Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 14924 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 14924 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 04/06/2025
sul ricorso 9049/2021 proposto da:
COGNOME NOME COGNOME NOME e COGNOME NOME COGNOME rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
BANCA NAZIONALE DEL LAVORO
-intimata – verso la sentenza della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI n. 53/2021 depositata il 01/02/2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 24/04/2025 dal Cons. Dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. Gli odierni ricorrenti, nella loro qualità di fideiussori della RAGIONE_SOCIALE ricorrono per cassazione, sulla base di quattro motivi ai quali non ha inteso replicare la banca intimata, avverso la sopra riportata sentenza con la quale la Corte di appello di Cagliari, pronunciando sul gravame da loro interposto avverso l’impugnata decisione di primo grado, che ne aveva respinto l’opposizione al decreto ingiuntivo notificato dalla banca sul presupposto dello scoperto di conto imputato alla società debitrice, ha rigettato il proposto atto di gravame -concordando, segnatamente, con la qualificazione impressa al rapporto dal primo giudice che, in ragione delle clausole in esso richiamate, aveva ritenuto di dovervi riconoscere non già una fideiussione, ma un contratto autonomo di garanzia, con la conseguenza che era perciò preclusa ai garanti ogni facoltà di opporre le eccezioni relative al rapporto sottostante -ed ha confermato quindi la decisione impugnata anche nella parte in cui questa aveva disposto la maggiorazione di 1/3 nella liquidazione delle spese a favore della parte vittoriosa.
Il Procuratore Generale ha fatto conoscere le proprie requisitorie per iscritto concludendo per l’accoglimento del secondo motivo di ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
2.1. Il primo motivo di ricorso deduce la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 2, 14, 20, 33 e 34 l. 10 ottobre 1990, n. 287, dell’art. 41 Cost., dell’art. 101 TUE, degli artt. 1419, 2697 e 2729 cod. civ. e degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., nonché del principio di diritto enunciato dall’ordinanza di questa Corte 29810/2017, vero che, benché si fosse eccepita anche in sede di
gravame la decadenza di cui all’art. 1957 cod. civ., la sentenza impugnata si era limitata ad affrontare la sola questione della qualificazione giuridica del rapporto quando in materia, atteso che lo schema negoziale utilizzato dalla banca intimata ripeteva il modello sanzionato da Banca d’Italia per contrarietà alla disciplina antitrust con il provvedimento 55 del 2005, si sarebbe dovuto ritenere che la rinuncia ai termini di cui all’art. 1957 cod. civ. in quanto contrastante con l’art. 2, comma 2, lett. a), l. 287/1990 era affetta da nullità.
2.2. Il motivo è inammissibile per mancato assolvimento dell’onere di cui all’art. 366 n. 6 c.p.c. .
Va premesso che non risulta in modo specifico indicata la proposizione di un motivo di appello avente ad oggetto la questione dell’art. 1957 c.c..
E’ ben vero, quantunque l’esposizione dei ricorrenti non illustri questo profilo, che per gli insegnamenti dispensati da SS.UU 26242/2014 e 26243/2014, la nullità del contratto possa essere pronunciata d’ufficio anche in sede di legittimità, ma, come ormai comunemente si afferma -da ultimo così in motivazione Cass. 19401/24 -questo principio deve essere applicato tenendo presenti le regole generali del processo civile e la relativa tempistica, onde evitare che l’esercizio di un potere officioso consenta alle parti di rimettersi in pista -per così dire -quando i fatti costitutivi del lamentato vizio negoziale da esaminare ex officio avrebbero potuto e dovuto essere tempestivamente allegati, onde consentire al giudice la necessaria valutazione in diritto. Qualora i fatti costitutivi della dedotta nullità negoziale non risultino già allegati in toto dalla parte che la invoca successivamente, difatti, non è consentito al giudice, in qualsiasi stato e grado del processo, procedere d’ufficio a tali accertamenti, la rilevabilità officiosa della nullità essendo circoscritta alla sola valutazione in iure dei fatti già allegati.
