Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 13795 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 2 Num. 13795 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 17/05/2024
SENTENZA
sul ricorso n. 25010/2022 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, c.f. CODICE_FISCALE, COGNOME NOME, c.f. CODICE_FISCALE, MAZZEO NOME, c.f. CODICE_FISCALE, rappresentati e difesi dall’AVV_NOTAIO e dall’AVV_NOTAIO , elettivamente domiciliati in Roma presso l’AVV_NOTAIO nel suo studio in INDIRIZZO
ricorrenti
contro
COGNOME NOME, c.f. CODICE_FISCALE, COGNOME NOME, CODICE_FISCALE, rappresentati e difesi dall’AVV_NOTAIO, con domicilio digitale EMAIL controricorrenti Messina,
avverso la sentenza n. 176/2022 della Corte d’Appello di depositata il 22-3-2022, udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 7-52024 dal consigliere NOME COGNOME,
OGGETTO: risoluzione per inadempimento di contratto atipico di permuta e appalto RG. 25010/2022 P.U. 7-5-2024
udito il Pubblico Ministero, nella persona del AVV_NOTAIO, il quale ha chiesto il rigetto del ricorso, uditi gli AVV_NOTAIO e NOME COGNOME per i ricorrenti e l’AVV_NOTAIO per i controricorrenti
FATTI DI CAUSA
1.NOME COGNOME, NOME e NOME COGNOME in qualità di eredi di NOME COGNOME con atto di citazione notificato il 25-3-2005 hanno citato avanti il Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto NOME COGNOME, chiedendo l’accertamento del loro diritto a ottenere il completamento dei lavori intrapresi dal convenuto a propria cura e spese relativi alla consegna di tre villette site in Barcellona INDIRIZZO, come concordato con le scritture private del 28-11-1992 e del 22-2-1995, la condanna del convenuto all ‘esecuzione degli obblighi assunti nelle scritture private e il risarcimento dei danni.
Si è costituito il convenuto NOME COGNOME, contestando la domanda e sostenendo che le scritture private erano state superate dall’atto pubblico di compravendita stipulato il 23 -7-1996 rep. 10812 AVV_NOTAIO.
Con sentenza n. 482/2012 del 27-11-2012 il Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto ha rigettato le domande.
2.Hanno proposto appello NOME COGNOME, NOME e NOME COGNOME, mutando l’originaria domanda di adempimento in domanda di risoluzione del contratto e riproponendo per il resto le domande rigettate dal giudice di primo grado anche per il risarcimento dei danni.
Il giudizio è stato dichiarato interrotto prima per il decesso di NOME COGNOME e poi per il decesso di NOME COGNOME, per cui hanno proseguito il giudizio NOME COGNOME e NOME COGNOME anche quali eredi di NOME COGNOME e si sono costituiti
gli eredi di NOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME.
Con sentenza n. 176/2022 pubblicata il 22-3-2022 la Corte d’appello di Messina, in riforma della sentenza impugnata, ha dichiarato la risoluzione del contratto stipulato dalle parti con le scritture del 28-11-1992 e del 22-2-1995 per inadempimento di NOME; ha condannato NOME COGNOME, NOME e NOME COGNOME in solido a pagare agli appellanti Euro 111.550,16 oltre iva con gli interessi legali dalla data della domanda di risoluzione e al risarcimento dei danni, calcolati nella somma mensile di Euro 1.050,00 da novembre 1998 alla sentenza con rivalutazione per ogni singola scadenza e interessi; ha condannato gli appellati alla rifusione delle spese di lite di entrambi i gradi e ha posto a loro carico le spese di c.t.u.
3.Avverso la sentenza NOME, NOME e NOME COGNOME hanno proposto ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi.
NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno resistito con controricorso.
