Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 6815 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 6815 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 14/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso 27663/2019 R.G. proposto da:
COGNOME NOME (C.F. CODICE_FISCALE), rappresentata e (C.F.
difesa dall’avvocato COGNOME NOME CODICE_FISCALE), giusta procura in atti;
-ricorrente –
contro
CURATELA RAGIONE_SOCIALE (C.F. P_IVA), COGNOME NOME, COGNOME NOME (C.F. CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (C.F. CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (C.F. CODICE_FISCALE);
-intimati – avverso la sentenza n. 3989/2018 della CORTE DI APPELLO DI NAPOLI, depositata il 23.08.2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 07/02/2024 dal Consigliere NOME COGNOME;
Osserva
Con atto del 202 NOME COGNOME citò in giudizio NOME COGNOME e NOME COGNOME (quest’ultimo era però risultato deceduto), il Curatore del Fallimento della RAGIONE_SOCIALE, nonché, in proprio, il socio NOME COGNOME.
L’attrice esponendo che NOME COGNOME, deceduto il 12/12/1991, con scrittura del 30/11/1980, aveva venduto al di lei coniuge NOME COGNOME un appartamento con accessori, con immediata immissione in possesso;
che, venuto a mancare il COGNOME, lasciando quali eredi la moglie NOME e i figli NOME, NOME, NOME, NOME e NOME, il COGNOME con citazione del 1997 aveva chiamato in giudizio i predetti eredi, al fine di ottenere il trasferimento dell’immobile;
che essendo poco dopo stato dichiarato il fallimento della società anzidetta e personalmente dei soci NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME, il curatore aveva, a sua volta, promosso azione, nel 1988, al fine di ottenere la condanna del COGNOME alla restituzione dei beni, essendosi il Fallimento sciolto dal contratto ai sensi dell’art. 72 della legge fallimentare;
che il relativo giudizio era stato interrotto per la morte del COGNOME, avvenuta nel 2001, chiese:
dichiararsi che con la scrittura privata del 1980 era stato concluso un contratto di compravendita e non un mero preliminare;
-che fosse assegnata data certa alla anzidetta scrittura, essendovi in essa riferimento al noto evento sismico del 1980 ed essendo essa stata stipulata prima della dichiarazione di fallimento;
che, pertanto, gli immobili, usciti dal patrimonio del COGNOME prima del di lui fallimento, erano di proprietà esclusiva della esponente, già proprietaria per ½ in forza del regime di comunione legale ex art. 177 cod. civ. e, per il restante, per successione;
che, in subordine, fosse dichiarato che gli immobili erano stati usucapiti nell’intero e, in ulteriore subordine, nella misura di ½.
La Curatela, costituitasi, espose che:
dai registri immobiliari i beni risultavano in capo a NOME COGNOME, erede di NOME COGNOME;
che NOME COGNOME aveva dichiarato al Curatore che i predetti immobili non erano nella disponibilità della proprietaria in quanto occupati da NOME COGNOME;
-che il Fallimento aveva citato in giudizio nel 1998 l’occupante, al fine di ottenerne il rilascio e la condanna al risarcimento del danno;
che in quel giudizio il convenuto aveva prodotto la scrittura del 1980 e che, in ipotesi che all’atto fosse stato attribuito valore giuridico, era stata manifestata la volontà di sciogliersi dal contratto;
che nel 2000 il COGNOME aveva citato in riassunzione il Fallimento nel giudizio incoato contro NOME COGNOME, nella qualità di erede di NOME COGNOME, al fine di vedere accertato l’integrale pagamento del prezzo e ottenere il trasferimento della proprietà;
-che, poco dopo, il Fallimento aveva citato il COGNOME chiedendone la condanna al rilascio delle cantine-box e al risarcimento del danno;
che, deceduto il COGNOME, i giudizi da costui intrapresi erano stati interrotti e non più riassunti, rimanendo pendente quello ex art. 2932 cod. civ.
Concluse chiedendo dichiararsi inopponibile al Fallimento la prodotta scrittura, in quanto atto unilaterale del COGNOME, ricognitivo di pretesi precedenti raggiunte intese, che non manifestava la volontà di concludere un contratto e, comunque, con oggetto indeterminato. Ove, poi, fosse stato qualificato contratto preliminare, non sarebbe stato opponibile alla procedura, in quanto il Fallimento si era sciolto dallo stesso e il diritto ad agire
ex art. 2932 cod. civ. si era prescritto. Ove, infine, si fosse reputato che trattavasi di contratto con effetti traslativi, non poteva essere opposto al Fallimento, stante che la domanda non era stata in precedenza trascritta. Infine, la subordinata domanda d’usucapione era infondata per la mancanza dell’ ‘animus possidendi’ e la indisponibilità materiale del bene a seguito del fallimento.
Il Tribunale rigettò tutte le domande attoree e accolse quella riconvenzionale, con la quale il Curatore aveva chiesto pagamento di canoni e risarcimento per l’occupazione.
La Corte d’appello di Napoli rigettò l’impugnazione proposta da NOME COGNOME.
NOME COGNOME ricorre avverso la sentenza d’appello sulla base di quattro motivi.
Le controparti sono rimaste intimate.
Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione degli artt. 565, 519 e 522 cod. civ. e 102 e 354 cod. proc. civ.
Si assume che la Corte locale aveva erroneamente disatteso il motivo d’impugnazione con il quale l’esponente aveva lamentato il fatto che il Tribunale, accertata la rinuncia all’eredità da parte di NOME COGNOME, non aveva disposto l’integrazione del contraddittorio nei confronti di coloro che erano chiamati in rappresentazione.
Si precisa che il ragionamento, secondo il quale nel nostro ordinamento non esistono ‘eredi legali’, ma solo chiamati e che, pertanto, sarebbe spettato all’appellante dimostrare che i chiamati non avessero, a loro volta, rinunciato all’eredità, non poteva essere condiviso, poiché, secondo i principi espressi dalla Cassazione, dopo la morte della parte la legittimazione passiva va individuata in capo ai soggetti che presentino un oggettivo valido titolo a succedere, ove non conoscibile o conosciuta circostanza idonea che
il titolo sia venuto meno. L’onere di dimostrare il contrario, di conseguenza, grava sulla parte convenuta.
Nel caso al vaglio, verificata la rinuncia all’eredità del padre da parte dei figli, non era stato acclarato che i chiamati in rappresentazione avessero fatto altrettanto.
4.1. Il motivo va rigettato.
4.1.1. Deve premettersi che, siccome si ricava dal primo motivo d’appello riportato in sentenza, la COGNOME aveva riassunto la causa nei confronti del Fallimento, di NOME COGNOME, moglie del defunto NOME COGNOME, di NOME COGNOME e NOME COGNOME, quali eredi ex lege; tuttavia, prima della notifica dell’atto, NOME era deceduto e non era stata disposta citazione nei confronti dei restanti eredi NOME, NOME e NOME COGNOME. Da ciò l’appellante aveva tratto il convincimento della violazione dell’art. 102 cod. proc. civ., stante che l’incombente avrebbe dovuto essere ordinato d’ufficio dal Tribunale.
La Corte d’appello, dopo aver esordito, nei termini riportati dal motivo del ricorso, afferma mancare la prova dell’accettazione dell’eredità da parte degli eredi del defunto NOME, essendovi, invece, la prova che NOME COGNOME, NOME e NOME COGNOME, moglie e figli di NOME COGNOME, supposti eredi di NOME COGNOME, avevano rinunciato all’eredità del padre.
L’attrice, in comparsa conclusionale aveva dichiarato (si riporta sempre in sentenza) che gli eredi di NOME COGNOME (NOME, NOME e NOME COGNOME) non avevano rinunciato all’eredità, pur avendolo fatto i figli di NOME COGNOME.
La Corte d’appello disattende la prospettazione sulla base del ragionamento seguente: <>.
Risulta utile prendere le mosse dalla motivazione della sentenza n. 21287, 14/10/2011 di questa Corte: <>.
Il principio che si ricava dalla riportata motivazione è stato di recente ribadito da questa Corte, la quale ha affermato che nell’ipotesi di interruzione del processo per morte di una delle parti in corso di giudizio i chiamati all’eredità, pur non assumendo, per il solo fatto di aver ricevuto e accettato la notifica come eredi, la suddetta qualità, hanno l’onere di contestare, costituendosi in giudizio, l’effettiva assunzione di tale condizione soggettiva, chiarendo la propria posizione, e il conseguente difetto di legittimazione, in quanto, dopo la morte della parte, la legittimazione passiva, che non si trasmette per mera delazione, deve essere individuata dall’istante allo stato degli atti, cioè nei confronti dei soggetti che oggettivamente presentino un valido titolo per succedere, qualora non sia conosciuta, o conoscibile con l’ordinaria diligenza, alcuna circostanza idonea a dimostrare la mancanza del titolo (Sez. 3, n. 12987, 30/6/2020, Rv. 658232).
Il principio è riscontrato altresì dalla decisione n.22870, 10/11/2015, con la quale la Cassazione ha chiarito che nell’ipotesi di interruzione del processo per morte di una delle parti in corso di giudizio, la relativa “legitimatio ad causam” si trasmette all’erede, ma il ricorso per riassunzione notificato individualmente nei confronti dei chiamati all’eredità ex art. 486 c.c. è idoneo ad instaurare un valido rapporto processuale tra notificante e destinatario della notifica, se questi riveste la qualità di successore universale della parte deceduta ex art. 110 c.p.c.; ne consegue che i chiamati all’eredità, pur non assumendo la qualità di eredi per il solo fatto di aver accettato la predetta notifica, hanno l’onere di
contestare, costituendosi in giudizio, l’effettiva assunzione di tale qualità, così da escludere la condizione di fatto che ha giustificato la riassunzione. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto sufficiente all’instaurazione del rapporto processuale la notifica di un atto di riassunzione nei confronti di coloro i quali si trovavano nello stato di fatto legittimante la successione, in virtù dei rispettivi rapporti di coniugio e di filiazione con la parte defunta, in assenza di circostanze ostative evincibili dagli atti e non essendo stata trascritta, prima della notifica della riassunzione, la rinunzia all’eredità dedotta dal coniuge) -Rv. 637849.
Gli arresti richiamati, pienamente condivisi dal Collegio, smentiscono il presupposto teorico-assertivo della Corte di Napoli, secondo il quale il chiamato non assume alcuna posizione giuridicamente apprezzabile.
L’affermazione della Corte locale, seppure coglie suggestivamente un aspetto (la mera chiamata non crea lo ‘status’ di erede), non può, sul punto, essere condivisa.
È certamente vero che la ricostruzione sopra richiamata è tesa in via prioritaria ad alleviare l’incombente che graverebbe sulle spalle del riassumente, caricando di autoresponsabilità il chiamato, tuttavia essa prende l’abbrivio da un presupposto non corretto, secondo il quale il chiamato non rivestirebbe ruolo giuridicamente apprezzabile alcuno.
4.1.1.2. Si è, di contro, sostenuto che pur nel caso in cui la non integrità del contraddittorio sia dipesa dalla colpevole condotta della parte riassumente, che, come nel caso in esame, abbia omesso di citare taluni dei chiamati, non potrebbe affermarsi che un tal difetto non possa essere rilevato d’ufficio dal giudice e che una tale conclusione non potrebbe giustificarsi alla luce del principio che impone di evitare l’emissione di una sentenza ‘inutiliter data’ (si veda, ex multis, e da ultimo Cass. nn. 7040/2020, 24639/2020, 38024/2021, 5287/2023).
4.1.1.3. Tuttavia, il motivo merita di essere disatteso alla luce di una nuova lettura, che ha limitato, per apprezzabili ragioni (come di qui a poco si vedrà) la predicata assoluta intangibilità del litisconsorzio.
Di recente, si è valorizzata la circostanza che la denuncia di non integrità del contraddittorio, avanzata solo in appello dall’attore soccombente, che ha agito senza provvedere a chiamare tutti i contraddittori necessari e senza poi sollecitare l’integrazione al giudice di primo grado, si tradurrebbe in un abuso del processo e nella violazione del principio di ragionevole durata dello stesso.
In tal senso si è pronunciata l’ordinanza n. 24071, 26/9/2019, nella quale si evidenzia: <>.
La statuizione, di cui si è riportata la pertinente parte motivazionale, ha trovato sintesi nella seguente massima: in caso di accertamento dell’usucapione in danno di più proprietari, è inammissibile, per difetto di interesse, l’impugnazione della sentenza di rigetto proposta, per violazione dell’integrità del contraddittorio, dal soccombente che abbia agito in giudizio senza convenirvi tutti i comproprietari e senza sollecitare al riguardo l’esercizio dei poteri officiosi del giudice, stante l’irrilevanza per lo stesso della non opponibilità della pronuncia ai litisconsorti necessari pretermessi e l’assenza di pregiudizio per i diritti di questi ultimi. Né è meritevole di tutela l’interesse ad un nuovo giudizio che si concluda con differente esito, traducendosi esso in un abuso del processo, oltre ad essere contrario al principio di ragionevole durata dello stesso ai sensi dell’art. 111 Cost. (Rv. 655360) e successiva, recente conferma in Cass. n. 20091/2023.
Il Collegio, valuta doversi reputare prevalenti gli argomenti di cui al nuovo riportato indirizzo, al quale, quindi, intende dare continuità. Invero, l’unico vantaggio, a cui non può assegnarsi meritevolezza giuridica, perseguito dal soccombente che, colpevole di non avere compiutamente attivato o integrato il contraddittorio, senza nulla eccepire innanzi al giudice di primo grado, solo in appello si dolga del difetto di completezza del litisconsorzio, è quello di ‘guadagnarsi una replica del giudizio di primo grado’. Né, come si è detto, lo si può immaginare portatore di un interesse a che la sentenza, che lo ha visto soccombere, possa risultare a taluno non opponibile.
Con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione degli artt. 1322 e 1350 cod. civ.
Con la censura si contesta la qualificazione del negozio intercorso tra il COGNOME e il COGNOME.
Dopo avere disquisito sul principio generale sulla libertà di forma la COGNOME conclude affermando che <>.
5.1. Il motivo non supera il vaglio d’ammissibilità.
Il motivo non attinge la ‘ratio decidendi’. Invero, la sentenza, dopo avere seriamente dubitato che attraverso la dichiarazione scritta di NOME COGNOME, che appariva ricognitiva di un fatto (la vendita già avvenuta), in calce alla quale NOME COGNOME si era limitato ad apporre la propria firma, a lungo (e dopo aver riportato per esteso lo scritto) e decisivamente, spiega che a reputare che si fosse in presenza di un contratto, ne andava esclusa natura avente effetto reale, ma, semmai obbligatoria (preliminare).
Poiché avverso quest’ultima ‘ratio decidendi’ (avrebbe potuto assegnarsi natura di contratto ad effetti obbligatori e giammai reali) non è stata mossa censura, la stessa è divenuta intangibile. Costituisce, invero, enunciazione granitica quella secondo la quale ove manchi una puntuale spendita impugnatoria di tutte le rationes decidendi, il punto deciso è divenuta intangibile e, pertanto, impermeabile al giudizio di cassazione (cfr., fra le tante, da ultimo, S.U., n. 7931 del 29/3/2013, Rv. 625631; Sez. L., n. 4293 del 4/3/2016, Rv. 639158).
6. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia <>, assumendo che la sentenza aveva mancato di esaminare la scrittura privata del 1980 insieme a una precedente del 1978, della quale si afferma di riprodurre il contenuto in seno al motivo. Ove ciò il Giudice avesse fatto sarebbe stato chiaro che la volontà delle parti con la scrittura del 1978 era quella di conseguire l’effetto reale del trasferimento di proprietà.
6.1. Il motivo è palesemente inammissibile.
In presenza di ‘doppia conforme’, trovando applicazione ‘ratione temporis’, l’art. 348 ter, co. 5, cod. proc. civ., il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui al n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ., deve indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Sez. 2, n. 5528, 10/03/2014, Rv. 630359; conf., ex multis, Cass. nn. 19001/2016, 26714/2016), evenienza che nel caso in esame non ricorre affatto.
In disparte val la pena osservare che non consta dove e quando l’esistenza e il contenuto della scrittura del 1978 siano stati dibattuti.
Con il quarto motivo la ricorrente, ancora una volta, denuncia l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo in relazione all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ.
S’incolpa la sentenza di <>.
7.1. La doglianza, anche in questo caso, è chiaramente inammissibile in presenza di ‘doppia conforme’ e, peraltro, impropriamente formulata, avuto riguardo al contenuto di cui all’evocato n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ.
In definitiva, nel suo complesso, il ricorso merita rigetto.
Il regolamento delle spese segue la soccombenza e le stesse vanno liquidate, tenuto conto del valore e della qualità della causa, nonché delle svolte attività, siccome in dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore del controricorrente, che liquida in euro 4.300,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00, e agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio del giorno 7 febbraio