Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 6284 Anno 2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 26224/2021 R.G. proposto da : COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME, COGNOME rappresentati e difesi dagli avvocati COGNOME e COGNOME ed elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME
Pec:
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME e domiciliata presso il domicilio digitale del medesimo
Pec:
Civile Ord. Sez. 3 Num. 6284 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 09/03/2025
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di NAPOLI n. 880/2021 depositata il 10/03/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 11/11/2024 dalla Consigliera NOME COGNOME.
Rilevato che:
NOME COGNOME in proprio e nella qualità di erede di NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, in proprio e nella qualità di eredi di NOME COGNOME e tutti quali fideiussori della società RAGIONE_SOCIALE convennero in giudizio davanti al Tribunale di Napoli la Cassa di Risparmio di Parma e Piacenza SpA deducendo che la società aveva intrattenuto alcuni rapporti con la Cassa, garantiti da fideiussioni, ed era titolare di alcuni contratti di conto corrente su cui, nel corso del rapporto, erano state applicate commissioni di massimo scoperto e capitalizzazione trimestrale non concordata degli interessi, dando luogo a contratti nulli anche per difetto della forma scritta. Chiesero pertanto che il Tribunale dichiarasse la nullità dei contratti per insanabile difetto di forma ex art. 117 D.lgs. n. 385 del 1993 e, in ogni caso, l’esatta determinazione delle eventuali ragioni di credito della banca. La Cariparma si costituì in giudizio rilevando l’inammissibilità delle domande o comunque la loro infondatezza nel merito e chiese di essere autorizzata alla chiamata in causa di Intesa Sanpaolo S.p.A., propria cedente, a carico della quale era rimasta la titolarità dei contratti bancari. La Cassa propose altresì domanda riconvenzionale nei confronti degli attori, per il pagamento della somma di € 83.416,02, quale saldo del rapporto bancario intrattenuto con la società debitrice. Il Tribunale rigettò la domanda principale ed accolse la riconvenzionale, condannando gli attori al pagamento della somma ivi dedotta, oltre interessi legali. A seguito di appello dei fideiussori volto a contestare la
qualificazione del contratto di garanzia quale contratto autonomo anziché fideiussione, la Corte d’Appello di Napoli, con sentenza n. 880 del 10/3/2021, ha rigettato l’appello, confermando la qualificazione del contratto quale autonomo di garanzia ed escludendo che il giudice di prime cure avesse fatto malgoverno delle regole di interpretazione del contratto. Ha altresì escluso di poter configurare, nella fattispecie, una condotta abusiva del creditore tale da integrare l’exceptio doli ed ha rigettato tutte le ulteriori eccezioni sollevate dagli appellanti in merito alla pretesa usurarietà degli interessi applicati.
Avverso la sentenza che , respinge l’appello, ha condannato gli appellanti alle spese del grado, NOME COGNOME, NOME COGNOME, in proprio e quali eredi della madre NOME COGNOME NOME e NOME COGNOME, pure quali eredi della madre NOME COGNOME propongono ricorso per cassazione sulla base di un unico motivo.
Resiste con controricorso la RAGIONE_SOCIALE cessionaria del Formulata RAGIONE_SOCIALE., i ricorrenti hanno chiesto la decisione del ricorso. Le parti hanno depositato rispettiva memoria.
Considerato che:
con unico motivo -violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., falsa applicazione degli artt. 1322, 1436, 1418 c.c. in riferimento all’art. 360, comma 1 n. 3 e 5 c.p.c. falsa applicazione degli artt. 1936 e ss. dell’art. 1944 e 1957 c.c. ai sensi dell’art. 360, comma 1 n. 4 c.p.c.- i ricorrenti lamentano che la corte territoriale ha qualificato il contratto quale autonomo di garanzia quando, invece, avrebbe dovuto essere qualificato quale contratto di fideiussione omnibus non sussistendo in dizi a favore dell’autonomia. La corte avrebbe posto in essere una sentenza dalla motivazione meramente apparente anche laddove non si fa carico di accertare se la banca
avesse provveduto a dare prova sia dell’esistenza del proprio credito sia del suo ammontare.
Il motivo è inammissibile.
Le mosse censure sono puramente fattuali e volte ad evocare, da parte di questa Corte, un nuovo esame della vicenda alla stregua di una diversa interpretazione del contratto, senza che risulti neppure prospettata la violazione, da parte della corte del merito, dei criteri legali di interpretazione del contratto.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo in favore della controricorrente, seguono la soccombenza.
I ricorrenti vanno altresì condannati al pagamento di somme, liquidate come in dispositivo, ex art. 96, 3° e 4° co. c.p.c., ricorrendone i presupposti di legge.
P.Q.M.
La Corte dichiara il ricorso inammissibile. Condanna i ricorrenti al pagamento, in solido, in favore della controricorrente: delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi euro 4.200,00, di cui euro 4.000,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge; della somma di euro 4.000,00 ex art. 96, 3° co., c.p.c. Condanna i ricorrenti al pagamento di euro 1.000,00 ex art. 96, 4° co., c.p.c. in favore della Cassa per le Ammende.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile