Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 21490 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 21490 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 26/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 2217/2021 proposto da:
NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME ed elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO Nicola INDIRIZZO Tolentino INDIRIZZO;
-ricorrente –
contro
Ministero dell’Istruzione e Ufficio scolastico regionale per la Sicilia, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello Stato e domiciliati in Roma, INDIRIZZO
-controricorrenti-
avverso la SENTENZA della Corte d’appello di Caltanissetta n. 235/2020, pubblicata il 6 luglio 2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 4 giugno 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
NOME COGNOME ha agito davanti al Tribunale di Caltanissetta, esponendo che: era una docente di scuola primaria entrata in ruolo il 1° settembre 2011 e titolare presso l’IC Crema Uno di Crema;
aveva partecipato alla fase B1 delle operazioni di mobilità per l’a.s. 2016/2017;
aveva concorso per un posto di sostegno minorati psicofisici, indicando nell’ordine vari ambiti territoriali siti in Sicilia;
i posti da lei richiesti erano stati assegnati illegittimamente a docenti appartenenti a fasi di mobilità successive e ad altri che avevano partecipato alla stessa fase di mobilità, ma con punteggio inferiore e senza precedenza ex art. 13, comma 1, CCNI mobilità 2016/2017.
La ricorrente ha chiesto la disapplicazione e l’annullamento del rigetto del trasferimento e la dichiarazione di illegittimità della condotta delle Amministrazioni resistenti, consistente nel diniego del suo trasferimento presso l’ATP Sicilia 004 od altro spettante fra le preferenze indicate, e l’accertamento del suo diritto al detto trasferimento, nel rispetto del principio di scorrimento della graduatoria, con condanna del Ministero a trasferirla e a risarcire i danni.
Il Tribunale di Caltanissetta, nel contraddittorio con il Ministero, con sentenza n. 289/2018, ha rigettato il ricorso.
NOME COGNOME ha proposto appello che la Corte d’appello di Caltanissetta, nel contraddittorio con il Ministero, con sentenza n. 235/2020, ha rigettato.
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi.
Le Pubbliche amministrazioni si sono difese con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 132, comma 4, c.p.c., e dell’art. 118 disp. att. c.p.c. in quanto la motivazione della sentenza impugnata sarebbe stata apparente, atteso che la
corte territoriale avrebbe esaminato solo le operazioni di trasferimento avvenute all’interno della provincia di Caltanissetta, senza analizzare le operazioni avvenute negli altri ambiti indicati e senza valutare le gravi irregolarità denunciate, che avevano portato alla nomina di docenti appartenenti alla fase D di mobilità e di insegnanti che, pur avendo partecipato alla sua stessa fase, avevano un punteggio di gran lunga inferiore.
In particolare, avrebbe dovuto essere applicato l’art. 6 del CCNI 8 aprile 2016, in base al quale la fase D avrebbe dovuto svolgersi solo dopo le altre.
Con il secondo motivo la ricorrente contesta la violazione e falsa applicazione dell’art. 6 del CCNI dell’8 aprile 2016 e dei criteri di assegnazione di cui all’allegato 1 e l’omesso esame di fatti decisivi.
Insiste in ordine al fatto che le sarebbero stati preferiti docenti che avevano partecipato a fasi successive e, all’interno della sua fase, che avevano punteggi inferiori.
Rappresenta la necessità che, comunque, tutti coloro che avevano espresso una data preferenza, fossero presi in considerazione all’interno di un’unica graduatoria di merito.
Con il terzo motivo la ricorrente contesta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 24 Cost., l’omesso esame di fatti decisivi e la nullità della sentenza in quanto la corte territoriale non avrebbe tenuto conto delle sue censure concernenti il malfunzionamento dell’algoritmo utilizzato.
2) Le censure sono inammissibili.
Innanzitutto, si osserva che la corte territoriale ha motivato con chiarezza la sua decisione, sostanzialmente affermando che la ricorrente non avesse possibilità, con il suo punteggio, di ottenere le sedi richieste, dovendosi tenere conto, comunque, della precedenza spettante, in ambito provinciale, ai docenti nominati da graduatorie di merito 2012.
In particolare, ha precisato che, nella specie, solo gli insegnanti assunti in fase C del piano straordinario da graduatoria di merito del concorso pubblico
2012, partecipanti alla fase B2 della mobilità straordinaria nelle province di prima nomina avevano potuto ottenere la sede in Sicilia nella Provincia di assunzione in quanto esclusi dalla mobilità nazionale.
Quanto agli ulteriori profili, si evidenzia che le contestazioni sollevate con il secondo motivo attengono chiaramente al merito della controversia, mirando a criticare l’accertamento di fatto compiuto dal giudice di appello, che, come appena detto, ha verificato come i posti in Sicilia non potessero essere assegnati alla ricorrente.
