Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 2719 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 2719 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 04/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 18312/2021 R.G. proposto da : COGNOME NOME, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO MILANO n. 3552/2020 depositata il 30/12/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 29/01/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Ritenuto che
1. – Con sentenza nr 3552/2020 la Corte di appello di Milano rigettava il gravame proposto da NOME COGNOME nei confronti della Deutsche Bank s.p.a. avverso la pronuncia del Tribunale di Como con cui era stata rigettata la domanda sia di risoluzione di un contratto di finanziamento, sia quella di condanna alla restituzione della somma già corrisposta e al risarcimento dei danni.
Osservava che il contratto di credito al consumo concluso con l’Istituto di credito era finalizzato alla fornitura ed installazione dei pannelli fotovoltaici e che l’importo esattamente corrispondente al bene acquistato era stato erogato.
Rilevava, concordando in questo con il primo Giudice, che la risoluzione del contratto di finanziamento per l’inadempimento dell’operatore commerciale richiedeva in base all’art. 9 del contratto oltre alla costituzione in mora di quest’ultimo anche la non scarsa importanza dell’inadempimento, riproducendo la previsione norma dell’art. 125 del decreto legislativo 1993 nr 385.
Sottolineava che i difetti di funzionamento dell’impianto fotovoltaico nei termini in cui erano stati accertati in un separato giudizio avviato nei confronti del fornitore non avevano determinato la risoluzione del contratto di fornitura per mancanza dei presupposti ex art 1455 cc. ma solo un risarcimento danno.
Evidenziava altresì che in quel giudizio, divenuto definitivo per la mancata impugnativa, il Tribunale aveva espressamente qualificato il rapporto come appalto sicché la valutazione dell’inadempimento doveva essere fatta alla luce del disposto dell’art. 1668 secondo comma c.c..
Rilevava che i difetti dell’impianto fotovoltaico in quanto facilmente emendabili non erano tali da rendere l’impianto pacificamente funzionante inadatto alla sua destinazione sì da potersi in alcun modo da giustificare la risoluzione del contratto di appalto collegato al contratto di finanziamento per cui è causa e quindi la risoluzione di quest’ultimo.
A tali considerazioni la Corte di appello aggiungeva la considerazione che il giudizio già svoltosi nei confronti dell’appaltatore si era concluso con una sentenza che, pur rigettando la domanda di risoluzione contrattuale, aveva però accolto la domanda risarcitoria in forma specifica riconoscendo in suo favore la somma di € 5.185,00 quale costo per eliminare il difetto riscontrato; che tale riconoscimento funzionale al mantenimento del contratto poneva, da un lato, il committente nella condizione di conseguire un’opera priva di difetti e, dall’altra, l’appaltatore nella condizione di poter legittimamente trattenere il prezzo corrisposto per l’opera consegnata.
In questo quadro osservava la Corte che l’appellante, il quale aveva conseguito la possibilità di eliminare i difetti dell’opera rimasta nella sua disponibilità e nel suo presumibile utilizzo, non avrebbe potuto pretendere la restituzione delle rate di rimborso già pagate per un finanziamento pacificamente effettuato dalla banca e che questa non avrebbe avuto la possibilità di ripetere dal fornitore, il quale stante l’esito del giudizio avrebbe avuto buoni motivi per trattenere il prezzo corrispostogli.
Sotto altro aspetto rilevava che nell’altro giudizio l’attore aveva ottenuto oltre all’eliminazione del vizio anche il mancato guadagno per l’importo di € 27.956,00, voce questa che gli era stata ristorata non solo con riferimento agli anni trascorsi con minor resa di energia ma anche con riferimento all’intera durata ventennale della convenzione con il GSE e quindi, verosimilmente anche con riguardo alle perdite future che il committente, odierno appellante,
non avrebbe motivo di subire potendo in essere gli interventi di ripristino già riconosciuti con spese a carico dell’appaltatore.
Tale considerazione, osservava la Corte, relativa all’entità e alla composizione del danno già riconosciuto all’appellante in relazione alla vicenda per cui è causa rafforzava il convincimento del carattere infondato della pretesa azionata in causa stante l’indebito cumulo di utilità che con la stessa si sarebbe realizzato in capo all’appellante.
2. – Avverso tale sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi cui ha resistito con controricorso Deutsche Bank s.p.a.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Considerato che:
3. – Con il primo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 113 e 115 c.p.c. per mancata ed errata valutazione ed interpretazione dei documenti contrattuali prodotti, violazione dell’obbligo di delibazione iuxta alligata ac probata , omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti in relazione all’esatto tenore della clausola contrattuale asseritamente disciplinante la risoluzione del contratto.
Si osserva che in base alle previsioni negoziali il contratto di finanziamento non chiede come condizione per la risoluzione una sentenza di risoluzione del contratto per il quale viene erogato il finanziamento ma che « il cliente abbia inutilmente effettuato la costituzione in mora dell’operatore commerciale ed abbia successivamente informato di ciò la Banca per iscritto a mezzo di lettera raccomandata alla quale dovrà essere allegata ogni altra documentazione ed informazioni in possesso del cliente in merito all’inadempimento da parte dell’operatore commerciale… ai sensi
dell’art 1455 c.c., l’inadempimento da parte dell’operatore commerciale relativamente al contratto di fornitura summenzionato bene o servizio non abbia scarsa importanza avuto riguardo all’interesse del compratore. Al riguardo il Cliente indicherà nella comunicazione inviata alla Banca di cui alla lettera a) che precede la circostanza e i motivi che configurano l’integrazione dei presupposti previsti dall’art 1455 c.c. » .
Si evidenzia che il Tribunale aveva riconosciuto in favore dell’odierno ricorrente la somma di € 33.141,000 pari alla somma erogata dalla Banca.
Si rimprovera alla Corte di aver violato le norme in tema di interpretazione del contratto risultando chiaro, quantunque il tenore della clausola fosse incerto, che il contratto di finanziamento al punto 9 non chiedeva come condizione per la risoluzione una sentenza di risoluzione del contratto per cui veniva erogato.
Si osserva comunque che nel caso di oggettiva incertezza ai fini della ricostruzione dell’effettivo senso della previsione negoziale avrebbero dovuto soccorrere le norme di cui all’art. 1362 cc e seguenti.
Con un secondo motivo si denuncia la carente e contraddittoria motivazione della sentenza impugnata per l’impossibilità di individuare le ragioni del mancato accoglimento delle doglianze dell’odierno ricorrente.
4. – Il ricorso è inammissibile.
4.1. – Il primo motivo è inammissibile anzitutto in quanto la critica investe solo una delle due ratio decidendi già anticipate in narrativa.
La Corte di appello ha ritenuto, conformemente alla decisione del Tribunale, che la risoluzione del contratto di finanziamento
collegato a quello di fornitura non si giustificava ai sensi dell’art. 9 delle condizioni generali.
Ma ha svolto ulteriori considerazioni idonee a supportare l’infondatezza della pretesa azionate ritenendo che l’ accogliento della condanna in forma specifica da parte del Tribunale nell’ambito del giudizio svolto nei confronti dell’appaltatore, era funzionale al mantenimento del contratto ponendo da un lato il committente nella condizione di conseguire un’opera esente da vizi e , dall’altro l’appaltatore nella condizione di poter legittimamente trattenere il prezzo corrisposto per l’opera consegnata.
In questo contesto la Corte di appello riteneva che il committente, il quale ha aveva trattenuto l’opera e presumibilmente l’aveva utilizzata, non potesse pretendere la restituzione delle rate di rimborso già pagate per un finanziamento pacificamente effettuato dalla banca la quale non avrebbe avuto la possibilità di ripetere dal fornitore alla luce dell’esito del giudizio promosso dal committente nei riguardi del fornitore.
Sotto altro aspetto la Corte distrettuale ha rilevato che l’entità del risarcimento ottenuto la composizione del danno rafforzavano il convincimento in merito all’infondatezza della pretesa azionata.
Detta ratio decidendi idonea di per sé a sorreggere la decisione non è stata in alcun modo criticata nel ricorso essendo il primo motivo diretto a censurare l’interpretazione data dalla Corte alla clausola negoziale dell’art 9 .
Nella giurisprudenza di questa Corte è, infatti, consolidato l’orientamento secondo cui qualora la decisione impugnata si fondi su una pluralità di ragioni, ciascuna idonea a sorreggere il decisum , i motivi di ricorso devono essere specificamente riferibili, a pena di inammissibilità, a ciascuna di dette ragioni (cfr. fra le tante Cass. n. 17182/2020; Cass. n. 10815/2019) ed inoltre l’inammissibilità o l’infondatezza della censura attinente ad una di esse rende irrilevante l’esame dei motivi riferiti all’altra, i quali non
risulterebbero in nessun caso idonei a determinare l’annullamento della sentenza impugnata, risultando comunque consolidata l’autonoma motivazione oggetto della censura dichiarata inammissibile o rigettata (cfr. fra le più recenti Cass. n. 15399/2018);
La censura che investe l’interpretazione del contratto è pertanto irrilevante.
Va comunque osservato che il motivo è comunque inammissibile anche sotto altro profilo.
Al riguardo, deve ribadirsi – a titolo di premessa – il consolidato orientamento di questa Corte a mente del quale « l’interpretazione delle clausole contrattuali rientra tra i compiti esclusivi del giudice di merito ed è insindacabile in cassazione se rispettosa dei canoni legali di ermeneutica ed assistita da congrua motivazione, potendo il sindacato di legittimità avere ad oggetto non già la ricostruzione della volontà delle parti, bensì solo l’individuazione dei criteri ermeneutici del processo logico del quale il giudice di merito si sia avvalso per assolvere la funzione a lui riservata, al fine di verificare se sia incorso in vizi del ragionamento o in errore di diritto » (così, tra le molte, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 7 novembre 2019, n. 28625, non massimata sul punto; in senso analogo, tra le molte, sempre in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 29 luglio 2016, n. 15763).
Affinché, tuttavia, una censura siffatta possa dirsi ritualmente proposta, risulta necessario che « la parte che, con il ricorso per cassazione, intenda denunciare un errore di diritto o un vizio di ragionamento nell’interpretazione di una clausola contrattuale », non si limiti « a richiamare le regole di cui agli artt. 1362 e s.s. cod. civ., avendo invece l’onere di specificare i canoni che in concreto assuma violati, ed in particolare il punto ed il modo in cui il giudice del merito si sia dagli stessi discostato, non potendo le censure risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del
ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata, poiché quest’ultima non deve essere l’unica astrattamente possibile ma solo una delle plausibili interpretazioni » (cfr. Cass. Sez. 3, sent. 28 novembre 2017, n. 28319, Rv. 646649 – 01; in senso analogo, più di recente, Cass. Sez. 1, ord. 9 aprile 2021, n. 9461, Rv. 661265 01). Si è, infine, precisato che per sottrarsi al sindacato di legittimità, l’interpretazione data dal giudice di merito ad un contratto non deve essere l’unica possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili e plausibili interpretazioni; sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto quella poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l’altra (sentenze 20 novembre 2009, n. 24539; 18 novembre 2013, n. 25861, e 4 marzo 2014, n. 5016).
Nel caso di specie il ricorrente si limita a fare un generico riferimento alla violazione dei canoni ermeneutici volta a rivendicare il risultato interpretativo favorevole, disatteso dal giudice del merito.
L’interpretazione che la Corte milanese ha dato della pattuizione di cui all’art. 9 del contratto, riguardata alla luce del criterio dell’interpretazione letterale e riferita alla regolamentazione negoziale peculiarmente dell’operazione economica in oggetto, non risulta affatto implausibile, allorché essa ha ritenuto richiamando il contenuto della previsione in questione riproduttiva di quella contenuta nell’art. 125 quinquies D.lvo 1993 nr 385 che la risoluzione del contratto di finanziamento fosse legata alla costituzione in mora dell’operatore commerciale e alla non scarsa importanza ex art. 1455 c.c. dell’inadempimento relativa al contratto di fornitura.
Con riguardo poi alla denuncia dell’omesso fatto decisivo la censura è inammissibile non solo perché non riguarda un fatto fenomenico, bensì la non corretta applicazione dei canoni ermeneutici ma
anche perché trattandosi di doppia conforme è preclusa la censura ai sensi dell’art. 348 ter, commi 4 e 5, cod. proc. civ..
I giudici del merito, di primo e secondo grado, hanno qualificato i fatti di causa in modo pressoché coincidente e parte ricorrente non evidenzia, nel motivo, alcun fatto nuovo, appunto in senso fenomenico e comunque storico, diverso.
La censura non si presta nemmeno ad essere ricondotta alla violazione del disposto dell’art. 115 c.p.c. dovendosi ricordare che per dedurre la violazione del paradigma dell’art. 115 è necessario denunciare che il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, cioè abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione della norma, il che significa che per realizzare la violazione deve avere giudicato o contraddicendo espressamente la regola di cui alla norma, cioè dichiarando di non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, cioè giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio (fermo restando il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio, previsti dallo stesso art. 115 c.p.c.), mentre detta violazione non si può ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dal paradigma dell’art. 116 c.p.c., che non a caso è rubricato alla « valutazione delle prove » (Cass. n. 11892 del 2016; Cass. S.U. n. 16598/2016).
4.2. – Il secondo motivo è parimenti inammissibile per violazione del principio di specificità per violazione dell’art 366 nr 4 c.p.c. Il motivo non esplicita le ragioni per le quali la motivazione della
pronuncia impugnata sarebbe carente e contraddittoria.
La prescrizione del requisito in questione non risponde ad un’esigenza di mero formalismo ma a quella di garantire al giudice di legittimità di conoscere il significato e la portata delle censure rivolte al provvedimento impugnato.
La deficienza illustrata impedisce qualsiasi (pur astratto) apprezzamento circa la fondatezza dei rilievi sollevati dal ricorrente.
Giova comunque rilevare che per aversi omessa pronuncia e/o carenza assoluta di motivazione della sentenza impugnata, ai sensi del n. 4 dell’art. 360 c.p.c. occorre che vi sia, da parte del giudice del merito, l’omissione « di qualsiasi decisione su un capo della domanda, intendendosi per capo di domanda ogni richiesta delle parti che abbia un contenuto concreto formulato in conclusione specifica, sulla quale deve essere emessa pronuncia di accoglimento o di rigetto » (cfr. ex permultis, da ultimo, Cass. civ., Sez. V, Ord., 24 settembre 2024, n. 25564; Cass. civ., Sez. lav., Ord., 12 settembre 2024, n. 24485; Cass. civ., Sez. II, Ord., 5 settembre 2024, n. 23872; Cass. civ., Sez. III, Ord., 25 luglio 2024, n. 20749; Cass. civ., Sez. I, Ord., 23 maggio 2024, n. 14367; Cass. civ. Sez. I, Ord., 29 febbraio 2024, n. 5362).
Orbene, nella specie la corte di merito, lungi dall’aver motivato con una motivazione intrinsecamente contraddittoria, ha spiegato in maniera coerente e lineare -attraverso una motivazione rispettosa anche del requisito del minimo costituzionale e, quindi, pienamente idonea a far comprendere l’iter logico-argomentativo seguito (cfr. fotovoltaico era di scarsa importanza e che il contratto
Cass. civ., SS.UU, 7 aprile 2014, n. 8053), sulla scorta delle risultanze di causa, che il difetto di funzionamento dell’impianto di finanziamento ad esso collegato in quanto finalizzato all’acquisto della fornitura ed installazione di detto impianto non poteva essere risolto per la mancanza di una delle condizioni previste dall’art 9
delle condizioni generali di contratto l’assenza di un grave inadempimento.
Alla stregua delle considerazioni sopra esposte il ricorso va dichiarato inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo:
La Corte dichiara inammissibile il ricorso;
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di legittimità in favore di Deutsche Bank s.p.a. spese che si liquidano in complessive € 5000,00 oltre 200,00 per esborsi ed al 15% per spese generali ed altri accessori di legge.
Dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Roma 29.1.2025
Il Presidente ( NOME COGNOME)