Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 19306 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 19306 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 14/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso 3037-2021 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 156/2020 della CORTE D’APPELLO di ANCONA, depositata il 06/08/2020 R.G.N. 289/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 07/05/2025 dal Consigliere Dott. COGNOME
Oggetto
Contratto a progetto –
conversione – inquadramento
dirigenziale
–
giudizio di rinvio
R.G.N. 3037/2021
COGNOME
Rep.
Ud. 07/05/2025
CC
RILEVATO CHE
il Tribunale di Fermo, in accoglimento parziale del ricorso di NOME COGNOME aveva riconosciuto l’intercorrenza tra il predetto e la Banca del Fermano Credito cooperativo di un rapporto di lavoro subordinato a far data dal 9.8.2007, dissimulato da un contratto di collaborazione a progetto risolto il 14.6.2010, e aveva condannato la Banca alla ricostituzione del rapporto e al pagamento di un’indennità risarcitoria pari a dodici mensilità;
la Corte d ‘A ppello di Ancona, con sentenza del 15.9.2016, respingeva l’appello principale dell’originario ricorrente e, in accoglimento di quello incidentale della Banca, rigettava la domanda del primo e lo condannava alla restituzione di quanto ricevuto in esecuzione della sentenza di primo grado;
con ordinanza n. 11778/2019, questa Corte, per quanto ancora rileva, accoglieva il secondo motivo del ricorso di NOME COGNOME rigettato il primo ed assorbiti gli altri, cassava la decisione impugnata in relazione al motivo accolto e rinviava alla medesima Corte d ‘A ppello, in diversa composizione;
con il motivo accolto, il ricorrente aveva lamentato violazione degli artt. 61, 62, 69 d. lgs. n. 276/2003, degli artt. 2094, 2103 e 2095 c.c., in relazione all’art. 1414, commi 1 e 2, c.c., assumendo l’erroneità della sentenza per non avere la stessa ravvisato la simulazione del contratto a progetto in ragione della contestuale “integrazione” stipulata in pari data 9.8.2007, che gli aveva assegnato le mansioni proprie del Direttore Generale, con le attribuzioni per tale figura previste dallo Statuto sociale, con la conseguenza che il rapporto doveva
ritenersi da tale epoca di natura subordinata a tempo indeterminato;
5. nella pronuncia rescindente, si osservava (§§ 11 -18) che, per la configurazione della fattispecie del contratto a progetto, oltre alla presenza di tutti i caratteri della figura delle collaborazioni continuative e coordinate, è necessaria la riconducibilità dell’attività a uno o più progetti specifici o programmi di lavoro o fasi di esso determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore in funzione del risultato, nel rispetto del coordinamento con l’organizzazione del committente e indipendentemente dal tempo impiegato per l’esecuzione dell’attività lavorativa; che la verifica di corrispondenza del singolo contratto al modello legale di cui all’art. 61 (abrogato dall’art. 52 del d.lgs. n. 81/2015) e ai requisiti di forma di cui all’art. 62 d. lgs. n. 276/2003 non era stata nella specie correttamente effettuata, poiché la coeva assegnazione delle mansioni di Direttore Generale non era stata vagliata in termini conformi ai numerosi precedenti giurisprudenziali di questa Corte sullo specifico tema, secondo cui il progetto o programma deve rappresentare un requisito ulteriore rispetto a quelli già richiesti per l’esistenza di una legittima collaborazione autonoma, dovendo ravvisarsi la carenza del requisito della specificità del progetto o programma di lavoro ove i compiti previsti in contratto replichino sostanzialmente l’oggetto sociale e non prevedano l’affidamento al collaboratore di un preciso risultato da conseguire; che l’esistenza di uno specifico progetto, con i requisiti e le caratteristiche dettati dalla legge, è elemento costituivo della fattispecie la cui mancanza ricorre tanto quando non sia stata provata la pattuizione di alcun progetto, tanto quando il progetto effettivamente pattuito non sia conforme alle
caratteristiche legali, difettando gli elementi di specificità ed autonomia che sono ritenuti necessari; che, in tema di lavoro a progetto, l’art. 69, comma 1, d.lgs. n. 276/2003 ratione temporis applicabile si interpreta nel senso che, quando un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa sia instaurato senza l’individuazione di uno specifico progetto, programma di lavoro o fase di esso, non si fa luogo ad accertamenti volti a verificare se il rapporto si sia esplicato secondo i canoni dell’autonomia o della subordinazione, ma ad automatica conversione in rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, sin dalla data di costituzione dello stesso;
6. riassunto il giudizio da NOME COGNOME la Corte d’Appello di Ancona, decidendo quale giudice del rinvio sull’appello proposto dal medesimo avverso la sentenza emessa dal Tribunale di Fermo il 21.4.2015, rigettava l’appello incidentale della banca, accoglieva l’appello principale per quanto di ragione e, in parziale riforma della sentenza impugnata, che nel resto confermava, dichiarava il diritto di NOME COGNOME a percepire le differenze retributive maturate per lo svolgimento di mansioni dirigenziali dal 9.8.2007 al 14.5.2010; condannava la (succeduta) Banca di Ripatransone e del Fermano Credito Cooperativo Soc. Coop. al pagamento in favore di NOME COGNOME al predetto titolo della somma di € 37.769,88 oltre accessori di legge;
7. avverso la predetta sentenza la Banca propone ricorso per cassazione con quattro motivi; resiste NOME COGNOME con controricorso; quest’ultimo ha depositato istanza, e la Banca ha depositato memoria; al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza;
CONSIDERATO CHE
1. con il primo motivo, parte ricorrente deduce (art. 360, n. 3 e n. 4, c.p.c.) violazione e falsa applicazione degli artt. 61, 62 e 69 d. lgs. n. 276/2003 ed error in procedendo per non avere il giudice del rinvio rispettato il decisum della pronuncia di cassazione, assumendo che erroneamente è stato ritenuto insussistente il requisito dello specifico progetto sotteso al co.co.pro, in ciò disattendendo il decisum della pronuncia rescindente;
2. il motivo è infondato;
3. la Corte di Ancona ha dato atto della riassunzione del giudizio da parte di NOME COGNOME dopo la pronuncia rescindente di questa Corte, insistendo per il rigetto dell’appello incidentale proposto dalla banca avverso l’accertamento di esistenza del vincolo di subordinazione e per l’accoglimento dell’appello principale, con riforma della sentenza di primo grado riconoscendogli il diritto a percepire, oltre all’indennità risarcitoria ex art. 32 legge n. 183/2010, anche le differenze retributive ai sensi dell’art. 36 Cost. e d el CCNL per i dirigenti del Credito Cooperativo, nella misura di € 37.769,88, secondo nuovo conteggio; ha specificato che, in forza del chiaro principio di diritto enunciato nell’ordinanza rescindente e nei numerosi precedenti di legittimità in essa richiamati, le era stato demandato di effettuare la verifica di corrispondenza del menzionato progetto al modello legale imposto dagli artt. 61 ss. del d.lgs. n. 276/2003, muovendo dalla considerazione che occorreva vagliare la coeva assegnazione delle mansioni di Direttore Generale in termini rispettosi dell’interpretazione che alla legislazione citata è stata costantemente offerta dalla giurisprudenza; ha condiviso i dubbi sulla specificità del
progetto in esame, univocamente posti da questa Corte a fondamento della pronuncia rescindente, in relazione alla chiara ratio della normativa richiamata, che postula, in seno al progetto, un’attività produttiva chiaramente descritta ed identificata attraverso il collegamento ad un determinato risultato finale, che non può farsi coincidere con il perseguimento del generale intere sse dell’impresa committente a realizzare l’oggetto sociale, attraverso la mera riproposizione dei medesimi obiettivi, alla cui re alizzazione mira l’ordinaria attività aziendale; ha valutato il progetto al vaglio carente dell’indefettibile profilo di specificità, interpretando con congrua motivazione il contratto di collaborazione e la sua integrazione; ne ha tratto, conformemente a legge, l’immediata e automatica conseguenza della trasformazione del rapporto di collaborazione in rapporto di lavoro subordinato, per effetto dell’accertata carenza di uno specifico progetto in seno al contratto, richiamando pertinente giurisprudenza di legittimità;
4. ne consegue sulla questione oggetto del motivo in esame la conformità a legge e al perimetro dell’accertamento in fatto secondo i principi di diritto fissati dalla pronuncia rescindente della seconda sentenza d’appello qui impugnata;
5. con il secondo motivo viene denunciata (art. 360, n. 3 e n. 5, c.p.c.) violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 c.c. e omesso esame dello status di pensionato del lavoratore, rilevante ai fini dell’interpretazione della volontà delle parti (o motivazione apparente sul punto);
il motivo sconta in primo luogo profili di inammissibilità;
secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, in tema di ricorso per cassazione, è inammissibile la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti
riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360, comma 1, n. 3 e n. 5, c.p.c., non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di norme di diritto, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione (Cass. n. 3397/2024, n. 26874/2018, n. 19443/2011);
8. in ogni caso, la considerazione del fatto che il lavoratore fosse già pensionato non è stata omessa nella sentenza gravata, avendo la Corte territoriale osservato che ciò non precludeva la tutela lavoristica, potendo rilevare quale possibile causa di esclusione di benefici pensionistici collegati all’assenza di redditi da lavoro, dando luogo nel caso a una fattispecie di indebito previdenziale (v. p. 4 sent. impugnata)
9. con il terzo motivo viene denunciata (art. 360, n. 3 e n. 5, c.p.c.) violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2013 c.c. e omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa l’inquadramento del lavoratore e quindi nel riconoscimento delle differenze retributive, disattendo i principi che regolano l’onere della prova;
ribaditi i profili di inammissibilità del motivo, come per il precedente, esso non è meritevole di accoglimento in quanto la sentenza impugnata è conforme alla consolidata giurisprudenza di questa Corte, in base alla quale, nel procedimento logicogiuridico diretto alla determinazione dell’inquadramento di un lavoratore subordinato, non può prescindersi da tre fasi successive, e cioè, dall’accertamento in fatto delle attività lavorative in concreto svolte, dall’individuazione delle qualifiche e dei gradi previsti dal contratto collettivo di categoria e dal
raffronto tra il risultato della prima indagine e i testi della normativa contrattuale individuati nella seconda;
l’accertamento della natura delle mansioni concretamente svolte dal dipendente, ai fini dell’inquadramento del medesimo in una determinata categoria di lavoratori, costituisce giudizio di fatto riservato al giudice del merito ed è insindacabile, in sede di legittimità, se sorretto da logica ed adeguata motivazione (così Cass. n. 28284/2009; tra le molte successive conformi, v. Cass. n. 8589/2015, n. 18943/2016, n. 14413/2024);
nel caso di specie, tale procedimento trifasico è stato svolto e adeguatamente motivato sulla base di elementi probatori congrui e conseguenti, tenuto conto delle peculiarità della fattispecie concreta, e in rapporto alle declaratorie ed esemplificazioni della normativa contrattuale collettiva applicata al rapporto e riportate nella motivazione; segnatamente (v. p. 5 sent. impugnata), dal complesso degli elementi acquisiti è stato desunto che l’originario ricorrente aveva effettivamente assolto in via prevalente e sistematica i compiti propri del direttore generale, incarico formalmente conferitogli dalla banca attraverso espressa previsione della scrittura integrativa del contratto di collaborazione e attraverso l’esplicito rinvio allo statuto sociale, sul punto ricalcante sostanzialmente le previsioni del CCNL di settore, che riporta alla dirigenza (e non alla qualifica di quadro) la tipologia delle attribuzioni conferite;
con il quarto motivo la società ricorrente censura la sentenza impugnata ai sensi dell’ art. 360, n. 3, n. 4 e n. 5, c.p.c., per violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., o error in procedendo o omesso esame circa fatti decisivi per avere la Corte d’Appello ritenuto operante il principio di non contestazione relativamente all’esattezza dei conteggi ai fini della liquidazione delle differenze retributive;
anche il motivo in esame finisce con il rimettere al giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione enunciati dall’art. 360 c.p.c., per poi ricercare quale o quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo, così attribuendo, inammissibilmente, al giudice di legittimità il compito di dare forma e contenuto giuridici alle censure, al fine di decidere successivamente su di esse;
né parte ricorrente evidenzia specifici errori di quantificazione; peraltro, l’accertamento della sussistenza di una contestazione ovvero d’una non contestazione rientra nel quadro dell’interpretazione del contenuto e dell’ampiezza dell’atto della parte ed è funzione del giudice di merito, sindacabile in cassazione solo per vizio di motivazione (Cass. 27490/2019), motivazione nella specie sussistente (v. p. 7 sent. impugnata) e rispondente al canone del cd. minimo costituzionale;
la sentenza gravata resiste pertanto alle censure contenute in ricorso, che deve complessivamente essere respinto;
le spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza, con distrazione in favore del difensore di parte controricorrente, dichiaratosi antistatario; al rigetto dell’impugnazione consegue il raddoppio del contributo unificato, ove dovuto nella ricorrenza dei presupposti
processuali;
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio, che liquida in € 6.000 per compensi, € 200 per esborsi, spese generali al 15%, accessori di legge, da distrarsi.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale del 7 maggio