Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 31268 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 31268 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 06/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 19507/2022 R.G. proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso da ll’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE, elettivamente domiciliato presso l’indirizzo PEC indicato dal difensore
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa da ll’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE, elettivamente domiciliata presso l’indirizzo PEC indicato dal difensore
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D ‘ APPELLO di NAPOLI n. 1672/2022 depositata il 20/05/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 11/07/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
R.G. 19507/2022
COGNOME
Rep.
C.C. 11/7/2024
C.C. 14/4/2022
CESSAZIONE DI CONTRATTO AGRARIO.
FATTI DI CAUSA
La RAGIONE_SOCIALE in qualità di procuratrice speciale della RAGIONE_SOCIALE, che aveva a sua volta incorporato la RAGIONE_SOCIALE, convenne in giudizio NOME COGNOME con ricorso alla Sezione specializzata agraria del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, affinché fosse dichiarata la cessazione del rapporto agrario intercorrente tra le parti per la data del 10 novembre 2007.
A sostegno della domanda la ricorrente espose, tra l’altro, di essere proprietaria di un fondo, con annessi fabbricati, in agro di Cellole, condotto in fitto dal Perretta fin da epoca prebellica, e aggiunse di aver intimato la disdetta con lettera raccomandata del 25 ottobre 2006, il che determinava la cessazione del contratto al termine dell’annata agraria successiva.
Si costituì in giudizio il convenuto, sostenendo che il contratto era stato stipulato da suo padre, nel 1951, con l’allora proprietario del fondo e che, in forza della proroga legale di cui all’art. 2 della legge 3 maggio 1982, n. 203, esso sarebbe andato a scadere solo il 10 novembre 2026. Chiese poi, in via riconvenzionale, che la società attrice fosse condannata al pagamento dei miglioramenti da lui apportati al fondo nel corso degli anni.
Espletata una c.t.u., il Tribunale, riconosciuta l’esistenza del contratto agrario e la validità dell’intimata disdetta, rilevò che il contratto era da ritenere sorto nel 1951 e che, pertanto, la scadenza era da fissare alla data del 10 novembre 2026, per la quale intimò il rilascio del fondo. Il Tribunale rigettò poi la riconvenzionale del COGNOME e lo condannò al pagamento delle spese di lite.
La sentenza è stata impugnata dalla società attrice e la Corte d’appello di Napoli, con sentenza del 20 maggio 2022, ha accolto il gravame e, in parziale riforma della decisione del Tribunale, ha stabilito che il rapporto di affitto doveva considerarsi cessato già alla data del 10 novembre 2011, per cui ha condannato
il Perretta al rilascio del fondo al termine dell’annata agraria corrente e all’integrale pagamento delle spese di lite dei due gradi di giudizio.
La Corte territoriale ha osservato che il Tribunale aveva errato nel conteggio degli anni di proroga. Poiché, infatti, il contratto era in corso alla data di entrata in vigore della legge n. 203 del 1982 ed era sorto nel 1951, esso si era prorogato per legge per quattrodici anni (cioè fino al 10 novembre 1996). Non essendo stata intimata disdetta per quella data, il contratto si era prorogato per ulteriori quindici anni, andando a scadere nella data suindicata, data la validità dell’intimata disdetta.
Contro la sentenza della Corte d’appello di Napoli propone ricorso NOME COGNOME con atto affidato ad un solo motivo.
Resiste la RAGIONE_SOCIALE con controricorso.
Il ricorso è stato ritenuto inammissibile con una proposta di definizione anticipata ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ., depositata dal Consigliere relatore in data 28 febbraio 2024.
Avverso tale decisione il ricorrente ha proposto opposizione, chiedendo che il ricorso venga collegialmente deciso; la trattazione è stata fissata ai sensi dell’art. 380 -bis .1. cod. proc. civ. e il Pubblico Ministero non ha depositato conclusioni.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo di ricorso si lamenta, genericamente, violazione dell’art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ., nonché carenza di motivazione della sentenza, contraddittorietà, superficialità e inattendibilità della c.t.u. svolta in primo grado.
Osserva il ricorrente che la motivazione della sentenza impugnata sarebbe errata sia nella parte in cui ha stabilito la cessazione del contratto alla data del 10 novembre 2011 sia nella parte in cui ha negato il suo diritto ai miglioramenti. Vi sarebbe, poi, non piena integrazione del contraddittorio nei confronti di suo
figlio NOME COGNOME effettivo coltivatore del fondo e parte necessaria.
Si trascrive qui di seguito la proposta di definizione anticipata che è stata depositata.
«CONSIDERATO che sussistono i presupposti per la formulazione di una sintetica proposta di definizione del giudizio, ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ.;
che, infatti, i motivi di ricorso, non ostante la formale intestazione, attengono, nella sostanza, a profili di fatto e tendono a suscitare dalla Corte di cassazione un nuovo giudizio di merito in contrapposizione a quello formulato dalla Corte di appello, omettendo di considerare che tanto l’accertamento dei fatti, quanto l’apprezzamento -ad esso funzionale – delle risultanze istruttorie è attività riservata al giudice del merito, cui compete non solo la valutazione delle prove ma anche la scelta, insindacabile in sede di legittimità, di quelle ritenute più idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi (Cass. 04/07/2017, n. 16467; Cass.23/05/2014, n. 11511; Cass. 13/06/2014, n. 13485; Cass. 15/07/2009, n. 16499);
che, inoltre, la generica denuncia del vizio di cui all’art. 360 n. 5 omette di considerare, per un verso, che, il ‘fatto’ di cui può denunciarsi con ricorso per cassazione l’omesso esame, ai sensi dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., deve essere (un fatto storico vero e proprio, avente carattere di fatto principale, ex art. 2697 cod. civ. (cioè un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) o di fatto secondario (cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale) e deve altresì possedere i due necessari caratteri dell’essere ‘decisivo’ (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia) e dall’aver formato oggetto di ‘discussione’ tra le parti, sicché in tale ambito non è di per sé inquadrabile la consulenza tecnica d’ufficio (Cass. Sez. Un., 07/04/2014, n. 8053; Cass. 29/10/2018, n. 27415; Cass. 08/09/2016, n. 17761);
che, ancora, la denuncia del vizio motivazionale facendo riferimento alla ‘superficialità’ e ‘inattendibilità’ della CTU, si infrange sul principio per cui il sindacato sulla motivazione attiene all’esistenza e alla coerenza della stessa, e resta circoscritto alla verifica del rispetto del «minimo
costituzionale» richiesto dall’art. 111, sesto comma, Cost. e, nel processo civile, dall’art.132 n. 4 cod. proc. civ., la cui violazione deducibile in sede di legittimità quale nullità processuale ai sensi dell’art. 360 n. 4 cod. proc. civ. -sussiste qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, o risulti perplessa ed obiettivamente incomprensibile, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (Cass. Sez. U 07/04/2014, nn. 8053 e 8054; Cass. 12/10/2017, n. 23940; Cass. 25/09/2018, n. 22598; Cass. 03/03/2022, n. 7090);
che, pertanto, il ricorso è inammissibile».
A fronte della trascritta proposta, il difensore del COGNOME si è limitato a chiedere che il ricorso venga deciso, senza avanzare alcuna osservazione critica alla medesima e senza depositare memoria in vista della discussione in camera di consiglio.
Tutto ciò premesso, la Corte osserva che la proposta di definizione anticipata merita integrale conferma.
Si deve aggiungere, ad abundantiam , che il calcolo della proroga della durata del contratto compiuto dalla Corte d’appello è corretto e che sul rigetto della domanda di rimborso dei miglioramenti si era perfezionato il giudicato interno, essendo stata la relativa domanda rigettata in primo grado senza proposizione di appello incidentale da parte del COGNOME.
Del tutto irrilevante è la questione relativa alla presunta necessità di integrazione del contraddittorio, risultando il contratto in questione stipulato da NOME COGNOME
Il ricorso, pertanto, è dichiarato inammissibile.
A tale esito segue la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di cassazione, liquidate ai sensi del d.m. 10 marzo 2014, n. 55, nonché la condanna al pagamento di un’ulteriore somma, ai sensi dell’art. 96, terzo comma, cod. proc. civ., in favore della controparte e al versamento di un’ulteriore
somma in favore della cassa delle ammende (art. 96, quarto comma, cod. proc. civ.).
Sussistono inoltre le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi euro 3.200, di cui euro 200 per esborsi, oltre spese generali ed accessori come per legge, nonché al pagamento della somma di euro 1.500 ai sensi dell’art. 96, terzo comma, cod. proc. civ. in favore della controparte e della somma di euro 500 ai sensi dell’art. 96, quarto comma, cod. proc. civ., alla cassa delle ammende.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, dà atto della sussistenza delle condizioni per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza