Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 1849 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 1849 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 17/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso 28470-2022 proposto da:
COGNOME NOME, rappresentato e difeso da se stesso, elettivamente domiciliato presso il proprio indirizzo PEC;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliata presso l’indirizzo PEC dell’avvocato NOME COGNOME, che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 48/2022 della CORTE D’APPELLO di CAMPOBASSO, depositata il 21/05/2022 R.G.N. 76/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 19/12/2023 dal AVV_NOTAIO COGNOME.
Fatti di causa
La Corte d’appello di Campobasso, con la sentenza in atti, ha rigettato il gravame proposto da COGNOME
Oggetto
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 19/12/2023
CC
NOME ed ha accolto quello di RAGIONE_SOCIALE NOME e, in parziale riforma della sentenza impugnata, ha rideterminato in complessivi € 45.605,34 la somma spettante a titolo di TFR ed inoltre in € 18.127,35 le differenze retributive relative alle cinque giornate mensili detratte mensilmente dalla busta paga della lavoratrice nel periodo 1/1/2009 al 30/6/2014, con condanna al pagamento delle stesse somme, oltre agli accessori e le spese.
In particolare la Corte d’appello ha confermato che, come rilevato dal giudice di prime cure, dalle buste paghe risultava che per ogni mese del periodo indicato nel ricorso introduttivo del giudizio di primo grado dall’1/1/2009 al 30/6/ 2014 – erano state sottratte dalla busta paga della lavoratrice in media cinque giornate di lavoro sotto la dicitura assenze, le quali comportavano una differenza retributiva a favore della lavoratrice che ammontava complessivamente a € 18.127,35 per come conteggiato dal c.t.u. il quale aveva pure correttamente calcolato il TFR spettante anche sulla base del quantum relativo alle cinque giornate mensili, per un totale di € 45.605,34.
Contro questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione COGNOME NOME al quale ha resistito con controricorso COGNOME NOME. Il collegio ha riservato la motivazione, ai sensi dell’art. 380bis1, secondo comma, ult. parte c.p.c.
Ragioni della decisione
1.- Col primo motivo si deduce la nullità della sentenza e del procedimento per violazione dell’art. 115 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c. atteso che, a fronte della mancata specificazione dell’orario praticato da
parte della RAGIONE_SOCIALE, il ricorrente fin dalla comparsa di costituzione innanzi al primo giudice aveva specificato in modo puntuale e preciso l’orario di lavoro osservato dalla lavoratrice senza che la stessa avesse effettuato alcuna contestazione non potendosi considerare tal e la semplice affermazione ‘ non vero’; con la conseguenza che sarebbe stato sufficiente un semplice raffronto tra quanto dedotto dal COGNOME e le ore retribuite esposte nelle buste-paga per fare chiarezza in merito e quindi disattendere la richiesta della COGNOME. Non poteva inoltre essere proposta a fondamento della decisione la testimonianza della cognata della COGNOME. E quindi la sentenza andava cassata per carenza assoluta di motivazione.
1.2.- Il motivo è inammissibile sotto plurimi profili. Sussiste anzitutto eterogeneità delle censure (Cass. n. 7009 del 17/03/2017) e difetto di autosufficienza quanto alle deduzioni ed allegazioni richiamate ai fini della asserita non contestazione; mentre sotto quest’ultimo profilo va pure rilevato che nel vigore del novellato art. 115 c.p.c., a mente del quale la mancata contestazione specifica di circostanze di fatto produce l’effetto della relevatio ab onere probandi , spetta al giudice del merito apprezzare, nell’ambito del giudizio di fatto al medesimo riservato, l’esistenza ed il valore di una condotta di non contestazione dei fatti rilevanti, allegati dalla controparte (Cass. n. 3680 del 2019; Cass. n. 3126 del 2019).
Inoltre, a prescindere dalla formale rubrica il motivo di ricorso si limita a richiedere una nuova inammissibile selezione delle prove idonee ai fini della decisione ed un riesame della valutazione operata dal
giudice del merito. Per di più la censura esposta non si confronta con la ratio decidendi della sentenza impugnata la quale si fonda sulla detrazione di cinque giornate lavorative al mese dalla busta paga e non parla mai del quantum dell’orario di lavoro osservato dalla lavoratrice; talché il motivo di ricorso è pure connotato da assoluta novità rispetto al devolutum ed al decisum.
Infine va pure escluso il denunciato vizio di motivazione della sentenza atteso che il sindacato di legittimità sulla motivazione deve essere circoscritto alla sola verifica del rispetto del minimo costituzionale ex articolo 111 Cost., comma 6, che viene violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, illogica o incomprensibile, purche’ il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; cosa che è del tutto insussistente nel caso in esame, come risulta dalla parte in fatto di questa decisione.
2.- Il secondo motivo lamenta la violazione dell’art. 360 n. 5 c.p.c. avendo il giudice del tutto omesso l’esame circa un fatto decisivo per il giudizio, perché l’accertamento dell’orario di lavoro effettivamente osservato dalla RAGIONE_SOCIALE costituisce un fatto decisivo per il giudizio sia per quanto attiene alle ore di assenze non retribuite sia per quanto attiene al conseguente calcolo del TFR.
Anche questo motivo è inammissibile per novità della censura e mancanza di decisività (la sentenza impugnata non parla mai dell’orario di lavoro); ed inoltre per difetto di autosufficienza, perché non
spiega dove e come sarebbe stato accertato l’orario di lavoro in difetto della trascrizione degli atti di causa; ed che fine avrebbe tale accertamento rispetto al decisum.
3.- Col terzo motivo si deduce la nullità della c.t.u. e quindi della sentenza espletata ai sensi dell’articolo 360 n. 4 c.p.c. in quanto il quesito demandato alla c.t.u. , ai fini della quantificazione delle spettanze, faceva riferimento al periodo dall’1/1/1990 al 30/6/2014 laddove la domanda formulata dalla RAGIONE_SOCIALE era relativa al periodo dal 1/1/2009 al 30/6/2014 con la differenza di circa vent’anni rispetto al petitum ed al dispositivo della sentenza di primo grado.
Il motivo è infondato. In realtà, a prescindere dal contenuto del quesito demandato al ctu, la Corte d’appello – nella sentenza impugnata – ha fatto più volte corretto riferimento proprio al periodo dall’1/1/2009 al 30/6/2014, senza che risulti neppure contestato che le somme liquidate non fossero dovute o fossero da conteggiare differentemente dal quantum riconosciuto in sentenza.
4.In conclusione, il ricorso deve essere complessivamente rigettato e le spese di lite seguono il criterio della soccombenza.
Sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, d.P.R.115 del 2002 per il raddoppio del contributo unificato.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio che liquida in € 5.500,00 per compensi professionali, euro 200,00 per
esborsi, 15% per spese forfetarie oltre accessori dovuti per legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art.13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio del 19 dicembre