2.3. Nel caso in esame, l’accertamento sulla fondatezza, o meno, dell’eccezione di nullità a cui avrebbe dovuto procedere il giudice d’appello -riguardante, secondo quello che ora si deduce, la nullità della prestata fideiussione per violazione della normativa antitrust -poggia su circostanze fattuali (concernenti, tra l’altro: il contenuto delle clausole contrattuali di cui si invoca la nullità; la loro esatta corrispondenza con quelle oggetto di esame da parte della Banca d’Italia nel provvedimento in precedenza richiamato; la concreta riferibilità di quanto sancito in quest’ultimo, frutto di accertamenti che avevano riguardato un intervallo temporale ricompreso tra il 2002 ed il 2005, ad un contratto di fideiussione stipulato, solo successivamente ad esso,; la circostanza che parte ricorrente certamente non avrebbe sottoscritto quella fideiussione in assenza delle clausole contestate) che gli odierni ricorrenti avrebbero dovuto ritualmente introdurre e chiedere di provare indicando i mezzi istruttori da utilizzarsi a tale scopo, già in primo grado. La quaestio nullitatis , pur astrattamente proponibile al di là delle preclusioni ormai maturatesi, avrebbe, sì, obbligato il giudice a rilevarne l’eventuale fondatezza, o meno, ma sempre che i fatti costitutivi del vizio denunciato fossero stati già tempestivamente allegati e dimostrati, onde legittimare una decisione fondata su quegli stessi fatti e soltanto su quelli, non essendo più consentito al giudice di appello alcun accertamento fattuale se non in violazione del principio del contraddittorio.
2.4. Poiché la prospettazione ricorrente in parte qua non va oltre una generica e sommaria enunciazione e risulta, dunque, al riguardo manifestamente lacunosa -come bene ha sottolineato il PG rilevando, tra l’altro, che «non si ha contezza se negli atti processuali vi sia il provvedimento BdI n. 55/2005» -inevitabile ne è la declaratoria di inammissibilità appunto per difetto di autosufficienza.
3.1. Il secondo motivo di ricorso deduce la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 1322, comma 2, 1325, 1418 e 1936 cod. civ. per l’erronea qualificazione del contratto come contratto autonomo di garanzia, vero che, se la sentenza impugnata avesse utilizzato il principio ermeneutico del dato testuale contenuto nel negozio, non avrebbe potuto astenersi dal prendere atto del rapporto di dipendenza corrente tra la sottoscrizione della fideiussione e l’apertura di credito accordata alla società, sì che la contraria conclusione a cui è pervenuto il decidente di merito, negando il vincolo di accessorietà tra i due negozi, è del tutto avulsa dalla realtà.
3.2. Il motivo è inammissibile perché volto a sollecitare una rivalutazione dell’apprezzamento in fatto condotto dal giudice di merito.
Com’è noto l’interpretazione del contratto si traduce in un’operazione di accertamento della volontà dei contraenti che non può che competere al giudice di merito e si risolve perciò in una indagine censurabile per cassazione per violazione delle regole ermeneutiche, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ. ovvero per inadeguatezza della motivazione ex art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ. nella formulazione antecedente alla novella di cui art. 54, comma 1, lett. b), d.l. 22 giugno 2012, n. 83 convertito dalla l. 7 agosto 2012, n. 134 oppure -nel vigore del testo novellato -nella ipotesi di omesso esame di un fatto decisivo e oggetto di discussione tra le parti (Cass., Sez. III, 14/07/2016, n. 14355). In particolare, allorché si alleghi che nell’interpretazione del contratto il giudice sia incorso in un errore di diritto per aver violato i criteri enunciati a tal fine negli artt. 1362 e segg. cod. civ., è necessario, ai fini dell’ammissibilità del ricorso, che in esso siano motivatamente specificati i suddetti canoni ermeneutici in concreto violati, nonché il punto ed il modo in cui giudice del merito si sia da essi discostato, con
la conseguenza che la parte ricorrente è tenuta, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso, a riportare in quest’ultimo il testo della fonte pattizia denunciata al fine di consentirne il controllo da parte della Corte di cassazione, che non può sopperire alle lacune dell’atto di impugnazione con indagini integrative (Cass., Sez. U, 8/05/2007, n. 10374). E tuttavia, quand’anche il ricorso soddisfi questo onere di autosufficienza, nondimeno esso si rende perciò scrutinabile dal momento che, trattandosi di giudizio declinato in fatto, l’interpretazione data dal giudice di merito di un contratto non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili, e plausibili, interpretazioni; sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra (Cass., Sez. III, 20/11/2009, n. 24539). La censura a tale titolo formulata non deve in altre parole risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata (Cass., Sez. III, 28/11/2017, n. 28319), in quanto il il sindacato di legittimità non può investire il risultato interpretativo in sé, che appartiene all’ambito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito, ma afferisce solo alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica e della coerenza e logicità della motivazione addotta, con conseguente inammissibilità di ogni critica alla ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca in una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto da questi esaminati (Cass., Sez. III, 10/02/2015, n. 2465).
3.3. Questo, segnalato dalle massime da ultimo richiamate, è esattamente il vizio che infirma la doglianza esposta del ricorrente principale nel motivo in disamina. La censura ha ad oggetto
direttamente il risultato interpretativo. Inoltre, la censura appare generica per mancata specificazione del contenuto delle clausole.
Occorre perciò dissentire dalle conclusioni di diverso segno patrocinate dal P.G. E’ certo vero, come ancora di recente si è ribadito, che la mera clausola “pagamento immediato a semplice richiesta scritta” non vale di per sé sola a veicolare l’interpretazione del negozio di garanzia in una direzione obbligata; ma, come pure si è ammonito nell’occasione, poiché il compito del giudice di merito è in questa ipotesi quello di accertare la relazione causale tra l’obbligazione di garanzia e l’obbligazione garantita, l’ermeneusi a cui egli è chiamato prende forma e si compie per mezzo degli ordinari strumenti interpretativi che rientrano nella sua disponibilità (Cass., Sez. I, 4/12/2024, n. 31105). Ne consegue, allora, che, allorché, come nel caso che ne occupa l’interpretazione resa dal decidente di merito si valga di più riscontri testuali (cfr. pag. 7 della motivazione), tutti «indicativi della volontà delle parti di far sorgere un contratto autonomo di garanzia» da qualificarsi perciò come tale, tanto più per il difetto di previsioni contrarie, allorché, cioè, l’ermeneusi va oltre la sola clausola “a prima richiesta” per dar conto di un ordito negoziale che vuole conferire all’obbligazione di garanzia uno statuto di autonomia rispetto all’obbligazione garantita, orbene in tal caso nessun rimprovero può muoversi alla decisione che se ne faccia interprete perché il suo responso ricade esattamente nel perimetro dell’ordinaria insindacabilità dell’attività interpretativa.
4.1. Il terzo motivo di ricorso deduce la nullità della sentenza impugnata per violazione e omessa applicazione dell’art. 1815, comma 2, cod. civ. e della l. 7 marzo 1996, n. 108 vero che la sentenza impugnata, benché si fosse eccepita l’applicazione nella specie di interessi ultralegali e di interessi usurari, aveva rigettato
implicitamente ovvero in modo immotivato la formulata istanza di CTU.
4.2. Il motivo, ricondotto alla sua reale radice di doglianza in fatto, è inammissibile perché inteso a sindacare la discrezionalità del giudice di merito.
E’ vero, infatti, che, come si afferma da sempre, il giudizio sulla necessità e utilità di far ricorso allo strumento della consulenza tecnica d’ufficio rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, la cui decisione è censurabile per cassazione unicamente ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., tra l’altro con il limite ove applicabile della “doppia conforme” (ex plurimis, Cass., Sez. IV, 25/08/2023, n. 25281).
Deve aggiungersi che il motivo di appello è stato ritenuto privo del requisito di specificità e tale ratio decidendi non solo non è stata specificatamente impugnata, ma non risulta neanche indicato in modo specifico il contenuto dell’atto di appello, risultando solo menzionata la consulenza di parte.
5.1. Il quarto motivo di ricorso deduce la nullità della sentenza per omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, per violazione del principio del giusto processo ex art. 111 Cost. e per vizio di motivazione, vero che la sentenza impugnata, benché ne fosse stata sollecitata con il terzo capo dei gravame, aveva omesso di pronunciarsi sulla maggiorazione nella misura di 1/3 accordata dal primo giudice nella liquidazione degli onorari a favore della parte vittoriosa in ragione della ritenuta manifesta fondatezza delle difese di questa, determinazione censurata per ultroneità e illogicità tenuto conto delle risultanze processuali.
Il motivo, debitamente riqualificato o comunque ricondotto al mero vizio di motivazione omessa, è fondato in quanto la Corte di appello
non ha statuito sul motivo di gravame, sì che la sentenza risulta per questo viziata o da omessa pronuncia o da motivazione omessa.
5.2. Nell’accoglierlo, tuttavia, il corrispondente motivo di appello, non rendendosi necessario procedere ad ulteriori accertamenti d fatto anche in ossequio al principio della ragionevole durata del processo, si rende statuibile nel merito e può essere rigettato sulla scorta delle motivazioni in tal guisa enunciate dalla sentenza di primo grado, che vanno qui integralmente condivise.
In conclusione vanno dichiarati inammissibili il primo, il secondo ed il terzo motivo di ricorso; va accolto il quarto motivo di ricorso e, cassata nei limiti del motivo accolto la sentenza impugnata, la causa può essere decisa nel merito con il rigetto del terzo motivo di appello, confermate le spese ivi liquidate.
Le spese del presente giudizio, stante il limitato accoglimento del ricorso ed il contenuto della pronuncia di merito in questa sede, possono essere compensate.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili il primo, il secondo ed il terzo motivo di ricorso; accoglie il quarto, cassa l’impugnata sentenza nei limiti del motivo accolto e, decidendo nel merito, rigetta il terzo motivo di appello; conferma la liquidazione delle spese del giudizio di appello e compensa integralmente le spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della I sezione civile il