Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 7412 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 7412 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 20/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 4232 R.G. anno 2020 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME di Torrepadula, domiciliata in Roma presso lo studio legale COGNOME;
ricorrente
contro
RAGIONE_SOCIALE , rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
contro
ricorrente avverso la sentenza n. 1270/2019 depositata il 18 giugno 2019 della Corte di appello di Catanzaro.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 30 gennaio 2024 dal consigliere relatore NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con sentenza del 18 luglio 2014 il Tribunale di Catanzaro ha dichiarato la nullità di alcuni contratti di interest rate swap conclusi da RAGIONE_SOCIALE con Banco di Napoli RAGIONE_SOCIALE.a. – ora RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE.p.a. , condannando la banca convenuta al risarcimento del danno nella somma complessiva di euro 364.556,00, oltre interessi.
– La pronuncia è stata impugnata avanti alla Corte di appello di Catanzaro, la quale, in parziale accoglimento del gravame, ha quantificato il danno da risarcire in euro 122.917,00, oltre interessi.
– Ricorre per cassazione, con quattro motivi, In tesa RAGIONE_SOCIALE. Resiste con controricorso RAGIONE_SOCIALE. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
-Col primo motivo sono denunciate la violazione e falsa applicazione dell’art. 31, comma 2, reg. Consob n. 11522/1998, con riferimento agli artt. 21 e 23 t.u.f. (d. lgs. n. 58/1998) e agli artt. 26, 27, 28, 29 e 30 del cit. regolamento. La censura attiene alla disciplina relativa agli obblighi informativi che, secondo la ricorrente, doveva essere esclusa in ragione della qualità di operatore qualificato ricoperta dalla società investitrice. Si assume che erroneamente la sentenza impugnata avrebbe preteso l’enunciazione in dettaglio delle specifiche operazioni in strumenti finanziari rispetto alle quali avrebbe trovato riscontro applicativo l’esonero della banca dalla somministrazione dei suddetti obblighi informativi.
Il secondo motivo oppone la violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., in riferimento agli artt. 2730 , 2732 e 2735 c.c. . Si rileva che nel corso dell’istruttoria era stata fornita prova, attraverso la confessione del legale rappresentante della società controricorrente, del tipo di strumento finanziario oggetto di negoziazione; si deduce, infatti, che il detto soggetto aveva espressamente ammesso di conoscere l’esistenza e il funzionamento degli strumenti finanziari derivati di copertura per la gestione del rischio di tasso e del cambio.
1.1. – I due motivi possono vagliarsi congiuntamente .
Viene in questione la disciplina contenuta nell’art. 31 del cit. reg. Consob n. 11522/1998. Il primo comma del detto articolo dispone che nei rapporti tra intermediari autorizzati e operatori qualificati non si applicano alcune disposizioni del regolamento: per quanto qui rileva, quelle che impongono all’intermediario precise regole di comportamento nella prestazione dei servizi di investimento; il secondo comma chiarisce a quali soggetti sia da attribuire la qualità di operatore qualificato e precisa, al riguardo, che deve intendersi tale anche « ogni società o persona giuridica in possesso di una specifica competenza ed esperienza in materia di operazioni in strumenti finanziari espressamente dichiarata per iscritto dal legale rappresentante ».
La Corte di appello ha escluso che RAGIONE_SOCIALE potesse essere considerato un operatore qualificato sulla base di due distinte rationes decidendi. La prima si concreta nella condivisione dell’affermazione espressa nella sentenza di primo grado per cui, in sintesi, la dichiarazione resa dal legale rappresentante della società non implicava che questa fosse un operatore esperto nello specifico settore dei contratti derivati: con la conseguenza che, in buona sostanza, la dichiarazione del legale rappresentante non valeva a far rientrare l’odierna controricorrente tra gli operatori qualificati. La seconda ratio si fonda sulle risultanze probatorie, dalle quali si ricavava che «l’intermediario conosceva l’assenza di competenze e le esperienze pregresse in materia di operazioni in strumenti finanziari e di contratti derivati, in contrario con quanto dichiarato per iscritto dal suo legale rappresentante».
Come è noto, nei contratti di intermediazione finanziaria, la dichiarazione formale di cui all’art. 31, comma 2, reg. Consob n. 11522 del 1998, sottoscritta dal legale rappresentante, in cui si affermi che la società amministrata dispone della competenza ed esperienza richieste in materia di operazioni in strumenti finanziari, vale ad esonerare
l’intermediario dall’obbligo di effettuare per suo conto ulteriori verifiche al riguardo, gravando sull’investitore l’onere di provare elementi contrari emergenti dalla documentazione già in possesso dell’intermediario. Ne consegue che in giudizio, sul piano probatorio, l’esistenza dell’autodichiarazione è sufficiente ad integrare una prova presuntiva semplice della qualità di investitore qualificato in capo alla persona giuridica, gravando su quest’ultima l’onere di allegare e provare specifiche circostanze dalle quali emerga che l’intermediario conosceva, o avrebbe dovuto conoscere con l’ordinaria diligenza, l’assenza di dette competenze ed esperienze pregresse (Cass. 4 aprile 2018, n. 8343; cfr. pure, in relazione alla previsione dell’art. 13 reg. Consob n. 5387/1991, Cass. 26 maggio 2009, n. 12138). La sentenza impugnata, con riferimento al secondo percorso decisionale, si conforma, dunque, a tale principio.
Il ricorso contrasta l’affermazione relativa alla competenza ed esperienza della società investitrice in materia di operazioni in strumenti finanziari e di contratti derivati col secondo motivo di censura. Tale motivo, incentrato su di una dichiarazione confessoria che avrebbe reso il legale rappresentante di RAGIONE_SOCIALE, è tuttavia inammissibile. Anzitutto essa avrebbe dovuto essere veicolata attraverso il mezzo di cui all’art. 360, n. 5, c.p.c., il quale ha appunto ad oggetto l’omesso esame di un fatto storico, principale, ma anche secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia (Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8054; Cass. 29 ottobre 2018, n. 27415). In secondo luogo, la banca istante invoca la detta dichiarazione limitandosi a riprodurre lo stralcio di un documento, senza precisare se e quando esso sia stato prodotto in giudizio. Si rammenta, al riguardo, che il principio di autosufficienza, che impone l’indicazione
espressa degli atti processuali o dei documenti sui quali il ricorso si fonda, va inteso nel senso che occorre specificare anche in quale sede processuale il documento risulta prodotto (Cass. 10 dicembre 2020, n. 28184; Cass. 7 marzo 2018, n. 5478).
Peraltro, la ricorrente assume che la richiamata attestazione sarebbe stata resa al momento della conclusione del contratto quadro, redigendo l’apposito questionario diretto a far conoscere la propensione al rischio del cliente e i suoi obiettivi di investimento. Risulta evidente, allora, che quanto espresso dal legale rappresentante della società investitrice non varrebbe comunque a integrare la dichiarazione prevista dall’art. 31, comma 2, reg. Consob n. 1152 del 1998 . La prescrizione normativa esige, infatti, come si è visto, una dichiarazione espressa su di una competenza ed esperienza specifica in materia di operazioni in strumenti finanziari e tale dichiarazione, che è funzionale a rendere edotto l’intermediario della volontà dell’investitore di rinunciare a una serie di diritti che a questi competono in tema di servizi finanziari, non può certamente ricavarsi da quelle generiche indicazioni che l’intermediario stesso è tenuto a raccogliere dal cliente, a norma dell’art. 28 reg. Consob n. 1152 del 1998, per addivenire alla profilatura dello stesso. L’implicazione , nella dichiarazione, di un elemento volontaristico è del resto desumibile dalla natura «espressa» della stessa (come pure sottolineato da Cass. 20 novembre 2015, n. 23805, in motivazione) e tanto vale ad escludere quel processo di meccanica assimilazione alla detta dichiarazione di attestazioni rese ad altro fine: assimilazione che la ricorrente pare in definitiva perorare.
La seconda ratio decidendi risulta dunque malamente aggredita. Va fatta allora applicazione del principio per cui qualora la decisione di merito si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, il mancato accoglimento delle censure mosse ad una delle rationes decidendi rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di
interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa (Cass. 11 maggio 2018, n. 11493; Cass. 14 febbraio 2012, n. 2108).
Quanto fin qui osservato porta, poi, a ritenere inattaccabile l’ ulteriore affermazione della Corte di appello per cui i contratti derivati per cui è lite erano affetti da nullità assoluta siccome conclusi da un soggetto privo della qualifica di promotore finanziario. Il Giudice distrettuale ha infatti accertato in fatto, e il punto sfugge al sindacato di legittimità, che i detti contratti furono conclusi presso RAGIONE_SOCIALE. Posto, dunque, che ricorre la fattispecie di cui all ‘art. 30 t.u.f. e che l’art. 36 reg. Consob n. 11522/1998 stabilisce che n ell’attività di offerta fuori sede di strumenti finanziari, di servizi di investimento e di prodotti finanziari disciplinati dal cit. art. 30 « gli intermediari autorizzati si avvalgono dei promotori finanziari », i contratti non potevano perfezionarsi tramite soggetti che non possedevano l’indicata qualità , salvo l ‘investitore fosse un operatore qualificato (art. 36 cit., comma 3): evenienza, quest ‘ultima, che, però, come si è visto, non ricorre.
Il primo e il secondo motivo sono in conclusione inammissibili.
2. Il terzo mezzo prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2384 c.c. , anche in combinato disposto con l’art. 1398 c.c.. La censura investe la decisione impugnata nella parte in cui ha ritenuto che il legale rappresentante della società ricorrente fosse privo del potere di impegnare la società con riferimento ai contratti derivati oggetto di causa. Si osserva che il divieto relativo al compimento di specifici atti deve essere espressamente previsto nello statuto e che il limite determinato dall ‘ estraneità dell’atto stesso all’oggetto sociale è privo di rilevanza, oltre che suscettibile di essere vagliato alla luce del criterio della potenziale strumentalità (nel senso che può essere considerato intra vires l’atto idoneo, anche in modo mediato e indiretto,
a soddisfare esigenze connesse all’attività sociale).
Col quarto motivo l’odierna ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1322 e 1418 c.c.. Dopo aver evidenziato che «le informazione sulle componenti essenziali dei contratti swap sottoscritti da RAGIONE_SOCIALE erano complete», posto che i contratti derivati prevedevano esplicitamente il nozionale, i tassi fissi che la società avrebbe dovuto pagare, oltre all’indicazione delle «barriere» e il tasso che avrebbe pagato la banca sul medesimo nozionale, la ricorrente rileva che lo scopo perseguito dai contraenti, sia esso la copertura di un rischio preesistente o la speculazione sull’andamento dei tassi, non reagisce sulla struttura dell’accordo, integrando un semplice motivo soggettivo: onde «qualora lo strumento derivato fosse realmente risultato, a seguito di istruttoria, inadeguato rispetto alla finalità di copertura e non anche a scopi speculativi, il contratto sarebbe stato da intendersi risolto in virtù di un grave inadempimento imputabile alla banca».
2.1. -Anche questi due motivi si prestano a un esame congiunto.
La Corte distrettuale ha reputato infondato il quinto motivo di appello, confermando, sul punto, la sentenza di primo grado. Il Tribunale aveva ritenuto che nell’elencazione delle operazioni che la società poteva compiere per il conseguimento dell’oggetto sociale non era ricompresa la stipula di contratti di investimento aventi ad oggetto derivati finanziari. La Corte di appello ha nella sostanza confermato tale affermazione, osservando come i contratti conclusi, per la loro specifica natura speculativa, e non di copertura, non potessero essere considerati atti finalizzati al conseguimento dell’oggetto sociale.
Giudicando, poi, dell’ottavo motivo di gravame, la Corte territoriale ha conferito rilievo al mancato assolvimento, da parte della banca, degli obblighi di informazione in relazione alle commissioni incassate dalla banca, ai pagamenti della società e al mark to market ; ha quindi osservato che i contratti risultavano essere privi di causa e
conclusi in violazione del secondo comma dell’art. 1322 c.c. . Muovendo dal rilievo che i derivati in questione dovevano presentare un’alea , oltre che reciproca e bilaterale, razionale (tale, cioè, che l’in vestitore conoscesse l’entità del rischio associato all’operazione), ha osservato che i contratti in questione non solo erano stati sottoposti alla firma da operatori non qualificati, ma erano «risultati strutturalmente inidonei» a svolgere la funzione di copertura per cui erano stati conclusi, in quanto avevano in realtà finalità speculativa. La Corte di merito ha cioè asserito «che i contratti in questione difettavano di una causa e di una causa meritevole di tutela, in quanto, finalizzati a neutralizzare il rischio delle variazioni del tasso di interesse, risultati in realtà sprovvisti di tale funzione».
Quanto affermato dalla Corte di appello con riguardo al potere rappresentativo dell’amministratore di RAGIONE_SOCIALE è errato, in quanto l’art. 2384 c.c., nel testo modificato dal d.lgs. n. 6/2003 (applicabile ratione temporis ) conferisce agli amministratori un potere di rappresentanza di carattere generale e l’oggetto sociale non integra più un limite legale al detto potere, essendo stato abrogato l’art. 2 384 bis c.c., il quale prevedeva che l’estraneità all’oggetto sociale degli atti compiuti dagli amministratori in società non poteva essere opposta ai terzi in buona fede (onde oggi il compimento di atti estranei all’oggetto sociale finisce per avere una diversa rilevanza, potendo costituire una giusta causa di revoca dell’amministratore o provocare iniziative quali l’azione di responsabilità nei confronti dell’amministratore res osi autore di una tale irregolarità della gestione).
Tanto non basta, tuttavia, a dar ragione dell’accoglimento del motivo.
Infatti, la caducazione dei contratti di swap trova comunque riscontro: non solo per essere stati conclusi – come si è visto senza l’ intervento di promotori finanziari, ma anche per la nullità strutturale da cui erano affetti i detti negozi.
In proposito, quanto osservato dal Giudice del gravame con riguardo alla doverosa rappresentazione del rischio dipendente dal derivato e alla correlativa necessità che i contratti recassero menzione di alcuni dati, tra cui i costi impliciti e il mark to market , si mostra corretto. Come hanno precisato le Sezioni Unite di questa Corte, in tema di interest rate swap , occorre accertare, ai fini della validità del contratto, se si sia in presenza di un accordo tra intermediario ed investitore sulla misura dell’alea, calcolata secondo criteri scientificamente riconosciuti ed oggettivamente condivisi: accordo che investe il mark to market , ossia il costo, pari al valore effettivo del derivato ad una certa data, al quale una parte può anticipatamente chiudere tale contratto od un terzo estraneo all’operazione è disposto a subentrarvi, ma che deve estendersi agli scenari probabilistici e concernere la misura qualitativa e quantitativa della menzionata alea e dei costi, pur se impliciti, assumendo rilievo i parametri di calcolo delle obbligazioni pecuniarie nascenti dall’intesa, che sono determinati in funzione delle variazioni dei tassi di interesse nel tempo (così Cass. Sez. U. 12 maggio 2020, n. 8770): infatti, l’accordo tra l’investitore e l’intermediario « deve concernere la misura qualitativa e quantitativa dell’alea e, dunque, la misura dei costi, pur se impliciti » (sent. cit., in motivazione).
Il rilievo che precede riveste portata assorbente. Come è facile cogliere, una rappresentazione dei richiamati elementi era tanto più necessaria, nel caso in esame, al fine di consentire all’investitore di cogliere il senso preciso delle operazioni in derivati da lui compiute e il rischio che vi era correlato: operazioni presentate dall’intermediario come preordinate a una finalità di copertura e invece intrinsecamente dirette, secondo un accertamento di fatto qui non sindacabile, a un obiettivo meramente speculativo.
Ne discende che il quarto motivo deve essere respinto, siccome infondato, mentre il terzo va dichiarato inammissibile per carenza di
decisività.
– Il ricorso è in conclusione rigettato.
– Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte
rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 7.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge; ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello stabilito per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 1ª Sezione