo pattuito), è automati camente determinata anche l’altra. . L’obiezione dell’appellato, secondo la quale, posto che nella fattispecie in esame le rate di ammortamento (comprensive della quota interessi e della quota rimborso capitale) erano solo figurativamente predeterminate, in realtà la determinazione del TAN non sarebbe stata prestabilita nel contratto né avrebbe potuto essere individuata secondo la suddetta operazione matematica ma sarebbe stata rimessa alla discrezionalità della mutuante, è del tutto inconsistente. Infat ti, la variabilità dell’ammontare della quota di interesse a carico del mutuatario, rispetto a quello fissato nel piano di ammortamento non è affatto rimessa alla discrezionalità della mutuante ma dipende dal fatto, come sopra chiaramente esposto, che è stato pattuito che l’ammontare della rata (con riguardo alla quota interesse) fosse indicizzato con cadenza trimestrale in base alla variazione di Euribor 3M rispetto all’indice iniziale, indicato nel contratto, di 3,50; pertanto, una volta rideterminato l’a mmontare della quota di interessi sulla base del suddetto criterio di indicizzazione, può essere individuato anche il TAN come sopra esposto. . In conclusione, quindi, nel contratto di mutuo oggetto della controversia, il prezzo risulta legittimamente p revisto per iscritto, mediante l’indicazione, nel contratto e nel piano di ammortamento, dell’ammontare degli interessi che il mutuatario era obbligato a pagare, ammontare da indicizzare con cadenza trimestrale sulla base della variazione di Euribor 3M, con la formula prevista nel contratto; pertanto, non vi è stata alcuna violazione della disposizione di
cui all’art. 117 D.Lvo 385/1993. . In ogni caso, pur essendo, come detto, la finalità differente, anche l’indicazione dell’ISC può essere idonea sostituzione dell’indicazione del TAN, atteso che, anche con la sola indicazione di questo parametro, il prezzo del mutuo è evidentemente determinato, sia pure in modo complessivo, cioè senza una preventiva distinzione tra la quota del prezzo imputabile agli interessi e la quota o le quote imputabili ad altre spese ed onere accessori, e pertanto lo scopo persegu ito dall’art. 117 D.Lvo 385/1993, cioè quello della previsione scritta del prezzo del mutuo, è comunque raggiunto. . In definitiva, dunque, posto che nel contratto di mutuo oggetto della controversia è precisato l’ammontare degli interessi mensili a carico del mutuatario (da indicizzare, con cadenza trimestrale, sulla base di un parametro oggettivamente predeterminato), è esplicitato l’Indicatore Sintetico dei Costi e sono specificamente indicate le spese e gli oneri accessori, la disposizione di cui all ‘art. 117 D.Lvo 385/1993, che, giova ripeterlo, impone la determinazione per iscritto nel contratto (contrariamente alla prassi prima vigente di un rinvio agli usi) del prezzo del mutuo, risulta pienamente rispettata ».
Per la cassazione di questa sentenza ha promosso ricorso NOME COGNOME, affidandosi a tre motivi, illustrati anche da memoria ex art. 380bis .1 cod. proc. civ. Ha resistito, con controricorso, corredato da analoga memoria, RAGIONE_SOCIALE in liquidazione.
