Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 18005 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 18005 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 02/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 27442/2020 R.G. proposto da: COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE unitamente all’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE, domicilio digitale ex lege ;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE già RAGIONE_SOCIALE in persona del procuratore speciale, NOME COGNOME elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende;
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO MILANO n. 1953/2020, depositata il 22/07/2020 e notificata in data 24/07/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 09/06/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME adiva il Tribunale di Milano per far accertare che le fideiussioni rilasciate a garanzia dei contratti di leasing VS951690, VS951702, VS951703, VS951704, VS951705, VS951707, VS951709, VS951710, VS951713, VS951714, VS951715, VS951716, VS951717, VS951718, VS951719, VS951720, VS951723, VS951725, VS951726 e VS951727, stipulati da RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALEgià RAGIONE_SOCIALE recavano una firma falsa, che erano estinte ex art. 1957 cod.civ. o ex art. 1526 cod. civ. e che erano affette da nullità in quanto conformi allo schema di contratto predisposto dall’Associazione Bancaria Italiana nel 2003, secondo un modello di fideiussione omnibus che Banca d’Italia, con provvedimento n. 55 del 2 maggio 2005, aveva ritenuto contrastante con il divieto di intese anticoncorrenziali ex art. 2, comma 2, lett. a), della l. n. 287/1990.
Con la sentenza n. 700212019, all’esito della C.T.U. grafologica disposta per la verificazione delle firme, che aveva ritenuto le stesse inequivocabilmente autografe, il Tribunale di Milano rigettava tutte le domande, ritenendo la deroga all’art. 1957 cod.civ. specificamente approvata ex art. 1341, secondo comma, cod. civ. (clausola 8), rinunciate le eccezioni, non sussistente la prova della escussione abusiva della garanzia, superflua l’invocazione dell’applicazione anche analogica dell’art. 1526 cod.civ., in assenza di prova della risoluzione dei contratti di leasing e della restituzione dei beni e di domande di accertamento dei rapporti dare-avere da parte della convenuta su cui pronunciare
o richieste di equo compenso, tardiva, e quindi inammissibile, l’eccezione di nullità derivata della clausola di deroga all’art. 1957 cod.civ. in quanto fondata su fatti (presenza di una intesa anticoncorrenziale) accertati nel 2005 e introdotti nel presente giudizio solo con la comparsa conclusionale depositata in data 11/03/2019 e quindi nuovi e comunque non provati, non essendo stati prodotti i provvedimenti delle Autorità Garanti non conoscibili tramite lo jura novit curia .
La Corte d’appello di Milano, con la sentenza n.1953/2020, depositata il 22/07/2020 e notificata in data 24/07/2020, ha confermato la decisione del tribunale, ritenendo che: i) alla vicenda per cui è causa non fosse applicabile il regime della nullità di cui al provvedimento n. 55 emanato dalla Banca d’Italia in data 02.05.2005, in ragione del contrasto dello stesso con l’art. 2 della L. n. 287/90, in materia di concorrenza, atteso che le fideiussioni per cui è causa si riferivano ad una pluralità di contratti di leasing di autoveicoli, quindi, non avevano ad oggetto operazioni bancarie, né obbligazioni future, bensì un credito esattamente individuato, diversamente da quanto avviene nelle fideiussioni omnibus o per obbligazioni future; ii) essendo le obbligazioni assunte dall’appellante derivanti da contratti autonomi di garanzia (infatti, l’art. 5 prevedeva che “ciascuno dei Fideiussori dovrà pagare immediatamente a Locat, a semplice richiesta scritta ed anche in caso di opposizione da parte del Cliente, tutto quanto Locat indicherà come dovutole in relazione al Contratto”) e avendo il garante rinunciato espressamente, ex art. 7, ad avvalersi della facoltà di opporre le eccezioni di cui all’art. 1945 cod.civ., di cui all’art. 1955 cod. civ. e al beneficio della preventiva escussione del cliente, non operava quanto prescritto dall’art. 1957 cod.civ., là dove impone al creditore di attivarsi contro il debitore principale entro 6 mesi dalla scadenza dell’obbligazione principale, per cui risultava irrilevante il mancato rispetto del periodo semestrale; iii)
essendosi l’appellante obbligato a “pagare immediatamente a RAGIONE_SOCIALE, a semplice richiesta scritta ed anche in caso di opposizione da parte del Cliente, tutto quanto Locat indicherà come dovutole in relazione al Contratto”, aveva rinunciato ad avvalersi della possibilità di opporre le eccezioni relative al rapporto sottostante; iv) non poteva applicarsi neanche analogicamente la disciplina di cui all’art. 1526 cod.civ., dettato in materia di vendita con riserva della proprietà, con conseguente obbligo, in capo alla società di leasing di restituzione dei canoni incassati, salvo il diritto all’equo compenso per l’utilizzo del bene, attesi il superamento della distinzione di matrice giurisprudenziale tra i due tipi di leasing , traslativo e di godimento, e la regolamentazione dell’istituto ad opera della l. n. 124/2017, che valorizza la funzione prevalentemente finanziaria del leasing , nettamente diversa dalla causa della vendita con riserva di proprietà, rilevando, in aggiunta, che l’ appellante non aveva mai restituito o offerto di restituire i beni oggetto dei contratti di leasing , sicché non aveva comunque titolo per invocare la previsione dell’art. 1526 cod. civ.; v) non richiedendosi particolari relazioni con il debitore principale per giustificare l’assunzione di una valida garanzia e neppure potendosi dubitare della riferibilità delle sottoscrizioni all’appellante, giusta l’esito della C.T.U. grafologica, era del tutto irrilevante che all’epoca dei fatti egli non rivestisse ruoli né di socio né di amministratore della società garantita.
NOME COGNOME ricorre per la cassazione di detta decisione, formulando tre motivi, illustrati con memoria.
RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso.
La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380 -bis 1. cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si denunziano la violazione e falsa applicazione dell’art. 345 cod.proc.civ., in relazione all’art. 360, 1° comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere la corte territoriale disatteso l’eccezione di nullità delle fideiussioni prestate per essere state redatte sulla base dello schema ABI ritenuto dalla Banca d’Italia contrastante con l’art. 2 della l. n. 287/1990, ritenendo detta disciplina inapplicabile al caso in esame.
La censura è infondata.
Occorre evidenziare che il provvedimento n. 55 del 2005 della Banca d’Italia concerne le sole fideiussioni omnibus (tra le tante, Cass. 15/07/2024, n. 19401), onde la parte istante non può pretendere di ricavare da esso la nullità di una intesa restrittiva atta a incidere su contratti di garanzia di diverso contenuto: in caso di stipula di contratti non riconducibili alle fideiussioni omnibus chi eccepisce la nullità è tenuto a dimostrare l’illecito antritrust senza potersi avvalere di alcuna prova privilegiata, inerendo questa a un accordo anticoncorrenziale che riguarda, per l’appunto, le sole fideiussioni omnibus , e non altri negozi.
D’altro canto -di qui un ulteriore profilo di infondatezza del motivo – la corte di merito ha evidenziato che l’eccezione basata sulla detta disposizione andava respinta stante la natura autonoma della garanzia prestata: e il rilievo è corretto in diritto, posto che il contratto autonomo di garanzia reca come connotato fondamentale l’assenza di accessorietà dell’obbligazione del garante rispetto a quella dell’ordinante, essendo la prima qualitativamente diversa dalla seconda, oltre che rivolta non al pagamento del debito principale, bensì ad indennizzare il creditore insoddisfatto mediante il tempestivo versamento di una somma di denaro predeterminata, sostitutiva della mancata o inesatta prestazione del debitore; ne consegue, pertanto, la generale inapplicabilità a tale contratto del disposto dell’art. 1957 cod. civ., salvo diversa specifica pattuizione
intercorsa tra le parti, purché compatibile con le restanti clausole contrattuali (v. Cass., sez. 1, 16/10/2024, n. 26847).
2) Con il secondo motivo il ricorrente prospetta, in rubrica, la violazione e falsa applicazione dell’art. 1957 cod. civ., in relazione al combinato disposto dell’art. 360, primo comma, n. 3 e n. 4, cod. proc. civ., ma, nell’illustrazione del motivo, espressamente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 1957 cod. civ., ai sensi del combinato disposto dei nn. 3 e 5 dell’art. 360 cod. proc civ. (v. pag. 16 del ricorso), per avere la corte d’appello confermato la sentenza del tribunale nella parte in cui aveva ritenuto legittimamente derogata (anche ai sensi dell’art. 1341 cod. civ.) la disciplina di cui all’art. 1957 cod. civ., considerando la censura oltre che infondata in fatto e in diritto «inequivocabilmente in contrasto proprio con quella norma asseritamente posta a base della sentenza stessa» (p. 18 del ricorso).
Il motivo è inammissibile.
La corte ha ritenuto la decadenza, sancita dall’art. 1957 cod. civ., del creditore dal diritto di pretendere l’adempimento dell’obbligazione fideiussoria, per effetto della mancata tempestiva proposizione delle azioni contro il debitore principale, preventivamente e legittimamente rinunciata dal fideiussore anche ai sensi dell’art. 1341, secondo comma, cod. civ. Detta statuizione è in linea con la giurisprudenza di questa Corte e non è stata efficacemente confutata dal ricorrente che, in parte, ripropone la tesi della nullità della clausola di deroga in forza dell’applicazione del provvedimento n. 55/2005 della Banca d’Italia (v. p. 17 del ricorso), in parte, evoca giurisprudenza inconferente relativa al dies a quo del termine semestrale, disinteressandosi del tutto della statuizione della corte d’appello.
Il che condanna all’inammissibilità il motivo per violazione dell’art. 366, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., perché per denunciare la ricorrenza di un error in iudicando sarebbe stato necessario
dedurre, mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, non permettendo altrimenti a questa Corte di adempiere al compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (v. Cass., sez. 6 – 3, 26/06/2013, n. 16038; Cass., sez. 6 -5, 01/12/2014, n. 25419; Cass., sez. L, 12/01/2016, n. 287; Cass., sez. 3, 26/07/2024, n. 20870). A nulla vale, peraltro, il fatto che nella memoria depositata in vista dell’odierna camera di consiglio il ricorrente deduca, comunque infondatamente (v. Cass., sez. 1, 17/02/2025, n. 3989, secondo cui «La decadenza sancita dall’art. 1957 c.c. del creditore dal diritto di pretendere l’adempimento dell’obbligazione fideiussoria, per effetto della mancata tempestiva proposizione delle azioni contro il debitore principale, può essere preventivamente rinunciata dal fideiussore, trattandosi di pattuizione rimessa alla disponibilità delle parti e che non ha natura vessatoria) , la imperatività della previsione dell’art. 1957 cod.civ.
La censura nella parte in cui denuncia la violazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., è inammissibile per plurime concorrenti ragioni: il mancato superamento della preclusione processuale di cui all’art. 348 ter ult. comma, cod. proc. civ., l’assenza di un fatto rilevante come omesso ai sensi del vizio denunciato, il quale è relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il “fatto
storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività” (Cass., Sez. Un., 7/04/2014, n. 8053). Si evidenzia, altresì, che costituisce un “fatto”, agli effetti dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., non una “questione” o un “punto”, ma un vero e proprio “fatto”, in senso storico e normativo, un preciso accadimento ovvero una precisa circostanza naturalistica, un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante (Cass., sez. 6 -1, 6/09/2019, n. 22397; Cass., sez. 1, 8/09/2016, n. 17761; Cass., Sez. Un., 23/03/2015, n. 5745; Cass., sez. 1, 4/04/2014, n. 7983; Cass., sez. 1, 5/03/2014, n. 5133). Non costituiscono, viceversa, “fatti”, il cui omesso esame possa cagionare il vizio di cui alla richiamata norma del codice di rito le argomentazioni, supposizioni o deduzioni difensive (Cass., sez. 1, 18/10/2018, n. 26305; Cass., sez. 2, 14/06/2017, n. 14802); gli elementi istruttori (Cass., Sez. Un., 7/04/2014, n. 8053); una moltitudine di fatti e circostanze, o il “vario insieme dei materiali di causa” (Cass., sez. L, 21/10/2015, n. 21439; Cass., sez. 2, 29/10/2018, n. 27415; Cass., sez. 3, 14/09/2022, n. 27076; Cass., sez. 3, 25/07/2023, n.22273).
3) Con il terzo motivo parte ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione degli artt. 1526 e 1945 cod.civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 e n. 5, cod. proc. civ.
La tesi sostenuta è che, essendo incontestato che nella specie si trattava di leasing traslativi, una volta risolti i contratti, il concedente aveva l’obbligo di restituire i canoni percepiti, salvo il diritto ad un equo compenso, e l’utilizzatore quello di restituire il bene; di talché era da ritenere invalida ogni clausola negoziale che, in caso di risoluzione del contratto, conferisse al concedente il diritto di trattenere i canoni percepiti, con la conseguenza che la mancata restituzione dei canoni incassati poteva legittimare la
proposizione dell’eccezione di inadempimento di cui all’art. 1460 cod.civ.
La corte d’appello, omettendo di qualificare i contratti garantiti con fideiussione come leasing traslativi, avrebbe consentito erroneamente al concedente di non restituire i canoni percepiti.
Il motivo è inammissibile.
La statuizione con cui la corte territoriale ha disatteso la tesi dell’estinzione del debito ante causam , fondata sull’applicazione analogica dell’art. 1526 cod. civ., si è basata su due autonome rationes decidendi : a) il superamento della distinzione tra leasing traslativo e leasing di godimento e la regolamentazione dell’istituto con la l. n. 124/2017; b) la mancata restituzione e la mancata offerta di restituzione dei beni oggetto dei contratti di leasing , accompagnata dalla precisazione che era da condividere la sentenza del tribunale là dove aveva affermato che «le discettazioni sull’applicabilità (anche analogica) dell’art. 1526 cod.civ. risultano superflue/ considerato che parte attrice non ha provato quando i contratti di leasing siano stati risolti né se i beni siano stati restituiti; per cui non è possibile effettuare alcun calcolo; né sussistono domande di accertamento dei rapporti dareavere da parte della convenuta su cui pronunciare o richieste di equo compenso da parte di questa da cui far dipendere le conseguenziali e subordinate istanze dell’attore. Per tutti questi motivi, la domanda di accertamento negativo del credito altrui da parte di un garante autonomo è priva di prova liquida e non può essere accolta».
Costituisce principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte quello per il quale l’impugnazione di una decisione basata su una motivazione strutturata in una pluralità di ordini di ragioni, convergenti o alternativi, autonomi l’uno dallo altro, e ciascuno, di per sé solo, idoneo a supportare il relativo dictum , per poter essere ravvisata meritevole di ingresso, deve risultare articolata in uno
spettro di censure tale da investire, e da investire utilmente, tutti gli ordini di ragioni cennati, posto che la mancata critica di uno di questi o la relativa attitudine a resistere agli appunti mossigli comporterebbero che la decisione dovrebbe essere tenuta ferma sulla base del profilo della sua ratio non, o mal, censurato e priverebbero il gravame dell’idoneità al raggiungimento del suo obiettivo funzionale, rappresentato dalla rimozione della pronuncia contestata (cfr., tra le pronunce massimate, più recenti Cass., sez. 3, 26/02/2024, n. 5102).
Del tutto inesplicata è rimasta, invece, la deduzione di violazione dell’art. 1945 cod. civ., perché il ricorrente omette di spiegare per quali ragioni la decisione gravata si porrebbe in contrasto con la disposizione normativa evocata, sicché, anche sotto tale profilo, la censura non si sottrae alla declaratoria d’inammissibilità.
All’inammissibilità ed infondatezza dei motivi consegue il rigetto del ricorso.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate in favore della controricorrente nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore della controricorrente che liquida in euro 5.500,00, per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115, come modif. dalla l. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente all’ufficio del merito competente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.