Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 11242 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 11242 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 29/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3101/2021 R.G. proposto da :
COGNOME rappresentato e difeso, congiuntamente e disgiuntamente, dall’Avv. NOME COGNOME e dall’Avv. NOME COGNOME entrambi del Foro di Genova, con procura speciale in calce al ricorso ed elettivamente domiciliato presso l’indirizzo PEC iscritto nel REGINDE dell’Avv. NOME COGNOME -ricorrente- contro
COGNOME NOME, in qualità di titolare della ditta RAGIONE_SOCIALE, con sede legale in Genova, INDIRIZZO rappresentato e difeso, congiuntamente e disgiuntamente, dall’Avv. NOME COGNOME e dall’Avv. NOME COGNOME entrambi del Foro di Genova, con procura speciale in calce al controricorso ed elettivamente domiciliato presso l’indirizzo PEC
iscritto nel REGINDE dell’Avv. NOME COGNOME -controricorrente- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO GENOVA n. 630/2020 depositata il 07/07/2020 e non notificata.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27 marzo 2025 dalla Presidente NOME COGNOME.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. NOME COGNOME con ricorso ex art. 702 bis c.p.c., evocava in giudizio dinanzi al Tribunale di Genova, NOME COGNOME deducendo di aver ricevuto nell’agosto 2013, quale agente immobiliare dell’agenzia RAGIONE_SOCIALE un incarico in via esclusiva a vendere, a far data dal 1° ottobre 2013, l’immobile di proprietà di quest’ultimo e di avere ricevuto la disdetta il 3 febbraio 2014, prima della scadenza contrattualmente prevista per il 30 giugno 2014, dal momento che l’offerta di vendita non era stata pubblicizzata mediante la rete RAGIONE_SOCIALE, ma solo attraverso degli annunci pubblicati sul sito internet ‘Immobiliare.it’.
Sulla base di tale premessa in fatto, NOME COGNOME chiedeva all’adito Tribunale la condanna di NOME COGNOME al pagamento della penale per l’illegittima risoluzione anticipata del rapporto di mediazione immobiliare e, in subordine, la condanna dello stesso al pagamento delle spese per l’inserzione dell’immobile.
Si costituiva in giudizio il resistente, il quale instava per il rigetto della domanda del ricorrente, chiedendo di accertare l’intervenuta risoluzione del contratto di mediazione immobiliare per grave inadempimento ovvero la nullità e/o la annullabilità del contratto medesimo e, in via subordinata, la riduzione della somma richiesta a titolo di penale.
Il Tribunale di Genova, con sentenza n. 3229/2016, rigettava la domanda attorea, condannando Pupa alla rifusione delle spese di
lite in favore di COGNOME, ravvisando la validità del vincolo contrattuale intercorso tra le parti e la fondatezza dell’eccezione di inadempimento, ritenendo invece infondate le eccezioni di nullità ed annullabilità.
Decidendo sull’appello formulato dal ricorrente soccombente, COGNOME NOME, resistito dall’appellato COGNOME NOME, la Corte di appello di Genova, con sentenza n. 630/2020, accoglieva integralmente il gravame e, in totale riforma della sentenza impugnata, condannava COGNOME al pagamento della penale, alla restituzione di quanto versato in esecuzione della sentenza di primo grado, nonché alla rifusione delle spese di lite di entrambi i gradi di giudizio.
In particolare, la Corte di appello di Genova sosteneva di condividere le argomentazioni del giudice di primo grado solo in relazione all’irrilevanza delle sollevate eccezioni di nullità ed annullabilità, ritenendo, invece, non condivisibile la pronuncia di prime cure nella parte in cui Pupa veniva ritenuto inadempiente al contratto di mediazione per non essersi avvalso della rete RAGIONE_SOCIALE, considerato che il tipo di rete di vendita -a differenza di quanto argomentato -non costituiva la causa del contratto, bensì un mero motivo che determinava la parte a contrarre, donde giuridicamente irrilevante.
Osservava, inoltre, la Corte distrettuale che -a prescindere dall’adesione o meno alla teoria oggettiva o soggettiva della causa -l’inserimento del mediatore in una specifica rete di vendita non rientrerebbe nel contenuto del contratto di mediazione immobiliare e che la circostanza per cui era stato utilizzato un modulo intestato alla RAGIONE_SOCIALE non varrebbe, di per sé, a dimostrare che la pubblicizzazione dell’immobile attraverso detta rete di agenzie costituisse una prestazione dedotta in contratto.
Aggiungeva la Corte genovese che le dichiarazioni rese dai testi escussi inducevano, in senso contrario, a ritenere che il COGNOME
si fosse rivolto all’agente immobiliare in ragione della fiducia riposta nei suoi confronti, maturata in occasione di un’altra operazione di compravendita conclusasi positivamente, e non perché avesse un interesse ad inserire l’immobile di sua proprietà nella rete di agenzie RAGIONE_SOCIALE.
Avverso la citata sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, l’appellato COGNOME MarcoCOGNOME
Ha resistito con controricorso l’intimato NOME
Entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative ex art. 380 bis.1 c.p.c. in prossimità dell’adunanza camerale.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Atteso che:
Con il primo motivo il ricorrente ha denunciato -ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. -la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1453 e 1455 c.c., per avere la Corte distrettuale rigettato l’eccezione di grave inadempimento spiegata nei confronti di Pupa Giovanni per non essersi avvalso della rete di vendita RAGIONE_SOCIALE al fine di pubblicizzare l’offerta del promittente venditore COGNOME NOME, nonostante il modulo contrattuale sottoposto alla sua sottoscrizione recasse nell’intestazione l’indicazione di ‘Remax rete immobiliare internazionale’.
Con la seconda censura il ricorrente ha dedotto -con riferimento all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. – la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1321 e ss. c.c., per avere la Corte di appello erroneamente valutato le norme sulla disciplina dei contratti e, in particolare, sulla determinazione del contenuto del contratto. Secondo il ricorrente, infatti, la Corte di merito avrebbe erroneamente escluso dalla causa del contratto di mediazione l’interesse di COGNOME alla gestione dell’operazione di vendita con il metodo di pubblicizzazione Remax, in difetto del quale lo stesso
accordo negoziale si sarebbe dovuto ritenere nullo, in quanto privo di causa.
I motivi sono inammissibili e, per la connessione logica e argomentativa che li avvince, è possibile la loro trattazione congiunta.
Il ricorrente, in effetti, pur deducendo vizi di violazione di norme di legge, lamenta l’erronea ricognizione dei fatti che, alla luce delle prove raccolte, è stata operata dal Giudice di merito, lì dove, in particolare, ha ritenuto che il mediatore avesse adempiuto alle proprie obbligazioni assunte con il contratto del 6 settembre 2013. La Corte di appello ha infatti considerato documentalmente provato che l’agente immobiliare si fosse adoperato per l’individuazione di un possibile acquirente della proprietà di Pallavicini. Invero, dall’istruttoria era emerso che il professionista aveva pubblicizzato l’annuncio di vendita sulla piattaforma ‘Immobiliare.it’ ed era stato pacificamente riconosciuto, anche dal convenuto, che il professionista aveva accompagnato tre possibili acquirenti a visionare l’immobile. Il Collegio di merito ha, inoltre, rilevato l’insussistenza della prova circa l’assunzione dell’obbligazione di inserire l’immobile nella rete di agenzie Remax tra le pattuizioni contenute nel contratto di mediazione. Pertanto, secondo l’interpretazione del contratto effettuata dalla Corte di appello, l’utilizzo di una specifica rete di pubblicizzazione dell’annuncio di vendita non costituisce una prestazione dedotta in contratto, deponendo le dichiarazioni rese dai testimoni in senso contrario.
Quindi, la valutazione delle prove raccolte, pur trattandosi di presunzioni, costituisce un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione se non per il vizio, nel caso in esame neppure invocato, previsto dall’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., di omesso esame di uno o più fatti storici, principali o secondari, la cui
esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbiano costituito oggetto di discussione tra le parti e abbiano carattere decisivo, vale a dire che, se esaminati, avrebbero determinato un esito diverso della controversia (v. Cass. n. 3119 del 2022).
La valutazione delle risultanze delle prove e il giudizio sull’attendibilità dei testi, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono, in effetti, apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, senza essere tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (v. Cass. n. 42 del 2009; Cass. n. 11511 del 2014; Cass. n. 16467 del 2017).
Inoltre, secondo la costante giurisprudenza di legittimità, va ribadito che l’interpretazione del contratto è riservata al giudice di merito ed è censurabile, in sede di legittimità, solo per erronea applicazione ovvero per violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale, da cui deve dedursi – con specifica indicazione nel ricorso per cassazione -in che modo il ragionamento del giudice si sia discostato dai suddetti canoni; altrimenti, la ricostruzione del contenuto della volontà delle parti si traduce nella mera proposta di un’interpretazione diversa da quella censurata, come tale inammissibile in sede di legittimità (Cass. n. 353 del 2025).
Il compito di questa Corte, del resto, non è quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti, oltre che dell’interpretazione del contratto, effettuata dal Giudice di merito e contenuta nella decisione impugnata, né quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dal giudice di merito (Cass. n. 3267 del 2008), anche se il ricorrente prospetta un migliore e più appagante (ma pur sempre
soggettivo) coordinamento dei dati fattuali acquisiti in giudizio (Cass. n. 12052 del 2007), dovendo, invece, solo controllare, a norma degli artt. 132 n. 4 e 360 n. 4 c.p.c., se sia stato dato effettivamente conto delle ragioni in fatto della decisione e se la motivazione al riguardo fornita sia solo apparente ovvero erronea o contraddittoria (ma non più se sia sufficiente: Cass. SU n. 8053 del 2014), e cioè, in definitiva, se il loro ragionamento probatorio, qual è reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto, com’è in effetti accaduto nel caso in esame, nei limiti del ragionevole e del plausibile (Cass. n. 11176 del 2017, in motiv.).
Nella specie, l’interpretazione del contratto di mediazione, valutazione di merito incensurabile nel giudizio di legittimità, effettuata dalla Corte di appello ha negato che la circostanza di un accordo concluso utilizzando un modulo intestato ‘Remax’, di per sé sola, valesse a dimostrare l’esistenza, tra le obbligazioni dedotte in contratto, di quella secondo cui era imposto al mediatore l’utilizzo della relativa rete di agenzie per la pubblicizzazione dell’annuncio di vendita. Infatti, l’inserimento dell’agente in una determinata rete, non costituisce una prestazione del contratto di mediazione, potendo al più costituire uno dei motivi della conclusione dell’accordo. Anzi, nel caso di specie, la prova dell’esistenza di una tale obbligazione è stata esclusa in radice dalla Corte territoriale, rilevando di conseguenza l’insussistenza dell’inadempimento, che il ricorrente avrebbe voluto far valere con l’eccezione sollevata sin dal primo grado di giudizio.
Entrambe le censure, quindi, sono volte ad una nuova valutazione del merito della controversia, preclusa nel giudizio di legittimità.
3. Con la terza doglianza il ricorrente ha lamentato -in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 116 e 132, n. 4, c.p.c., nonché la nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., per
motivazione apparente e perplessa, in quanto viziata da illogicità manifesta, nella parte in cui ha attribuito alle dichiarazioni rese dai testi un significato diverso da quello fatto proprio delle parole.
Il motivo è inammissibile.
Con la censura, volta a far valere un vizio di motivazione della sentenza impugnata, il ricorrente chiede un nuovo giudizio di merito e una nuova valutazione delle prove, precluso nel giudizio di legittimità.
Va ribadito, infatti, il costante insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, per cui, con il ricorso per cassazione, la parte non può rimettere in discussione, proponendo una propria diversa interpretazione, la valutazione delle risultanze processuali e la ricostruzione della fattispecie operata dai giudici del merito, poiché la revisione degli accertamenti di fatto compiuti da questi ultimi è preclusa in sede di legittimità (Cass. n. 9097 del 2017; Cass. n. 19011 del 2017, Cass. n. 16056 del 2016; Cass. n. 19547 del 2017; Cass. n. 29404 del 2017).
Inoltre, l’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonché la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e le circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (Cass. n. 17097 del 2010; Cass. n. 16056 del 2016; Cass. n. 19011 del 2017).
Pertanto, costituisce un apprezzamento di merito, insindacabile nel giudizio di legittimità, la complessiva valutazione degli elementi probatori effettuata dalla Corte di appello e, in particolare, l’apprezzamento delle dichiarazioni dei testi che, nel giudizio di merito, hanno suffragato l’accertamento per cui i coniugi COGNOME si erano rivolti al mediatore COGNOME per vendere il proprio immobile. Da queste, infatti, è emerso che i clienti si erano rivolti al mediatore per la fiducia personale riposta nel professionista, ingenerata dalla pregressa conoscenza in occasione di un’altra operazione di vendita conclusasi positivamente.
Invece, sotto l’ulteriore profilo del vizio di motivazione della sentenza impugnata, ne va rilevata l’insussistenza.
Si ribadisce, appunto, che il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità, non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, ma la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottese, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge. Ne consegue che il preteso vizio di motivazione, sotto il profilo della omissione e della contraddittorietà della medesima, può legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili di ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della
decisione (Cass. n. 17477 del 2007; Cass. n. 19547 del 2017; Cass. n. 29404 del 2017).
Nella specie, con riferimento al contenuto oggettivo della motivazione, la sentenza impugnata non è censurabile con la nullità, in quanto non affetta dal vizio di motivazione apparente, ma conforme all’insegnamento delle Sezioni Unite (da ultimo, Cass., Sez. Un., 16 gennaio 2015 n. 642). La Corte di appello, infatti, ha apprezzato complessivamente le risultanze probatorie, documentali e testimoniali, valorizzando, in particolare, accanto al contenuto del contratto, la dichiarazione della teste NOME, moglie del ricorrente, da cui è emersa la conoscenza personale e la fiducia riposta da NOME COGNOME nei confronti del professionista NOME COGNOME quali elementi determinanti la conclusione del contratto di mediazione.
In definitiva, alla stregua delle argomentazioni complessivamente svolte, il ricorso va rigettato per essere inammissibili tutte le censure.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso;
condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in euro 2.500,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali e agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo
di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda