Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 32838 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 32838 Anno 2024
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 16/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 9302/2020 R.G. proposto da :
NOME COGNOME, DI NOME, elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE rappresentati e difesi dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrenti-
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende
-resistente-
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende
-resistente- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di ROMA n. 1363/2019 depositata il 25/02/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 29/10/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME COGNOME ha stipulato con la Banca Popolare di Terracina, con atto del 25.6.1992 a rogito del notaio COGNOME di Latina, un contratto di mutuo fondiario per l’importo di £ 120.000.000, garantito da ipoteca, cui è seguita, in data 30.10.1992, la stipula dell’atto di erogazione e quietanza, ove era previsto il ricorso sui mercati internazionali a provvista in yen giapponesi.
Analogo contratto di mutuo fondiario per l’importo di £ 60.000.000, garantito da ipoteca, è stato stipulato sempre in data 25.6.1992, a rogito del notaio COGNOME, dalla moglie NOME COGNOME con la Banca Popolare di Terracina, cui è, parimenti, seguito atto di erogazione e quietanza del 30.10.1992 con le medesime caratteristiche.
NOME COGNOME Massimo e NOME COGNOME, in sede di opposizione al precetto loro notificato rispettivamente da Banca Intesa s.p.a. e da Castello Finance s.r.l. (divenuti, nel frattempo, titolari dei crediti da finanziamento), ed il primo, anche con azione autonomamente proposta nei confronti di Intesa Gestione Crediti s.p.a., hanno entrambi chiesto dichiararsi la nullità ex art. 1284 c.c. dei rispettivi contratti di mutuo fondiario del 25.6.1992 e del relativo atto di erogazione e quietanza del 30.10.1992 per difetto della forma scritta ad substantiam e per mancanza dell’oggetto, con conseguente rideterminazione dell’esatto dare/avere e condanna della banca alla restituzione delle eventuali somme indebitamente percepite in virtù delle clausole nulle. Tutti i giudizi sono stati
successivamente riuniti alla causa n. 100/04, avente ad oggetto l’azione di declaratoria di nullità del mutuo fondiario e relativo atto di erogazione stipulati da NOME COGNOME
Il Tribunale di Latina, con sentenza n. 426/2011, depositata il 19.9.2011, ha:
dichiarato la nullità della clausola di cui alla lett. A) della voce ‘in primo luogo’ e di cui all’art. 3 della voce ‘in secondo luogo’ dell’atto di quietanza con determinazione dell’inizio dell’ammortamento della somma erogata, stipulato da NOME COGNOME Massimo il 30.10.1992, respingendo per il resto la domanda di tale mutuatario nel giudizio rubricato al n. 100/04;
ii) rigettato le opposizioni al precetto di cui ai giudizi nn. 112/06 (opponente NOME COGNOME e 460/06 (opponente NOME COGNOME.
La Corte d’Appello di Roma, con sentenza n. 1363/2019, depositata il 25.2.2019, ha rigettato l’appello proposto da NOME COGNOME e NOME COGNOME
Il giudice di secondo grado, nel condividere l’impostazione del giudice di primo grado in ordine al collegamento negoziale tra il contratto di mutuo fondiario ed il contratto di approvvigionamento in valuta estera stipulato dall’istituto di credito al fine di erogare al mutuatario la somma mutuata (ritenuto, in particolare, quest’ultimo come presupposto del mutuo), ha ritenuto che le parti, nel contratto di mutuo fondiario del 25.6.1992 e nell’atto di erogazione del 30.10.1992, avessero interamente definito per iscritto l’oggetto del contratto di mutuo fondiario, quanto alla somma erogata, alle modalità ed ai tempi di restituzione.
Quanto alla richiesta di rideterminazione del rapporto dare/avere, conseguente alla declaratoria di nullità delle clausole di cui sopra, il giudice d’appello ha confermato l’impostazione del primo giudice secondo cui nulla fosse dovuto in restituzione ai mutuatari, sul rilievo che non era emerso, né era stato nemmeno dedotto dagli
appellanti, che la clausola dichiarata nulla, da applicare ove non fosse stato disponibile il tasso rilevato dal sistema Dow Jones/Telerate, fosse mai stata applicata.
Avverso la predetta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME Massimo e NOME COGNOME affidandolo a otto motivi. L’RAGIONE_SOCIALEp.aRAGIONE_SOCIALE e Intesa San Paolo s.p.a. hanno resistito in giudizio con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 c.c..
Lamentano i ricorrenti che la Corte territoriale ha violato i canoni di ermeneutica contrattuale con riguardo ai contratti di mutuo fondiario del 25.6.1992 e dei successivi atti di erogazione e quietanza del 30.10.1992 dagli stessi stipulati, atteso che, contrariamente a quanto affermato dalla sentenza impugnata, le condizioni dell’asserito contratto di approvvigionamento in valuta estera risultano recepite nel contratto di erogazione e quietanza e nel contratto di mutuo fondiario, così come modificato dal primo. In particolare, deducono che, come emerge dal tenore del contratto di erogazione e quietanza, il tasso di interesse semestrale del mutuo è costituito dal costo della provvista estera e dal margine di intermediazione a favore dell’ente mutuante, che è a sua volta costituito anche dagli oneri per la commissione dovuta all’intermediaria estera.
Detti parametri, ovvero il costo della provvista estera e la commissione dell’intermediaria estera, sono quindi fattori che costituiscono la base di calcolo per la determinazione del tasso di interesse semestrale.
Detti parametri non potrebbero che essere stati stabiliti nel contratto di approvvigionamento che, dunque, non è solo un
contratto presupposto, ma è recepito nel contratto di mutuo e nell’atto di erogazione e quietanza, proprio perché detti parametri determinano il contenuto della prestazione oggetto dell’obbligazione del mutuatario.
Lamentano i ricorrenti che la Corte territoriale, nel respingere il primo motivo d’appello, ha trascritto l’art. 2 del contratto originario di mutuo fondiario, non considerando che lo stesso è stato espressamente modificato dalla pattuizione contenuta nel contratto di erogazione e quietanza: in forza di detta modifica, il ricorso all’approvvigionamento in valuta estera non ha più rappresentato un’eventualità, bensì un evento storico realmente verificatosi in virtù della specifica richiesta avanzata dai mutuatari, ‘come attestato dalla banca che, conseguentemente determinava l’oggetto del contratto’.
Infine, la Corte territoriale, partendo dal presupposto (per i ricorrenti erronei) che il contratto di approvvigionamento in valuta estera costituisse un mero presupposto e non fosse stato recepito nei contratti in oggetto, ha negato rilevanza alla mancata produzione dello stesso, nonché all’eccezione di inutilizzabilità, a causa della mancata traduzione in italiano, dei documenti in lingua inglese collegati.
In conclusione, i ricorrenti lamentano che gli estremi del contratto di approvvigionamento in valuta estera non siano stati esattamente trasfusi nel contratto di erogazione e quietanza.
Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione degli artt. 1325, 1418 e 1346 c.c..
Rilevano i ricorrenti che il contratto di approvvigionamento non è un mero presupposto, ma è stato recepito nei contratti di mutuo e di erogazione e quietanza, con la conseguenza che avrebbe dovuto essere rilevata la nullità dei contratti in esame, per violazione della forma scritta ad substantiam , essendo stato operato, nei contratti in oggetto, un rinvio ad un negozio esterno non allegato e non
sottoscritto dalle parti, né riprodotto nel suo contenuto, non essendovi prova che la banca avesse erogato la somma facendo ricorso alla provvista in yen giapponesi.
I primi due motivi, da esaminare unitariamente in relazione alla stretta connessione delle questioni trattate, presentano profili di inammissibilità ed infondatezza.
In primo luogo, va rilevata l’inammissibilità, per genericità, delle censure con cui i ricorrenti lamentano la violazione dei canoni di interpretazione contrattuale.
In proposito, è orientamento consolidato di questa Corte (cfr. Cass. n. 9461/2021; Cass. n. 16987/2018; Cass. n. 10554/2010, Cass. n. 22102/2009) quello secondo cui l’interpretazione di un atto negoziale è un tipico accertamento in fatto riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità, se non nell’ipotesi di violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, di cui agli artt. 1362 e ss. cod. civ., o di motivazione inadeguata, ovverosia non idonea a consentire la ricostruzione dell'”iter” logico seguito per giungere alla decisione. Pertanto, onde far valere una violazione sotto il primo profilo, occorre non solo fare puntuale riferimento alle regole legali d’interpretazione, mediante specifica indicazione dei canoni asseritamente violati ed ai principi in esse contenuti, ma occorre, altresì, precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito se ne sia discostato, con l’ulteriore conseguenza dell’inammissibilità del motivo di ricorso che si fondi sull’asserita violazione delle norme ermeneutiche o del vizio di motivazione e si risolva, in realtà, nella proposta di una interpretazione diversa.
Nel caso di specie, i ricorrenti si sono limitati a dedurre genericamente la violazione dei criteri ermeneutici di cui agli artt. 1362 (intenzione dei contraenti) e 1363 c.c. (interpretazione complessiva delle clausole), senza neppure esaminare, in dettaglio, i relativi principi contenuti e senza puntualizzare minimamente in
qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito se ne fosse discostato. I ricorrenti non hanno fatto altro, in realtà, che riproporre le medesime censure svolte nei gradi precedenti, riconducendo i presunti errores i n iudicando posti in essere dal giudice d’appello alla violazione delle norme di interpretazione contrattuale.
Le censure dei ricorrenti sono, altresì, inammissibili nella parte in cui gli stessi deducono che, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice d’appello, il contratto di approvvigionamento in valuta estera stipulato dalla banca non costituirebbe un mero presupposto, essendo stato il suo contenuto recepito nei contratti di mutuo e di erogazione e quietanza, con la conseguenza che, essendo stato operato, nei contratti in oggetto, un rinvio ad un negozio esterno non allegato e non sottoscritto dalle parti, né riprodotto nel suo contenuto nell’atto, avrebbe dovuto essere rilevata dai giudici di merito la nullità dei contratti in esame, per violazione della forma scritta ad substantiam.
Va, in primo luogo, osservato che la valutazione con cui il giudice d’appello (condividendo l’impostazione di quello di primo grado) ha ritenuto che il contratto di approvvigionamento costituisse un mero presupposto del contratto di mutuo, e non ne fosse quindi stato recepito il contenuto nei contratti di mutuo ed erogazione e quietanza, costituisce un apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito, non sindacabile in sede di legittimità, se non per vizio di motivazione nei circoscritti limiti di cui alla nuova formulazione dell’art. 360 comma 1° n. 5 c.p.c. (vizio neppure dedotto).
Inoltre, l’affermazione con cui i ricorrenti sostengono che i parametri del costo della provvista estera e della commissione dell’intermediaria estera, che rappresentano la base di calcolo per la determinazione del tasso di interesse semestrale, ‘ non potrebbero che essere stati stabiliti nel contratto di
approvvigionamento ‘ (di cui non sono stati indicati gli estremi nei contratti di mutuo ed erogazione e quietanza) è del tutto apodittica, non avendo, peraltro, neppure precisato sulla base di quali elementi i ricorrenti sono pervenuti a tale conclusione.
In realtà, come evidenziato dal giudice d’appello (vedi pag. 11 ultime tre righe e pag. 12) , le parti, anche a modifica del contratto di mutuo e nell’allegato capitolato (in cui il ricorso alla provvista derivante dall’assunzione di prestiti esteri era stato rappresentato come una mera eventualità, dipendente dalla successiva richiesta irrevocabile della parte mutuataria, successivamente intervenuta), hanno stabilito il tasso di interesse semestrale in base a criteri predeterminati, oggettivi e conoscibili, avendo, in particolare, previsto nell’atto di quietanza, al punto indicato con la lettera D, che tale tasso fosse costituito dal costo della provvista estera e dal margine di intermediazione a favore dell’ente, e precisamente nella somma di:
‘a ½ tasso interbancario (IBOR) offerto sulla piazza di Londra arrotondato a 1/16 superiore per depositi a sei mesi nella divisa della provvista, così come quotato nel sistema Dow Jones/Telerate alle ore 11 antimeridiane di Londra il secondo giorno lavorativo precedente l’inizio di ogni periodo di interesse, maggiorato, di volta in volta, del compenso a fronte degli oneri per la commissione dovuta all’intermediaria estera e per l’acquisizione e la gestione della provvista, maggiorazione che fino al prossimo semestre di punti 0,20. Il tutto ponderato per 365/360 o 366/360 negli anni bisestili’.
