Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 21224 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 21224 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 24/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 31327/2020 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la SENTENZA di CORTE D’APPELLO SEZ.DIST. DI BOLZANO n. 47/2020 depositata il 21/03/2020;
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10/07/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 452/2014 emesso dal Tribunale di Bolzano, eccependo la nullità del contratto d ell’ 11.04.2013 e, in via subordinata, contestando la richiesta di pagamento e le fatture presentate nel procedimento ingiuntivo, sia in termini di quantità che di prezzi applicati.
Si costituiva l’opposta RAGIONE_SOCIALE che contestava l’eccezione di nullità del contratto e chiedeva il rigetto dell’opposizione .
Il Giudice di primo grado rigettava l’eccezione di nullità del contratto sollevata dall’opponente e interpretava il contratto come un contratto d’opera concepito dalle parti per un importo forfettario unitario di € 222.000,00 più IVA. Inoltre, valutate le dichiarazioni dei testimoni acquisite e i risultati della CTU, riteneva giustificata la richiesta dell’appaltatore di riconoscimento dei lavori aggiuntivi eseguiti in aggiunta al prezzo forfettario per un importo di € 84.523,69, nonché dei lavori addebitati a consuntivo per un importo di € 29.864,97, accoglieva la domanda risarcitoria sollevata dall’opponente, basata sull’inadempimento di alcune delle prestazioni contrattuali “Rimozione del materiale in eccesso” (voce A.1 dell’offerta) e “L’acqua piovana dal tetto al pozzo di raccolta aggiunta a mano al contratto), e conseguentemente detraeva dall’importo forfettario le distinte spese del committente, rispettivamente di € 11.904,00 e di € 8.373,71, ciascuna addizionata dell’IVA. Rigettava, con riferimento allo slittamento della data di ultimazione concordata nella riunione di cantiere del 17.04.2013, la richiesta dell’opponente di riconoscimento della
penale per ritardo contrattualmente concordata (€ 1.000,00 al giorno a partire dal 04.06.2013).
Secondo il Tribunale, dopo il pagamento di € 70.000,00 effettuato dal sig. COGNOME nel corso del procedimento a causa della parziale, provvisoria esecutività concessa dell’ingiunzione di pagamento impugnata, l’opposta avrebbe avuto ancora diritto all’importo totale di € 24.110,95, per tanto revocava l’ingiunzione di pagamento e condannava l’opponente COGNOME al pagamento di tale importo residuo, oltre all’IVA in misura del 22% e agli interessi di mora ai sensi del decreto n. 231/2002, a partire dal 22.11.2013 fino al saldo.
La RAGIONE_SOCIALE in qualità di successore legale della RAGIONE_SOCIALE proponeva appello avverso la suddetta sentenza.
L’appellato resisteva al gravame e proponeva appello incidentale.
La Corte d’Appello di Trento, Sezione Distaccata di Bolzano, rigettava l’appello principale e accoglieva l’appello incidentale.
In particolare, per quel che ancora rileva, qualificava il contratto d’opera dell’11.04.2013, sottoscritto da NOME COGNOME in qualità di committente e da NOME COGNOME per l’appaltatrice RAGIONE_SOCIALE come contratto a corpo e non a misura, in conformità con quanto ritenuto dal giudice di primo grado.
Infatti, dopo aver riassunto le modalità delle trattative intercorse tra le parti, a partire dall’offerta del 28.03.2013, esaminava il testo del contratto sottoscritto e, in particolare, l’art.3 dove si faceva riferimento al prezzo fisso senza prestazioni aggiuntive o incomplete. Esso era stato calcolato sulla base dei
piani strutturali (Fl.l l Dl.l l D2.1) dello studio di ingegneria IPM dd. 25.03.2013.
La Corte, inoltre, richiamava l’art. 4, che teneva conto di ” eventuali lavori aggiuntivi’ , ” addebitati a consuntivo ” e l’art. 9 che, sotto il titolo ” altri accordi “, quantificava solamente il “prezzo eventuale per lo scavo di terreno con rocce – punte con escavatore (martello’ in 21, 15 € l m3 ).
L’uso dei concetti ” prezzo fisso secondo l’offerta “, ” senza prestazioni aggiuntive o incomplete ” offriva quindi un primo punto di riferimento per la valutazione del contratto come contratto a corpo e non a misura.
L’offerta del 28.03.2013 era stata emessa da RAGIONE_SOCIALE, in particolare dal rappresentante legale di allora, NOME COGNOME Essa conteneva sette diverse categorie di prestazioni (da A a G), ognuna delle quali con un certo numero di passaggi di lavoro offerti in metri quadri ovvero cubi, chilogrammi, metri lineari, quantità a prezzi unitari, da cui erano stati calcolati i rispettivi prezzi totali per prestazione sulla base delle quantità stimate dalla ditta edile in base ai documenti di pianificazione e riportate nella divisione corrispondente.