RAGIONI DELLA DECISIONE
I formulati motivi di impugnazione denunciano, rispettivamente, in sintesi:
« Insufficienza, ai fini dell’art. 117, comma 4, T.U.B. e in relazione al tasso d’interesse, dell’indicazione delle quantità economiche, che, in proiezione futura, sulla scorta delle condizioni attuali dell’indice di riferimento, il mutuatario deve pagare per interessi alla scadenza delle singole rate violazione e/o falsa applicazione dell’art. 12 delle preleggi e dell’art. 117, comma 4, del d.lgs. n. 385/93 in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. ». Si assume che la corte distrettuale: i ) ha interpretato l’art. 117, comma 4, del d.lgs. n. 385/93 in violazione dei vincoli impartiti dai canoni legali di
interpretazione letterale e teleologica; ii ) è caduta in errore quando ha ritenuto che la richiesta di specifica indicazione del T.A.N., contenuta nel comma 4 predetto, possa essere soddisfatta dal testo negoziale che, non obbligato da necessità oggettiva, ma per opportunità, omette di indicare in cifre il tasso dell’interesse a carico del mutuatario. Si deduce che, a differenza della soluzione ermeneutica condivisa dalla corte suddetta, la corretta interpretazione dell’art. 117, comma 4, obbliga a ritenere che lo stato patologico previsto dal combinato disposto dei commi 4 e 7 dell’art. 117 ricorre anche nel caso in esame, non essendo risolutiva, in senso contrario, l’osservazione che il contratto concluso tra le parti comunque riportava le quantità economiche, che, in proiezione futura, sulla scorta delle condizioni attuali dell’indice di riferimento, il mutuatario avrebbe dovuto pagare per interessi alla scadenza delle singole rate. In definitiva, avuto riguardo alla lettera dell’art. 117, comma 4, ed alla sua ratio , si afferma che l’indicazione delle quantità economiche dovute per interessi non è equivalente, ai fini e per gli effetti della menzionata norma, all’indicazione del tasso dell’interesse, sicché, a differenza di quanto deciso dalla corte territoriale, deve dichiararsi, ai sensi della medesima disposizione, l’inapplicabilità di interessi ultralegali in relazione al mutuo di cui si discute;
II) « Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 117, comma 4, del d.lgs. n. 385/93 e degli artt. 1284, 1350 e 1419 cod. civ. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. ». In via condizionata al non accoglimento del primo motivo, si contesta l’assunto della corte distrettuale secondo cui il piano di ammortamento, esterno al contratto ma a questo allegato, risolve la questione posta dall’omessa rappresentazione, nel testo negoziale, del T.A.N. del finanziamento. Si sostiene, invece, che, nella specie, il piano di ammortamento non possa dimostrare l’esistenza di valido accordo circa l’obbligazione con oggetto il pagamento di interessi ultralegali, da ciò derivandone la nullità della corrispondente pattuizione per difetto di forma;
III) « Insufficienza, ai fini dell’art. 117, comma 4, T.U.B., dell’esplicitazione in contratto dell’Indicatore Sintetico di Costo – violazione e/o falsa applicazione dell’art. 12 delle preleggi e dell’art. 117, comma 4, del
d.lgs. n. 385/93 in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. ». Si deduce nuovamente l’erroneità, in diritto, dell’attività esegetica compiuta dalla corte territoriale con riguardo all’art. 117, comma 4, del d.lgs. n. 385/93, denunciandosene la contrarietà ai canoni dell’interpretazione letterale e dell’interpretazione teleologica. Si evidenzia, poi, che, a differenza di quanto deciso dalla corte predetta, la richiesta di specifica indicazione del T.A.N., presente nell’art. 117, comma 4, T.U.B., non è soddisfatta né dall’esplicitazione, nel testo negoziale, della misura dell’I.S.C., quand’anche accompagnata dalla specificazione delle altre spese collegate al finanziamento, né dall’astratta possibilità di determinare la misura del T.A.N.
Tali doglianze, scrutinabili congiuntamente perché chiaramente connesse, tutte riguardando il tema della pretesa nullità parziale del contratto di mutuo recante l’indicazione del TAEG o ISC ma non del TAN, si rivelano complessivamente insuscettibili di accoglimento alla stregua delle considerazioni di cui appresso.
2.1. La sentenza impugnata, come si è già ampiamente riferito nel § 2.1. dei ‘ Fatti di causa ‘, dopo aver rimarcato che, « nel contratto di mutuo in esame, non è specificato alcun tasso di interesse annuo (vale a dire il TAN), né del 3,50% né dell’8%, ma, come è pacifico, è specificato il TAEG/ISC ed è indicata la somma concretamente dovuta, in ogni rata di rimborso, a titolo di interessi », ha ritenuto che « deve ritenersi ugualmente rispettoso della disciplina di cui all’art. 117 D. Lvo 385/1993 il contratto di mutuo (quale è quello in esame) in cui le parti, anziché pattuire in modo esplicito il TAN (sulla base del quale calcolare l’ammontare dell’interesse), hanno pattuito, come detto, in modo esplicito, allegando il piano di ammortame nto, l’ammontare concreto degli interessi che, in ciascuna rata mensile di rimborso, il mutuatario era obbligato a pagare; le due grandezze sono infatti l’una collegata all’altra da una banale formula matematica, di guisa che, una volta determinata una del le due (indifferentemente il TAN o l’ammontare degli interessi per il periodo di tempo pattuito), è automaticamente determinata anche l’altra ». In altri termini, secondo la corte distrettuale, attraverso la conoscenza del TAEG (da cui sarebbe stato agevolmente determinabile anche
il TAN mediante un calcolo matematico) il mutuatario può valutare l’effettivo costo dell’operazione, sicché è garantito comunque il rispetto dell’obbligo di informazione e della trasparenza che rappresenta la ratio dell’art. 117 T.U.B (d.lgs. n. 385 del 1993).
2.2. Orbene, osserva il Collegio, in piena continuità con quanto già condivisibilmente sancito da Cass. n. 5151 del 2024 (pronunciatasi su fattispecie analoga a quella odierna), che il TAEG -o ISC -ed il TAN sono entità giuridiche distinte.
2.2.1. Il primo, già previsto nella dir. 87/102/CEE e nella dir. 90/88/CEE, è stato introdotto nel nostro ordinamento dalla legge n. 142/1992, il cui art. 19 affidava al CICR il compito di stabilire le modalità di calcolo del TAEG e gli elementi da computare a tal fine. In sede di prima applicazione della detta legge, la disciplina ed i criteri di definizione del tasso annuo effettivo globale per la concessione di credito al consumo furono definiti dal d.m. 8 luglio 1992, in cui il TAEG, quale « tasso che rende uguale, su base annua, la somma del valore attuale di tutti gli importi che compongono il finanziamento erogato dal creditore alla somma del valore attuale di tutte le rate di rimborso » (art. 2, comma 1), era definito « un indicatore sintetico e convenzionale del costo totale del credito, da determinare mediante la formula prescritta qualunque sia la metodologia impiegata per il calcolo degli interessi a carico del consumatore » (art. 2, comma 2). La formula per il calcolo del TAEG era contenuta nell’alle gato 1 al detto decreto ministeriale; peraltro, già l’allegato 2 alla dir. 90/88/CEE stabiliva la modalità di calcolo del TAEG. L’art. 9, comma 2, della delib. CICR del 4 marzo 2003 in tema di « Disciplina della trasparenza delle condizioni contrattuali delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari » demandava alla Banca d’Italia di individuare le operazioni e i servizi a fronte dei quali il predetto indice « comprensivo degli interessi e degli oneri che concorrono a determinare il costo effettivo dell’operazione per il cliente », dovesse essere segnalato, nonché la formula per rilevarlo.
2.2.2. Indicazioni articolate sul TAEG si rinvengono, poi, al par. 4.2.4 del provvedimento del 29 luglio 2009 della Banca d’Italia sulla trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari e la correttezza delle relazioni tra
intermediari e clienti; lo stesso provvedimento contiene, nell’allegato 5B, la formula matematica per il calcolo del TAEG: la competenza, sul punto, della Banca d’Italia, è stata successivamente confermata dall’art. 121, comma 3, T.U.B, nel testo modificato dal d.lgs. n. 141 del 2010. Nello stesso articolo del testo unico, al comma 1, lett. m) , è spiegato che il TAEG indica, in percentuale annua, il costo effettivo del credito.
2.2.3. Il TAN, invece, è il tasso annuo di interesse dovuto al netto della capitalizzazione: è il valore cui fa riferimento l’art. 117, comma 4, T.U.B. quando stabilisce che i contratti « indicano il tasso d’interesse ». La stessa norma dispone che il contratto debba indicare, oltre al saggio di interesse, « ogni prezzo e condizione praticati »: e gli uni e gli altri concorrono a definire il dato aggregato del TEGM.
2.3. Sarebbe scorretto assumere che l’indicazione, nel contratto, del TEAG giustifichi la mancata precisazione, in esso, del tasso di interesse.
2.3.1. Con riferimento ai contratti conclusi da una banca con un soggetto non consumatore -come è l’odiern o ricorrente -resta insuperabile la norma cogente contenuta nel cit. comma 4 dell’art. 117, la quale è presieduta dalla sanzione della nullità parziale, con applicazione dei tassi sostitutivi di cui al comma 7 dello stesso articolo.
2.3.2. Analoga regolamentazione ricevono i contratti di credito immobiliare ai consumatori, ai quali si applica, in modo integrale, la disciplina dell’art. 117 T.U.B. (art. 120noviesdecies ), mentre per gli altri contratti di credito al consumo, rispetto ai quali il rinvio all’art. 117 è limitato ai commi 2, 3 e 6 (art. 125bis , comma 2) è comunque prescritto che i relativi contratti precisino le condizioni stabilite dalla Banca d’Italia, in conformità alle deliberazioni del CICR (art. 125bis , comma 1): condizioni tra cui è ricompresa quella per cui « contratti indicano il tasso d’interesse ogni altro prezzo o condizioni praticati », la quale replica quanto disposto, in via generale, dall’art. 117, comma 4, cit..
2.3.3. La persistenza dell’obbligo di indicare, nel contratto, il tasso di interesse si spiega con facilità ove si abbia riguardo alla (limitata) finalità cui assolve il TAEG. Quest’ultimo, rappresentando il dato aggregato del costo del
credito, consente all’interessato di confrontare le condizioni di finanziamento che gli operatori bancari offrono sul mercato: per tale ragione ne è prevista la pubblicità , oltre che l’informativa personalizzata al soggetto interessato al finanziamento prima che egli sia vincolato da un contratto ( cfr . art. 124, comma 1, T.U.B., anche se, per la verità, quest’ultima norma non fa preciso riferimento al TAEG, ma alle « informazioni necessarie per consentire il confronto delle diverse offerte di credito sul mercato »).
2.3.4. L’indicazione, nel testo del negozio, del tasso di interesse risponde, invece, alla funzione informativa che ha la documentazione del contratto stipulato dalla banca col suo cliente. L’art. 117, comma 4, T.U.B. vuole che nel contratto siano precisati il tasso di interesse, i prezzi e le altre condizioni (compresi i maggiori oneri in caso di mora) in quanto reputa che tale nucleo di informazioni -riferite ai diversi elementi dell’obbligazione che grava sul cliente -sia indispensabile per rimuovere l ‘asimmetria conoscitiva dei contraenti. Nella logica della disciplina generale della forma dei contratti bancari l’indicazione puntuale del tasso di interesse (non di un TAEG onnicomprensivo, il quale non è un tasso convenuto contrattualmente ma un dato numerico calcolato in base a una formula matematica, quindi un semplice indicatore di costo) assume, insomma, un rilievo centrale: e ciò è confermato dall’apparato rimediale predisposto dal legislatore, il quale tiene conto di nullità riferite alle pattuizioni che interessano non il tasso effettivo globale, ma il tasso di interesse e gli altri prezzi e condizioni contrattuali .
2.3.5. L’idea che l’esplicitazione, in contratto, del TAEG sia idonea ad assicurare, sotto il profilo che qui rileva, la validità del contratto, genera, come conseguenza, una inoperatività della nullità dell’art. 117, comma 4, T.U.B. che è priva di fondamento giustificativo, visto che non esiste alcuna norma che deroghi alla regola, desumibile dal comma 7 dello stesso articolo, per cui, in assenza della fissazione del tasso di interesse, si ha una nullità parziale con eterointegrazione del regolamento contrattuale.
2.3.6. Mette conto di aggiungere che, specularmente, la comminatoria della nullità non è operante nei confronti della mancata indicazione del TAEG: proprio in quanto il TAEG è un indicatore sintetico del costo complessivo dell’operazione di finanziamento, questa Corte ha rilevato che esso non rientra nel novero dei tassi, prezzi ed altre condizioni la cui mancata indicazione nella forma scritta è sanzionata con la nullità ex art. 117 T.U.B. ( cfr . Cass. n. 4597 del 2023; Cass. n. 39169 del 2021). Resta ferma ovviamente la nullità prevista, per i contratti del consumatore, dall’art. 125 -bis , comma 6, T.U.B.: nullità incidente sulle clausole del contratto relative a costi a carico del consumatore che, contrariamente a quanto previsto ai sensi dell’articolo 121, comma 1, lett. e) , non sono stati inclusi o sono stati inclusi in modo non corretto nel TAEG pubblicizzato nella documentazione predisposta in base all’art. 124.
2.4. Rimane da chiarire se la nullità sia da escludere anche ove l’ammontare del saggio di interesse, non specificamente individuato, possa ricavarsi, in base a un calcolo aritmetico, dal testo del contratto che individui il TAEG.
2.4.1. In termini generali, la forma scritta ad substantiam di un contratto non esclude che la pattuizione investa un oggetto non determinato, ma determinabile ( cfr . Cass. n. 8731 del 2023; Cass. n. 21352 del 2014).
2.4.2. Con riferimento all’ipotesi della clausola degli interessi ultralegali, pure soggetta al rigore formale, la giurisprudenza di questa Corte ammette che il tasso di interesse di cui all’art. 1284, comma 3, c od. civ. possa essere non indicato in cifra, ma determinato attraverso il richiamo a criteri prestabiliti ed elementi estrinseci, purché oggettivamente individuabili, funzionali alla concreta determinazione del tasso stesso ( cfr., ex aliis , Cass. n. 25205 del 2014; Cass. n. 8028 del 2018). Analoga regola è affermata con riguardo alla norma dei cui all’art. 117, comma 4, T.U.B. che contempla l’obbligo di indicare il tasso di interesse in contratti che sono già soggetti alla forma scritta: anche in questo caso il tasso di interesse può essere determinato per relationem , con esclusione del rinvio agli usi, ma il contratto deve richiamare criteri prestabiliti ed elementi estrinseci che, oltre ad essere
oggettivamente individuabili e funzionali alla concreta determinazione del tasso, non devono essere determinati unilateralmente dalla banca ( cfr . Cass. n. 17110 del 2019: il principio è riferito al rinvio a dati esterni, che il contratto può recepire allo scopo, ad esempio, di regolare l’andamento di un tasso variabile; nella fattispecie è stato ritenuto nullo il riferimento ad un generico top rate , concretamente specificato solo in un avviso sintetico redatto dalla banca ed esposto al pubblico).
2.4.3. Il tasso può anche ricavarsi dal contesto stesso del contratto; come è ovvio, pure le indicazioni contenute nel corpo del negozio possono rappresentare elementi atti a rendere determinabile, a norma dell’art. 1346 cod. civ ., l’oggetto della pattuizione relativa agli interessi.
2.4.4. Deve credersi, in conseguenza, che il TAN del finanziamento, non puntualmente indicato, ben possa risultare determinabile ove sia suscettibile di definizione numerica sulla scorta del TAEG e degli altri valori riportati nel contratto ( cfr . sostanzialmente, in tal senso, Cass. n. 13556 del 2024, anch’essa pronunciata in fattispecie analoga a quella odierna) , sicché le indicazioni contenute in quest’ultimo possono rappresentare elementi utili per rendere determinabile, a norma dell’art. 1346 c od. civ., il preciso oggetto della pattuizione relativa agli interessi. Conclusione, quest’ultima, che risulta avvalorata, del resto, anche dal passaggio motivazionale di Cass., SU, n. 15130 del 2024, in cui ( cfr . pag. 22 e ss.), muovendo dalla premessa che l ‘indagine sulla determinatezza dell’oggetto del contratto attiene alla costruzione strutturale dell’operazione negoziale, cioè è volta a verificare che essa abbia confini ben definiti con riguardo all’ an ed al quantum degli interessi (non legali) che devono essere pattuiti sulla base di criteri oggettivi e insuscettibili di dare luogo a margini di incertezza, non sulla base di elementi indefiniti o rimessi alla discrezionalità di uno dei contraenti ( cfr. ex plurimis , in tema di determinazione del tasso di interesse mediante rinvio agli usi o a parametri incerti, Cass. nn. 28824 e 36026 del 2023; Cass. n. 17110 del 2019; Cass. n. 8028 del 2018; Cass. n. 25205 del 2014), si è affermata come sussistente tale determinatezza allorquando il contratto di mutuo contenga le indicazioni proprie del tipo legale (art. 1813 e ss. cod. civ.), cioè la chiara ed
inequivoca indicazione dell’importo erogato, della durata del prestito, della periodicità del rimborso e del tasso di interesse predeterminato, altresì prevedendosi, nel piano di ammortamento allegato al contratto, anche il numero e la composizione delle rate costanti di rimborso con la ripartizione delle quote per capitale e per interessi.
2.5. Resta solo da aggiungere, per intuibili ragioni di completezza e tenuto conto di quanto sostenuto dalla difesa del COGNOME nella propria memoria ex art. 380bis .1 cod. proc. civ., in cui si è insistito sul rilievo che, nella specie, l’ammontare del saggio di interesse, non specificamente individuato, nemmeno poteva ricavarsi, in base ad un calcolo aritmetico, dal testo del contratto che individuava il TAEG, che, come già condivisibilmente opinato dalla recente Cass. n. 15195 del 2024 (pure pronunciatasi su problematica analoga a quella odierna), « il tasso di interesse si reputa determinabile quando contenga un richiamo a criteri prestabiliti ed elementi estrinseci, purché obiettivamente individuabili, funzionali alla concreta determinazione del saggio di interesse (cfr. Cass. 30 marzo 2018, n. 8028) e che allorché, come nel caso in esame, al Corte di appello ritenga che gli elementi indicati in contratto consentano l’individuazione del tasso di interessi pattuito si è in presenza di un accertamento fattuale riservato al giudice di merito » ( cfr . pag. 5-6 della motivazione).
2.5.1. Il ricorrente, dunque, mostra di non considerare che l’affermazione della corte distrettuale non si risolve nella sola sufficienza dell’indicazione del T.A.E.G. ad assolvere alla previsione di cui all’art. 117, comma 4, T.U.B. secondo cui i contratti devono indicare il tasso d’interesse ed ogni altro prezzo e condizione praticati, inclusi, per i contratti di credito, gli eventuali maggiori oneri in caso di mora; infatti, quella corte, come si è già riferito, ha puntualizzato che, nel contratto oggetto di causa, sono analiticamente riportate tutte le condizioni relative al piano di finanziamento concernenti il tasso di indicizzazione, gli interessi di mora, i criteri di indicizzazione, il TAEG o l’indicazione sintetico di costo richiesti dalle Istruzioni fornite dalla Banca d’Ital ia agli operatori di settore e che le condizioni contrattuali vanno integrate con il piano finanziario, anch’esso concordato dalle parti, dal quale
si desume chiaramente il valore dell’operazione nel tempo attraverso il numero delle rate e l’ammontare di ciascuna di esse, con l’incidenza degli interessi, del tasso debitore, delle spese, aggiungendo, quanto al T.A.N., che tale valore si desume agevolmente dal piano di ammortamento approvato dalle parti, che riporta tutti gli elementi a ciò utili. Da ciò si desume che la stessa corte territoriale ha fondato la sua decisione di validità del contratto, sotto il profilo contestato, non già in ragione della sola indicazione del T.A.E.G., ma anche dal fatto che il documento contrattuale ed i relativi allegati (tra cui il piano di ammortamento) consentivano un’agevole individuazione delle condizioni economiche del contratto.
2.5.2. Le argomentazioni della suddetta memoria del ricorrente, dunque, si risolvono, nella sostanza, in una critica alla valutazione degli elementi probatori effettuata dal giudice di merito in punto di determinabilità, o non, del tasso di interesse, che è riservata a detto giudice e, pertanto, non può essere sindacata in questa sede.
2.6. Quanto, infine, alle contestazioni circa la pretesa mancata sottoscrizione del piano di ammortamento e del suo non essere stato concordato, trattasi di assunti concernenti questioni di cui non vi è traccia nel provvedimento oggi impugnato.
2.6.1. Orbene, per giurisprudenza pacifica di questa Corte ( cfr. ex aliis , anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 25909 del 2021, Cass. nn. 5131 e 9434 del 2023; Cass. nn. 2607 e 5038 del 2024), qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, il ricorso deve, a pena di inammissibilità, non solo allegare l’avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito, ma anche indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto in virtù del principio di autosufficienza del ricorso. I motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena d’inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio di appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito né rilevabili d’ufficio ( cfr . Cass. nn. 32804 e 2038 del 2019; Cass. nn. 20694 e 15430 del 2018; Cass. n. 23675del 2013). In
quest’ottica, la parte ricorrente ha l’onere -nella specie rimasto assolutamente inadempiuto -di riportare, a pena d’inammissibilità, dettagliatamente in ricorso gli esatti termini della questione posta in primo e secondo grado ( cfr . Cass. n. 9765 del 2005; Cass. n. 12025 del 2000). Nel giudizio di cassazione, infatti, è preclusa alle parti la prospettazione di nuovi questioni di diritto o nuovi temi di contestazione che postulino indagini ed accertamenti di fatto non compiuti dal giudice di merito ( cfr. Cass. n. 19164 del 2007; Cass. n. 17041 del 2013; Cass. n. 25319 del 2017; Cass. n. 20712 del 2018).
In conclusione, dunque, il ricorso di NOME COGNOME deve essere respinto, potendosi, peraltro, interamente compensare tra le parti le spese di questo giudizio di legittimità, attesa l’avvenuta formazione dell’orientamento interpretativo qui condiviso solo in epoca recente e successiva rispetto alla proposizione del ricorso stesso.
3.1. Infine, deve darsi atto -in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 -che, stante il tenore della pronuncia adottata, sussistono, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, i presupposti processuali per il versamento, da parte del medesimo ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto, mentre « spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento ».
PER QUESTI MOTIVI
La Corte rigetta il ricorso promosso da NOME COGNOME.
Compensa interamente tra le parti le spese di questo giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera del medesimo ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, p ari a quello
previsto per il ricorso, giusta il comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima sezione civile