Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 6484 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 6484 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 11/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso 26280 – 2022 proposto da:
NOME COGNOME, elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME giusta procura in calce al ricorso, con indicazione degli indirizzi pec;
– ricorrente –
contro
NOMECOGNOME in proprio e quale titolare e legale rappresentante dell’ impresa individuale omonima, elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME che lo rappresenta difende, giusta procura in calce al controricorso, con indicazione de ll’ indirizzo pec;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 968/2022 della CORTE D’APPELLO di MILANO, pubblicata il 23/3/2022; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
26/6/2024 dal consigliere NOME COGNOME
lette le memorie delle parti.
FATTI DI CAUSA
Come risulta dalla premessa della sentenza impugnata, NOME COGNOME appaltò a NOME COGNOME titolare dell’omonima impresa edile, alcune opere di ristrutturazione della sua abitazione in Quinzano di Sumirago, INDIRIZZO in conclusione al computo metrico, riprodotto in atti da entrambe le parti, fu concordato un corrispettivo finale di Euro 59.564,75, oltre Euro 5.956,47 per IVA per complessivi euro 65.521,22; nel calcolo della detta somma non erano comprese le voci n. 30, 31, 32 (posa in opera delle piastrelle), 33 del computo metrico, perché il relativo corrispettivo non risultava riportato nell’apposita colonna ; era stata, invece, compresa la voce «fornitura delle piastrelle», calcolata in Euro 6.596,00.
A fronte del corrispettivo di Euro 59.564,75 oltre IVA, fra il 2013 e il 2014, Russo aveva corrisposto – con bonifici bancari -tre acconti di Euro 22.00,00, di Euro 11.000.00 e di Euro 8.800,00; nell’ottobre 2013 aveva pagato Euro 4.000,00, in contanti, per complessivi Euro 45.800,00.
Con atto di citazione del 14 marzo 2017, NOME COGNOME propose opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 202/2017 con cui il Tribunale di Busto Arsizio lo aveva condannato al pagamento, in favore di NOME COGNOME dell’importo complessivo di Euro 7.300,00, oltre agli interessi e alle spese del procedimento monitorio, a titolo di saldo del prezzo di appalto, come portato dalla fattura n. 27/2014.
L’opponente sostenne di non dovere l’importo fatturato, perché relativo all’obbligazione di consegna e posa in opere di piastrelle, mai adempiuta da NOME e per la quale aveva già pagato, senza causa, Euro 2.050,00, mediante tre acconti da Euro 500,00 ciascuno e un acconto di Euro 550,00; chiese, quindi, in riconvenzionale, la restituzione di questo importo.
Con sentenza n.1388/2019 il Tribunale accolse l’opposizione, revocando il d.i. opposto; quindi, in accoglimento soltanto parziale della domanda di NOME, condannò NOME a pagare a saldo la residua somma di euro 1.250,00, con gli interessi legali dal 9.12.2016 sino al soddisfo, con compensazione di spese: determinò, infatti, il valore delle opere eseguite da NOME in Euro 50.600,00 e, accertato l’avvenuto pagamento di Euro 43.300,00 da parte di NOME, a mezzo di 5 bonifici, di cui tre di euro 500,00 ciascuno, uno di euro 22.000,00, uno di euro 8.800,00 e uno di euro 11.000,00, oltre ad euro 4.000,00 in contanti, stabilì che spettasse ancora a NOME la somma di Euro 3.300,00 da cui ulteriormente detrasse Euro 2.050,00 per l’acquisto delle piastrelle.
Con sentenza n.968/2022 la Corte d’appello di Milano, in accoglimento dell’appello di NOME e in parziale riforma della sentenza impugnata, condannò Russo al pagamento della complessiva somma di euro 7.300,00, oltre alle spese del doppio grado.
