Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 16915 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 16915 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 24/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 12458/2024 R.G. proposto da :
rappresentata e difesa da ll’avvocato COGNOME (TARGA_VEICOLO) , U.S.
-ricorrente-
contro
, rappresentato e difeso da ll’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE unitamente all’avvocato NOMECOGNOME
COGNOME NOME (CODICE_FISCALE,
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO BOLOGNA n. 2446/2023 depositata il 12/12/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Corte d’appello di Bologna con sentenza, ai sensi dell’art281 sexies c.p.c., n. 2446/2023, pubblicata il 12/12/2023, in sede di rinvio, a seguito di cassazione di pregressa decisione d’appello del 2020, ha confermato la decisione di primo grado, che aveva respinto le domande proposte da -cittadina iraniana, in passato unita in matrimonio con RAGIONE_SOCIALE
, con matrimonio celebrato in data in
Iran e poi trascritto in Italia, per il quale è successivamente intervenuta sentenza di divorzio iraniana del divenuta definitiva per mancata impugnazione, -nei confronti dell’ex coniuge, al fine di sentire pronunciare, in via principale, sentenza, ex art.2932 c.c., di trasferimento della quota del 75% della piena proprietà dell’immobile sito in
acquistato dopo il primo anno di matrimonio e attualmente intestato al convenuto e adibito a casa coniugale, di cui il 50% in virtù di un accordo concluso, in concomitanza del matrimonio, tra suo padre, , e il futuro marito, con il quale quest’ultimo si era impegnato a procedere a proprie spese all’acquisto di una casa per abitazione familiare, completa di arredi, attribuendone la proprietà al 50% alla moglie, e l’ulteriore 25% in virtù dell’ulteriore accordo matrimoniale concluso tra i nubendi, con il quale gli stessi avevano previsto che, in caso di divorzio pronunciato su richiesta del marito, non motivato da violazione dei doveri matrimoniali da parte della moglie, il marito avrebbe trasferito alla moglie, senza corrispettivo, la metà del patrimonio acquisito durante il matrimonio. P.G.
Il Tribunale aveva ritenuto che il contratto, stipulato tra il convenuto ed il padre dell’attrice, fosse soggetto alla legge italiana e contenesse un preliminare di donazione nullo e, dall’altro lato, che il contratto intercorso tra i coniugi, quale parte integrante dell’atto di matrimonio, fosse da inquadrare nell’ambito degli accordi prematrimoniali in vista del F.K.
divorzio, volti a definire i rapporti economici tra i coniugi per l’ipotesi del sopravvenire di una crisi coniugale, pertanto nullo in quanto contrario all’ordine pubblico italiano, fermo restando che « la vicenda patrimoniale dei coniugi ha già trovato pacificamente una sua definitiva disciplina in sede di divorzio avanti al competente Tribunale di , non impugnata dall’attrice ».
La Corte d’appello del 2020 aveva confermato la pronuncia di primo grado, sia pure con diversa motivazione, ritenendo che il contratto matrimoniale tra gli sposi, attenendo ai rapporti patrimoniali tra i coniugi fosse disciplinato dalla legge iraniana – con conseguente impossibilità di dichiarare la nullità di detto accordo per contrasto con l’ordine pubblico italiano – ma riconoscendo comunque ogni questione patrimoniale fra i coniugi coperta dal giudicato formatosi sulla sentenza di divorzio iraniana, che copre il « dedotto e il deducibile ».
Questa Corte di Cassazione, con ordinanza n. 21462/2022, ha accolto il ricorso di , ritenendo che erroneamente la Corte territoriale aveva qualificato il contratto intercorso fra e come donazione, I.X.
limitandosi a prendere atto della mancata previsione di un prezzo, in quanto, perché il contratto abbia natura di donazione, rileva « non già il dato, non caratterizzante, della gratuità, bensì il tratto dello spirito di liberalit à», ossia che la disposizione patrimoniale sia effettuata a titolo di mera e spontanea elargizione, fine a se stessa, il che, nella specie, doveva escludersi, essendo il senso della pattuizione intimamente connesso all’acquisizione del consenso al matrimonio del suocero da parte del futuro marito. Quanto al secondo contratto, concluso tra gli sposi, e alla questione data dalla preclusione del giudicato (che copre il dedotto e il deducibile) intervenuto sul divorzio, la Corte di Cassazione ha rilevato come la Corte d’appello avesse omesso di esaminare se la causa petendi ed il petitum, dedotti nel giudizio di divorzio, involgessero la compiuta P.G. FRAGIONE_SOCIALE
disciplina dei rapporti patrimoniali post-coniugali tra gli ex coniugi; la ex moglie, nel giudizio proposto in Italia, oltre a far valere l’accordo concluso dal padre con il futuro coniuge, accordo ritenuto nullo dalla Corte d’appello, ha invocato il contratto di matrimonio, con il quale i coniugi avevano pattuito che, in caso di divorzio pronunciato su richiesta del marito e non motivato, come nel caso in esame, da violazione dei doveri matrimoniali da parte della moglie, l’uomo avrebbe dovuto trasferirle, senza corrispettivo, la metà del proprio patrimonio acquisito durante il matrimonio: la domanda, cioè, aveva ad oggetto la disciplina dei rapporti patrimoniali post-coniugali, siccome regolati, in caso di divorzio « incolpevole », dal contratto di matrimonio. Né una simile conclusione poteva essere trarsi dalla circostanza che la sentenza di divorzio avesse « liquidato tutta la donazione nuziale … più il compenso alle incombenze coniugali durante la vita in comune e ancora 6.000 Ris per alimenti del termine del tempo dopo l’annullamento del matrimonio durante la quale la donna non è concessa a ricorrere il nuovo matrimonio », statuizioni però « nient’affatto concernenti i rapporti destinati ad istituirsi tra le parti, in forza del contratto di matrimonio, una volta intervenuta la pronuncia di divorzio, e cioè concernenti, come si diceva, i rapporti patrimoniali post-coniugali ».
Le pattuizioni per cui è causa, infatti, interpretate alla luce della legge iraniana, si spiegavano come volte o all’adempimento di un’obbligazione del marito che nasce dal matrimonio o ad attuare un riequilibrio retrospettivo dei rapporti economici tra le parti e a regolare i rapporti post-coniugali, in conformità alla previsione del contratto di matrimonio; si trattava cioè di obbligazioni che la legge iraniana pone a carico del marito e che nascono dal matrimonio, non certo dal divorzio.
La Corte d’appello, in sede di rinvio, ha ritenuto che vi fosse diversità tra i rapporti patrimoniali disciplinati dalla sentenza di
divorzio e i rapporti patrimoniali post-coniugali disciplinati dal contratto invocato in primo grado davanti al Tribunale di Bologna, che quindi non potevano essere ritenuti coperti dal giudicato esterno della sentenza di divorzio iraniana.
Tuttavia, la Corte territoriale ha ritenuto che la domanda attorea (principale e subordinata) non potesse trovare accoglimento, « perché ineseguibile, giacchè sia dal contratto concluso tra suocero e genero sia dal contratto concluso tra i nubendi non si desume in alcun modo l’oggetto del trasferimento immobiliare richiesto, che risulta assolutamente indeterminato/indeterminabile ». Né l’attrice aveva in primo grado formulato domanda risarcitoria.
Avverso la suddetta pronuncia, propone ricorso per cassazione, notificato il 23/5/2024, affidato a cinque motivi, nei confronti di (che resiste con controricorso). RAGIONE_SOCIALE
Il PG ha depositato memoria, concludendo per l’accoglimento del quinto motivo di ricorso, chiedendo affermarsi il seguente principio di diritto: « il giudice del rinvio, qualora intenda decidere la controversia sulla base di rilievi officiosi, è tenuto, nel rispetto del principio del contraddittorio, ad informare le parti sulla natura delle eccezioni rilevabili d’ufficio con la consapevolezza che l’attività difensiva debba essere esplicata anche sotto forma di significativa e convinta presa di posizione dei difensori su questioni di fatto e di diritto (anche di natura interpretativa) che non siano mere qualificazioni di natura giuridica ».
Entrambe le parti hanno depositato memoria
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.La ricorrente lamenta: a) con il primo motivo, ex art. 360 n. 3 c.p.c., la violazione dell’art. 384 comma 2° c.p.c. e 2909 c.c. per avere la Corte d’appello rilevato d’ufficio la (presunta) nullità, per indeterminatezza e/o indeterminabilità dell’oggetto, dei contratti posti dall’attrice a fondamento della propria domanda, in contrasto
con i presupposti logico-giuridici della decisione della ordinanza rescindente e con il giudicato implicito interno formatosi sul punto; b) con il secondo motivo, ex art.360 n. 3 c.p.c., la violazione dell’art. 115 c.p.c., per non avere la Corte posto a fondamento della decisione il fatto, non contestato in causa, che l’immobile identificato in atto di citazione è l’oggetto dell’obbligo di trasferimento di proprietà derivante dai contratti in forza dei quali l’attrice ha agito; c) con il terzo motivo, ex art. 360 comma 1° n. 3 c.p.c., l’ omessa e/o erronea applicazione dell’art. 1346 c.c. e dell’art. 1348 c.c. per non avere sussunto la fattispecie in esame nell’ambito di applicazione dell’art. 1348 c.c. e, in conseguenza di tale errore di sussunzione, avere erroneamente ritenuto indeterminabile l’oggetto dei contratti in forza dei quali l’attrice ha agito; d) con il quarto motivo, ex art. 360 comma 1° n. 4 c.p.c., la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 comma 2° n.4 c.p.c., per mancanza di motivazione o motivazione apparente od erronea sulla ritenuta inaccoglibilità della domanda subordinata di condanna del convenuto a trasferire a titolo gratuito la proprietà dell’immobile all’attrice; e) con il quinto motivo, ex art. 360 comma 1° n. 4 c.p.c., nullità della sentenza per violazione dell’art. 101 comma 2° c.p.c., per avere posto a fondamento della decisione una questione rilevata d’ufficio, senza provocare sulla questione medesima il contraddittorio delle parti.
Riguardo a tale ultima censura, la ricorrente deduce che il principio del contraddittorio, già sancito dall’art. 101 cod. proc. civ., è stato ulteriormente rafforzato (ad opera della legge n. 69/2009) dall’introduzione nello stesso articolo di un secondo comma, in forza del quale il Giudice non può decidere la lite in base ad una questione rilevata d’ufficio senza averla previamente sottoposta alle parti, al fine di provocare sulla stessa il contraddittorio e consentire lo svolgimento delle difese in relazione al mutato quadro della materia del contendere, risultando, altrimenti, violati i diritti
di difesa per mancata realizzazione del contraddittorio e dovendosi ritenere che i rilievi d’ufficio devono avvenire in modo da provocare il contraddittorio sulla relativa questione e, quindi, mai « a sorpresa ». Nella specie, il giudizio di primo grado è stato introdotto con atto di citazione notificato il 9/12/2009.
La questione della determinatezza e/o determinabilità dell’oggetto dei due contratti posti a base della domanda dell’attrice non è mai stata sollevata dalle parti o rilevata d’ufficio in nessun grado o fase del processo, e perciò sulla questione non si è mai esercitato alcun contraddittorio tra le parti.
La quinta censura, di rilievo pregiudiziale, è fondata.
2.1. La Corte di merito, infatti, ha affermato « La domanda proposta è inaccoglibile, perché ineseguibile, giacché dal contratto concluso tra suocero e genero sia dal contratto concluso tra i nubendi non si desume in alcun modo l’oggetto del trasferimento immobiliare richiesto, che risulta assolutamente indeterminato/indeterminabile ».
La parte controricorrente, anche citando autorevole dottrina sul punto, si è opposta a questa censura affermando che la ragione di nullità può dirsi convertita in motivo di impugnazione e la parte, in proposito, non ha affermato quali fossero i concreti pregiudizi difensivi sofferti dal ricorrente.
2.2. Indubbiamente, la questione della determinatezza e/o determinabilità dell’oggetto del contratto (come tutte le questioni lato sensu interpretative dei contratti) costituisce questione mista di fatto e di diritto, per la quale dunque opera l’obbligo del Giudice di stimolare il contraddittorio, prescritto dal secondo comma dell’art. 101 c.p.c. a pena di nullità.
Occorre quindi verificare se il giudice, nell’operare un inquadramento giuridico della vicenda diverso da quello operato dalle parti, facendone derivare conseguenze ulteriori (nel caso in esame nullità delle pattuizioni per indeterminatezza dell’oggetto
contrattuale) sia sempre tenuto a stimolare il contraddittorio oppure se questo incombente sia da espletare solo nel caso in cui la parte abbia chiaramente esplicitato quali possano essere le lesioni al diritto di difesa.
2.3. Già il principio del contraddittorio, sancito dall’art. 101 cod. proc. civ., era stato ulteriormente rafforzato (ad opera della legge n. 69/2009) dall’introduzione nello stesso articolo di un secondo comma, con il quale si volevano evitare decisioni cd. « a sorpresa ».
Il d.lgs. n. 149 del 2022 ha modificato ulteriormente l’art. 101, comma 2, c.c., dando espresso rilievo al principio della garanzia del contraddittorio, aggiungendo al testo previgente la seguente dicitura: « Il giudice assicura il rispetto del contraddittorio e, quando accerta che dalla sua violazione è derivata una lesione del diritto di difesa, adotta i provvedimenti opportuni ».
Il nuovo testo dell’art. 101, comma 2, c.p.c., reca, dunque, la seguente formulazione: « Il giudice assicura il rispetto del contraddittorio e, quando accerta che dalla sua violazione è derivata una lesione del diritto di difesa, adotta i provvedimenti opportuni. Se ritiene di porre a fondamento della decisione una questione rilevata d’ufficio, il giudice riserva la decisione, assegnando alle parti, a pena di nullità, un termine, non inferiore a venti giorni e non superiore a quaranta giorni dalla comunicazione, per il deposito in cancelleria di memorie contenenti osservazioni sulla medesima questione»
Più volte la giurisprudenza di questa Corte ha affermato che l’art. 101, comma 2, c.p.c., nella parte in cui disciplina gli adempimenti che deve porre in essere il giudice, quando rileva d’ufficio questioni fondamentali per il giudizio, si riferisce alla rilevazione d’ufficio di circostanze che, modificando il quadro fattuale, comportino nuovi sviluppi della lite non presi in considerazione dalle parti (v. in motivazione Cass., Sez. U, Sentenza n. 30883 del 03/12/2024; Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 11269 del 28/04/2023).
L’obbligo del giudice di stimolare il contraddittorio sulle questioni rilevate d’ufficio, stabilito dall’art. 101, comma 2, c.p.c., in sintesi, non riguarda le questioni che sono solo di diritto, ma attiene a quelle di fatto, ovvero a quelle miste di fatto e di diritto, che richiedono, non una diversa valutazione del materiale probatorio, bensì prove dal contenuto diverso rispetto a quelle chieste dalle parti, ovvero un’attività assertiva in punto di fatto e non già mere difese (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 822 del 09/01/2024, Cass., Sez. 3, Sentenza n. 11724 del 05/05/2021).
L’omessa indicazione alle parti di una questione di fatto oppure mista di fatto e di diritto, rilevata d’ufficio, che ha fondato la decisione, priva i soggetti processuali del potere di allegazione e di prova su tale questione, con conseguente nullità della sentenza (cd. decisione « della terza via » o « a sorpresa ») per violazione del diritto di difesa, tutte le volte in cui chi se ne dolga prospetti, in concreto, le ragioni che avrebbe potuto far valere qualora il contraddittorio sulla predetta questione fosse stato tempestivamente attivato (Cass., Sez. L, Ordinanza n. 21314 del 19/07/2023; Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 3543 del 06/02/2023).
In conclusione, nelle ipotesi di rilievi officiosi, non consistenti in una mera qualificazione giuridica, è stata affermata la necessità di un coinvolgimento preliminare delle parti con uno svolgimento del contraddittorio destinato a sfociare sia nel compimento di attività assertive sia nella corrispondente attività probatoria (cfr. da ultimo Cass. ordinanza n. 25849 del 5 settembre 2023).
2.4. Secondo un orientamento giurisprudenziale restrittivo (inaugurato da Cass. Sezioni Unite 30.9.2009, n. 20935), la nullità della sentenza scaturirebbe solo dalla effettiva vulnerabilità della facoltà di chiedere prove (o di ottenerne una remissione in termini).
E si pone il tema, anche sollecitato dal controricorrente, se tale indirizzo può essere considerato come un argine invalicabile oppure
se possa essere predicata una lesione al contraddittorio che sia destinata ad incidere esclusivamente sull’attività difensiva nelle ipotesi in cui il grado del giudizio avrebbe comunque escluso l’ammissibilità di nuove prove.
La parte ricorrente, in proposito, afferma che la questione è assai rilevante in questa sede « soprattutto per il caso in cui, in denegata ipotesi, questa Suprema Corte dovesse ritenere che la determinatezza e/o determinabilità dell’oggetto del contratto costituisca attività interpretativa del contratto stesso e, come tale, questione di fatto sottratta al sindacato di legittimità. Se la adita Suprema Corte cosi decidesse (come questa difesa non ritiene, in verità, fondatamente ipotizzabile), appare evidente che dalla violazione dell’art. 101 comma 2 c.p.c. deriverebbe un gravissimo vulnus del diritto di difesa e del principio del contraddittorio, poiché gli argomenti ed i motivi del presente ricorso non troverebbero più alcuna sede processuale ed il Giudice del rinvio avrebbe dunque definitivamente deciso senza che le parti abbiano potuto svolgere una assai rilevante attività difensiva, che sarebbe consistita non già soltanto in mere difese, ma anche (come la questione rilevata d’ufficio richiede) in una importante attività assertiva in punto di fatto, come crediamo che questo ricorso attesti ».
E, come puntualmente rileva il PG, il principio di effettività della difesa non passa esclusivamente attraverso idonea attività probatoria ma acquista significativa rilevanza anche nell’ambito di attività assertiva di mera difesa, specie nei casi in cui sia preclusa alla parte ulteriore attività probatoria e si tratti di prendere posizione e di confutare le rilevazioni officiose effettuate nel giudizio (per la prima volta) nell’ambito del giudizio di rinvio ex art. 384 c.p.c.
La necessità di attribuire rilevanza al contraddittorio tra le parti permane inalterata anche nel momento in cui non è più esperibile alcuna attività probatoria e nel momento stesso dell’approssimarsi
alla decisione: questa necessità (sostanziale e procedurale al tempo stesso) costituisce un principio immanente di civiltà giuridica e di lealtà processuale persino in applicazione del dettato costituzionale.
Le Sezioni Unite 36596/2021 hanno affermato, con riferimento al giudizio ordinario di cognizione, che la parte che proponga l’impugnazione della sentenza d’appello, deducendo la nullità della medesima per non aver avuto la possibilità di esporre le proprie difese conclusive ovvero di replicare alla comparsa conclusionale avversaria, non ha alcun onere di indicare in concreto quali argomentazioni sarebbe stato necessario addurre in prospettiva di una diversa soluzione del merito della controversia; invero, la violazione determinata dall’avere il giudice deciso la controversia senza assegnare alle parti i termini per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica, ovvero senza attendere la loro scadenza, comporta di per sé la nullità della sentenza per impedimento frapposto alla possibilità per i difensori delle parti di svolgere con completezza il diritto di difesa, in quanto la violazione del principio del contraddittorio, al quale il diritto di difesa si associa, non è riferibile solo all’atto introduttivo del giudizio, ma implica che il contraddittorio e la difesa si realizzino in piena effettività durante tutto lo svolgimento del processo.
Quindi il contraddittorio e la difesa si realizzano in piena effettività durante tutto lo svolgimento del processo.
2.5. Nella specie, da un lato, le ricognizioni in merito alla determinabilità dell’oggetto del contratto costituiscono una attività di tipo interpretativo, diversa da quella di qualificazione giuridica, per lo più sganciata dal sindacato di legittimità, e, dall’altro, il giudice del rinvio non ha il potere di sottoporre questioni officiose (di fatto e di diritto ed a marcata natura interpretativa) senza al contempo rispettare rigorosamente il principio del contraddittorio.
E l’attività difensiva non si esaurisce solo nella attività probatoria ma anche nella significativa e convinta presa di posizione dei difensori su questioni di fatto e di diritto che non siano mere qualificazioni di natura giuridica.
Ciò ha alterato, come rileva il PG, l’equilibrio tra le parti attribuendo al giudice una posizione di vantaggio incolmabile nell’economia procedurale, così di fatto impedendo alle parti di prendere posizione difensiva su eccezioni mai proposte in precedenza.
Deve quindi essere affermato il seguente principio diritto:
« Il giudice del rinvio, qualora intenda decidere la controversia sulla base di rilievi officiosi, è tenuto, nel rispetto del principio del contraddittorio, ad informare le parti sulla natura delle eccezioni rilevabili d’ufficio, considerato che l’attività difensiva deve essere esplicata anche sotto forma di significativa presa di posizione dei difensori su questioni di fatto e di diritto (anche di natura interpretativa), che non siano mere qualificazioni di natura giuridica ».
3. Anche il primo motivo va accolto.
Lamenta la ricorrente che la Corte territoriale in sede di rinvio abbia rilevato d’ufficio la (presunta) nullità, per indeterminatezza e/o indeterminabilità dell’oggetto, dei contratti posti dall’attrice a fondamento della propria domanda, in contrasto con i presupposti logico-giuridici della decisione della ordinanza rescindente e con il giudicato implicito interno formatosi sul punto.
La Corte d’appello, in sede di rinvio, pur avendo, in linea con i principi di diritto espressi da questa Corte nella ordinanza remittente, escluso che il contratto intercorso tra RAGIONE_SOCIALE
ed il padre della sposa potesse essere qualificato come donazione e che il contratto tra gli sposi potesse subire la preclusione dovuta all’esistenza di un giudicato esterno, derivante dalla sentenza di divorzio, ha rigettato l’appello P.G.
spingendosi a rilevare d’ufficio che « sia dal contratto concluso tra suocero e genero sia dal contratto concluso tra i nubendi non si desume in alcun modo l’oggetto del trasferimento immobiliare richiesto, che risulta assolutamente indeterminato/indeterminabile ».
Ma la determinatezza e/o la determinabilità dell’oggetto dei due contratti posti dall’attrice a fondamento delle proprie domande non è stata mai contestata dal convenuto nell’intero corso dei tre precedenti gradi di giudizio (due di merito e uno di legittimità), né la questione è mai stata rilevata d’ufficio prima del giudizio di rinvio.
E quindi la nullità per indeterminatezza dell’oggetto non poteva essere rilevata d’ufficio in sede di rinvio.
Il giudizio di rinvio, quando questa Corte cassa una sentenza per motivi di merito (come nel caso in esame), non dà vita ad un nuovo ed ulteriore procedimento, ma rappresenta solo una fase di quello originario, da ritenersi unico ed unitario (cfr. Cass. Sez. Un. 17/9/2010 n.19701) e non opera come nuova impugnazione, ma quale mero impulso processuale, necessario per attivare la prosecuzione del giudizio conclusosi con la sentenza cassata (cfr. Cass. 7/10/2016 n. 20166).
Al Giudice del rinvio non è, dunque, consentito il riesame dei presupposti di applicabilità del principio di diritto enunciato dalla Corte sulla scorta di fatti o profili non dedotti, né procedere all’esame di ogni altra questione, anche rilevabile d’ufficio, che tenda a porre nel nulla o a limitare gli effetti della sentenza rescindente.
Tutte le questioni relative a presupposti necessari e logicamente inderogabili della pronuncia espressa in diritto, devono ritenersi implicitamente accertati in via definitiva nella pregressa fase di merito (cfr. Cass. 29/9/2014 n. 20474; Cass. 11/5/2017 n. 11535; Cass. Sez. Un. 3/7/2009 n. 15602).
Si è chiarito in Cass. n. 27027 del 2022 che « nel giudizio di rinvio, che è un procedimento “chiuso”, tendente ad una nuova pronuncia in sostituzione di quella cassata, (…) operano le preclusioni che derivano dal giudicato implicito formatosi con la sentenza di cassazione, con la conseguenza che neppure le questioni esaminabili di ufficio, non rilevate dalla Corte Suprema, possono in sede di rinvio essere dedotte o comunque esaminate, giacché il loro esame tende a porre nel nulla o a limitare gli effetti della stessa sentenza di cassazione, in contrasto con il principio della sua intangibilità » (cfr. Cass. n. 636 del 14/01/2019).
La determinatezza/determinabilità dell’oggetto dei contratti è questione logicamente e giuridicamente pregiudiziale a tutte le precedenti pronunce emesse nei vari gradi di giudizio, compreso il giudizio di legittimità e la pronuncia rescindente ivi emessa, poiché la indeterminatezza e la indeterminabilità dell’oggetto producono la nullità del contratto (ex art. 1418 comma 2° c.c. in combinato disposto con l’art. 1346 c.c.) e il contratto nullo è improduttivo di effetti, con conseguente rigetto della domanda, che sia su tale contratto fondata, per questa sola ragione.
La questione si deve ritenere quindi essere stata implicitamente scrutinata e si è formato un giudicato implicito sul punto, stante il richiamato principio per cui il giudicato copre il dedotto e il deducibile.
Unica possibilità per parte appellata in riassunzione, per ottenere lo scrutinio, in sede di rinvio, del profilo, sarebbe stata quella di rappresentare che la questione non fosse stata oggetto di esame da parte della Corte di legittimità, in quanto esplicitamente assorbita: sul punto, tuttavia, anche il controricorso difetta del tutto di autosufficienza perché il controricorrente si è limitato a riportare soltanto le sue difese in sede di giudizio di rinvio.
Peraltro, e in ogni caso, come rilevato dalla ricorrente, in sede di rinnovazione dell’atto di citazione e, specialmente, nelle
conclusioni, i dati identificativi sono stati precisamente indicati, ai fini della trascrizione della domanda di esecuzione in forma specifica, così come in citazione è stata riportata la data della concessione a edificare tutto il comparto produttivo.
I restanti motivi sono assorbiti.
Per tutto quanto sopra esposto, in accoglimento del primo e del quinto motivo del ricorso, assorbiti i restanti, cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’appello di Bologna, in diversa composizione.
Il giudice del rinvio provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo e il quinto motivo del ricorso, assorbiti i restanti, cassa la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte d’appello di Bologna, in diversa composizione, anche in punto di liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
Dispone che, ai sensi del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, siano omessi le generalità e gli altri dati identificativi, in caso di diffusione del presente provvedimento.
Così deciso, in Roma, nella camera di consiglio del 21 maggio