I costi totali del progetto di costruzione del sig. COGNOME erano stati quindi inizialmente stimati in un totale di € 286.466,06; dopo uno sconto del 7%, il lavoro era stato infine offerto a un prezzo netto di € 266.413,44. 7.
A seguito della discussione dell’offerta tra le parti interessate, cioè committente e costruttore, e la modifica della stessa, che corrispondeva alle aggiunte ovvero eliminazioni aggiunte a mano con la firma apposta da entrambe le parti il 08.04.2013 a Riscone,
cioè il luogo di residenza del signor COGNOME e luogo della conduzione dei lavori (v. la data scritta a mano m fondo all’offerta, doc. agli atti dell’opponente/ appellato), alla fine era stato suggellato il prezzo definitivo nella misura di € 222.000,00.
Questo si calcolava sulla base di un ulteriore sconto del 16% e dunque di uno sconto complessivo del 22 % circa.
Il fatto che questa offerta dovesse essere intesa come offerta a corpo e non – come originariamente suggerito da RAGIONE_SOCIALE a misura, si evinceva, a parte dalla già citata formulazione del contratto d’opera, da altre circostanze, correttamente valutate dal Giudice di primo grado: -l’eliminazione senza sostituzione dell’originaria clausola conclusiva dell’offerta “La fatturazione si basa sulle misurazioni eseguite, (chiaro riferimento a un’offerta a misura); – l’eliminazione a sua volta senza sostituzione dell’identica clausola conclusiva, originariamente allegata alle categorie di prestazione A, B, C e D. Le parti di testo menzionate, cancellate dall’offerta, indicavano che – come confermato dal teste NOME COGNOME il committente COGNOME voleva escludere qualsiasi variazione dall’offerta, sia le quantità che i lavori da addebitare a consuntivo ovvero separatamente e senza indicazione del prezzo e quindi voleva appunto stipulare un contratto a corpo, per cui secondo l’art. 4 del contratto d’opera erano da addebitare a consuntivo solo e unicamente eventuali lavori aggiuntivi non contenuti nei piani strutturali e nei progetti esecutivi per approvazione e nell’offerta basata su di essi .
Alle ragioni fondate sulla lettera del contratto che facevano presumere un accordo contrattuale come contratto a corpo si aggiungeva anche la prova per testimoni, in particolare l’ ingegnere
edile responsabile dei calcoli statici e della direzione statica dei lavori del progetto (NOME COGNOME,), e l’ ex socio e rappresentante legale di RAGIONE_SOCIALE (NOME COGNOME) e suo figlio, impiegato tecnico e socio di RAGIONE_SOCIALE ((NOME COGNOME), e un imprenditore edile (NOME COGNOME, e il progettista e direttore dei lavori della nuova stalla (Wilhelm Innerhofer ) e, infine, la sorella dell’odierno appellato (NOME COGNOME) e un muratore in passato impiegato di RAGIONE_SOCIALE (Oswald COGNOME). Infine anche il CTU aveva concluso nel senso che si trattava di un contratto a corpo per un importo definitivo pari a € 222.000,00 e anche le modalità di fatturazione.
Ulteriore conferma si riscontrava nel fatto che il costruttore edile, che inevitabilmente conosceva la differenza tra contratto d’opera a misura e a corpo, per gli eventuali lavori aggiuntivi al contratto (quindi quelli che non compaiono sulla lista delle attività) aveva posto come condizione il calcolo a misura (art. 4 del contratto d’opera: “Tutti gli eventuali lavori aggiuntivi vengono addebitati a consuntivo”). Questo significava che i lavori previsti nel contratto già con rimando all’offerta ovvero in ragione dei documenti tecnici di pianificazione erano tutti da svolgere al prezzo forfettario concordato di € 222.000,00 finali.
In ragione di tale qualificazione doveva esaminarsi il primo motivo di appello incidentale nella parte in cui alla ditta RAGIONE_SOCIALE oltre al prezzo forfettario concordato di € 222.000,00 e oltre all’importo di € 84.534,69 riconosciuto dal CTU per lavori aggiuntivi svolti, erano stati riconosciuti ancora € 29.864,97 per lavori addebitati a consuntivo per la fornitura di materiale di riempimento e ghiaia e i rispettivi costi materiali. Secondo la Corte d’Appello in
base al testo dell’offerta e delle dichiarazioni dei testi era fondata la tesi dell’appellante incidentale secondo cui l a ditta edile avrebbe dovuto sostenere lei stessa i costi menzionati, poiché si sarebbe assunta il rischio riguardante l’idoneità del materiale di scavo come materiale di riempimento e, in caso negativo, dell’eventuale necessità di procurarsi la ghiaia.