Dunque, le parti, nell’atto di quietanza, ai fini della individuazione del tasso di interesse semestrale, non hanno affatto operato -come apoditticamente affermato dai ricorrenti -un rinvio ad un negozio esterno non allegato, ovvero al contratto di approvvigionamento in valuta estera, con la conseguenza che gli
estremi di tale contratto non dovevano essere inseriti nei contratti in contestazione.
Va, infine, osservato che l’affermazione dei ricorrenti, contenuta a pag. 15 nel secondo motivo, secondo cui non vi sarebbe la prova che la banca abbia erogato la somma facendo ricorso alla provvista in yen giapponese, oltre ad essere inammissibile, intendendosi con ciò sollecitare una ricostruzione di fatto diversa da quella operata dalla Corte d’Appello, si pone anche in palese contraddizione con l’affermazione della stessa parte ricorrente, contenuta a pag. 13, secondo cui, nel caso di specie, il ricorso all’approvvigionamento in valuta estera non rappresentava una ‘eventualità’, ‘bensì un evento storico realmente verificatosi, come attestato dalla banca che, conseguentemente determinava l’oggetto del contratto’.
Con il terzo motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 116 c.p.c..
I ricorrenti contestano l’affermazione del giudice d’appello secondo cui non era rilevante la traduzione dei documenti in lingua inglese relativi al contratto di approvvigionamento sul rilievo ‘ che la provvista non viene acquistata di volta in volta dall’istituto mutuante, in relazione ad uno specifico finanziamento, ma per un importo globale e complessivo, erogata per mutui fino ad esaurimento per poi essere ricostituita’.
Orbene, ad avviso dei ricorrenti, tale affermazione è stata fatta dalla Corte senza che ci fosse alcuna prova in merito, emersa nel corso del giudizio, fondandosi, invece, sul principio dell’ id quod plerumque accidit, non applicabile ai contratti bancari che richiedono la forma scritta ad substantiam.
Il motivo è assorbito alla luce di quanto sopra illustrato nei precedenti motivi.
Con il quarto motivo è stata dedotta la violazione degli artt. 112, 132 n. 4 c.p.c. e 111 Cost..
Espongono i ricorrenti che, nel primo motivo d’appello, avevano censurato la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva ritenuto provata la circostanza relativa all’avvenuto approvvigionamento in valuta estera (yen giapponese) in forza di documenti tempestivamente disconosciuti -in particolare, era stata eccepita la non conformità delle copie fotostatiche agli originali -all’udienza del 6.11.2006, senza che la banca avesse poi provveduto alla produzione in giudizio dell’originale dei documenti, con conseguente inutilizzabilità degli stessi.
I ricorrenti lamentano che la sentenza impugnata ha omesso del tutto di pronunciarsi sull’eccezione di inutilizzabilità della documentazione disconosciuta, a norma degli artt. 214, 215 e 2719 c.c., integrando così un error in procedendo .
Trattasi di un errore, ad avviso dei ricorrenti, rilevante, in quanto la sentenza impugnata ha ritenuto provata la circostanza dell’approvvigionamento in oggetto proprio in virtù della documentazione disconosciuta.
Il motivo è inammissibile.
Come recentemente ribadito da questa Corte (cfr. Cass. n. 26913/2024), l’omesso esame di una questione puramente processuale non integra il vizio di omessa pronuncia, configurabile soltanto nel caso di mancato esame di domande od eccezioni di merito.
Con il quinto motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 116 c.p.c..
Lamentano i ricorrenti che la Corte d’Appello ha inammissibilmente posto la documentazione disconosciuta a fondamento della propria decisione.
Il quinto motivo è inammissibile.
A prescindere dal rilievo, già sopra evidenziato al punto 3, secondo cui gli stessi ricorrenti hanno, contraddittoriamente, dato atto nel proprio gravame che il ricorso all’approvvigionamento in valuta
estera non rappresentava una ‘eventualità’, ‘bensì un evento storico realmente verificatosi’, va, comunque, osservato che i ricorrenti non hanno colto la ratio decidendi della sentenza impugnata, in punto documenti (in lingua inglese), dimostranti l’acquisizione di provvista da parte della banca in yen giapponese.
La Corte d’Appello non ha affatto fondato le proprie valutazioni su tali documenti in lingua inglese (di cui i ricorrenti allegano l’intervenuto disconoscimento per non conformità delle copie all’originale), avendoli, al contrario, ritenuti non decisivi, ma solo meramente rafforzativi.
In particolare, il giudice d’appello, dopo aver affermato (condividendo l’impostazione del giudice di primo grado) di non ritenere violato il requisito della necessaria forma scritta in relazione alla mancata indicazione nel contratto degli estremi identificativi dei prestiti esteri per l’approvvigionamento della provvista, e ciò in ragione del fatto, già sopra esaminato, ‘ che la provvista non viene acquistata di volta in volta dall’istituto mutuante, in relazione ad uno specifico finanziamento, ma per un importo globale e complessivo, erogata per mutui fino ad esaurimento per poi essere ricostituita’, in questi esatti termini si è espresso (vedi pag. 11, quarto capoverso, sentenza impugnata):
‘.. Il richiamo, pertanto, ai documenti in lingua inglese, prodotti per dimostrare che nello specifico il mutuante si è rivolto a mercati internazionali a provvista in yen, ha un valore meramente rafforzativo della motivazione e dunque, anche a volerli ritenere inutilizzabili, la sentenza non ne verrebbe travolta’.
Con il sesto motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1419 e 1339 c.c..
Lamentano i ricorrenti che la Corte d’Appello, nel riprendere integralmente le argomentazioni del giudice di primo grado, ai fini della decisione sulla indeterminatezza e/o indeterminabilità delle clausole di previsione degli interessi ultralegali del contratto di
mutuo stipulato da NOME COGNOME -si fa riferimento alla clausola di cui alla lett. a) della voce ‘in primo luogo’ e di cui all’art. 3 della voce ‘in secondo luogo’ dell’atto di quietanza sono incorsi nella violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale, indicati in rubrica.
Il motivo è inammissibile per assoluta genericità.
Va osservato che risponde a massima consolidata nella giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass., 2/4/2014, n. 7692; vedi anche Cass. n. 18421/2009) che i motivi posti a fondamento dell’invocata cassazione della decisione impugnata debbono avere i caratteri della specificità, della completezza, e della riferibilità alla decisione stessa, con l’esposizione di argomentazioni intelligibili ed esaurienti ad illustrazione delle dedotte violazioni di norme o principi di diritto, essendo, pertanto, inammissibile il motivo nel quale non venga precisato in qual modo e sotto quale profilo (se per contrasto con la norma indicata, o con l’interpretazione della stessa fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina) abbia avuto luogo la violazione nella quale si assume essere incorsa la pronuncia di merito.
Nel caso di specie, i ricorrenti si sono limitati a trascrivere, nel ricorso, pressoché integralmente, alcuni passaggi della sentenza impugnata (vedi pag. 20, ultime quattro righe, 21 e 22 del ricorso), alcune clausole del contratto di erogazione e quietanza (vedi pagg. 23,24 e prime otto righe di pag. 22 del ricorso), ed alcuni passaggi di sentenze di questa Corte (vedi ultime sette righe pag. 25, 26, prime 14 righe di pag. 27 del ricorso), giungendo apoditticamente alla conclusione -senza quindi provvedere ad una reale illustrazione del motivo -che era stata perpetrata la violazione dei canoni di interpretazione contrattuale, e ciò sul rilievo che le clausole di cui alla lett. a) della voce ‘in primo luogo’ e di cui all’art. 3 della voce ‘in secondo luogo’ dell’atto di quietanza non potevano essere ulteriormente scomposte in subclausole,
suscettibili di interpretazione autonoma rispetto al restante contenuto di ciascuna di esse.
In particolare, ad avviso dei ricorrenti, le due clausole sopra riportate costituivano, in realtà, una sola clausola, con la conseguenza che la declaratoria di nullità di una parte della clausola -quella di cui alla lett. a) della voce ‘in primo luogo’ non poteva che determinare la declaratoria di nullità della ‘intera clausola’, e quindi anche della c.d. clausola di cui all’art. 3 della voce ‘in secondo luogo’ dell’atto di quietanza, con l’ulteriore conseguenza della sostituzione del tasso ultralegale con quello sostitutivo di cui all’art. 117 TUB.
Non vi è dubbio che i ricorrenti, così argomentando, non solo non hanno provveduto ad una sufficiente illustrazione del motivo, ma hanno, altresì, inammissibilmente censurato l’interpretazione dei contratti (che costituisce una valutazione di fatto) operata dalla Corte d’Appello, attività non consentita in sede di legittimità, se non per la violazione dei canoni di violazione ermeneutica (nel caso di specie, neppure illustrata) o per vizio di motivazione (non dedotto), problematica già diffusamente trattata sopra al punto 3.
11. Con il settimo motivo è stata dedotta la nullità degli artt. 112, 132 n. 4 c.p.c. e 111 Cost..
Espongono i ricorrenti che la Corte d’Appello, pur avendo trascritto la doglianza dagli stessi svolta in appello in ordine alla indeterminatezza della clausola di cui al punto a) della voce ‘in primo luogo’, derivante dalla non determinabilità delle maggiorazioni dovute per gli oneri di commissione da corrispondere all’intermediaria e per l’acquisizione della provvista, aveva omesso di pronunciare sul merito di tale censura, motivando solo con riferimento alla questione relativa al tasso di cambio.
12. Il motivo è inammissibile in quanto rivalutativo e comunque infondato.
Va osservato che il giudice d’appello ha implicitamente rigettato la doglianza, sopra illustrata, nel momento in cui ha evidenziato (ultime due righe di pag. 11 e 12 della sentenza impugnata) che le parti avevano stabilito che il tasso di interesse fosse costituito dal costo della provvista estera e dal margine di intermediazione ancorando al parametro predeterminato, oggettivo e conoscibile, già sopra analiticamente descritto al punto 2, del Sistema Dow Jones/Telerate. D’altra parte, è orientamento costante di questa Corte quello secondo cui il giudice non è tenuto a confutare singolarmente le argomentazioni prospettategli dalle parti, essendo invece sufficiente che egli indichi gli elementi sui quali intende fondare il proprio convincimento e l’ iter seguito nella valutazione degli stessi onde pervenire alle assunte conclusioni, così disattendendo per implicito quelli logicamente incompatibili con la decisione adottata (vedi Cass. n. 8948/2019).
Con l’ottavo motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1418, 1419 e 1339 cc., 117 TUB, 2 L. 154/1992.
I ricorrenti contestano l’affermazione con cui la Corte d’Appello ha negato che dalla rilevata nullità della clausola di determinazione degli interessi discendesse l’obbligo di rideterminare l’esatto dare -avere, per non esservi prova che la clausola nulla fosse stata in concreto applicata.
Rilevano che la clausola nulla, qualora non determini la nullità del contratto, deve essere, comunque, sostituita di diritto da norme imperative e ciò si impone indipendentemente dalla sua concreta applicazione.
Il motivo è assorbito per effetto dell’inammissibilità e/o infondatezza del sesto e settimo motivo.
Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali che liquida in € 5000,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del DPR 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1° bis dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della I Sezione civile