Il ricorso è stato avviato alla trattazione per la pubblica udienza del 7-5-2024, nei termini di cui all’art. 378 cod. proc. civ. il Pubblico Ministero ha depositato memoria con le sue conclusioni ed entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo, intitolato ‘ violazione o falsa applicazione di norme di diritto ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 3 e n. 5 c.p.c. in relazione agli artt. 1321, 1351, 1372, 1362 c.c.’, i ricorrenti sostengono che erroneamente la sentenza impugnata abbia escluso che l’atto pubblico 23 -7-1996 avesse superato gli accordi delle precedenti scritture private, negando la portata latu sensu novativa
riconosciuta dalla sentenza di primo grado. Evidenziano che la Corte territoriale ha individuato nelle scritture private un unico rapporto contrattuale complesso avente natura di preliminare e sostengono che per questo avrebbe dovuto riconoscere all’atto pubblico di trasferimento della proprietà il superamento delle originarie pattuizioni; ciò in applicazione del principio secondo il quale, nel caso in cui le parti, dopo avere stipulato contratto preliminare, stipulano contratto definitivo, è il contratto d efinitivo l’unica fonte dei diritti e delle obbligazioni inerenti al negozio voluto. Lamentano che la sentenza impugnata non abbia tenuto conto della sequenza contrattuale, che comportava l’assorbimento e il superamento del primo contratto a opera del secondo, e abbia arbitrariamente negato il valore di nuovo accordo alla manifestazione di volontà delle parti oggettivamente consacrata nel rogito, nel quale le parti avevano diversamente regolato i reciproci rapporti.
2.Il secondo motivo è intitolato ‘ violazione o falsa applicazione di norme di diritto ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 3 e n. 5 in relazione agli artt. 1321, 1372, 1362 e seguenti c.c. nonché in relazione all’art. 1350 c.c. e all’art. 2697 cod. civ.’ ; con esso i ricorrenti censurano la sentenza impugnata laddove ha dichiarato che non era possibile ritenere che l’atto pubblico fosse stato stipulato ‘previa risoluzione delle scritture private ‘ , per carenza del requisito della forma scritta ad substantiam. Evidenziano che il rogito, correttamente interpretato, faceva venire meno la necessità di risolvere consensualmente le scritture private, perché le scritture erano superate dal tenore letterale del nuovo accordo; aggiungono che la presunzione di conformità del nuovo accordo alla volontà delle parti avrebbe potuto essere vinta solo dalla prova, per atto scritto, di un accordo concluso contemporaneamente alla stipula del contratto definitivo, dal quale risultasse che sopravvivevano gli altri obblighi contenuti nel
preliminare; rilevano che tale prova, che avrebbe dovuto dare la controparte, non era stata fornita.
3.Il terzo motivo è intitolato ‘ violazione o falsa applicazione di norme di diritto ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 3 e n. 5 in relazione agli artt. 1362 e seguenti c.c. nonché in relazione agli artt. 2697, 2722, 2709 c.c.’ e con esso i ricorrenti sostengono che la sentenza impugnata abbia erroneamente interpretato l’atto notarile di compravendita del 23-7-1996, arbitrariamente escludendo che lo stesso esprimesse la concreta volontà dei contraenti di ridefinire i rapporti in modo differente da quanto indicato nelle precedenti scritture. Lamentano in primo luogo che siano state escluse esigenze sopravvenute che avessero indotto le parti ad addivenire alla vendita dei lotti di terreno dietro pagamento del prezzo, in quanto dalla scrittura privata del 1992 al rogito erano decorsi quattro anni, nei quali erano state eseguite le opere di urbanizzazione, più complesse e costose di quanto inizialmente previsto, così da indurre le parti a rivedere l’originario accordo; quindi sostengono che erroneamente la sentenza abbia ritenuto simulata la quietanza relativa al versamento del prezzo ed erroneamente abbia ritenuto che la prova della simulazione fosse data dalla scrittura privata del 28-11-1992, in quanto si trattava di accordo di alcuni anni precedente e superato dal rogito, stante la pacifica assenza di controdichiarazione contemporanea al rogito. Aggiungono che in primo grado non era stata dedotta la simulazione della quietanza, evidenziano di avere dimostrato la congruità del prezzo pagato al rogito di £.200.000.000 e che nel rogito nulla si era detto in ordine alla permanenza di una ulteriore obbligazione di costruzione di villette chiavi in mano.
4.I tre motivi, da esaminare unitariamente stante la stretta connessione, sono infondati, in quanto si risolvono in sostanza nella proposta di una rilettura del contenuto dei contratti conclusi dalle parti
in termini favorevoli alla tesi dei ricorrenti, senza riuscire a individuare nella sentenza impugnata alcuno dei vizi lamentati.
4.1.La sentenza impugnata ha considerato che con la scrittura privata del 28-11-1992 i geometri NOME e NOME si erano impegnati a presentare al Comune di Barcellona P.G., a loro cura e spese, un progetto di lottizzazione sul terreno di proprietà di NOME e NOME COGNOME che prevedesse la realizzazione di otto villini, che sarebbero stati consegnati, chiavi in mano e senza oneri; in ordine ai restanti diciannove lotti, nella scrittura era previsto che ‘restavano di pertinenza’ dei geometri COGNOME e NOME e che tutte le spese di trasferimento degli stessi, con qualunque modalità, erano a carico di NOME e NOME. Nella successiva scrittura del 22-2-1995 non era stato concordato nulla di nuovo, se non l’ubicazione delle villette, e in tale scrittura le parti espressamente avevano qualificat o l’accordo stipulato con la scrittura del 1992 come permuta tra il terreno COGNOME, ceduto a NOME e NOME, e le otto villette da realizzare su altro terreno rimasto di proprietà COGNOME a cura e spese di NOME e NOME.
A fronte di questi fatti, la sentenza ha dichiarato che le parti avevano concluso contratto atipico, nel quale il corrispettivo dell’appalto per la costruzione delle otto villette sul terreno che rimaneva alle COGNOME era costituito dalla cessione dei diciannove lotti, ‘o meglio, guardando al rapporto prevalente, l’importo dell’appalto rappresenta il prezzo della cessione dei 19 lotti’; la sentenza ha altresì dichiarato essere evidente, dalla lettura delle scritture, l’impegno delle COGNOME a trasferire a NOME e NOME i diciannove lotti, senza altro onere a carico degli stessi se non la realizzazione delle otto villette, rilevando anche che la circostanza che le parti avessero definito l’operazione ‘permuta’ sottolineava il pari valore da esse attribuito alla prestazione a carico di ciascuna parte. Ha aggiunto che le due scritture,
con riferimento al trasferimento dei diciannove lotti di terreno a NOME e NOME, avevano la natura di preliminare, essendo i lotti definiti come di ‘pertinenza’ di NOME e NOME ed essendo previsto il loro successivo trasferimento con le modalità più opportune. Quindi la sentenza ha considerato che con l’atto pubblico redatto il 23 -7-1996 NOME e NOME COGNOME avevano venduto sei lotti di terreno a NOME, dieci lotti a NOME e due lotti direttamente a soggetti terzi, riproducendo quanto già stabilito nelle scritture private anche con riferimento alla distribuzione tra NOME e NOME degli oneri per realizzare le opere di urbanizzazione, per cui l’atto pubblico aveva funzione attuativa degli obblighi assunti con le scritture private. Ha altresì rilevato che nulla nell’atto pubblico consentiva di ritenere l’ animus novandi rispetto a quanto concordato con le scritture private, alle quali l’atto pubblico non faceva alcun riferimento e che anzi era evidente l’intento attuativo delle scritture, in ordine all’obbligo di trasferire i lotti ‘con lo strumento ritenuto più opportuno’; ha altresì escluso che l’atto pubblico fosse stato determinato da esigenze sopravvenute, in quanto lo stesso era stato concluso dopo circa tre mesi dal rilascio della concessione edilizia, quando le problematiche relative alla lottizzazione erano state risolte dalle parti con la scrittura privata del 1995 e quando l’attività di costruzione era ancora all’inizio. In ordine al prezzo che nel rogito le venditrici COGNOME dichiaravano di avere ricevuto dagli acquirenti NOME e NOME, la sentenza ha dichiarato che la prova della simulazione della quietanza si ricavava proprio dal contenuto della scrittura del 1992, nella quale il corrispettivo previsto per la cessione dei lotti era costituito dalla realizzazione delle otto villette. Quindi ha dichiarato che per il trasferimento dei lotti era stata scelta la modalità della vendita perché ritenuta strumento più opportuno secondo le previsioni della scrittura del 1992 e per i due lotti ceduti a terzi, che erano tra quelli di pertinenza
di NOME, si era provveduto al trasferimento diretto perché più conveniente sotto il profilo fiscale; ha infine considerato che nulla provava neppure che fosse stato concluso dalle parti un nuovo contratto di appalto dopo la stipulazione del rogito.
4.2.Con questo contenuto la sentenza in primo luogo ha interpretato il contratto di cui alle scritture private come avente natura di contratto preliminare limitatamente alla previsione relativa al trasferimento della proprietà dei diciannove lotti di terreno da COGNOME a NOME e NOME e ha ritenuto che il rogito aveva avuto la funzione attuativa di tale previsione relativa al trasferimento della proprietà. Ne consegue che non è pertinente il richiamo eseguito dai ricorrenti nel primo motivo al principio consolidato secondo il quale, qualora le parti, dopo avere stipulato un contratto preliminare, conc ludano in seguito un contratto definitivo, quest’ultimo costituisce l’unica fonte dei diritti e delle obbligazioni delle parti inerenti al particolare negozio voluto. Il principio è stato affermato sulla base della considerazione che il contratto preliminare, determinando soltanto l’obbligo della stipulazione del contratto definitivo, resti superato da quello definitivo, la cui disciplina può anche non conformarsi a quella del preliminare; inoltre, il principio è sempre stato posto facendo salvo il caso in cui i contraenti non abbiano espressamente previsto che il contratto preliminare sopravviva (Cass. Sez. 2 11-7-2007 n. 15585 Rv. 598555-01, Cass. Sez. 2 5-6-2012 n. 9063 Rv. 622654-01, Cass. Sez. 2 21-12-2017 n. 30735 Rv. 646612-01, per tutte). Quindi, nel momento in cui la Corte d’appello ha ritenuto, sulla base dell’interpretazione dei contratti, che il contratto atipico concluso dalle parti con le scritture private aveva natura di contratto preliminare limitatamente alla previsione relativa al trasferimento della proprietà dei lotti e nel momento in cui ha considerato che il rogito del 1996 aveva dato attuazione a quella previsione, non aveva motivo di ritenere
che il rogito superasse anche le diverse e ulteriori previsioni delle scritture; ciò in quanto quelle diverse previsioni non avevano natura di contratto preliminare e, pertanto, rispetto alle stesse il rogito non si poneva come contratto definitivo.
Del resto, gli argomenti dei ricorrenti non sono utili a censurare l’interpretazione dei contratti eseguita dalla sentenza impugnata, in quanto è acquisito il principio che l’accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto di un negozio giuridico si traduce in una indagine di fatto affidata al giudice di merito e il ricorrente per cassazione, al fine di fare valere la violazione dei canoni legali di interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 e ss. cod. civ., non solo deve fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione, mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate e dei principi in esse contenute, ma è tenuto anche a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice di merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche o insufficienti, non potendo la censura risolversi nella mera contrapposizione dell’interpretazione del ricorrente con quella accolta nella sentenza impugnata e non dovendo essere l’interpretazione accolta dalla sentenza impugnata l’unica astrattamente possibile, ma interpretazione plausibile (Cass. Sez. 1 94-2021 n. 9461 Rv. 661265-01, Cass. Sez. 3 28-11-2017 n. 28319 Rv. 646649-01, Cass. Sez. 1 15-11-2017 n. 27136 Rv. 646063-01). Nessuna delle deduzioni svolte dai ricorrenti è finalizzata a censurare in modo consentito nel giudizio di legittimità l’interpretazione dei contratti eseguita dalla sentenza impugnata, né laddove ha ritenuto che le scritture private avevano il contenuto di contratto preliminare in ordine alla prestazione di trasferimento della proprietà, né laddove ha escluso che nel rogito le parti avessero manifestato la volontà novativa del precedente accordo. Del resto, l’interpretazione dei contratti è stata
eseguita dalla Corte d’appello inserendola nella ricostruzione in fatto della vicenda, con riguardo alla stipulazione del rogito allorché l’attività di costruzione delle villette era appena iniziata, per il fatto che la concessione edilizia era stata rilasciata solo tre mesi prima e la costruzione era poi proseguita dopo la stipulazione del rogito senza conclusione di altro contratto di appalto tra le parti; i ricorrenti non censurano in modo ammissibile tale accertamento in fatto del rapporto, che nel ragi onamento svolto dalla Corte d’appello costituisce canone interpretativo degli accordi intercorsi tra le parti ai sensi dell’art. 136 2 co.2 cod. civ. laddove fa riferimento alla condotta successiva alla conclusione dei contratti e costituisce anche conferma dell’esattezza dell’interpretazione dei contratti eseguita. Infatti, nella ricostruzione della Corte d’appello , che i ricorrenti non riescono a censurare in termini consentiti nel giudizio di legittimità, la circostanza che l’attività di costruzione delle villette da parte di NOME, appena iniziata al momento della stipulazione del rogito e proseguita successivamente senza conclusione di altro contratto di appalto tra le parti, ha costituito la conferma che il rogito era stato solo strumento per dare attuazione all’obbligazione di trasferimento di proprietà oggetto di promessa nelle scritture del 1992 e 1995 e non costituiva la fonte unica del rapporto contrattuale intercorso tra le parti.
I ricorrenti si limitano a valorizzare con il secondo e il terzo motivo il dato che nel rogito le parti avevano dato atto del pagamento da parte di NOME COGNOME del prezzo, ma la sentenza ha fornito spiegazione anche di questo fatto in termini che resistono alle censure dei ricorrenti.
La sentenza, in modo pienamente coerente alla ricostruzione complessiva del rapporto, ha ritenuto che la dichiarazione relativa al pagamento del prezzo eseguita nel rogito era simulata e che la prova scritta, necessaria tra le parti, era costituita dalle scritture del 1992 e 1995. Neppure le critiche del ricorrente a questa statuizione colgono
nel segno, in quanto la simulazione parziale del contratto per il quale sia richiesta la forma scritta ad substantiam può essere provata tra le parti solo per mezzo della controdichiarazione , vietando l’art. 1417 cod. civ. la prova per testi o per presunzioni; però la prova documentale dell’accordo simulatorio sul prezzo ben può essere formata in un momento diverso e precedente dal negozio simulato (cfr. Cass. Sez. 2 6-6-2022 n. 18049 Rv. 665165-01, Cass. Sez. 2 5-3-2019 n. 6357 Rv. 652934-01, Cass. Sez. 3 22-5-1997 n. 4565 Rv. 504610-01, Cass. Sez. 3 4-2-1985 n. 768 Rv. 438967-01 ). Infatti per l’esistenza della simulazione è necessario che l’accordo simulatorio -in questo caso relativo al prezzo- si a coevo all’atto simulato, in quanto diversamente non può sussistere la simulazione in sé; ciò evidentemente non vale per la controdichiarazione, che costituisce atto di riconoscimento o di accertamento della simulazione e non espressione della voluntas simulandi.
5 .Con il quarto motivo, intitolato ‘ violazione o falsa applicazione di norme di diritto ai sensi dell’art. 360 n. 3 in relazione all’art. 1453 c.c. e agli artt. 183 e 345 c.p.c.’, i ricorrenti sostengono che la Corte d’appello, ammettendo la modifica della domanda di adempimento in domanda di risoluzione, non abbia valutato il dato che in primo grado era stato chiesto l’adempimento al contratto di appalto e in secondo grado la risoluzione della permuta e non abbia valutato che era stato concluso il rogito nel 1996; sostengono che la considerazione di questo fatto avrebbe dovuto comportare la dichiarazione di inammissibilità del mutamento della domanda. Aggiungono che in modo contraddittorio, anziché disporre la riduzione in pristino di quanto prestato in esecuzione del contratto risolto, riportando entrambe le parti nella situazione economica in cui si trovavano prima dell’esecuzione del contratto, la Corte territoriale ha condannato gli odierni ricorrenti a pagare il costo necessario al completamento dei lavori e perciò ha
determinato il controvalore dell’adempimento e non della risoluzione; sostengono che, diversamente, la Corte avrebbe dovuto considerare tutte le reciproche prestazioni e controprestazioni.
5.1.La sentenza impugnata, anche richiamando Cass. Sez. U 8510/2014, ha ritenuto ammissibile la modifica della domanda di adempimento in domanda di risoluzione sulla base del rilievo che nei contratti a prestazioni corrispettive ai sensi dell’art. 1453 co.2 cod. civ. la risoluzione può essere chiesta anche quando inizialmente era stato chiesto l’adempimento, non solo nel corso del giudizio di primo grado, ma anche in appello e nel giudizio di rinvio, a condizione che i fatti dedotti a fondamento della domanda di risoluzione coincidano con quelli posti a base della domanda di adempimento. Quindi la sentenza ha dichiarato che i fatti posti a base della domanda di risoluzione erano i medesimi, riferiti al dato che due villette erano state lasciate al rustico e una incompleta, rispetto all’obbligo di NOME di consegnare cinque villette complete e chiavi in mano; ha dichiarato che l’inadempimento, rispetto al comportamento della controparte, che aveva diligentemente eseguito le prestazioni a suo carico, e rispetto alla prestazione dovuta, era di non scarsa importanza e tale da giustificare la risoluzione delle due scritture private nella parte relativa ad NOME.
Di seguito la sentenza ha considerato che la risoluzione comportava per ciascuna parte l’obbligo di restituire quanto prestato in esecuzione del contratto e che, allorché non era possibile la restituzione, doveva essere disposta la reintegrazione per equivalente pecuniario; ha rilevato che non era contestata l’impossibilità della reintegrazione in forma specifica perché gli attori appellanti non potevano restituire le cinque villette, in quanto realizzate sul terreno rimasto in loro proprietà, e la controparte non poteva restituire i lotti di terreno che erano stati trasferiti con il rogito del 23-7-1996, in quanto già venduti a terzi. A fronte di questi dati, la sentenza ha
dichiarato che la completa reintegrazione patrimoniale degli appellanti si attuava determinando il costo per il completamento dei lavori con riferimento alla data in cui la prestazione avrebbe dovuto essere eseguita, che ha determinato in Euro 111.550,16 oltre iva alla data del novembre 1998; quindi ha riconosciuto a titolo restitutorio questa somma, con gli interessi dalla data della domanda, dichiarando che per il resto le obbligazioni restitutorie erano compensate tra loro. Ha altresì riconosciuto il ris arcimento del danno, quantificato nell’importo del valore locativo delle tre villette non completate dal novembre 1998 alla sentenza.
5.2.Con questo contenuto la sentenza si sottrae alle critiche dei ricorrenti nei termini di seguito esposti.
In primo luogo, è acquisito il principio secondo il quale la risoluzione del contratto per inadempimento può essere chiesta anche nel corso del giudizio promosso dalla parte non inadempiente per ottenere l’adempimento; in tal senso è l’esplicita previsione dell’art. 1453 co.2 cod. civ. e già Cass. Sez. U 11-4-2014 n. 8510 (Rv. 63033401) ha statuito che, contestualmente all’esercizio di tale ius variandi, la parte può domandare, oltre la restituzione della prestazione, anche il risarcimento dei danni derivanti dalla cessazione degli effetti del regolamento negoziale (nello stesso senso Cass. Sez. 1 25-6-2018 n. 16682 Rv. 649575-01; cfr. altresì Cass. Sez. 2 26-7-2016 n. 15461 Rv. 640594-01, secondo cui la facoltà di mutatio libelli di cui all’art. 1453 co.2 cod. civ. si estende alla domanda consequenziale e accessoria di restituzione, purché proposta contestualmente). I ricorrenti negano che il principio si potesse applicare nella fattispecie, per il fatto che in primo grado gli attori avevano chiesto l ‘adempimento del contratto di appalto e in appello hanno chiesto la risoluzione della permuta; in questo modo i ricorrenti frazionano il contenuto dell’accordo in termini non consentiti perché, al contrario, secondo l’interpretazione eseguita
dalla Corte d’appello e non censurata in modo pertinente dai ricorrenti, la domanda di adempimento dell’unico contratto complesso e atipico, avente contenuto di permuta e appalto, formulata in primo grado è stata modificata in appello in domanda di risoluzione di quello stesso unico contratto, senza alcuna modifica dei fatti posti a fondamento della domanda.
Inoltre, i ricorrenti prospettano che nella fattispecie la risoluzione del contratto per inadempimento non potesse essere pronunciata, per il fatto che non erano possibili le restituzioni in natura, a seguito del rogito del 1996 con il quale i beni erano stati trasferiti a terzi. La tesi è evidentemente infondata, in quanto lo stesso art. 1458 co.2 cod. civ., nel prevedere che la risoluzione non pregiudica i diritti acquistati dai terzi, salvi gli effetti della trascrizione della domanda di risoluzione, dimostra che la dichiarazione di risoluzione per inadempimento non è preclusa dall’impossibilità delle restituzioni in natura. Infatti, sarebbe al di fuori di qualsiasi logica porre il debitore gravemente inadempiente al riparo dalla dichiarazione di risoluzione per inadempimento solo per il fatto che, per una qualche ragione, la restituzione in natura non può essere eseguita. La stessa Cass. Sez. U 8510/2014 (par. 9.2) ammette l’eventualità della conversione della restituzione in natura in restituzione per equivalente, nel caso in cui il venire meno della causa solvendi riguardi una cosa perita o deteriorata, della quale occorrerà accertare il valore o la diminuzione di valore ex art. 2037 co.2 cod. civ. Applicando analogo principio, la sentenza impugnata ha valutato le reciproche prestazioni (trasferimento della proprietà del terreno in cambio del trasferimento della proprietà delle villette con tutte le opere accessorie) delle quali non era possibile la restituzione in natura, come aventi lo stesso valore, ma con l’ eccezione riferita al fatto che ai soggetti che avevano trasferito la proprietà del terreno erano state trasferite tre villette non complete; quindi, per rendere omogeneo il
relativo valore, ha riconosciuto loro l’importo necessario per terminare i lavori. In questo modo, nel ragionamento della Corte d’appello, quel costo non costituiva il valore dell’adempimento ma, in un’ottica restitutoria , era l’importo che serviva a rendere omogenee le prestazioni restituite per equivalente.
Però, sulla base dello stesso ragionamento svolto dalla Corte d’appello, risulta che il costo per terminare i lavori deve essere più esattamente inquadrato, anziché in ottica restitutoria, quale voce del danno subito dalla parte COGNOME a causa dell’inadempimento della controparte NOME; poiché la domanda di risarcimento del danno era stata proposta in primo grado ed è stata riproposta in appello unitamente alla domanda di risoluzione del contratto, secondo quanto pure dichiarato dalla sentenza impugnata, ricorrono i presupposti per correggere la motivazione della sentenza impugnata in tal senso ex art. 384 ult. co. cod. proc. civ. e riconoscere l’importo in questione a titolo di risarcimento del danno. Basti considerare che la parte COGNOME aveva adempiuto compiutamente alla sua prestazione, avendo trasferito la proprietà dei terreni, senza poterne ottenere la restituzione in quanto i terreni erano stati venduti a terzi, ma aveva ricevuto solo parzialmente la controprestazione, avendo ricevuto le villette non completate. Quindi, il costo per ultimare i lavori di costruzione delle villette corrispondeva al danno, in quanto valore perso a causa dell’inadempimento della controparte , del quale la parte COGNOME aveva diritto a ottenere il risarcimento anche a seguito della dichiarazione di risoluzione del contratto; ciò in sostanza è stato riconosciuto dalla stessa sentenza impugnata, laddove ha quantificato quel costo al fine di garantire alla parte COGNOME, testualmente, la ‘ completa reintegrazione patrimoniale ‘ a fronte dell’inadempimento della controparte NOME.
6.In conclusione il ricorso è interamente rigettato e, in applicazione del principio della soccombenza, i ricorrenti devono essere condannati alla rifusione a favore dei controricorrenti delle spese del giudizio di legittimità.
In considerazione dell’esito del ricorso, ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso;
condanna i ricorrenti alla rifusione a favore dei controricorrenti delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 5.000,00 per compensi, oltre 15% dei compensi a titolo di rimborso forfettario delle spese, iva e cpa ex lege.
Sussistono ex art.13 co.1-quater d.P.R. 30 maggio 2002 n.115 i presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti di ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi del co.1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione