Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 2010 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 2010 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 28/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 7540/2023 R.G., proposto da
COGNOME NOMECOGNOME rappresentato e difeso dal prof. avv. NOME COGNOME domiciliato come di indirizzo pec indicato, per procura su foglio separato allegato al ricorso,
-ricorrente –
contro
COGNOME RAGIONE_SOCIALE in qualità di gestore del FIA Italiano Riservato denominato ‘RAGIONE_SOCIALE‘, rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME domiciliat a come da indirizzo pec indicato, per procura su foglio separato allegato al controricorso,
-controricorrente – per la cassazione della sentenza n. 5943/2022 della CORTE d’APPELLO di Roma pubblicata il 28.9.2022;
udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 19.11.2024 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Contratto autonomo di garanzia ad. 19.5.2024
Con sentenza pubblicata il 28.9.2022 la Corte d’Appello sezione specializzata in materia di impresa rigettò l’appello proposto da NOME COGNOME avverso la sentenza del Tribunale di Velletri n. 1731/2019, pubblicata il 9.10.2019.
Costituitasi nel corso del procedimento di appello RAGIONE_SOCIALE quale cessionaria da RAGIONE_SOCIALE del ramo d’azienda comprendente il contratto di gestione del ‘RAGIONE_SOCIALE‘, la Corte d’appello, per quanto di interesse ancora ai fini del presente giudizio, osservò che:
-non si determina la liberazione del fideiussore ai sensi dell’art. 1956 cod. civ., pur in assenza di informazione da parte della banca, quando per il ruolo rivestito e l’effettiva partecipazione alle vicende societarie esso sia a conoscenza, come emerso nel corso del giudizio di primo grado, della situazione finanziaria e patrimoniale del debitore principale;
-data la natura di contratto autonomo di garanzia per l’esclusione pattizia della possibilità di opporre da parte del garante le eccezioni spettanti al debitore principale, doveva escludersi qualsiasi questione in merito al tasso di interesse applicato dalla banca asseritamente diverso da quello previsto;
-l’appellante aveva dedotto solo nella comparsa conclusionale la nullità della garanzia in quanto contratto «a valle» di una intesa restrittiva della concorrenza;
-pur trovando la non opponibilità delle eccezioni spettanti al debitore principale il limite dell’escussione fraudolenta e in presenza di clausole nulle per contrarietà a norme imperative o per illiceità della causa, le eccezioni svolte in ordine agli interessi, asseritamente usurari ed anatocistici, erano del tutto generiche.
Per la cassazione della sentenza della Corte ricorre NOME COGNOME sulla base di due motivi. Risponde con controricorso COGNOME RAGIONE_SOCIALE
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, ai sensi dell’art.380bis .1. cod. proc. civ.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo è denunciata la nullità della sentenza per ‘motivazione illogica. Violazione dell’art. 132, c.p.c., comma 2, n. 4’.
Il ricorrente lamenta la mancata ammissione di una C.T.U. contabile in tema di applicazione di tassi usurari e pratiche anatocistiche sul rilievo della genericità della domanda, nonostante fosse stato evidenziato che il «tasso soglia» sarebbe stato abbondantemente superato. La decisione impugnata sarebbe affetta da illogicità della motivazione, poiché l’omessa ammissione di una prova decisiva avrebbe determinato l’omessa motivazione su un punto decisivo della controversia, quando la prova non ammessa sia in grado di dimostrare circostanze tali da invalidare, con giudizio di certezza, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie, su cui è poggiato il convincimento del giudice.
La motivazione della sentenza impugnata sarebbe, altresì, omessa e/o illogica/apparente, dove a pagina 10, pur dando atto che l’istituto di credito non aveva effettuato la comunicazione ai fideiussori, sebbene edotto della grave situazione di crisi, è stato ritenuto che tale omissione informativa non fosse necessaria per essere il ricorrente socio della compagine e, quindi, a conoscenza delle condizioni del debitore principale.
1.2. Il motivo è inammissibile ai sensi dell’art. 360, comma primo n. 4, cod. proc. civ.
In primo luogo mette conto rilevare come il motivo, nonostante la sua lunga e complessa articolazione, è privo dell’identificazione della motivazione criticanda. Il motivo d’impugnazione è costituito dall’enunciazione delle ragioni per le quali la decisione è erronea e si traduce in una critica della decisione impugnata, non potendosi, a tal fine, prescindere dalle motivazioni poste a base del provvedimento stesso, la mancata considerazione delle quali comporta la nullità del motivo per inidoneità al raggiungimento dello scopo; tale nullità si risolve in un “non motivo” del ricorso per cassazione ed è conseguentemente sanzionata con l’inammissibilità, ai sensi dell’art. 366, n. 4, c.p.c. (principio costante: si veda Cass. 11 novembre 2005, n. 359; ed in motivazione, Cass., sez. un., 20 marzo 2017, n. 7074; più di recente Cass. 24 settembre 2018, n. 22478; 12 gennaio 2024, n. 1341).
Il ricorrente, quanto alla prima doglianza afferente alla mancata ammissione di una C.T.U. contabile ha omesso di indicare la motivazione criticanda, così delegando inammissibilmente questa Corte ad individuare a che cosa dovrebbe riferirsi, mentre è onere del ricorrente provvedervi, atteso che per svolgere qualsiasi motivo di impugnazione, che si correli alla motivazione della decisione impugnata, è necessario identificare quest’ultima.
1.3. A questo primo rilievo, inoltre, si deve aggiungere che quando sia denunciato un ‘error in procedendo’ la S.C. è anche giudice del fatto ed ha il potere di esaminare direttamente gli atti di causa; tuttavia, non essendo il predetto vizio rilevabile ‘ex officio’, è necessario che la parte ricorrente indichi gli elementi individuanti e caratterizzanti il “fatto processuale” di cui richiede il riesame e, quindi, che il corrispondente motivo sia ammissibile e contenga, per il principio di autosufficienza del ricorso ex art. 366, comma primo, n. 6, cod. proc. civ., tutte le precisazioni e i riferimenti necessari ad individuare la dedotta violazione processuale (v. Cass. 2 febbraio 2017, n. 2771; 4 marzo 2005, n. 4741; 23 gennaio 2004, n. 1170).
Il ricorrente nell’esporre la censura in ordine alla mancata ammissione della C.T.U. contabile ha omesso di precisare se tale richiesta fosse stata fatta in primo grado e ribadita in sede di appello con riferimento specifico alla pretesa ‘applicazione di tassi usurari e pratiche anatocistiche’, posto che a pagina 6 del ricorso si legge ‘ in accoglimento ai motivi da 1 a 4, riformare la sentenza impugnata, dichiarando l’avvenuta liberazione ex art. 1956 c.c. del fideiussore odierno appellante, ovvero, in via subordinata, rideterminare il quantum debeatur, anche a seguito di CTU da disporsi, previa compensazione tra le rispettive poste attive e passive, come meglio richiesto nei motivi specifici esposti in narrativa. Conseguentemente, riformare la decisione in tema di spese di lite, e, in via ulteriormente subordinata ‘. Dunque, non risulta alcuna correlazione con le tematiche in tema di usura e anatocismo, né risulta, non avendo il ricorrente riportato i motivi di appello, se fosse stata articolata la riferita doglianza in ordine alla mancata ammissione della consulenza da parte del Tribunale di Velletri.
1.4. Del pari inammissibile è la doglianza svolta nella seconda parte del motivo con riferimento alla motivazione indicata a pagina 10 della sentenza, che evoca l’art. 132, comma secondo, n. 4, cod. proc. civ., senza confrontarsi con il paradigma dell’art. 360, comma primo, n. 5, cod. proc. civ.
La riformulazione dell’art. 360, comma primo, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 d.l. 22 giugno 2012 n. 83, convertito, con modificazioni, in l. 7 agosto 2012 n. 134, è stata interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al «minimo costituzionale» del sindacato di legittimità sulla motivazione; pertanto, è denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; tale anomalia si esaurisce nella «mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico», nella «motivazione apparente», nel «contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili» e nella «motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile», esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di «sufficienza» della motivazione»’ (cfr. Cass., sez. un ., 7 aprile 2014, nn. 8053 e 8054; Cass. 12 ottobre 2017, n. 23940; 25 settembre 2018, n. 22598; 3 marzo 2022, n. 7090).
La sentenza impugnata si sottrae alla svolta censura, posto che esplicita in modo congruente il percorso logico effettuato per escludere la sussistenza della violazione dell’art. 1956 cod. civ. al cospetto di indici significativi in ordine alla piena conoscenza in capo al garante della grave situazione finanziaria e patrimoniale della debitrice principale.
2. Con il secondo motivo è denunciata la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1956 e 1957 cod. civ.
Il ricorrente si duole per aver ritenuto la Corte d’appello infondata ‘l’eccezione di estinzione della garanzia fideiussoria, nonostante l’evidente circostanza per cui la banca avrebbe continuato a mantenere il credito concesso a RAGIONE_SOCIALE, pur conoscendo il sopravvenuto peggioramento delle condizioni patrimoniali della stessa, in violazione dei principi di correttezza e
buona fede nell’esecuzione del contratto e del disposto di cui agli artt. 1956 c.c. e 1957 c.c.’
La fideiussione azionata, inoltre, sarebbe estinta per aver l’istituto di credito agito nei confronti del debitore principale solo con la notifica del decreto ingiuntivo in data 12.9.2014, ben oltre la soglia dei sei mesi a fronte della conoscenza dello stato di crisi desumibile dalla conclamata condizione di crisi di RAGIONE_SOCIALE
2.1. Il motivo è inammissibile ai sensi dell’art. 366, comma primo, n. 6, cod. proc. civ.
In particolare, la doglianza prospettata in termini di mantenimento del credito concesso a RAGIONE_SOCIALE costituisce una questione nuova rispetto a quanto si legge nella sentenza impugnata, allargando l’indagine a profili del tutto diversi da quanto enunciato in motivazione, dove si è fatto riferimento ad un indirizzo consolidato di questa Corte in merito agli elementi di carattere presuntivo che possono escludere la possibilità di configurare una violazione contrattuale liberatoria (v. Cass. n. 12456 del 1997; n. 7587 del 2001; n. 3761 del 2006).
La doglianza relativa alla violazione dell’art. 1957 cod. civ. , invece, risulta aspecifica poiché il ricorrente non ha indicato l ‘avvenuta deduzione nell’ambito dello svolgimento del processo in primo e secondo grado , precisando l’avvenuta rappresentazione della mancata escussione del debitore principale (è evidente che per un refuso è stato indicato al suo posto il fideiussore) entro sei mesi dalla conoscenza dello stato di crisi, spiegando come nel corso del giudizio a quel momento, neanche precisato, si sarebbe dovuto ritenere scaduta l’obbligazione principale.
Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
Il ricorrente soccombente va anche condannato al pagamento, in favore della controricorrente vittoriosa, di una somma che si stima equo determinare in misura pari ai compensi calcolati sulle spese processuali (oltre interessi legali
dalla data di pubblicazione della presente sentenza al saldo), ai sensi dell’art.96, terzo comma, cod. proc. civ.
La proposizione di un mezzo di gravame del tutto inammissibile, con doglianze dirette a censurare l’apprezzamento di fatto operato dal giudice di merito nell’ambito di una doppia pronuncia di conformità, in assenza di alcuna argomentazione idonea ad evidenziare vizi di legittimità della sentenza impugnata, costituisce indice di colpa grave e si traduce in una condotta processuale contraria ai canoni di correttezza, nonché idonea a determinare un ingiustificato sviamento del sistema processuale dai suoi fini istituzionali, ponendosi in posizione incompatibile con un quadro ordinamentale che, da una parte, deve universalmente garantire l’accesso alla tutela giurisdizionale dei diritti (art.6 CEDU) e, dall’altra, deve tenere conto del principio costituzionale della ragionevole durata del processo e della conseguente necessità di strumenti dissuasivi rispetto ad azioni meramente dilatorie, defatigatorie o pretestuose. Tale condotta, integrando gli estremi dell”abuso del processo’, si presta, dunque, nella fattispecie, ad essere sanzionata con la condanna della parte ricorrente soccombente al pagamento, in favore della controparte resistente vittoriosa, di una somma equitativamente determinata, ai sensi dell’art. 96, terzo comma, cod. proc. civ. (Cass. 4 agosto 2021, n. 22208; 21 settembre 2022, n. 27568; 5 dicembre 2022, n. 35593).
P.Q.M.
La Corte dichiara il ricorso inammissibile. Condanna il ricorrente al pagamento in favore della controricorrente: delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi euro 12.200,00, di cui euro 12.000,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge; della somma di euro 12.000,00 ex art. 96, comma terzo, cod. proc. civ.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, al competente ufficio di merito, del l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Terza sezione civile della