Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 7855 Anno 2019
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Civile Sent. Sez. L Num. 7855 Anno 2019
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 20/03/2019
SENTENZA
sul ricorso 28017-2016 proposto da: da :
NOME COGNOME NOME RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante NOME COGNOME elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME; del COGNOME ,
– ricorrente –
contro
NOME domiciliata ope legis presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentata la
– controricorrente e ricorrente incidentale –
avverso la sentenza n. 416/2016 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 05/08/2016 R.G.N. 537/2013; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 22/01/2019 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME pubblica Dott .
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. NOME COGNOME che ha concluso per inammissibilità in subordine rigetto del ricorso principale con assorbimento del ricorso incidentale condizionato; per ricorso udito l’Avvocato NOME COGNOME udito l’Avvocato NOME COGNOME
PROC. nr. 28017/2016
FATTI DI CAUSA
1. Il Tribunale di Rovigo, con sentenza del 21.5.2013, condannava RAGIONE_SOCIALE sas di COGNOME NOME (di seguito, per brevità, RAGIONE_SOCIALE) e Barbirato Ermis Maria (in proprio) al risarcimento del danno patrimoniale in favore di NOME COGNOME in misura di euro 43.000,00 «oltre interessi legali dalla data della domanda e rivalutazione monetaria»), a titolo di inadempimento contrattuale, per l’anticipata risoluzione del contratto di affidamento della gestione di impianto di distribuzione di carburante.
2. La Corte di Appello di Venezia, con sentenza del 5.8.2016 (nr. 416), in accoglimento parziale del gravame proposto da RAGIONE_SOCIALE e da COGNOME NOME, limitava il risarcimento ad euro 21.500,00, con rivalutazione dall’1.1.2010 ed interessi legali sulla somma annualmente rivalutata.
3. Per le questioni che in questa sede residuano, la Corte territoriale, in primo luogo, qualificava il rapporto intercorso tra le parti come di collaborazione continuativa e coordinata, escludendo, invece, la sussistenza di un contratto riconducibile, sulla base del mero nome itiris, allo schema negoziale di cui all’art. 1, comma 6, del D. Lgs. nr. 32 del 1998.
4. Osservava, poi, come le parti avessero stabilito una durata annuale della collaborazione, tacitamente rinnovabile, in mancanza di esercizio della facoltà di disdetta con preavviso di mesi sei; nel caso concreto, la disdetta comunicata nel 2009 era intempestiva per l’anno 2010, né era configurabile, in altro modo, ovvero per mutuo consenso, lo scioglimento del rapporto, sicché l’accordo concluso tra le parti doveva scadere il 31.12.2010.
5. Per effetto di tale accertamento, esclusa, anche, l’ipotesi di risoluzione, ex art. 15 lett. d) del contratto individuale, andava riconosciuta all’appellata, cui era stata impedita la prestazione a decorrere dall’1.1.2010, il risarcimento del danno pari al mancato guadagno che veniva quantificato in misura pari alla media dei guadagni ottenuti negli anni 2006/2009, di effettivo svolgimento del rapporto; non poteva, invece, prendersi a riferimento il guadagno relativo all’anno 2010, durante il quale si era registrato un calo di vendite, utabile esclusivamente alla gestione RAGIONE_SOCIALE imp dell’impianto da parte della ELFI.
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6. Per la cassazione della decisione hanno proposto ricorso RAGIONE_SOCIALE e COGNOME NOMECOGNOMEin proprio, affidato a quattro motivi.
7. Ha resistito NOME COGNOME con controricorso, contenente ricorso incidentale condizionato, affidato a due motivi, ed illustrato con memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Ricorso principale.
8. Con il primo motivo – ai sensi dell’art. 360 nr. 2 cod.proc.civ parte ricorrente deduce la erroneità della sentenza per incompetenza funzionale del Giudice adito nonché – ai sensi dell’art. 360 nr. 3 cod.proc.civ. – per violazione dell’art. 409 nr. 3 cod.proc.civ., nella parte i cui ha ritenuto la propria competenza funzionale, qualificando il rapporto di lavoro intercorso tra le parti come contratto di lavoro parasubordinato in assenza dei relativi presupposti.
8.1. Parte ricorrente deduce l’erronea qualificazione del rapporto come operata dalla Corte di appello; i giudici di merito avrebbero qualificato il rapporto intercorso tra le parti come collaborazione continuativa e coordinata senza considerare che il contratto era stato concluso nel 2005 e che, dunque, per essere tale, avrebbe dovuto ricondursi ad uno specifico progetto; nel caso in esame, invece, oggetto dell’accordo era stata esclusivamente una prestazione di servizio, come tale riconducibile all’art. 2222 cod.civ. e rientrante nella competenza funzionale della sezione ordinaria e non di quella specializzata del Lavoro; in ogni caso, per come qualificato il rapporto, i giudici avrebbero dovuto dichiarare la decadenza dall’azione, ai sensi della normativa di cui alla legge nr. 183 del 2010 ( cd. collegato Lavoro).
8.2. Il motivo va respinto, presentando profili di infondatezza e di inammissibilità.
8.3. Il motivo è infondato laddove prospetta violazione di norme sulla competenza: la ripartizione delle funzioni tra sezioni ordinarie e specializzate del medesimo tribunale, per costante giurisprudenza di questa Corte, non implica insorgenza di una questione di competenza per materia, bensì di mera distribuzione degli affari giurisdizionali all’interno dello stess ufficio giudiziario (ex plurimis, Cass. nr.13138 del 2017).
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8.4. A ciò va aggiunto che la denuncia di vizi fondati sulla pre violazione di norme processuali non tutela l’interesse all’astratta rego dell’attività giudiziaria, ma garantisce solo l’eliminazione del pregiu subito dal diritto di difesa della parte in conseguenza della denun violazione. Vale, in altre parole, il principio per cui è inammiss l’impugnazione con la quale si lamenti un vizio del processo (come nel specie, ove, nella sostanza, si denuncia la trattazione del giudizio co diverso da quello suo proprio), senza prospettare anche le ragioni pe quali l’erronea applicazione della regola processuale abbia comportato, la parte, una lesione del diritto di difesa o altro pregiudizio per la de di merito ( ex plurimis, Cass. nr. 6330 del 2014).
8.5. La censura, sotto il profilo della violazione di norme di legg invece, inammissibile, prospettando, peraltro genericamente, una question di cui non vi è traccia in sentenza: la decadenza dall’azione ai sensi disciplina del collegato lavoro (così testualmente la censura: « Il gi avrebbe dovuto applicare il disposto collegato lavoro 2010»).
8.6. In sede di legittimità, come noto, non è consentita la proposiz di nuove questioni di diritto, ancorché rilevabili d’ufficio in ogni grado del giudizio, quando esse presuppongano o richiedano nuovi accertamenti o apprezzamenti di fatto preclusi alla Corte di cassazione ( ex plurimis, Cass. nr. 2443 del 2016), come è nel caso di questioni connesse all’art. 32 della legge nr. 183 del 2010 ( cd. Collegato Lavoro).
8.7. Infine, quanto all’operata qualificazione del rapporto, è solo i di precisare che costituisce apprezzamento di fatto la valutazione concreto atteggiarsi del rapporto; la mancata trascrizione del contrat lavoro, come più diffusamente si osserverà in relazione al successivo moti di ricorso, impedisce ogni valutazione al riguardo da parte del Collegio.
9. Con il secondo motivo – ai sensi dell’art. 360 nr. 3 cod.proc.ci dedotta violazione o falsa applicazione delle norme sul recesso e su risoluzione dei contratti nonché – ai sensi dell’art. 360 nr. 5 cod.pro insufficiente motivazione sul punto della risoluzione.
9.1. Parte ricorrente pone questione di interpretazione del contr quanto alla individuazione della modalità di esercizio della facoltà di re
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(secondo la Corte di appello, come indicato nello storico di lite, il contratto aveva durata annuale, con rinnovo tacito, in mancanza dell’esercizio della facoltà di disdetta con preavviso di sei mesi; per la parte ricorrente, invece, il contratto avrebbe previsto unicamente un preavviso di sei mesi, esercitabile in ogni momento) e censura, inoltre, l’interpretazione della lettera del 14.9.2009; per le ricorrenti, la Corte territoriale avrebbe errato nell’escludere la risoluzione per mutuo consenso sulla base del contenuto di detta missiva; in tal modo violando gli artt. 1372 e 1373 cod.civ.; in ogni caso, si assume una insufficiente motivazione in relazione a detti profili controversi.
9.2. Il motivo è inammissibile.
9.3. Con riferimento alla censura che afferisce alla ricostruzione del contenuto del contratto di lavoro (nello specifico, per ciò che riguarda le modalità di risoluzione del rapporto), essa difetta di specificità.
Per giurisprudenza costante di questa Corte, la parte che intenda dolersi dell’erronea valutazione ( id est: interpretazione) di un documento da parte del giudice di merito ha il duplice onere, imposto dagli artt. 366 nr. 6 e 369 nr. 4 cod.proc.civ., di produrlo agli atti (indicando esattamente nel ricorso in quale fase processuale ed in quale fascicolo di parte si trovi il documento in questione) e di indicarne il contenuto, trascrivendolo integralmente o nelle parti salienti, nel ricorso, con la conseguenza che, in caso di violazione anche di uno soltanto di tali oneri, il ricorso ( motivo) è id est: il inammissibile (Cass. nr. 19048 del 2016).
9.4. Analoghe considerazioni valgono anche per ciò che concerne la ricostruzione della volontà delle parti in relazione alla lettera del settembre 2009, riportata solo in relazione ad un passaggio, non decisivo, ai fini della devoluta questione.
9.5. In ogni caso, deve essere osservato come ‘interpretazione GLYPH l dell’atto unilaterale (id est: del contratto ), consistendo in un’operazione di accertamento della volontà del dichiarante (id est: dei contraenti), ovverosia di una realtà fenomenica ed obiettiva, si risolva in un’indagine di fatto riservata al Giudice di merito, le cui valutazioni soggiacciono, in sede di legittimità, ad un sindacato che, sotto il profilo del vizio di violazione
legge, è limitato alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica contrattuale e che, quanto al vizio di motivazione, resta confinato al controllo ex art. 360 nr. 5 cod.proc.civ., tempo per tempo vigente.
9.6. Sia la denuncia delle regole di ermeneutica che la denuncia del vizio di motivazione esigono, dunque, specifiche deduzioni: è necessario che sia precisato il modo attraverso il quale si è realizzata la violazione di legge denunciata oppure che sia indicato il «fatto storico», non esaminato, che abbia costituito oggetto di discussione e che abbia carattere decisivo (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053), secondo la formulazione ratione temporis applicabile, così da dimostrare l’erroneo risultato interpretativo, cui è giunta la decisione (ex multis: Cass. nr. 710 del 2013; Cass. nr. 6641 del 2012; Cass. nr. 11038 del 2006).
9.7. Il motivo, che non sviluppa affatto critiche al risultato interpretativo operato dai giudici di merito nei termini indicati, si limita a proporre una esegesi alternativa – e come tale del tutto inammissibile – dei documenti in esame.
9.8. Quanto al profilo di insufficienza della motivazione, basterebbe osservare che, come chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass., sez. un., nr. 19881 del 2014; Cass., sez.un., nr. 8053 del 2014), a seguito della riformulazione dell’art. 360 nr. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 5 del D.L. nr. 83 del 2012 (applicabile come si è visto alla fattispecie), è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, e che si esaurisce nella «mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico», nella «motivazione apparente», nel «contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili» e nella «motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile», esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di «sufficienza» della motivazione.
9.9. La denuncia del vizio di «insufficiente motivazione» è, dunque, all’attualità, inammissibile.
10. Con il terzo motivo è dedotta – ai sensi dell’art. 360 nr. 5 cod.proc.civ. – insufficiente motivazione sulla domanda di risoluzione del contratto intercorsi tra le parti.
10.1. Il motivo investe la statuizione con cui la Corte di appello ha escluso la sussistenza delle condizioni (in fatto) per l’applicazione della clausola risolutiva stabilita dall’art. 15, lett. d) del contratto intercorso le parti.
10.2. Esso ( il motivo) è inammissibile, per le considerazioni già esposte in relazione al motivo che precede (§ 9.9.). In ogni caso anche questa censura, fondata sul contratto intercorso tra le parti, difetta di specificità mancata trascrizione del contratto) e, comunque, imputa alla decisione impugnata un’erronea ricostruzione dei fatti senza indicare, nei termini rigorosi richiesti dal più volte indicato art. 360 nr.5 cod. proc. civ., il fa storico, non esaminato, controverso e decisivo; il motivo veicola una serie di circostanze che si assumono omesse ( ovvero quelle oggetto di due distinte missive di settembre 2009) mentre va senz’altro esclusa la «decisività» in una pluralità di fatti denunciati come omessi, nessuno dei quali ex se risolutivo, nel senso dell’idoneità a determinare il segno della decisione ( Cass. nr. 21439 del 2015).
11. Con il quarto motivo – ai sensi dell’art. 360 nr. 5 cod.proc.civ. – è dedotta insufficiente e contraddittoria motivazione. La censura investe il giudizio di determinazione del quantum debeatur, anche per ciò che riguarda l’esclusione del concorso di colpa della lavoratrice.
11.1. Il motivo è infondato.
11.2. Valgono le considerazioni di cui al paragrafo 9.8.
11.3. La Corte di appello, per la stima del quantum, si è attenuta alla media dei guadagni della lavoratrice, collegati alle vendite del carburante negli anni dal 2006 al 2009; con argomentazione logicamente comprensibile, ha ritenuto di non poter utilizzare, come parametro, anche i dati relativi al 2010, in relazione al quale vi era stato un calo di vendite; ci in quanto quest’ultimo evento era imputabile esclusivamente alle attuali ricorrenti che avevano riacquistato (nel 2010) la gestione dell’impianto ed, inoltre, ha escluso che ricorressero i presupposti per l’applicazione dell’art. 1227 cod.civ. in relazione all’unica circostanza dedotta (instaurazione del giudizio dopo circa due anni dai fatti), giudicata ininfluente ai fini del determinazione di un danno circoscritto all’anno 2010.
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12. Il ricorso principale va, dunque, complessivamente respinto. Ricorso incidentale.
13. Il ricorso incidentale è espressamente condizionato all’ipotesi di accoglimento del ricorso principale (con il primo motivo, è dedotta -ai sensi dell’art. 360 nr. 3 cod.proc.civ.- violazione degli artt. 1362 e ss. in relazione all’art. 1, comma 6, del d.lgs nr. 32 del 1998; con il secondo motivo – ai sensi dell’art. 360 nr. 5 cod.proc.civ.- per omesso esame di fatto decisivo; entrambi i motivi investono la sentenza in merito all’operata qualificazione del rapporto e alla ritenuta esclusione di un rapporto contrattuale riconducibile allo schema del contratto di gestione di impianto di distribuzione di carburante, avente durata legale minima di sei anni) e resta perciò assorbito.
14. Al rigetto del ricorso principale segue la condanna delle ricorrenti alle spese del presente giudizio ed a quelle delle fasi cautelari svoltesi dinanzi alla Corte d’appello, ai sensi dell’art. 373 cod. proc. civ., la cui liquidazione è stata richiesta con istanza ritualmente depositata. (C/t . e<1./39 " 26 Mi.
PQM
La Corte rigetta il ricorso ncipale e dichiara assorbito quello GLYPH pri GLYPH incidentale. Condanna le ricorrenti in via principale al pagamento delle spese del giudizio di legittimità e di quelle inerenti all’intervenute fas inibitorie che liquida in complessivi Euro 5.500,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali in misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 dà quater atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte delle ricorrenti in via principale, dell’ulteriore importo a titolo di contribu unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 22.1.2019