Dalla ricostruzione delle trattative precontrattuali che avevano infine portato alla stipula del contratto, risultava l’assunzione definitiva del suddetto rischio da parte dell’appaltatrice, confermata dal suo rappresentante legale COGNOME in occasione della fatturazione.
La Corte territoriale rigettava il secondo motivo di appello. I nuovi ed essenziali lavori non previsti nel contratto e resisi necessari per i problemi emersi in fase di costruzione ed eseguiti sulla base di nuove pianificazioni dettagliate, con ingrandimento e spostamento del corpo degli edifici (es. sala macchine e fossa liquami) con maggiorazione della spesa riguardo all’asportazione del sottosuolo ostacolante e roccioso, rappresentavano le ” variazioni dettagliate per i lavori contrattuali ” che si discostavano dalle ” variazioni importanti per i lavori previsti contrattualmente “.
Per quanto riguardava i lavori del gruppo E, il CTU aveva accertato che si trattava in sostanza di lavori di completamento nel caso della costruzione della stalla, sia di lavori interni che di lavori necessari per il montaggio dei macchinari e degli elementi della stalla, che però non erano contenuti nella forma effettivamente eseguita nell’offerta e di conseguenza nel contratto, e non erano stati definiti chiaramente nei piani di presentazione, motivo per cui
dovevano essere qualificati come effettivi lavori di variazione e, come tali, essere calcolati ai nuovi prezzi concordati.
Il terzo motivo del ricorso principale era da rigettare in ragione dell’accoglimento del primo motivo dell’appello incidentale.
Del pari infondato era il quarto motivo di appello relativo alla riconosciuta compensazione di prestazioni non effettuate con riferimento agli importi di € 11.904,00 e € 8.373,71, ciascuno addizionato dell’IVA, riconosciuti dal Giudice di primo grado al signor COGNOME su sua richiesta, a titolo di violazione del contratto e del risarcimento danni, che erano stati detratti dalla somma ancora spettante alla ditta edile in via di compensazione.
La Corte accertava che i lavori rientravano tra quelli previsti contrattualmente e che erano stati svolti da terzi e pagati da COGNOME separatamente, motivo per cui egli aveva diritto al corrispondente risarcimento dei danni.
Infine, doveva accogliersi il motivo di appello incidentale relativo alla penale essendosi verificato un ritardo rispetto ai termini contrattuali di 13 giorni. Dunque, la Corte riconosceva al committente COGNOME l’importo di € 13.000,00 (€ 1.000,00 13) per la penale contrattuale per ritardo da versare da COGNOME* evidenziando che una riduzione dell’importo del denaro per la penale concordata non era stata richiesta, e non sembrava nemmeno doversi effettuare d’ufficio, a causa dell’entità non inammissibile.
NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza.
COGNOME NOME ha resistito con controricorso.
Entrambe le parti con memoria depositata in prossimità dell’udienza ha nno insistito nelle rispettive richieste.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso è così rubricato: Violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 ss. e 2697 c.c. e 116 c.p.c. in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.:
Parte ricorrente censura l’interpretazione del contratto operata dalla Corte d’ Appello che ha ritenuto trattarsi di un contratto a corpo in violazione dei canoni di interpretazione contrattuale.
La sentenza ha riconosciuto che COGNOME ha fatto un’offerta per un contratto di appalto a misura salvo poi ritenere che alla fine delle trattative le parti avrebbero concluso un contratto a corpo.
Le parole utilizzate dalle parti nel contratto (”prezzo fisso”) non legittimerebbero un’interpretazione del contratto come contratto a corpo, considerato che parte integrante del l’accordo era anche l’offerta (fatta senza ombra di dubbio a misura) e le planimetrie, le quali – per stessa ammissione della controparte e come confermato anche dal ctu – non erano complete. Infatti, alla firma del contratto mancavano le piante esecutive (quindi l’intero progetto esecutivo). Sarebbe impossibile, secondo la ricorrente, fissare un prezzo forfettario in mancanza del progetto esecutivo, poiché si farebbe una quantificazione su valori del tutto approssimativi.
Si potrebbe ipotizzare un ‘altra interpretazione ovvero un contratto misto a corpo e a misura. In altri termini, se interpretando le parole del contratto ed anche il comportamento tenuto delle parti non è possibile optare per una delle due varianti, applicando la legge, va applicata la terza variante ed il contratto de quo va interpretato come un mixtum tra i due.
Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: Violazione e falsa applicazione degli 2722 c.c. e 116 c.p.c. in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.
La Corte, non riuscendo a motivare l’interpretazione del contratto come a corpo, è ricorsa a delle testimonianze che erano palesemente inammissibili per violazione del principio enunciato dall’art. 2722 c.c. (“La prova per testimoni non è ammessa se ha per oggetto patti aggiunti o contrari al contenuto di un documento, per i quali si alleghi che la stipulazione è stata anteriore o contemporanea).
Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: Violazione e falsa applicazione degli art. 1362 e 1363 ss, Art. 2697 cc e 116, 115 cpc in relazione all’art. 360, primo comma n. 3 ed in relazione all’art. 360, primo n. 5:
La Corte di Appello ha accolto un primo motivo dell’appello incidentale, non riconoscendo alla parte ricorrente un importo di complessivi € 27.860,97. – per lavori di riempimento con ghiaia e relativi lavori annessi (pag. 24 a 29 della sentenza impugnata).
È vero che tale frase era stata cancellata, ma ciò non significherebbe affatto che, come scrive la Corte, l ‘ impresa abbia voluto accollarsi il rischio e abbia deciso di accettare di fatto un contratto aleatorio. La frase era stata tolta per espressa volontà del committente, il quale non la riteneva necessaria, perché era convinto che il materiale fosse idoneo. La cancellazione della suddetta frase sarebbe del tutto irrilevante come anche le testimonianze citate dalla Corte, che non dimostrerebbero affatto lo spostamento del rischio, ma soltanto il tentativo del COGNOME di sottrarsi al pagamento.
Secondo parte ricorrente sarebbe rilevante, in senso contrario alla decisione impugnata, la circostanza che il contratto, all’art. 4, prevedeva espressamente che tutte le prestazioni aggiuntive erano da pagare extra e ciò indipendente dalla qualificazione del contratto come contratto a corpo oppure a misura.
L’offerta prevedeva il riempimento con materiale di scavo, come hanno confermato anche i testimoni, che poi si è rivelato del tutto inidoneo. Secondo la ricorrente, ai sensi dell’art. 115 c.p.c., è un fatto notorio che nel settore delle costruzioni il materiale di riempimento deve essere pagato sempre ed in ogni caso dalla committenza, altrimenti il contratto di appalto diverrebbe un contratto aleatorio, potenzialmente nullo.
3.1 I primi tre motivi di ricorso, che stante la loro evidente connessione possono essere trattati congiuntamente, sono inammissibili.
Le censure attengono tutte alla interpretazione del contratto operata dalla Corte d’Appello che ha qualificato il contratto stipulato tra le parti come contratto a corpo e non a misura come originariamente proposto dalla ditta appaltatrice nella propria offerta.
Ciò premesso, deve ribadirsi in questa sede che l’attività di interpretazione del contratto è riservata al giudice di merito ed è censurabile in sede di legittimità solo per omesso esame di un fatto decisivo, inesistenza della motivazione, ovvero per violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale. In tale ultimo caso, deve indicarsi in modo specifico nel ricorso per cassazione come il ragionamento del giudice si sia discostato dai suddetti canoni; altrimenti, la ricostruzione del contenuto della volontà delle parti si
traduce nella mera proposta di un’interpretazione diversa da quella censurata, come tale inammissibile in sede di legittimità (Cass. Sez. 3, 08/01/2025, n. 353, Rv. 673743 – 01).
Infatti, si è ripetutamente affermato che qualora con il ricorso per cassazione sia contestata l’interpretazione attribuita dal giudice di merito al contratto intercorso tra le parti, le relative censure, per essere esaminabili, non possono risolversi nella mera contrapposizione tra la volontà dei contraenti così come ritenuta dal ricorrente e quella invece accertata dalla sentenza impugnata, ma debbono essere proposte o sotto il profilo della mancata osservanza, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., delle norme che fissano i criteri ermeneutici di cui agli artt. 1362 ss. c.c. ovvero, a norma dell’art. 360 n. 5 c.p.c., nel testo in vigore ratione temporis , del vizio di motivazione, consistito nell’omesso esame di un fatto decisivo. L’interpretazione di un atto negoziale, infatti, è un tipico accertamento in fatto riservato al giudice di merito, normalmente incensurabile in sede di legittimità, salvo che, come accennato, nelle ipotesi di omesso esame di un fatto decisivo e oggetto di discussione tra le parti, alla stregua del c.d. “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione, ai sensi del n. 5 dell’art. 360 c.p.c., nella formulazione attualmente vigente, ovvero, ancora, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., per violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, previsti dall’art. 1362 ss. c.c. (Cass. n. 14355 del 2016, in motiv.).
Il sindacato di legittimità può avere, quindi, ad oggetto solamente l’individuazione dei criteri ermeneutici del processo logico del quale il giudice di merito si sia avvalso per assolvere i compiti a lui riservati, al fine di verificare se sia incorso in vizi del
ragionamento o in errore di diritto (Cass. n. 23701 del 2016) e tuttavia, al fine di riscontrare l’esistenza dei denunciati errori di diritto o vizi di ragionamento, non basta che il ricorrente faccia, com’è accaduto nel caso di specie, un astratto richiamo alle regole di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., occorrendo, invece, che specifichi, per un verso, i canoni in concreto inosservati e, per altro verso, il punto e il modo in cui il giudice di merito si sia da essi discostato (Cass. n. 7472 del 2011; più di recente, Cass. n. 27136 del 2017). Ne consegue l’inammissibilità del motivo di ricorso che, come quelli in esame, pur denunciando la violazione delle norme ermeneutiche o il vizio di motivazione, si risolva, in realtà, nella mera proposta di una interpretazione diversa rispetto a quella adottata dal giudice di merito (Cass. n. 24539 del 2009), così come è inammissibile ogni critica della ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca nella sola prospettazione di una diversa valutazione ricostruttiva degli stessi elementi di fatto da quegli esaminati (Cass. n. 2465 del 2015, in motiv.). Come si è detto, per sottrarsi al sindacato di legittimità sotto i profili di censura dell’ermeneutica contrattuale, quella data dal giudice al contratto non dev’essere l’unica interpretazione possibile o la migliore in astratto, ma solo una delle possibili e plausibili interpretazioni, per cui, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni (plausibili), non è consentito alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l’altra (Cass. 16254 del 2012; conf., più di recente, Cass. 27136 del 2017).
L a Corte d’Appello , con una motivazione del tutto plausibile, ha ritenuto conformemente al giudice di primo grado che, a seguito delle trattative intercorse tra le parti, l’originaria proposta della appaltatrice che faceva riferimento a un contratto di appalto a misura fosse stata convertita in contratto a corpo di comune accordo tra i due contraenti.
La Corte d’Appello ha fatto riferimento alla progressiva riduzione del prezzo dell’appalto rispetto all’originaria proposta avvenuta attraverso le trattative intercorse tra committente e costruttore, culminate nella modifica dell ‘offerta con aggiunte ovvero eliminazioni apposte al testo contrattuale poi firmato congiuntamente l’ 08.04.2013 a Riscone, allorché si era stabilito il prezzo definitivo nella misura di € 222.000,00.
L’interpretazione del contratto come appalto a corpo si è fondata, pertanto, oltre che sulla lettera del negozio ( art.3 dove si faceva riferimento al prezzo fisso senza prestazioni aggiuntive o incomplete calcolato sulla base dei piani strutturali (Fl.l l Dl.l l D2.1) dello studio di ingegneria IPM dd. 25.03.2013; art. 4, che teneva conto di “eventuali lavori aggiuntivi’, “addebitati a consuntivo” e art. 9 che, sotto il titolo “altri accordi”, quantificava solamente il “prezzo eventuale per lo scavo di terreno con rocce – punte con escavatore) , anche in forza del comportamento delle parti e dell’intero contesto negoziale ai sensi dell’art. 1363 c.c., nonché mediante l’utilizzo de i criteri d’interpretazione soggettiva ex artt. 1369 e 1366 c.c., volti, rispettivamente, a consentire l’accertamento del significato dell’accordo in coerenza con la relativa ragione pratica o causa concreta (Cass. Sez. 2, 04/04/2024, n. 8940, Rv. 670956 – 01).
In particolare, nella sentenza si è posto in evidenza che depongono nel senso del contratto a corpo anche altre circostanze peraltro già correttamente valutate dal Giudice di primo grado: l’eliminazione senza sostituzione dell’originaria clausola conclusiva dell’offerta “La fatturazione si basa sulle misurazioni eseguite ‘ (chiaro riferimento a un’offerta a misura); – l’eliminazione senza sostituzione dell’identica clausola conclusiva, originariamente allegata alle categorie di prestazione A, B, C e D ad indicare che il committente aveva voluto escludere qualsiasi variazione dall’offerta, sia le quantità che i lavori da addebitare a consuntivo ovvero separatamente e senza indicazione del prezzo, e quindi voleva appunto stipulare un contratto a corpo, per cui secondo l’art. 4 del contratto d’opera erano da addebitare a consuntivo solo e unicamente eventuali lavori aggiuntivi non contenuti nei piani strutturali e nei progetti esecutivi per approvazione e nell’offerta basata su di essi .
Infine, la Corte sempre in applicazione dei criteri codicistici di ermeneutica ha valorizzato anche altri elementi derivanti dalla prova testimoniale e dalla CTU ed ha evidenziato come la trasformazione dell’originaria offerta di appalto a misura in un contratto a corpo era stata accettata dall’appaltatrice che , esperta del settore, aveva posto invece come condizione il calcolo a misura per gli eventuali lavori aggiuntivi al contratto (quindi quelli che non ricompresi nella lista delle attività, art. 4 del contratto).
3.2 La censura di inutilizzabilità delle testimonianze sollevata con il secondo motivo è inammissibile in applicazione del seguente principio di diritto: L’inammissibilità della prova testimoniale di un contratto che deve essere provato per iscritto, ai sensi dell’art.
2725, comma 1, c.c., attenendo alla tutela processuale di interessi privati, non può essere rilevata d’ufficio, ma deve essere eccepita dalla parte interessata prima dell’ammissione del mezzo istruttorio; qualora, nonostante l’eccezione di inammissibilità, la prova sia stata ugualmente assunta, è onere della parte interessata opporne la nullità secondo le modalità dettate dall’art. 157, comma 2, c.p.c., rimanendo altrimenti la stessa ritualmente acquisita, senza che detta nullità possa più essere fatta valere in sede di impugnazione (Cass. Sez. U., 05/08/2020, n. 16723, Rv. 658630 – 01).
Parte ricorrente non deduce di aver proposto l’eccezione né prima né dopo l’assunzione della prova e neanche di averla ribadita nelle conclusioni in primo grado.
Inoltre, deve anche ribadirsi che: nel concetto di patti aggiunti o contrari al contenuto del documento contrattuale, in relazione ai quali opera il divieto di ammissione della prova testimoniale di cui all’art. 2722 c.c., non rientrano quelle pattuizioni il cui contenuto od oggetto non risulti in alcun modo previsto dal contratto e che non possono, perciò, ritenersi comprese nel negozio consacrato nell’atto scritto, ma che non siano in contrasto con la volontà contrattuale precisamente e compiutamente espressa, così che la prova testimoniale deve ritenersi ammissibile quando essa non miri ad ampliare, modificare o alterare la disciplina obiettiva prevista nel contratto stipulato per iscritto ma abbia ad oggetto elementi di mera integrazione e chiarificazione del contenuto della volontà negoziale. Ne consegue che, in caso di vendita di un immobile, quando il bene sia stato contrattualmente individuato, nella sua localizzazione e struttura, in modo sufficientemente certo, ma non ne sia stata precisata la consistenza e siano da escludere sia la
vendita a corpo che quella a misura oppure di specie, è ammissibile la prova testimoniale volta ad accertare l’intervenuta pattuizione circa la misura del bene e la sua entità (Cass. Sez. 2, 20/01/2022, n. 1742, Rv. 663575 – 01).
Nello stesso senso può richiamarsi il seguente principio di diritto: il divieto, previsto dall’art. 2722 c.c., di dimostrare con testi la conclusione di accordi anteriori o contemporanei rispetto ad un contratto stipulato in forma scritta opera quando la prova si riferisce alla contrarietà tra ciò che si sostiene essere pattuito e quello che risulta documentato, ma non ove tenda solo a fornire elementi idonei a chiarire o interpretare il contenuto del documento (Cass. Sez. 2, 07/11/2018, n. 28407, Rv. 651044 – 01).
Il quarto motivo di ricorso è così rubricato: Violazione e falsa applicazione dell’art. 1382 c.c. in relazione art. 360 primo comma, n. 3, c.p.c..
La Corte di Appello ha accolto anche il secondo motivo di impugnazione incidentale presentata dalla parte resistente, riconoscendo alla stessa un importo di € 13.000 a titolo di ristoro per un presunto ritardo nella conclusione dell’opera di 13 giorni (pag. da 40 a 43 della sentenza). L’applicazione della penale sarebbe avvenuta in chiara violazione dei principi normativi. Secondo quanto previsto dall’art. 1382 c.c., una penale deve essere espressamente concordata tra le parti ed essere chiaramente individuabile e concordata per iscritto. Nel caso in esame tali presupposti mancherebbero totalmente. Il contratto di appalto definitivamente concluso non conterrebbe alcuna penale, essendo stato concordato tra le parti soltanto un programma di lavoro con delle date presuntive. Inoltre, le parti, come provato con
l’assunzione delle prove orali, avrebbero poi concordemente spostato le date, anche per la conclusione dei lavori, senza stabilire una nuova data fissa.
4.1 Il quarto motivo di ricorso è inammissibile.
Il ricorrente non si confronta con la ratio della sentenza impugnata e sostiene che non sia stata mai prevista una penale contrariamente a quanto emerge dal testo contrattuale e dall’interpretazione che ne ha fatto la Corte d’Appello.
In primo luogo, deve osservarsi che il fatto che non fosse prevista alcuna penale, oltre ad essere smentito dalla lettera del contratto, è una questione del tutto nuova perché nella sentenza si legge che ciò che si contesta è l’aver concordato una data successiva in deroga alla penale medesima che pacificamente era stata stipulata. Tale aspetto, tuttavia, attiene all’accertamento del fatto fondato sulle risultanze istruttorie e non è sindacabile in sede di legittimità. Dunque, la censura, anche se prospettata come violazione di legge, è inammissibile perché si risolve nella sollecitazione ad effettuare una nuova valutazione di risultanze di fatto emerse nel giudizio di merito.
Quanto all’interpretazione della clausola, valgono le argomentazioni svolte in relazione ai primi tre motivi di ricorso.
Infine, sull ‘accordo circa lo spostamento delle date si richiede a questa Corte un’inammissibile ri valutazione delle risultanze di fatto emerse nel giudizio di merito.
Il quinto motivo di ricorso è così rubricato: Violazione e falsa applicazione degli artt. 1657 e 1661 c.c. e dell’ art. 116 c.p.c. in relazione art. 360 primo comma, n. 3 c.p.c..
Il CTU ha riconosciuto alla ricorrente un importo di € 84.523,69.- per le varianti dell’opera, riducendo però la pretesa avanzata dalla ricorrente, che aveva richiesto un importo di € 137.758,98.
Secondo parte ricorrente sarebbe del tutto impossibile distinguere tra varianti per così dire minime e varianti consistenti. La variante consiste per definizione nella variazione quantitativa e/o qualitativa dell’opera, non importa se in maniera leggera oppure consistente. Tutte le prestazioni quantificate dalla ricorrente riguardavano prestazioni che non erano contenute nell’offerta e quindi non erano contrattualmente pattuite. Andavano quindi contabilizzate e pagate extra, poiché non riguardavano variazioni dei soli quantitativi, ma proprio prestazioni nuove.
5.1 Il quinto motivo di ricorso è inammissibile.
Anche in questo caso la questione rientra nell’interpretazione del contratto e nella valutazione delle risultanze istruttorie rimessa al giudice di merito sicché valgono le medesime ragioni di inammissibilità espresse in riferimento ai precedenti motivi.
Il sesto motivo di ricorso è così rubricato: Violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., omessa pronuncia.
La difesa della ricorrente aveva impugnato la sentenza di primo grado anche nel punto dove non riconosceva, per la fornitura e posa di materiale di riempimento, un importo di € 29.864,97 anziché € 38.535,44. La Corte di Appello non ha trattato tale punto, ritenendolo superato per via dell’accoglimento dell’appello incidentale, che non riconosceva appunto tale importo.
6.1 Il sesto motivo è manifestamente infondato.
Non vi è stata alcuna omessa pronuncia, la Corte si è limitata ad evidenziare che l’accoglimento del motivo di appello incidentale della controparte di contenuto speculare e opposto comportava necessariamente il rigetto del motivo di appello di cui la ricorrente lamenta l’omessa pronuncia.
Il settimo motivo di ricorso è così rubricato: Violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 primo, comma, n. 4, c.p.c., pronuncia ultra petitum :
La ricorrente aveva impugnato la sentenza di primo grado anche perché aveva riconosciuto alla controparte degli importi (rispettivamente € 11.900,00. -ed € 8.373,71 più IVA) per delle prestazioni asseritamente non dovute, poiché previste dal contratto e incluse nel presunto contatto a forfait, ma non eseguite dalla RAGIONE_SOCIALE (pag. 33 a 38 della sentenza).
Secondo la ricorrente tali lavori (vedasi fatture COGNOME e COGNOMERAGIONE_SOCIALE) non facevano parte del contratto ed in più controparte, nel corso del giudizio di primo grado, non aveva assolto l’onere probatorio. Tale domanda non doveva essere accolta, poiché non era mai stata correttamente proposta. Palesemente controparte aveva saldato l’intero prezzo contrattualmente previsto, riconoscendo quindi espressamente l’esecuzione di tutti i lavori contrattuali. A questo punto parte resistente non poteva dedurre un presunto inadempimento contrattuale, chiedendo la compensazione con eventuali ulteriori pretese, ma avrebbe dovuto presentare una domanda di condictio indebiti .
Il Giudice di primo grado e la Corte di Appello hanno invece provveduto a riqualificare la domanda, sostenendo che la
Ric. 2020 n. 31327 sez. S2 – ud. 10/07/2025
qualificazione della domanda spetta al Giudice (iura novit curia). Infatti, la domanda di inadempimento contrattuale con contestuale domanda di compensazione sarebbe del tutto diversa dalla domanda di condictio indebiti , e il Giudice avrebbe introdotto ex officio una domanda diversa e nuova nel giudizio, mai formulata dalla parte, pronunciando ultra petitum. Anche per tale motivo la sentenza andrebbe cassata.
7.1 Il settimo motivo di ricorso è infondato.
La committente aveva proposto opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 452/2014 emesso dal Tribunale di Bolzano domandando in via riconvenzionale il risarcimento del danno da inadempimento di alcune delle prestazioni contrattuali “Rimozione del materiale in eccesso” (voce A.1 dell’offerta) e “L’acqua piovana dal tetto al pozzo di raccolta è inclusa (tubi e pozzetti) (aggiunta a mano al contratto), danno che doveva essere detratto dall’importo contrattualmente dovuto. La Corte d’Appello ha ritenuto provato l’inadempimento sulla base delle fotografie e delle dichiarazioni testimoniali dalle quali risultava la mancata rimozione del “materiale in eccesso” da parte di RAGIONE_SOCIALE e la condizione del cantiere, dopo il termine dei lavori edili che aveva costretto la committenza a contattare altra ditta con l’impiego di due scavatrici e di un camion. Peraltro, i suddetti lavori erano ricompresi tra quelli indicati nella offerta e quindi secondo il contratto d’opera dell’appaltatrice avrebbero dovuto essere svolti dalla ricorrente.
Anche in questo caso, pertanto, la censura tende ad una inammissibile diversa interpretazione dell’oggetto del contratto e ad una altrettanto inammissibile riesame dei fatti e delle prove emerse nel corso dell’istruttoria.
Quanto alla censura di ultra petizione, questa Corte in plurime occasioni ha avuto modo di affermare che: Quando tra due soggetti i rispettivi debiti e crediti hanno origine da un unico – ancorché complesso -rapporto, non vi è luogo ad una ipotesi di compensazione “propria”, bensì ad un mero accertamento di dare e avere, con elisione automatica dei rispettivi crediti fino alla reciproca concorrenza, cui il giudice può procedere senza che siano necessarie l’eccezione di parte o la domanda riconvenzionale. Tale accertamento, che si sostanzia in una compensazione “impropria”, pur producendo risultati analoghi a quelli della compensazione “propria”, non è sottoposto alla relativa disciplina tipica, sia processuale sia sostanziale, ivi compresa quella contenuta nell’art. 1248 c.c., riguardante l’inopponibilità al cessionario, da parte del debitore che abbia accettato puramente e semplicemente la cessione, della compensazione che avrebbe potuto opporre al cedente (Sez. 2 – , Sentenza n. 4825 del 19/02/2019, Rv. 65269201). Allo stesso modo si è detto che, in caso di crediti originati da un unico rapporto, la cui identità non è esclusa dal fatto che uno di essi ha natura risarcitoria, derivando da inadempimento, è configurabile la cd. compensazione atecnica, nel qual caso la valutazione delle reciproche pretese comporta l’accertamento del dare e avere, senza necessità di apposita domanda riconvenzionale od eccezione di compensazione, che postulano, invece, l’autonomia dei rapporti ai quali i crediti si riferiscono (Sez. 3, Sentenza n. 16800 del 13/08/2015, Rv. 636862 – 01).
Quando le contrapposte ragioni di credito delle parti trovino origine in un’unica relazione negoziale, si è in presenza di una compensazione in senso improprio, e le parti possono sollecitare in
corso di causa l’accertamento contabile del saldo finale delle contrapposte partite, senza che sia necessaria l’eccezione di parte o la proposizione di una domanda riconvenzionale, e senza che operino i limiti alla compensabilità, i quali postulano l’autonomia dei rapporti; tuttavia, detto accertamento non può essere richiesto per la prima volta in sede di legittimità, in quanto il ricorso per cassazione può investire solo questioni già comprese nel tema del decidere del giudizio di appello. (Cass. Sez. L., 06/03/2008, n. 6055, Rv. 602446 – 01)
Il ricorso è rigettato.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater D.P.R. n. 115/02, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità nei confronti della parte controricorrente che liquida in euro 7000, più 200 per esborsi, oltre al rimborso forfettario al 15% IVA e CPA come per legge;
ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, I. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto;
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ Sezione