Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 13479 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 13479 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 20/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 18872/2022 R.G. proposto da: COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in Vicenza INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE che li rappresenta e difende,
-ricorrenti- contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in Vicenza INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende, unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE, controricorrente
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Venezia n. 1118/2022 depositata il 16/05/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26/03/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1 Con sentenza del 20/10/2020 il Tribunale di Vicenza, in accoglimento della domanda di revocatoria, oggetto di due atti di citazione che avevano dato origine a due giudizi riuniti, proposta dal Fallimento RAGIONE_SOCIALE, creditore dei coniugi COGNOME NOME e COGNOME MaraCOGNOME a titolo di risarcimento danni, per atti di mala gestio compiuti nella qualità di amministratori della società fallita, dichiarò, ai sensi dell’art. 2901 c.c., inefficace nei confronti del Fallimento RAGIONE_SOCIALE, la stipulazione ex art. 1411 c.c., contenuta nell’atto denominato « cessioni di immobili a favore di terzi » del 24.10.2011 n. 63073 Rep. e n.15176 Racc. Notaio Dr. NOME COGNOME di Dueville, avente ad oggetto la produzione dell’effetto traslativo del diritto di proprietà sulle unità immobiliari ivi descritte in favore di COGNOME NOME e COGNOME NOME, figli dei coniugi COGNOME, che contestualmente accettavano rendendo irrevocabile l’acquisto in loro favore, anziché in favore degli loro genitoristipulanti, e, conseguentemente, condannò i convenuti a consegnare alla curatela attrice i suddetti immobili.
2 La Corte d’Appello di Venezia confermava la statuizione di declaratoria di inefficacia dell’atto nei confronti della curatela; in parziale accoglimento dell’appello ha rigettato la domanda della curatela di restituzione degli immobili.
2.1 Osservavano i giudici veneziani, per quanto di interesse in questa sede : i) la chiusura del fallimento non era ostativa alla prosecuzione dell’azione revocatoria rispetto alla quale, ai sensi dell’art. 118 l.fall., così come modificato dal d.l. 83/2015, il curatore conservava la legittimazione; ii) l’atto di citazione introduttivo del giudizio n. 6426/16 RG, nonostante fosse
manchevole degli estremi della trascrizione delle cessioni (e per tale motivo il Fallimento aveva provveduto a notificare in secondo atto di citazione), si presentava completo ed intellegibile e l’autorizzazione del Giudice Delegato era intervenuta prima che maturasse la prescrizione, sicché a quella data l’atto introduttivo del giudizio aveva senz’altro prodotto l’effetto di impedire il decorso della prescrizione dell’azione revocatoria ed in ogni caso, anche se successivo, avrebbe sanato il difetto con effetti retroattivi; iii) nel contratto di cui all’art 1411 c.c. la clausola nella quale si sostanzia la stipulazione a favore del terzo gode di una sua autonomia e fa sì che il contratto produca i suoi effetti a beneficio di un soggetto che non è parte del contratto stesso; nel caso di specie ciò avveniva in forza di una determinazione degli stipulanti e l’interesse che giustificava l’atto dispositivo era costituito dall’ atto di liberalità in favore dei terzi; iv) nonostante il bene donato non fosse transitato nel patrimonio dei disponenti, ben poteva ritenersi configurato lo schema della donazione indiretta non di ciò che era effettivamente fuoriuscito dal patrimonio dei donanti (il denaro utilizzato per l’acquisto o, nella fattispecie per cui è causa, le prestazioni cui gli stipulanti si sono impegnati verso la promittente), bensì del bene che invece di essere acquisito dai disponenti (stipulanti) era stato direttamente trasferito dal venditore (promittente) ai terzi favoriti; v) l’operazione negoziale costituita dalla combinazione tra la costituzione del vitalizio assistenziale a favore dei genitori di Peripoli Mara e l’apposizione della stipulazione in favore dei figli di costei, aveva determinato il depauperamento degli stipulanti con conseguente integrazione del requisito dell’ eventus damni ; vi) ai fini della sussistenza dell’elemento soggettivo, trattandosi di atto a titolo gratuito, non rilevava la scientia damni dei terzi beneficiari e neppure doveva tenersi conto dello stato soggettivo del promittente.
3 COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME e COGNOME COGNOME proponevano ricorso per cassazione affidandolo a sei motivi, illustrati con memoria; il Fallimento ha svolto difese con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1 I mezzi di impugnazione possono così sintetizzarsi:
primo motivo: violazione e o falsa applicazione dell’art.118 l.fall., come modificato dal d.l. n. 83/2015, convertito in legge 132/2015, nonché dell’art. 66 l.fall., degli artt. 2901 e 2902 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1 n. 3, c.p.c., per avere la Corte errato nel non ritenere improponibile e improseguibile l’azione revocatoria da parte del curatore nell’interesse della massa dei creditori; in particolare assumono i ricorrenti che tra i ‘giudizi’ che secondo il novellato art. 18 l.fall. non impediscono la chiusura del fallimento non possono rientrare le azioni che, vittoriosamente esperite, comportino nuova ed ulteriore attività di liquidazione dell’attivo, come l’actio pauliana , tipica azione di massa che quindi non possono essere proseguite;
secondo motivo: violazione e o falsa applicazione dell’art. 163, comma 1 n. 3, e 164, comma 4, c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1 n. 4, c.p.c. per non avere la Corte dichiarato la nullità del primo atto di citazione, notificato in data 18/10/2016, con conseguente inidoneità dell’atto stesso ad interrompere la prescrizione, che, con riferimento ad un contratto a favore di terzo contenente due disposizioni immobiliari traslative a favore di due distinti soggetti, menzionava, per individuare l’oggetto della revocatoria, una sola delle trascrizioni e, per di più, senza indicare il soggetto cui si riferiva;
terzo motivo: violazione e o falsa applicazione dell’art. 2943 c.c. e dell’art. 182 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1 n. 3, c.p.c.;
sostengono i ricorrenti che la mancanza dell’autorizzazione del curatore a stare in giudizio si risolve in un difetto di legittimazione processuale sanabile in ogni momento con efficacia retroattiva, tanto non si può predicare nel caso in cui l’autorizzazione manchi ai fini interruttivi della prescrizione poiché in tal caso viene in rilevo l’effetto sostanziale, e non processuale, dell’atto di citazione ex art. 2943 c.c. e perché, comunque, quando sia maturata la prescrizione, non vi è luogo a sanatoria ex tunc . A tali fini l’autorizzazione a stare in giudizio accordata al curatore è giuridicamente esistente solo quando sia stata pubblicata e non semplicemente quando sia stata sottoscritta dal giudice; quarto motivo : violazione eo falsa applicazione degli artt. 1411, 2901, 2902 e 2740 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1 n. 3, c.p.c.: i ricorrenti deducono che l’azione revocatoria avente ad oggetto un contratto a favore di terzo con effetti traslativi immobiliari dal promittente al terzo, così come promossa dalla curatela nella fattispecie concreta, in quanto volta non ad incidere sullo spostamento patrimoniale del proprio debitore (lo stipulante ed il rapporto di provvista), ma a rendere inefficace il trasferimento dal promittente (non debitore) al terzo (non debitore), è incompatibile con l’art. 1411 c.c. e ss. nonché con gli artt. 2901 c.c. e ss. e con l’art 2740 c.c. in quanto: a) nello schema del contratto in favore di terzo, in presenza di un effetto traslativo, il terzo diviene titolare del diritto ceduto in conseguenza della stipulazione intercorsa tra stipulante e promittente ed il diritto transita direttamente dal patrimonio del promittente a quello del terzo senza mai pervenire nel patrimonio dello stipulante; b) il fallimento è creditore degli stipulanti e non del promittente; c) i beni oggetto di causa sono usciti dal patrimonio del promittente e non degli stipulanti. Né, secondo i ricorrenti, tale conclusione è inficiata dalle tesi, sostenute dalla corte di merito, secondo cui con tale atto gli stipulanti hanno realizzato una liberalità a favore del
terzo avente ad oggetto l’immobile, nonostante questo mai sia circolato nel loro patrimonio, alla stregua di quanto affermato da Cass. SSUU n. 9282/92, in tema di collazioneriduzione fra coeredilegittimari. Infatti queste azioni hanno natura giuridica e finalità ben diverse dall’azione revocatoria: nelle prime si ha riguardo alla posizione del donatario ed a ciò di cui è stato arricchito, nella seconda, il punto cruciale è l’opposto, ossia esattamente e solo il bene di cui il debitore si è impoverito; prova ne sia che, ove si consentisse (come nella specie) al creditore dello stipulante di agire indifferentemente anche sui beni del terzo si aprirebbero irrisolvibili conflitti con i creditori di quest’ultimo;
quinto motivo: violazione e o falsa applicazione dell’art. 2901 c.c. e dell’art. 2740 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1 n. 3, c.p.c. per non avere la Corte considerato che nel contratto a favore di terzi in cui lo stipulante è debitore di colui che agisce in revocatoria, l’eventus damni è da commisurarsi rispetto alle diminuzioni patrimoniali arrecate con la disciplina del rapporto di provvista e non rispetto ai mancati acquisti di cui al rapporto di valuta;
sesto motivo: violazione e o falsa applicazione dell’art. 2901 c.c. e dell’art. 809 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1 n. 3, c.p.c .: lamentano i ricorrenti che, postulando la liberalità indiretta l’adozione della disciplina propria del negozio -mezzo utilizzato dalle parti, lo strumento adottato dalle parti del negozio in favore del terzo richiedeva, ai fini della revocatoria, l’accertamento della scientia damni non solo in capo allo stipulante ma anche quella in capo al promittente;
settimo motivo violazione e o falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c. in relazione all’art. 360, comma 1 n. 3, c.p.c. per avere la Corte erroneamente condannato a rifondere le spese di lite ai convenuti non costituiti che non avevano neanche partecipato all’atto revocato.
Il primo motivo è infondato
2 L’art. 118, comma 2, l.fall. così come modificato dal d.l. 83/2015 stabilisce che « La chiusura della procedura di fallimento nel caso di cui al n. 3) non è impedita dalla pendenza di giudizi, rispetto ai quali il curatore può mantenere la legittimazione processuale anche nei successivi stati e gradi del giudizio, ai sensi dell’art. 43 l.fall. In deroga all’articolo 35, anche le rinunzie alle liti e le transazioni sono autorizzate dal giudice delegato. Le somme necessarie per spese future ed eventuali oneri relativi ai giudizi pendenti, nonché le somme ricevute dal curatore per effetto di provvedimenti provvisoriamente esecutivi e non ancora passati in giudicato, sono trattenute dal curatore secondo quanto previsto dall’articolo 117, comma secondo. Dopo la chiusura della procedura di fallimento, le somme ricevute dal curatore per effetto di provvedimenti definitivi e gli eventuali residui degli accantonamenti sono fatti oggetto di riparto supplementare fra i creditori secondo le modalità disposte dal tribunale con il decreto di cui all’articolo 119. In relazione alle eventuali sopravvenienze attive derivanti dai giudizi pendenti non si fa luogo a riapertura del fallimento. Qualora alla conclusione dei giudizi pendenti consegua, per effetto di riparti, il venir meno dell’impedimento all’esdebitazione di cui al comma secondo dell’articolo 142, il debitore può chiedere l’esdebitazione nell’anno successivo al riparto che lo ha determinato ».
2.1 La disposizione normativa che consente espressamente che la procedura concorsuale possa essere chiusa per ripartizione finale dell’attivo nonostante la pendenza di giudizi e che, rispetto a tali giudizi il curatore conserva, a norma dell’art. 43 l. fall., la propria legittimazione processuale nei successivi stati e gradi di giudizio trova applicazione non solo in relazione alle liti attive che abbiano ad oggetto direttamente il recupero di somme di denaro ma anche alle controversie, come quella in esame, che riguardano beni, da
trasformare poi in denaro ai fini del riparto, e quindi anche alla revocatoria (ordinaria e fallimentare).
