Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 26847 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 26847 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 16/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. R.NUMERO_DOCUMENTO. NUMERO_DOCUMENTO anno 2023 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE NOME, RAGIONE_SOCIALE, COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che li rappresenta e difende;
ricorrente
contro
RAGIONE_SOCIALE, rappresentata da RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliati in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che li rappresenta e difende;
contro
ricorrente
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE, FININT REVALUE
intimate
avverso la SENTENZA n. 2/2023 emessa da CORTE D’APPELLO ANCONA.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18 settembre 2024 dal consigliere relatore NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
─ Tribunale di Ancona ha rigettato l’opposizione proposta da RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME e NOME COGNOME avverso il decreto ingiuntivo con il quale RAGIONE_SOCIALE aveva ingiunto alla RAGIONE_SOCIALE, quale debitrice principale, e ai garanti di quest’ultima il pagamento della somma complessiva di euro 3.891.725,08 a titolo di canoni non pagati, di interessi moratori maturati e di penale contrattuale.
2 . ─ Il gravame proposto avverso detta pronuncia è stato respinto dalla Corte di appello di Ancona con sentenza del 2 gennaio 2023.
A seguito della proposizione del ricorso per cassazione da parte di NOME COGNOME, NOME COGNOME e RAGIONE_SOCIALE, cui resiste RAGIONE_SOCIALE attraverso la procuratrice RAGIONE_SOCIALE, è stata formulata, da parte del Consigliere delegato allo spoglio, una proposta di definizione del giudizio a norma dell’art. 380 -bis c.p.c.. A fronte di essa, il difensore della parte ricorrente ha domandato la decisione della causa e ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
-La proposta ha il tenore che segue:
« a Corte di appello di Ancona, confermando la sentenza di primo grado, ha ritenuto che: a) è corretta la qualificazione, operata dal Tribunale, del negozio come contratto autonomo di garanzia, come era compito del giudice valutare senza nessuna ultrapetizione, contenendo esso una pluralità di clausole che depongono per l’assenza
di accessorietà, laddove l’art. 1370 c.c. si applica come clausola di chiusura solo in caso di interpretazione dubbia, sussiste nel caso di specie; b) non è quindi fondata la pretesa di declaratoria di nullità della garanzia per pretesa conformità allo schema ABI sanzionato per violazione della normativa anticoncorrenziale, in quanto si tratta di garanzia autonoma e quelle clausole non sono affatto presenti; c) non sussiste nullità del contratto di leasing per violazione del divieto di patto commissorio ex art. 2744 c.c., dovendo condividersi la valutazione fattuale del primo giudice circa l’assenza di elementi probatori al riguardo, a cominciare dall’inesistenza di un rapporto di debito -credito fra le parti, di una situazione di difficoltà economica della venditrice e della sproporzione tra i valori; d) l’eccezione di nullità della clausola 21 delle c.g.c. sulla penale è rimasta aspecifica e indeterminata, dunque inammissibile, come già ritenuto dal Tribunale, in quanto formulata come mera conseguenza della pretesa nullità del contratto ai sensi dell’art. 2744 c.c.; e) il riallocamento del bene a terzi, da parte di RAGIONE_SOCIALE, resta irrilevante al fine della pretesa estinzione degli elementi accessori del precedente contratto di locazione in applicaz ione analogica dell’art. 1232 c.c., che l’appellante pretenderebbe, ed è assorbente considerare che il contratto autonomo di garanzia comunque, per la sua assenza di accessorietà, non sarebbe soggetto comunque ad estinzione; inoltre, non vi è prova della corresponsione dei canoni; f) tale natura del negozio induce al rigetto dei motivi concernenti la decadenza ex art. 1957 c.c. e gli altri che su di una diversa qualificazione si fondano;
«il primo motivo, che deduce violazione degli artt. 1370 c.c., 112, 115 c.p.c., perché la C orte d’appello ha qualificato il contratto come garanzia autonoma, è inammissibile, in quanto ripropone un giudizio sul fatto, uniformemente compiuto nei due gradi di merito;
«il secondo motivo, che deduce violazione degli articoli predetti e dell’art. 1957 c.c., è inammissibile, in quanto confusamente censura la
sentenza impugnata perorando la nullità del contratto per violazione della normativa antitrust, senza confrontarsi gli argomenti in motivazione della sentenza impugnata; lo stesso motivo, laddove deduce violazione dell’art. 1232 c.c., per non avere la Corte territoriale ritenuto estinta la garanzia, è inammissibile, sia in quanto ripropone un giudizio sul fatto, sia perché non coglie e non supera la ratio decidendi della sentenza impugnata, la quale ha ritenuto che il contratto autonomo di garanzia, privo di accessorietà, in nessun caso sarebbe soggetto ad estinzione ai sensi della norma menzionata, e che neppure sia provato il pagamento di canoni;
«il terzo motivo, che deduce ancora violazione degli artt. 1370 c.c., 112, 115 c.p.c., nonché dell’art. 2744 c.c., per non avere la Corte d’appello, al pari del primo giudice, accertato in concreto la conclusione di un patto commissorio illecito, è inammissibile, in quanto si scontra contro gli accertamenti in fatto operati, irripetibili in sede di legittimità»;
-Il Collegio reputa condivisibili tali argomentazioni, che resistono ai rilievi critici formulati dalla parte ricorrente.
Merita solo di aggiungere, con riguardo al primo mezzo, che la sentenza impugnata ha operato un’attenta ricognizione del programma contrattuale pervenendo alla conclusione che in esso era in sintesi operata una rinuncia del garante a frapporre eccezioni alle pretese avanzate dal creditore; tale attività accertativa è riconducibile all’ interpretazione del contratto, essendo diretta alla ricostruzione della volontà delle parti: e l’interpretazione del contratto si risolve in un giudizio di fatto, riservato al giudice di merito, non censurabile in cassazione, distinta da quella di qualificazione di tale volontà, ossia la sua riconduzione a un tipo legale o la qualificazione in termini di contratto atipico, che, invece, è giudizio censurabile in sede di legittimità (per tutte: Cass. 9 maggio 2022, n. 14550). Quanto, poi, alla lamentata mancata applicazione dell’art. 1370 c.c., è sufficiente
ricordare che le regole legali di ermeneutica contrattuale sono governate da un principio di gerarchia, in forza del quale i criteri degli artt. 1362 e 1363 c.c. prevalgono su quelli integrativi degli artt. 13651371 c.c., posto che la determinazione oggettiva del significato da attribuire alla dichiarazione non ha ragion d’essere quando la ricerca soggettiva conduca ad un utile risultato ovvero escluda da sola che le parti abbiano posto in essere un determinato rapporto giuridico (Cass. 24 gennaio 2012, n. 925; Cass. 22 marzo 2010, n. 6852).
In relazione al secondo motivo, occorre evidenziare che il provvedimento n. 55 del 2005 della Banca d’Italia concerne le sole fideiussioni omnibus (cfr. Cass. 15 luglio 2024, n. 19401) , onde la parte istante non può pretendere di ricavare da esso la nullità di una intesa restrittiva atta a incidere su contratti di garanzia di diverso contenuto: in caso di stipula di contratti non riconducibili alle fideiussioni omnibus chi eccepisce la nullità è tenuto a dimostrare l’illecito antritrust senza potersi avvalere di alcuna prova privilegiata, inerendo questa a un ac cordo anticoncorrenziale che riguarda, per l’appunto, le sole fideiussioni omnibus , e non altri negozi. La censura con cui si oppone la violazione dell’art. 1957 c.c. solo per questo è da considerare inammissibile. D’altro canto, la Cort e di merito ha evidenziato che l’eccezione basata sulla detta disposizione andava respinta stante la natura autonoma della garanzia prestata: e il rilievo è corretto in diritto, posto che il contratto autonomo di garanzia reca come connotato fondamentale l’assenza di accessorietà dell’obbligazione del garante rispetto a quella dell’ordinante, essendo la prima qualitativamente diversa dalla seconda, oltre che rivolta non al pagamento del debito principale, bensì ad indennizzare il creditore insoddisfatto mediante il tempestivo versamento di una somma di denaro predeterminata, sostitutiva della mancata o inesatta prestazione del debitore; ne consegue, pertanto, la generale inapplicabilità a tale contratto del disposto dell’art. 1957 c.c ., salvo diversa specifica pattuizione
intercorsa tra le parti, purché compatibile con le restanti clausole contrattuali (così Cass. 28 marzo 2017, n. 7883).
Il terzo mezzo, da ultimo, mostra di non cogliere la ratio decidendi dell’impugnata pronuncia, nella quale si legge: «ppare corretta la ricostruzione nella sentenza di prime cure, la quale ha rilevato la totale assenza di una simile situazione di debito-credito a fronte della diversità dei soggetti intervenuti, da un lato, alla stipula del contratto di compravendita i mmobiliare e, dall’altro, a quella del successivo contratto di leasing, laddove la configurabilità dello schema negoziale del lease back presupporrebbe, invece, una necessaria identità soggettiva», onde «si accoglie la motivazione elaborata dal primo giudice circa l’esclusione dello schema contrattuale del lease back , nonché della conseguente irrilevabilità dell’eccezione di nullità del contratto di leasing per ritenuta violazione dell’art. 2744 c.c. (cfr. doc c. 37 e 38 fascicolo primo grado opposta)».
Le spese di giudizio seguono la soccombenza.
Trovano applicazione le statuizioni di cui all’art.96, comma 3 e comma 4, c.p.c., giusta l’art. 380 -bis , comma 3, c.p.c..
P.Q.M.
La Corte
dichiara inammissibile il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 18.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge; condanna parte ricorrente al pagamento della somma di euro 18.000,00 in favore della parte controricorrente e dell’ulteriore somma di euro 2.500,00 in favore della Cassa delle ammende; ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello stabilito per il ricorso, se dovuto. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 1ª Sezione