Del tutto generiche, poi, sono le considerazioni relative all’algoritmo che, peraltro, perdono ogni consistenza di fronte al menzionato accertamento di fatto.
Si sottolinea, inoltre, che, per costante giurisprudenza, in base alla nuova formulazione dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. (come modificato dal d.lgs. n. 40 del 2006), secondo cui è possibile la denuncia con ricorso per cassazione della violazione o falsa applicazione dei contratti collettivi, non è consentito alla S.C. procedere ad una interpretazione diretta della clausola di un contratto collettivo integrativo, in quanto la norma riguarda esclusivamente i contratti collettivi nazionali di lavoro (Cass., n. 27062 / 2013).
Per l’esattezza, rileva il principio per il quale, ai sensi dell’art. 63 del d.lgs. n. 165 del 2001 e dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., come modificato dal d.lgs. n. 40 del 2006, la denuncia della violazione e falsa applicazione dei contratti collettivi di lavoro è ammessa solo con riferimento a quelli di carattere nazionale, per i quali è previsto il particolare regime di pubblicità di cui all’art. 47, comma 8, del d.lgs. n. 165 del 2001, mentre i contratti integrativi, attivati dalle amministrazioni sulle singole materie e nei limiti stabiliti dal contratto nazionale, tra i soggetti e con le procedure negoziali che questi ultimi prevedono, se pure parametrati al territorio nazionale in ragione dell’amministrazione interessata, hanno una dimensione di carattere decentrato rispetto al comparto, con la conseguenza che la loro interpretazione è riservata al giudice di merito, ed è censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale ovvero per vizio di motivazione, nei limiti fissati dall’art. 360, n. 5, c.p.c. nel testo applicabile ratione temporis (Cass. n. 5565/2004; Cass. n. 20599/2006; Cass. n. 28859/2008; Cass. n. 6748/2010;
Cass. n. 15934/2013; Cass. n. 4921/2016, Cass. n. 16705/2018; Cass. n. 33312/2018; Cass. n. 20917/2019; Cass. n.7568/2020; Cass. n. 25626/2020)
Nella specie, la ricorrente lamenta, in maniera, peraltro, piuttosto generica, la violazione dell’art. 6 del CCNI dell’8 aprile 2016 per l’anno scolastico 2016/2017 e del relativo allegato 1 operata dalla corte territoriale, chiedendo, altresì, a questa Suprema Corte, di sostituire all’interpretazione di detta contrattazione operata dal giudice del merito una sua interpretazione alternativa.
Siffatto sindacato è, però, precluso a questo Collegio.
D’altronde, la stessa ricorrente non ha prospettato con chiarezza quali canoni ermeneutici non sarebbero stati rispettati e la censura non è corredata da una sufficiente riproduzione della menzionata contrattazione, atteso che il ricorso contiene solo stralci di alcune clausole, sui quali non possono fondarsi le valutazioni di questa Suprema Corte, occorrendo l’intero testo negoziale, dal che deriva l’operatività degli ordinari criteri di specificità del ricorso, il quale risulta inammissibile ove il ricorrente non depositi il contenuto della normativa collettiva integrativa di cui censuri l’illogica o contraddittoria interpretazione, ovviamente nella sua integralità, né indichi la localizzazione negli atti di causa del corrispondente documento (Cass., n. 12481/2022; Cass., SU, n. 8950/2022).
A identiche conclusioni sono arrivate, in contesti analoghi, anche altre recenti decisioni di questa Suprema Corte (Cass., n. 2476, n. 6199, n. 8051 e n. 8053 del 2025).
La sanzione dell’inammissibilità non può essere evitata neppure prendendo in considerazione alcuni precedenti, concernenti situazioni in effetti similari, nelle quali, però, il ricorso per cassazione era stato rigettato o accolto.
Ad esempio, può menzionarsi la sentenza della Cass., n. 1055 del 2024, in base a cui ‘In tema di trasferimento territoriale dei docenti della scuola pubblica, alla contrattazione collettiva – cui l’art. 40, co. 1, d. lgs. n. 165/2001, e gli artt. 462, co. 7 e 470, co. 1 e 2 d. lgs. n. 297/1994 demandano la regolazione in dettaglio delle modalità da seguire nell’attribuzione dei posti – sono rimesse scelte di merito e tecniche attraverso le quali resta regolato l’assetto dei contrastanti interessi dei candidati partecipi del procedimento; tali scelte non
sono sindacabili, se non quando esse si pongano in contrasto con norme di legge oppure realizzino ingiustificate disparità di trattamento o risultino manifestamente irragionevoli’.
Questa decisione, che si è conclusa con un rigetto del ricorso, ha superato la questione dell’ammissibilità dello stesso in quanto oggetto del contendere era la legittimità o meno della posizione che era stata attribuita dalla contrattazione collettiva per la mobilità (a domanda) 2016/2017 agli IGM 2012 assunti in fase B e C nel 2015/2016 rispetto ai docenti delle medesime fasi assunti da GAE e, quindi, non era in discussione in sede di legittimità l’interpretazione del contratto integrativo, ma unicamente la validità dello stesso in relazione alla normativa di legge.
Allo stesso modo, l’ordinanza di questa Sezione n. 34602 del 2024, occupandosi di un ricorso che concerneva il sistema della medesima mobilità, come regolato dal relativo CCNI e dalla successiva Ordinanza Ministeriale del 2016, lo ha considerato ammissibile, pur rigettandolo.
Quest’ultima pronuncia ha valutato l’impugnazione perché a essere contestata non era l’interpretazione dei citati CCNI e Ordinanza accolta dalla corte territoriale, ma la regolamentazione normativa, con riferimento a detta mobilità. del regime degli IGM 2012 assunti per reclutamento straordinario.
Siffatta ordinanza ha dato rilievo all’impianto normativo primario all’interno del quale la menzionata contrattazione integrativa e l’Ordinanza ministeriale si sono poste, occupandosi, innanzitutto, del tema della legittimità costituzionale della scelta del legislatore di differenziare i docenti assunti in fase B e C del reclutamento 2015/2016, a seconda del loro provenire da GM 2012 o da GAE. L’esame della Suprema Corte è stato condotto alla luce del disposto della legge n. 107 del 2015 e si è concluso affermando che la differenza in sede di reclutamento tra IGM 2012 e personale proveniente da GAE risale ad una scelta di discrezionalità del legislatore, come tale non sindacabile.
Inoltre, la Suprema Corte ha considerato la legittimità o meno della posizione attribuita dalla contrattazione collettiva per la mobilità (a domanda) 2016/2017 agli IGM 2012 assunti in fase B e C nel 2015/2016 rispetto ai docenti delle medesime fasi assunti da GAE, ma ciò ha fatto per escludere che ‘il complessivo
sistema intercetti una violazione di norme, né vi sono ingiustificate disparità di trattamento, in quanto l’assetto differenziale è derivato dal distinguo operato tra varie categorie di docenti, in ragione delle diverse regole (e preferenze) che li hanno interessati in sede di reclutamento; neppure emergono tratti di manifesta irragionevolezza nella disciplina del complesso fenomeno che doveva essere regolato e tutto ciò esclude, altresì, che abbiano rilievo situazioni di occasionale sfavore per l’uno o l’altro docente ammesso alla mobilità. Va aggiunto, infine, per completezza, che appartiene parimenti alle scelte di merito quella, con forte connotato tecnico, di procedere per fasi e con l’inserimento in ciascuna di queste fasi solo di talune tipologie di candidati alla mobilità’. La legittimità di tale sistema, quindi, pur se derivante anche da un CCNI e da una successiva Ordinanza Ministeriale attuativa, è stata analizzata dalla Suprema Corte non al fine di scegliere una fra le possibili interpretazioni alternative del CCNI e dell’Ordinanza, ma per verificare se una data lettura dello stesso, da parte del giudice di appello, contravvenisse ai principi costituzionali o a norme imperative di legge, realizzasse ingiustificate disparità di trattamento o risultasse manifestamente irragionevole, alla luce, però, pur sempre, di un impianto complessivo costruito dalla legge e dalla contrattazione collettiva nazionale.
Ad identiche conclusioni deve giungersi con riguardo alla sentenza della Cass., n. 7354 del 2024, la quale ha affermato il principio di diritto per il quale, nelle procedure di mobilità del personale docente di fascia C per l’anno scolastico 2016-2017, l’assegnazione delle cattedre avviene, ex art. 6 del CCNI dell’8 aprile 2016 e del relativo Allegato 1, in considerazione delle preferenze espresse dai candidati, senza che sussista alcuna violazione del criterio meritocratico di cui all’art. 97 Cost., essendosi in una fase successiva a quella del reclutamento: ne consegue che all’assegnazione non si procede seguendo una graduatoria unitaria riferita a ciascun ambito territoriale, articolata tenendo conto del punteggio conseguito da ogni insegnante, ma sulla scorta di distinte graduatorie, elaborate sulla base dell’ordine di preferenze espresso dal richiedente in relazione ai vari ambiti territoriali, strutturate al loro interno in considerazione del punteggio conseguito’.
In questa vicenda, concernente sempre la stessa mobilità, alla Suprema Corte non è stato chiesto di optare fra più possibili interpretazioni alternative del CCNI e del suo Allegato 1. Essa ha, piuttosto, chiarito che ‘l’opzione operata in sede collettiva di attribuire rilievo ai fini dell’assegnazione delle cattedre ad un criterio distinto da quello meritocratico basato sul punteggio conseguito non contravviene ai principi costituzionali che, nel subordinare l’accesso all’impiego pubblico alla procedura del concorso pubblico, pongono a fondamento quel criterio selettivo, non essendo la procedura in questione finalizzata al reclutamento del personale, per essere attinente all’attribuzione di una sede provvisoria in vista della successiva procedura di mobilità prevista dalla l. n. 107/2015, ben potendo dunque quella disciplina così interpretata, non inficiata dal contrasto con norme imperative, ben essere considerata legittima e presiedere all’espletamento della procedura secondo le stabilite modalità’.
Pure in questo caso, quindi, una specifica interpretazione della contrattazione integrativa non è stata sostituita con un’altra, ma, in quanto ritenuta non implausibile, è stata messa a confronto con i precetti costituzionali e la normativa imperativa, assunti come parametri esterni della sua legittimità.
Al contrario, nei precedenti sopramenzionati di questa Sezione Cass., n. 2476 del 2025, n. 6199 del 2025 e n. 8051 e n. 8053 del 2025, è stata proprio la richiesta al giudice della legittimità di porre a raffronto differenti possibili interpretazioni del CCNI de quo , affinché ne scegliesse una diversa da quella fatta propria dal giudice del merito, a condurre, in ragione della non corretta formulazione della censura, a condurre alla dichiarazione di inammissibilità dei ricorsi.
D’altronde, la giurisprudenza è giunta da molti anni ad affermare che è ben possibile denunciare direttamente in cassazione il contrasto fra la contrattazione integrativa e le disposizioni di legge imperative o la contrattazione collettiva nazionale di riferimento (Cass., n. 21316/2022; Cass., n. 21236/2015; Cass., n. 14530/2014).
Al contrario, con riguardo ai contratti collettivi di lavoro relativi al pubblico impiego privatizzato, la regola posta dall’art. 63 del d.lgs. n. 165 del 2001, che consente di denunciare direttamente in sede di legittimità la violazione o falsa
applicazione dei contratti ed accordi collettivi, deve intendersi limitata ai contratti ed accordi nazionali di cui all’art. 40 del detto d.lgs., con esclusione dei contratti integrativi contemplati nello stesso articolo, in relazione ai quali il controllo di legittimità è finalizzato esclusivamente alla verifica del rispetto dei canoni legali di interpretazione e dell’assolvimento dell’obbligo di motivazione (Cass., n. 14449/2017).
Ne deriva che saranno inammissibili i ricorsi che censurino in via diretta l’interpretazione della contrattazione integrativa (Cass., n. 27062/2013), non riportino il contenuto della normativa collettiva integrativa della quale critichino l’illogica o contraddittoria interpretazione (Cass., n. 8231/2011), non indichino in maniera specifica i criteri interpretativi di cui agli artt. 1362 ss. c.c. violati o chiedano alla Suprema Corte di sostituire all’interpretazione della corte territoriale un’altra possibile interpretazione dello stesso testo (Cass., n. 18214/2024).
Il ricorso è dichiarato inammissibile, in applicazione del seguente principio di diritto:
‘In tema di pubblico impiego contrattualizzato, è consentito denunciare direttamente in sede di legittimità non la violazione o falsa applicazione dei contratti ed accordi collettivi integrativi, ma solo il contrasto fra tali contratti ed accordi e le disposizioni di legge imperative o la contrattazione collettiva nazionale di riferimento; inoltre, è possibile chiedere, nella medesima sede e in ordine agli stessi contratti e accordi integrativi, la verifica del rispetto dei canoni legali di interpretazione indicati dagli artt. 1362 ss. c.c. e dell’assolvimento dell’obbligo di motivazione minima ex art. 111 Cost. Ne deriva che sono inammissibili i ricorsi per cassazione che, senza lamentare il mancato rispetto di norme imperative o della contrattazione collettiva nazionale, censurino in via diretta l’interpretazione della contrattazione integrativa del giudice di merito, non riportino il contenuto della normativa collettiva integrativa della quale critichino l’illogica o contraddittoria interpretazione, non indichino in maniera specifica i criteri interpretativi di cui agli artt. 1362 ss. c.c. violati o domandino
alla Suprema Corte di sostituire all’interpretazione della corte territoriale un’altra possibile interpretazione dell’identico testo’.
Le spese di lite seguono la soccombenza ex art. 91 c.p.c. e sono liquidate come in dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 , si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ad opera della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte,
dichiara inammissibile il ricorso;
-condanna la ricorrente a rifondere le spese di lite, che liquida in € 3.500,00 per compenso professionale, oltre al rimborso delle spese prenotate a debito;
-ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ad opera della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della IV Sezione Civile, il 4