2.2.La norma, infatti, stante l’ampia formula utilizzata -‘pendenza di giudizi’ -non autorizza affatto l’interpretazione restrittiva, limitata solo ai giudizi che abbiano ad oggetto il recupero di somme di denaro, accreditata dai ricorrenti.
2.3 Questa Corte in una recente ordinanza ha affermato che la procedura concorsuale può essere chiusa per ripartizione finale dell’attivo nonostante la pendenza di giudizio, che nel caso ivi esaminato aveva ad oggetto la revocatoria di pagamenti, e che, rispetto a tali giudizio il curatore conserva, a norma dell’art. 43 l. fall., la propria legittimazione processuale nei successivi stati e gradi di giudizio. (cfr. Cass 10893/2024).
3 Il secondo motivo non merita accoglimento in quanto dalla lettura delle conclusioni rassegnate in calce all’atto di citazione con il quale la curatela ebbe a promuovere la causa n.8426/16 R.G. emerge con estrema chiarezza che il Fallimento aveva domandato in giudizio che fosse dichiarata l’inefficacia della stipulazione ex art. 1411 c.c., contenuta nell’atto di data 24.10.2011, avente ad oggetto la produzione in favore di COGNOME NOME e COGNOME NOME, anziché degli stipulanti COGNOME Mara e COGNOME NOME, dell’effetto traslativo del diritto di proprietà sulle unità immobiliari descritte nell’atto in parola e che, per l’effetto, venisse dichiarato che l’acquisto dei relativi diritti di proprietà doveva considerarsi come consolidatosi a beneficio degli stipulanti COGNOME Mara e COGNOME NOME, invece che dei terzi COGNOME NOME e COGNOME NOME.
3.1 Del tutto ininfluente ai fini della individuazione degli elementi della domanda è la mancata indicazione degli estremi della trascrizione dell’atto.
3.2 Una conferma indiretta della intelligibilità del petitum è fornita dal fatto che la nullità della citazione non fu né eccepita dai
convenuti costituiti né rilevata dal Giudice Istruttorie alla prima udienza.
4 Il terzo motivo è infondato per la dirimente ragione che, come accertato dalla Corte del merito , alla data della notifica dell’atto di citazione, momento in cui si verifica l’evento interruttivo del decorso della prescrizione dell’azione, notifica effettuata a mezzo del servizio postale in data 20/10/2016, il decreto autorizzativo del G.D. a promuovere la presente causa era stato già reso (in data 14/10/2016) e depositato in cancelleria (in data 20/10/2016).
Anche il quarto motivo è infondato.
5 È noto che il contratto a favore del terzo, secondo la previsione che si ricava dall’art 1411 c.c. si configura quando una parte (stipulante) designa un terzo quale avente diritto di una prestazione dovuta dalla controparte (promittente).
5.1 Ove la disposizione del diritto in favore del terzo perda efficacia in conseguenza del rifiuto del terzo o della revoca della stipulazione, il contratto non viene a cadere nel suo complesso ma rimane valido ed efficace tra le sue parti, con la conseguente che il promittente deve eseguire la prestazione in favore dello stipulante, perdendo la connotazione peculiare del contratto in favore di terzo.
5.2 Ciò premesso, non vi è dubbio che nella fisiologica evenienza in cui non vi sia rifiuto del terzo o revoca dello stipulante, la deviazione degli effetti negoziali a favore del terzo beneficiario, in mancanza di controprestazione a carico di quest’ultimo, realizza una ipotesi di attribuzione patrimoniale avente natura di donazione indiretta, in quanto il fondamento giustificativo dell’operazione è un arricchimento del terzo cui corrisponde un impoverimento dello stipulante.
5.3 Si tratta di attribuzione patrimoniale a titolo gratuito, attuata attraverso lo strumento del contratto a favore del terzo; ne consegue che la clausola distrattiva contenuta in tale atto, ove
pregiudichi i creditori del disponentestipulante è suscettibile di essere aggredita con il rimedio dell’azione revocatoria fallimentare. 5.4 Non è condivisibile la tesi difensiva prospettata dai ricorrenti che hanno escluso la revocabilità dell’atto sul presupposto che i cespiti immobiliari siano stati distratti direttamente dal promittente ai terzi beneficiari senza prima essere transitati nella sfera patrimoniale degli stipulanti, con la conseguenza che il soggetto che risente del pregiudizio economico andrebbe individuato nel promittente piuttosto che negli stipulanti.
5.5 In realtà l’attribuzione dei beni ai soggetti favoriti è stata resa possibile dalla manifestazione di volontà liberale degli stipulanti che avevano diritto a ricevere la prestazione del promittente e, quindi, il depauperamento del patrimonio dei disponenti risiede nel mancato conseguimento del compendio immobiliare che, per effetto del meccanismo descritto nell’ art. 1411 c.c., fondato sulla causa di liberalità, è trasmigrato nella sfera patrimoniale dei donatari.
5.6 Siffatta ricostruzione trova conferma nell’art. 1411 c.c. laddove prevede, ove la destinazione al terzo della prestazione vantaggiosa non si consolidi definitivamente in suo favore per effetto della revoca dello stipulante o il rifiuto del terzo, l’acquisizione diretta da parte dello stipulante del diritto alla prestazione.
5.7 Lo schema economico-giuridico utilizzato dalle parti – di cui sopra si è dato conto – è stato dunque condivisibilmente centrato della Corte distrettuale; in particolare nella motivazione della sentenza si legge : « Ove, come nel caso in esame, l’interesse sia quello di effettuare un atto di liberalità in favore del terzo, lo stipulante realizza in tal modo una donazione indiretta. Il riferimento all’ipotesi dell’acquisto di un immobile effettuato con denaro del donante ed intestazione del bene acquistato al donatario, che da tempo la giurisprudenza in materia di successione ereditaria configura come donazione indiretta (Cass.
SSUU n. 9282/92; Sez. II n. 13619/17, rv. 644326), è, diversamente da quanto sostenuto dagli appellanti, del tutto calzante. Anche in questo caso, infatti, nonostante il bene donato non transiti per il patrimonio del disponente, la ricostruzione della vicenda in base a quella che è l’effettiva volontà del disponente, a prescindere dallo strumento formale adottato, porta a ritenere integrata la donazione, non di ciò che è effettivamente fuoriuscito dal patrimonio del donante (il denaro utilizzato per l’acquisto o, nella fattispecie per cui è causa, le prestazioni cui gli stipulanti si sono impegnati verso la promittente), bensì del bene che si è direttamente trasferito dal venditore (nel presente caso dalla promittente) al terzo donatario. La donazione indiretta, quindi, ‘si identifica con ogni negozio che, pur non avendo la forma della donazione, sia mosso da un fine di liberalità e abbia l’effetto di arricchire gratuitamente il beneficiario’ (Cass. n. 9378/20, rv. 657703). La particolarità della donazione effettuata mediante contratto in favore di terzo, così come accade nell’ipotesi di intestazione di beni immobili a nome altrui, è che il risultato liberale viene, in tali casi, conseguito ‘attraverso la combinazione di più atti e negozi’ (Cass. SSUU n. 18725/17, in motivazione). Anche se la struttura dell’operazione negoziale determina il passaggio diretto dei beni dal precedente al nuovo proprietario, la lettura di tale operazione complessa non può prescindere dalla considerazione dell’intento causale perseguito dal donante, sicché, in questa prospettiva, può ben parlarsi di un duplice trasferimento patrimoniale, involgente anche il patrimonio del donante. Tanto ciò è vero che, nel caso il secondo (in ordine logico) dei due trasferimenti non possa avvenire, la norma di cui all’art. 1411 comma terzo c.c. fa salva la prima delle cessioni, lasciando che sia lo stipulante a beneficiare degli effetti del contratto. Se vi è stata una donazione, ne consegue che non può negarsi che i debitori del fallimento abbiano posto in essere un negozio dispositivo con il
quale hanno diminuito la consistenza del proprio patrimonio e contestualmente incrementato quello dei donatari. Si è quindi in presenza di un negozio suscettibile di revoca ai sensi dell’art. 2901 c.c. Per quanto detto, in analogia con quanto previsto dal comma terzo dell’art. 1411 c.c., all’inefficacia della stipulazione in favore di terzo non segue il venir meno dell’intera operazione negoziale ma il mero ripristino dell’ordinaria efficacia del contratto di cessione immobiliare in favore dell’acquirente, anziché del terzo. Conseguentemente gli immobili destinati ai terzi beneficiari vanno considerati invece come entrati a far parte del patrimonio degli stipulanti, debitori nei confronti dell’attore in revocatoria, mentre la stipulazione a favore del terzo resta inopponibile al creditore che agisca in revocatoria ».
6 Il quinto motivo è infondato in quanto la Corte ha correttamente spiegato che per effetto dell’ atto dispositivo liberale, con causa e natura di donazione indiretta, realizzato attraverso l’operazione negoziale costituita dalla combinazione tra la costituzione del vitalizio assistenziale a favore dei genitori di COGNOME Mara e l’apposizione della stipulazione in favore dei figli di costei, si sia determinato un impoverimento dei donanti correlato all’arricchimento di cui hanno beneficiato COGNOME NOME COGNOME NOME.
7 Il sesto motivo è anch’esso infondato.
7.1 Per le considerazioni sopra esposte, l’azione revocatoria fallimentare esperita dalla curatela ha ad oggetto una disposizione patrimoniale a titolo gratuito, realizzata attraverso un contratto a favore dei terzi, ragion per cui è del tutto ininfluente lo stato soggettivo del beneficiario anche sotto il profilo della consilium fraudis, inteso come dolosa preordinazione al pregiudizio delle future ragioni di credito altrui, trattandosi di atto di disposizione compiuto in epoca successiva rispetto a quella del sorgere del credito.
7.2 E’ irrilevante anche lo stato soggettivo del promittente , dal momento che la sua partecipazione all’atto complessivo è accertata come solo strumentale a l raggiungimento dell’effetto di sottrarre i beni alla garanzia dei creditori dello stipulante.
7.3 Il promittente, che avrebbe dovuto adempiere la propria prestazione in favore dello stipulante secondo lo schema della sinallagmaticità del contratto, si limita a prestare il proprio consenso all’atto dispositivo liberale che si manifesta nella designazione del terzo quale soggetto titolare del diritto di pretendere egli stesso dall’obbligato l’esecuzione della prestazione; è la scientia damni in capo allo stipulante che rileva ai fini dell’integrazione dell’elemento soggettivo dell’azione revocatoria.
8 Non merita accoglimento neppure il settimo motivo.
8.1 I principi della causalità e della soccombenza che regolano la disciplina delle spese processuali valgono anche per i convenuti contumaci.
8.2 L’art. 92, comma 2, c.p.c., testo vigente, consente la compensazione delle spese se vi è reciproca soccombenza e nelle ipotesi specificamente individuate di «assoluta novità della questione trattata o mutamento di giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti»; ad essi va aggiunta quella introdotta dalla Corte costituzionale (sentenza n. 132/2014) «di altre analoghe gravi ed eccezionali ragioni».
8.3 Come appare evidente, la contumacia costituisce condotta processualmente neutra, che giammai può integrare alcuna delle ipotesi sopra riportate.
Il ricorso è, quindi, rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese presente giudizio che liquida in € 8.000, per compensi, oltre € 200 per esborsi, nonché spese generali ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1- bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso nella Camera di Consiglio tenutasi in data 26 marzo