Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 20015 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 20015 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 17/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8603/2023 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE in persona del rappresentante legale p.t., rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE, domicilio digitale ex lege ;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE SALERNO, in persona del rappresentante legale p.t., rappresentata e difesa dagli avvocati COGNOME (MRNFNN58D03F912E) e COGNOME (CODICE_FISCALE), domicilio digitale ex lege ;
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di SALERNO n. 1320/2022, depositata il 07/10/2022. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 04/07/2025
dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
La società RAGIONE_SOCIALE propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi illustrati da memoria, avverso la sentenza n. 1320/2022, pubblicata in data 07.10.2022, con la quale la Corte d’ A ppello di Salerno ha confermato l’ordinanza n. 9159/2017 del Tribunale di Salerno di rigetto della domanda formulata dalla RAGIONE_SOCIALE volta ad ottenere il riconoscimento dell’importo di euro 88.844,87 per il ritardato pagamento delle forniture di dispositivi medico/sanitari, atteso che essendo la ASL di Salerno organismo di diritto pubblico, ai sensi dell’art. 2, lett. b), d.lgs. n. 157/1995, poi trasfuso nell’art. 3, comma 26, d.lgs. n. 163/2006 e successivamente nell’art. 3, lett. d), d.lgs. n. 50/2016, «il contratto per l’acquisizione dei prodotti farmaceutici rimanendo assoggettato alla disciplina del codice dei contratti pubblici, avrebbe dovuto stipularsi ai sensi dell’art. 11 co. 13 del Codice degli Appalti (D. Lgs. 163/2006) ossia mediante atto pubblico notarile, o mediante forma pubblica amministrativa a cura dell’ufficio rogante dell’amministrazione aggiudicatrice, ovvero mediante scrittura privata, attesa la pretesa nullità del contratto per violazione di norma imperativa ex art. 1418 c.c.».
La ASL di Salerno resiste con controricorso.
La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380 -bis 1 cod.proc.civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con unico complesso motivo la ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 11, comma 13, del d.lgs. n. 163/2006 (Codice Degli Appalti), in relazione all’art. 360, 1° comma, n. 3 cod.proc.civ., per non avere il giudice a quo : a)
considerato l’applicabilità ratione temporis degli artt. 16 e 17 del R.D. 2440/1923; b) valutato che gli importi degli affidamenti erano sotto soglia.
Si duole della violazione e falsa applicazione del d.lgs n. 231/02 ella parte in cui il termine transazione commerciale è stato identificato con il significato giuridico di contratto in luogo della sequenza contabile di rapporto di credito -debito.
La tesi della ricorrente è che:
essendo stati i contratti di fornitura stipulati prima del 1°/07/2006, data di entrata in vigore del Codice degli Appalti, avrebbe dovuto trovare applicazione il r.d. n. 2440/1923, il quale: i) all’art. 16, comma 4, espressamente prevede che «I processi verbali di aggiudicazione definitiva, in seguito ad incanti pubblici o private licitazioni, equivalgono per ogni legale effetto al contratto»; ii) all’art. 17 chiarisce che «I contratti (…) possono anche stipularsi (…) per mezzo di corrispondenza, secondo l’uso del commercio, quando sono conclusi con ditte commerciali»;
le note prodotte nel giudizio di primo grado dimostravano la sussistenza di un valido accordo contrattuale, tant’è vero che molte di quelle note indicavano espressamente tale circostanza mediante la dicitura «la presente ha valore di contratto per scrittura privata a mezzo corrispondenza secondo l’uso del commercio, con registrazione in caso d’uso» (Prot. n. 19796 del 13 novembre 2004, Prot. n. 22075 del 15.12.2004, Prot. n. 22076 del 15.12.2004, Prot. n. 5681 del 5.02.2005, Prot. n. 3343 del 16.01.2006, Prot. n. 5681 del 5.02.2005).
A supporto di tale tesi, oltre ad evocare la giurisprudenza amministrativa ( secondo la quale «Nei contratti di appalto della P.A., aggiudicati con il sistema dell’asta pubblica o della licitazione privata, il processo verbale o altro provvedimento di aggiudicazione definitiva non costituisce un atto preparatorio, ma un atto
conclusivo del procedimento di gara ed estrinsecazione dell’accordo delle parti contraenti»), deduce che:
gli accordi conclusi, oltre ad avere valida forma scritta, riguardavano in realtà una serie di contratti sotto soglia comunitaria e, conseguentemente, anche per tale ragione, non esaminata dalla corte d’appello, avrebbe dovuto escludersi l’applicazione del Codice degli Appalti;
essendovi tutti gli elementi della transazione commerciale, era da applicare il d.lgs. n. 231/2002;
le fatture non erano state contestate da parte dell’ASL quanto all’esecuzione delle forniture né in ordine al ritardato pagamento, con tutte le conseguenze derivanti dall’applicazione dell’art. 115 cod.proc.civ.; secondo Cass. n. 17684/2020, infatti, «nel caso di ritardo nell’adempimento di obbligazioni pecuniarie nell’ambito di transazioni commerciali, in difetto di predeterminazione convenzionale dei termini per il pagamento, l’art. 4 del d.lgs. n. 231 del 2002 (nel testo, “ratione temporis” applicabile, anteriore alle modifiche introdotte dal d.lgs. n. 192 del 2012) equipara, ai fini della individuazione del momento iniziale di decorrenza degli interessi moratori, la trasmissione della fattura alle richieste di pagamento di contenuto equivalente, in quanto la comune prassi commerciale e fiscale (secondo cui la fattura è emessa dopo la cessione dei beni o la prestazione dei servizi) è stata assunta dalla citata norma a base della presunzione “ex lege” sulla regolarità della sequenza tra l’esecuzione delle prestazione e la richiesta di pagamento; ne consegue che, una volta avanzata da parte del creditore la pretesa volta ad ottenere gli interessi moratori a far data dalla emissione o ricezione della fattura, è onere del debitore, secondo l’ordinario criterio ex art. 2697 c.c., dimostrare che a tale data la prestazione di fornitura di beni o servizi non era ancora stata eseguita e, quindi, di non essere incorso nella mora,
decorrente dal trentesimo giorno successivo all’adempimento dell’obbligazione » .
Il complesso motivo è inammissibile.
3.1) È utile, in primo luogo, esporre sinteticamente gli snodi argomentativi che hanno indotto la corte di merito a concludere per la necessità nella specie della stipulazione in forma a scritta a pena di nullità del contratto di fornitura in argomento:
l’azienda sanitaria rientra nella pubblica amministrazione in senso lato;
la giurisprudenza amministrativa qualifica l’azienda sanitaria quale «organismo di diritto pubblico» , ai sensi dell’art. 2, lett. b) del d.lgs. n. 157/1995 (poi trasfuso nell’art. 3, comma 26 del d.lgs. n. 163/2006 (codice dei contratti pubblici) e oggi nell’art. 3, lett. d) del d.lgs. n. 50/2016;
il contratto di acquisizione dei prodotti farmaceutici per cui è causa, rimanendo assoggettato alla disciplina dei contratti pubblici, avrebbe dovuto stipularsi ai sensi dell’art. 11, comma 3° (nel testo previgente alla novella apportata dall’art. 6, comma 3°, del d.l. 18.10.2012, n. 179, conv. con modifiche nella l. 17.12.2012, n. 221), ossia mediante atto pubblico notarile, o mediante forma pubblica amministrativa a cura dell’amministrazione aggiudicatrice, ovvero mediante scrittura privata, nonché in forma elettronica secondo le norme vigenti per ciascuna stazione appaltante; forme che non ammettono equipollenti;
i contratti della P.A. e degli enti pubblici istituzionali non possono essere stipulati per facta concludentia , ai sensi dell’art. 1327 cod.civ., essendo la forma scritta necessaria per garantire il principio fondamentale di trasparenza dell’attività amministrativa, espressione del principio di buon andamento della P.A., e la tutela delle risorse degli enti pubblici contro il pericolo di impegni finanziari assunti senza adeguata copertura e senza valutazione dell’entità delle obbligazioni da adempiere.
Le conclusioni cui è giunta la corte territoriale sono in linea con la giurisprudenza amministrativa e di legittimità:
l’Azienda Sanitaria rientra nella pubblica amministrazione in senso lato e non se ne esclude la natura di ente pubblico economico (Cons. Stato 9/05/2001, n. 2609; Cons. Stato 14/12/2004, n. 5924; Cass., Sez. Un., 30/01/2008, n. 2031);
ii) ai contratti stipulati dagli enti pubblici economici non si applica la rigida disciplina di cui al r.d. n. 2440/1923, artt. 16 e 17 (Cass. 24/06/1975, n. 2511), ma ciò «non implica affatto che i contratti dell’ASP siano esenti dal rispetto di ogni formalità, sia quanto alla scelta del contraente, sia riguardo alla forma del contratto. Infatti, come condivisibilmente ritenuto dalla giurisprudenza amministrativa (v. Cons. Stato, 12.4.2005, n. 1638), l’Azienda Sanitaria è comunque “organismo di diritto pubblico” ai sensi del D.Lgs. 17 marzo 1995, n. 157, art. 2, lett. b), (poi trasfuso nel D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 3, comma 26, – c.d. codice dei contratti pubblici, applicabile alla controversia in esame ratione temporis, e oggi nel D.Lgs. 18 aprile 2016, n. 50, art. 3, lett. d): tale quell’organismo a) che è istituito per soddisfare specificatamente esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale; b) che è dotato di personalità giuridica; la cui attività è finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico oppure la cui gestione sia soggetta al controllo di questi ultimi oppure il cui organo d’amministrazione, di direzione o di vigilanza sia costituito da membri dei quali più della metà è designata dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico» (Cass. 2/12/2016, n.24640);
iii) i contratti dell’azienda sanitaria, amministrazione aggiudicatrice per l’acquisizione di prodotti farmaceutici (v. d.lgs. n. 163/2006, art. 3, comma 25) sono assoggettati alla disciplina del citato codice dei contratti pubblici. Il contratto avrebbe dovuto
stipularsi ai sensi dell’art. 11, comma 13, (nel testo previgente alla novella apportata dal D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, art. 6, comma 3, conv. con modd. dalla L. 17 dicembre 2012, n. 221) (Cass. 2/12/2016, n.24640; cui adde Cass. 27/06/2018, n. 16914).
3.2) È evidente dunque che la forma scritta è stata considerata nel caso necessaria in forza del d.lgs. n. 157/1995.
La ricorrente, non cogliendo detto profilo, ha svolto un’argomentazione difensiva ( in ordine all’ inapplicabilità ai fatti di causa del d.lgs. n. 163/2006 , e, per contro, l’applicabilità degli artt. 16 e 17 del rd. n. 2440/1923 ) che si appalesa eccentrica rispetto alla ratio decidendi : la corte territoriale non ha invero ritenuto applicabile retroattivamente il codice dei contratti pubblici -come sembra ipotizzare la ricorrenteal fine di negare l’applicabilità dell’art. 16 e/o dell’art. 17 del r.d. n. 2440/1923 , ma si è limitata ad affermare che all ‘ Azienda sanitaria deve estendersi la disciplina dei contratti pubblici, che impone la stipulazione del contratto in forma scritta a pena di nullità.
Detta statuizione ( che, in tutta evidenza, non è errata ) non è invero idoneamente censurata dalla ricorrente, che si limita a invocare l’applicazione di una o di entrambe le fattispecie derogatorie di cui agli artt. 16 e 17 del r.d. n. 2440/1923, in maniera, per di più, non del tutto chiara, ma soprattutto inammissibile per le seguenti ragioni.
Nel caso in esame la ricorrente si è limitata a sollecitare assertivamente l’applicazione degli artt. 16 e 17 del r.d. n. 2440/1923 ( che, peraltro, disciplinano ipotesi tra di loro diverse ).
A p. 5 del ricorso si legge infatti che «avrebbe dovuto trovare applicazione il R.D. 2440/1923 che all’art. 16 co. 4 espressamente prevede: ‘I processi verbali di aggiudicazione definitiva, in seguito ad incanti pubblici o private licitazioni, equivalgono per ogni legale effetto al contratto’. Mentre il successivo art. 17 chiarisce ‘I contratti … possono anche stipularsi … per mezzo di
corrispondenza, secondo l’uso del commercio, quando sono conclusi con ditte commerciali’. Non si può recar dubbio, quindi, che le Note prodotte nel giudizio di primo grado a seguito di mutamento del rito, avessero tutte le caratteristiche richieste dalla Legge allora vigente per essere considerate un valido accordo contrattuale. In taluni casi erano gli stessi documenti ad indicare espressamente tale circostanza mediante la dicitura ‘la presente ha valore di contratto per scrittura privata a mezzo corrispondenza secondo l’uso del commercio, con registrazione in caso d’uso’ ».
Di seguito (v. p. 6) la ricorrente evoca Cass. n. 21593/2014, a mente della quale «il processo verbale di aggiudicazione definitiva equivale per ogni effetto legale al contratto, ai sensi del R.D. 18 novembre 1923, n. 2440, art. 16, comma 2°» anche «nel caso in cui sia prevista la successiva sottoscrizione del contratto, il quale ha il valore di mero atto formale e riproduttivo, non avente alcuna influenza sul perfezionamento del vincolo, a meno che l’Amministrazione non abbia manifestato espressamente la volontà di rinviarlo al momento della formale stipulazione» e la giurisprudenza amministrativa che conferma che «il processo verbale o altro provvedimento di aggiudicazione definitiva non costituisce un atto preparatorio, ma un atto conclusivo del procedimento di gara ed estrinsecazione dell’accordo delle parti contraenti (Tar Calabria n. 964/2014)».
Complessivamente sembra, dunque, come già anticipato, che la ricorrente lamenti la mancata applicazione di entrambe le disposizioni normative, pur essendo -si ribadisce -le stesse, accomunate quoad effectum -derogare alla forma scritta -ma diverse quanto a presupposti.
3.3) La censura mossa alla sentenza impugnata, ad ogni modo, non supera il vaglio di ammissibilità. Deve ribadirsi, infatti, che per denunziare una violazione di legge (Cass., Sez. Un., 28/10/2020, n. 23745), a pena -appunto – d’inammissibilità della censura,
occorre indicare le norme di legge di cui si intende lamentare la violazione, esaminarne il contenuto precettivo e raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che il ricorrente è tenuto espressamente ad indicare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo. Come si è già detto, la corte d’appello ha ritenuto applicabile al caso di specie il codice dei contratti pubblici che impone sì la forma scritta dei contratti stipulati con la P.A. quando agisce iure privatorum , ma nella sentenza non è dato cogliere alcuna statuizione limitativa dell’applicabilità degli artt. 16 e 17 del r.d. n. 2440/1923.
3.4 ) Va d’altro canto osservato che la questione non può affatto dirsi sottesa dalle critiche mosse dalla ricorrente in ordine alla errata applicazione del codice degli appalti pubblici, anche perché:
quanto all’l’invocata applicazione dell’art. 16, comma 4 °, del rd. n. 2440/1923, la censura è del tutto generica e non considera che -v. Cass., Sez. Un., 11/06/1998, n. 5807, cui adde Cass. 13/10/2014, 21592; Cass. 12/12/2017, n. 29798 -il verbale di aggiudicazione definitiva, a seguito di incanto pubblico o licitazione privata, non necessariamente equivale, ad ogni effetto di legge, al contratto perché l’art. 16, comma 4, del r.d. n. 2440/1923 ha natura dispositiva – com’è confermato dall’ art. 89 r.d. 23 maggio 1924 n. 827, che prevede l’invio agli interessati, prima dell’ aggiudicazione, di uno schema negoziale contenente le condizioni generali e speciali, non escluse quelle relative al quando – e pertanto la P.A., alla quale spetta valutare discrezionalmente l’ interesse pubblico, può rinviare, anche implicitamente, la costituzione del vincolo al momento della stipulazione del contratto (Cass., Sez. Un., 22/07/2016, n. 15204); e, pur dovendosi tener conto che -come questa Corte ha già avuto occasione di osservare -detta prescrizione normativa è stata abrogata solo dal d.lgs. n. 163/2006 (v. Cass. 6/04/2023, n. 9499; Cass. 12/12/2023, n.34703), le argomentazioni difensive della ricorrente si connotano
di estrema genericità e di assenza di reale confronto con le statuizioni della sentenza impugnata: un conto, infatti, è dolersi del fatto che solo il d.lgs. n. 163/2006 abbia abrogato l’art. 16 r.d. n. 2440/1923, un altro è -ignorando la statuizione della corte d’appello lamentare che la corte d’appello abbia preteso la stipulazione in forma scritta del contratto sulla scorta del codice degli appalti, ritenendolo non applicabile al caso di specie;
b) e in relazione all’applicazione dell’art. 17 del rd. n. 2440/1923, evocata là dove la ricorrente fa rilevare che alcune delle note prodotte in giudizio avevano valore di «contratto per scrittura privata a mezzo corrispondenza secondo l’uso del commercio, con registrazione in caso d’uso », la censura non è suffragata dalla prova che vi sia stata tra le parti una corrispondenza commerciale atta a derogare alla regola secondo cui i contratti con la P.A. devono essere redatti, a pena di nullità, in forma scritta con la sottoscrizione di un unico documento. Detta deroga «postula pur sempre che, attraverso la corrispondenza commerciale, richiamata dalla norma succitata, si ponga in essere quello scambio tra proposta ed accettazione, ai sensi dell’art. 1326 c.c., dal quale soltanto può derivare il perfezionamento del contratto». Di conseguenza, non è sufficiente la produzione in giudizio di un atto scritto nel caso di specie rappresentato dalle Note dell’azienda sanitaria evocate dalla ricorrente -non accompagnata dalla prova di uno scambio di consensi avvenuto in forma scritta , così come non lo sono le fatture prodotte in giudizio -in quanto atti giuridici a contenuto
partecipativo, finalizzati a far risultare documentalmente elementi relativi all’esecuzione di un contratto già concluso.
Parimenti, come, peraltro, ha precisato la corte territoriale il contratto non può ritenersi concluso, ai sensi dell’art. 17 del r.d. n. 2440/1923, facendo ricorso al diverso modello di perfezionamento del contratto previsto dall’art. 1327 cod.civ.
3.6) Quanto all’altro profilo -l’inapplicabilità del codice dei contratti pubblici perché i contratti di fornitura per cui è causa erano sotto soglia- la censura va dichiarata inammissibile, non solo per la novità della questione , ma anche per l’assertività della deduzione, irrispettosa delle prescrizioni di cui all’art. 366, 1° comma, n. 6 cod.proc.civ.; la ricorrente, a p. 6, si limita ad affermare: «Gli accordi conclusi, oltre ad avere valida forma scritta, riguardavano in realtà una serie di contratti ‘sotto soglia’ comunitaria e, conseguentemente, anche da questo punto di vista, risulta inappropriata l’applicazione del Codice degli Appalti avvenuta senza che il Giudice svolgesse alcun esame sul punto».
4) All’inammissibilità nei suindicati termini del complesso motivo, assorbiti ogni altra questione e diverso profilo, consegue l’inammissibilità del ricorso.
5) Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e sono liquidate in favore della controricorrente ASL di Salerno nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi euro 7.200,00, di cui euro 7.000,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge, in favore della controricorrente ASL di Salerno.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115, come modif. dalla l. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente all’ufficio del merito competente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso nella Camera di Consiglio del 4 luglio 2025 dalla Terza