La Corte d’appello calcolò che, prima della fattura 27/14 del 25/6/2014, posta a fondamento del d.i. opposto, fosse ancora dovuta a saldo la somma di Euro 19.721,00, perché sottrasse il totale degli acconti versati, pari a Euro 45.800,00 IVA compresa, dal prezzo dell’appalto come non contestato tra le parti, pari a Euro 65.521,22 IVA compresa; sottrasse pure, quindi, la somma di Euro 6.596,00 che NOME aveva dichiarato di doversi detrarre per acquisto e trasporto
piastrelle, promessi ma non eseguiti; rimarcò, infine, che COGNOME aveva dedotto di avere effettuato, prima di emettere la fattura azionata, uno «sconto» in favore di NOME, chiedendogli la minor somma (rispetto a quella di Euro 13.125,22, risultante dalle sottrazioni suindicate) di euro 8.000,00 oltre IVA e, perciò, Euro 8.800,00 a saldo e che NOME aveva quindi pagato, in acconto, ulteriori Euro 1.500,00.
Avverso questa sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi, a cui NOME COGNOME ha resistito con controricorso; entrambe le parti hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, articolato in riferimento al n. 3 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ., NOME COGNOME ha lamentato la violazione o falsa applicazione degli art. 115 e 167 cod. proc. civ., per non avere la Corte d’appello considerato la mancata tempestiva contestazione, da parte dell’opposto COGNOME, di alcuni fatti quali, in particolare, il valore delle opere concretamente eseguite, il valore delle opere non eseguite e delle lavorazioni relative alla pavimentazione esterna e della fornitura del relativo materiale e l’importo de gli acconti versati. In particolare, NOME avrebbe riconosciuto espressamente che il preventivo accettato prevedeva il pagamento dell’importo complessivo di Euro 59.564,75; con il pagamento della somma di Euro 8.000 oltre IVA di cui alla fattura azionata, NOME avrebbe corrisposto il complessivo importo di Euro 50.000,00 dato dalla somma tra il saldo di Euro 8.000,00 e gli acconti versati nel corso del 2013 per complessivi Euro 42.000,00; risulterebbe, dunque, evidente che, nella comparsa di risposta, COGNOME non avrebbe inteso chiedere il pagamento delle piastrelle e della relativa posa, né altre voci del preventivo non eseguite; quindi, nella memoria ex art. 183, comma VI, n. 1 cod. proc. civ., la difesa di NOME COGNOME avrebbe specificato ancora meglio quanto già indicato
in sede di costituzione in merito ai fatti oggetto di domanda giudiziale, affermando, alla pagina n. 2 del medesimo atto, che «…comunque la circostanza del versamento dell’importo di euro 4.000,00, su cui controparte fonda le proprie difese, è ininfluente in quanto mai contestata»; i n conseguenza, la Corte d’appello avrebbe erroneamente riformato la sentenza di primo grado che, al contrario, correttamente aveva dato atto che la somma dovuta era di Euro 50.600,00 che erano stati corrisposti Euro 47.300,00, che Euro 2.050,00 erano stati pagati per le piastrelle e che perciò era residuato soltanto un credito di Euro 1.250,00.
1.1. Il motivo è inammissibile in quanto non conferente alla ratio decidendi . La Corte d’appello ha ricostruito i fatti rimarcando che :
il corrispettivo fissato per il completamento di tutti i lavori previsti in contratto (e conteggiati nell’apposita colonna) ammontava ad Euro 59.564,75, oltre IVA per euro 5.956,47, e quindi a complessivi euro 65.521,22, come indicato in calce al computo metrico prodotto da entrambe le parti (nella memoria autorizzata 19/4/2018 di Russo e n ell’atto di appello di NOME a pag. 7); come riportato nello stesso ricorso, COGNOME aveva proprio sostenuto, in appello, che il corrispettivo fissato per il completamento di tutti i lavori previsti in contratto (e conteggiati nell’apposita colonna) ammonta sse alla suindicata somma di Euro 59.564,75 oltre IVA e il totale dovuto non fosse, perciò, Euro 50.600,00 come affermato in sentenza dal Tribunale; le opere non realizzate, di cui alle voci da 30 a 33 del computo metrico, infatti, in realtà erano state soltanto previste, ma non conteggiate nel prezzo.
La Corte territoriale ha poi aggiunto che COGNOME non risultava avere mai contestato la fattura n. 27/2014 del 25/6/2014 e quindi la somma pretesa e che, al contrario, con la mail del 29/10/2014, aveva riconosciuto di non poter pagare quanto ancora richiestogli e, in
risposta alla manifestazione di comprensione di NOMECOGNOME aveva dichiarato che avrebbe fatto di tutto per onorare il suo impegno; in effetti, a seguito della fattura poi azionata, COGNOME aveva pagato Euro 1.500,00 euro con tre bonifici di euro 500,00 ciascuno, tutti con la causale «acconto fattura n. 27/2014», a maggior dimostrazione che la fattura in questione, intitolata per «saldo lavori», non soltanto non era stata contestata, ma era stata persino seguita da pagamenti effettuati ancora «in acconto».
Le sottrazioni da effettuarsi secondo il ricorso sono state, dunque, tutte operate dalla Corte d’appello, ma in riferimento a un minuendo di importo differente, ritenuto come condiviso tra le parti: il richiamo al principio di non contestazione rispetto all’ammontare del minuendo individuato dal Tribunale (Euro 50.600,00) è del tutto inconferente perché l’opposto , sia in comparsa di costituzione in primo grado che in appello, ha sostenuto come pattuita e dovuta, in origine e in totale, altra maggiore somma.
Il ricorrente, invero, ha formulato il suo primo motivo quale ipotesi di violazione di legge in riferimento al principio di non contestazione, ma, in realtà, ha sostanzialmente e unicamente chiesto una diversa ricostruzione dei fatti che, oltre a risultare con evidenza incompatibile con le difese del convenuto opposto come da lui stesso riportate, è evidentemente preclusa in questa sede di legittimità.
Con il secondo motivo, articolato in riferimento al n. 5 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ., il ricorrente ha prospettato l’omesso esame di un fatto decisivo del giudizio individuato nella diversa quantificazione economica delle opere effettivamente realizzate dall’Impresa edile COGNOME nell’individuazione e nella quantificazione delle opere non eseguite, nonché nell’ammontare delle somme effettivamente da lui corrisposte.
2.1. Ancora una volta il motivo è inammissibile perché non conferente rispetto alla motivazione della decisione. La quantificazione economica delle opere realizzate effettivamente dall’Impresa Edile COGNOME e delle opere non eseguite e la considerazione delle somme sborsate effettivamente dal committente non sono state affatto omesse, ma hanno condotto ad un risultato differente perché fondate su diversi presupposti di fatto, come si evince chiaramente dalla precisa ricostruzione dei rapporti intercorsi operata in sentenza: vi è rimarcato, infatti, che « il Tribunale ha erroneamente decurtato l’importo di euro 4.000,00 dalla fattura 27/2014, quando invece tale importo era stato già scorporato da esso NOME prima della detta fattura», in quanto corrisposto in contanti nell’ottobre 2013 e quindi prima dell’emissione della fattura e, perciò, da sommare agli acconti già versati in precedenza con i bonifici, per complessivi Euro 45.800,00, con IVA; « l’importo di euro 2.050,00 – preso in considerazione dal Tribunale a titolo di spesa per l’acquisto delle piastrelle da parte di NOME – non avrebbe dovuto essere collegato alle piastrelle e decurtato dall’importo da esso NOME chiesto in via monitoria, dato che ‘ .. nei calcoli che avevano portato alla definizione del valore dei lavori eseguiti ‘ egli aveva già sottratto il costo delle piastrelle (Euro 6.596,00, ultima voce del computo metrico) che egli avrebbe dovuto fornire, ma non aveva fornito»; «anche la voce relativa alla posa in opera delle piastrelle voce n. 32 del computo metrico – non doveva entrare a far parte -e non ha fatto parte, al pari delle altre voci del computo metrico indicate ai punti n. 30, 31, 33- del corrispettivo finale di Euro 59.564,75, in quanto si trattava di voci che nel computo metrico non erano state calcolate e che quindi non andavano conteggiate nell’importo dovuto da Russo» (così, testualmente, in sentenza).
Anche la seconda censura, pertanto, consiste in realtà nella richiesta di una diversa valutazione di fatti già considerati e tutt’altro che non esaminati, preclusa a questa Corte di legittimità.
Il ricorso è, perciò, inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente NOME COGNOME al rimborso delle spese processuali in favore NOME COGNOME liquidate in dispositivo in relazione al valore.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna NOME COGNOME al pagamento, in favore di NOME COGNOME delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.400,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge.
Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del d.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda