Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 4267 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 4267 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 18/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15532/2023 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE REGIONALE PER LO SVILUPPO DELL’AGRICOLTURA CALABRESE GESTIONE RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante in carica, elettivamente domiciliato in ROMA al INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE, domiciliazione telematica in atti
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME COGNOME, domiciliato per legge in ROMA, alla INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME (CODICE_FISCALE e COGNOME NOME (CODICE_FISCALE, domiciliazione telematica in atti
– controricorrente –
avverso la SENTENZA della CORTE d’APPELLO di CATANZARO n. 538/2023 depositata il 9/05/2023.
Udita la relazione della causa svolta, nella camera di consiglio del 3/12/2024, dal Consigliere relatore NOME COGNOME osserva quanto segue.
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME concluse, nel 2005, un contratto di affitto di fondo rustico con l’ Agenzia Regionale per lo Sviluppo dell’Agricoltura Calabrese, in seguito: ARSAC, avente ad oggetto un appezzamento di terreno di circa dieci ettari in agro del Comune di Cassano allo Ionio, con obbligo di pagamento del canone entro il 10/11 di ciascun anno , ossia al termine dell’annata agraria, e previsione di clausola risolutiva espressa nel senso che anche il mancato pagamento di una sola mensilità avrebbe comportato la risoluzione di diritto del contratto.
A seguito del mancato pagamento di una annualità di canone l ‘RAGIONE_SOCIALE manifestò con missiva del 17/10/2008 l’intenzione di avvalersi della clausola risolutiva espressa e chiese il tentativo di conciliazione ai sensi dell’art. 46 della legge n. 203 del 3/05/1982.
In data 18/10/2007 era stata notificata dall’ARSAC al Pisani l’intimazione di pagamento del canone per l’annata agraria 20052006, scaduto il 19/11/2006.
L’ARSAC, a seguito dell’esito n egativo del tentativo di conciliazione, convenne in giudizio il COGNOME dinanzi alla Sezione specializzata agraria del Tribunale di Castrovillari ai fini dell’accertamento del grave inadempimento dello stesso, con conseguente pronuncia di risoluzione, per detta causa, del contratto.
NOME COGNOME resistette alla domanda e propose querela di falso che venne in un primo momento dichiarata inammissibile e solo successivamente venne trasmessa al Tribunale in composizione ordinaria.
All’esito dell o svolgimento dell ‘ incidente di falso, conclusosi con dichiarazione di inammissibilità della querela, con successiva conferma in appello, la Sezione specializzata agraria del Tribunale di
Castrovillari, a seguito di riassunzione del giudizio, pronunciò, con sentenza del 26/10/2022, la risoluzione del contratto per grave inadempimento del l’affittuario .
NOME COGNOME ha impugnato in appello la sentenza di primo grado e la Sezione specializzata presso la Corte d’appello di Catanzaro ha, con sentenza n. 538 del 9/05/2023, riformato la sentenza del primo giudice, dichiarando improponibile la domanda proposta dall’ARSAC.
Avverso la sentenza n. 538 del 9/05/2023 ha proposto ricorso per cassazione l’RAGIONE_SOCIALE con atto affidato a due motivi.
Risponde con controricorso NOME COGNOME.
Il consigliere delegato, in data 11/06/2024, ha formulato la proposta di definizione accelerata di inammissibilità del ricorso.
L’ARSAC ha chiesto la decisione del ricorso nelle forme ordinarie.
Fissata l’adunanza camerale il Procuratore Generale non ha presentato conclusioni.
L’ARSAC ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
La ricorrente propone i seguenti motivi di impugnazione.
Con il primo motivo di ricorso, deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. e di ogni altra norma e principio in materia di prove, ARSAC imputa alla Corte d’Appello l’errore consistito nell’aver ritenuto che il primo giudice avesse già e saminato ed escluso che una nota inviata all’affittuario COGNOME nell’ottobre 2007 integrasse una contestazione di inadempimento, laddove invece la Sezione agraria del Tribunale aveva esaminato solo una seconda dichiarazione, in data 17/10/2008 affermando che essa aveva contenuto di contestazione di inadempimento. Pertanto, secondo l’ARSAC, la Corte d’Appello, ritenendo che la motivazione del Tribunale fosse errata per quanto riguarda una seconda nota ARSAC in data 17 ottobre 2008, e sull’anzidetto falso presupposto che la
prima nota fosse stata già qualificata, sarebbe incorsa in una omissione di esame documentale, rilevante ai sensi e per gli effetti della violazione dell’art. 115 c.p.c.
Con il secondo motivo di ricorso, deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 5 legge n. 203 del 3/05/ 1982 in connessione con gli artt. 1219 c.c., 1454, 1456 e 1424 c.c., nonché degli artt. 115, 116 c.p.c. e di ogni altra norma e principio in materia di intimazione ad adempiere, contestazione di inadempimento, diffida ad adempiere, avvalimento di clausola risolutiva espressa, interpretazione dell’atto e conservazione dei suoi effetti giuridici, l’ ARSAC imputa alla sentenza impugnata di non aver svolto alcuna valutazione della nota dell’ottobre 2007 o, comunque, di avere violato le norme indicate non avendo considerato che detta nota, quand’anche fosse stata inidonea a determinare di per sé la risoluzione del contratto, costituiva in ogni caso valida contestazione di inadempimento ed esplicazione delle relative ragioni del concedente, come previsto dall’art. 5 , secondo comma, della legge n. 203 del 1982.
Ciò posto la Corte ritiene che il ricorso non meriti favorevole seguito.
La proposta di definizione accelerata ha avuto il seguente tenore: « il primo motivo è inammissibile; la violazione dell’art. 115 c.p.c. è dedotta del tutto al di fuori dei criteri indicati dalla giurisprudenza di questa Corte, inaugurati da Cass. n. 11892 del 2016, ribaditi, in motivazione non massimata, ma espressa, da Cass., Sez. Un., n. 16598 del 2016 e, quindi, ex multis , da Cass. n. 20867 del 2020, sollecitando, invece, una rivalutazione della quaestio facti ; la censura peraltro non coglie la ratio decidendi: la Corte d’appello non ha, infatti, ritenuto preclusa da gi udicato interno l’esame della dichiarazione del 9 ottobre 2007, ma ben diversamente ha espresso sul punto una sua valutazione, ancorché dichiarata conforme a quella del primo giudice, escludendo che quella dichiarazione potesse
costituire idonea contestazione di inadempimento ai sensi e per gli effetti dell’art. 5 legge n. 203 del 1982 poiché diretta esclusivamente a far valere la clausola risolutiva espressa (clausola nulla, come già dichiarato dal Tribunale, con statuizione non gravata da appello); il secondo motivo è parimenti inammissibile; anche in tal caso si evocano gli artt. 115 e 116 c.p.c. in termini diversi da quelli nei quali la ricordata giurisprudenza della Cassazione li ritiene evocabili a fondamento della denuncia di eventuali errores in procedendo ; la censura mira ad un riesame del materiale documentale, e comunque del merito della causa, precluso in questa sede di legittimità (Cass. Sez. U. 07/04/2014, n. 8053 e n. 8054), pur denunciando la violazione e la falsa applicazione di legge; non emerge dal ricorso in esame la specifica indicazione delle affermazioni contenute nella sentenza impugnata che si assumono essere in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con la loro interpretazione, come stabilito da consolidato orientamento di questa Corte (Cass. 02/03/2018, n. 5001; Cass. 12/01/2016, n. 287; Cass. 20/08/2015, n. 17060);».
La sentenza impugnata, invero, non incorre in alcun errore di omesso esame di documenti, come le imputa il ricorso, avendo, anzi, essa, con motivazione espressa, logica e coerente affermato, alla pag. 5, là dove il periodo inizia con «Ciò premesso…» , che nella detta nota dell’ottobre 200 non era rinvenibile una contestazione dell’inadempimento, poiché la detta nota manifestava l’ intenzione del locatore di avvalersi della clausola risolutiva espressa, di cui al contratto dell’anno 2005, intercorso tra l’Agenzia e l’COGNOME, clausola, che, peraltro, era stata ritenuta nulla da parte del Tribunale, con capo di sentenza non impugnato e, pertanto, passato in giudicato.
La Corte territoriale ha, in conclusione, esaminato compiutamente la nota o missiva dell’ottobre 2007, escludendo che essa potesse assumere efficacia di contestazione ai sensi dell’art. 5
della legge n 203 del 1982, che secondo la giurisprudenza di questa Corte deve avere specifico contenuto, anche con riferimento alle richieste del locatore (poste a base dell’inadempimento, in modo da consentire all’affittuario di sanare l’inadempimento nel termine di legge, così Cass. n. 978 del 16/01/2009 Rv. 606268 -01; Cass. n. 12856 del 02/12/1992 Rv. 479850 – 01).
La Corte d’appello ha, inoltre, specificamente esaminato anche la missiva dell’anno 2008, che la sezione specializzata agraria del Tribunale di castrovillari aveva ritenuto valida contestazione di inadempimento, affermando che viceversa ess era una mera co nvocazione ai fini del tentativo di conciliazione di cui all’art. 46 della legge n. 203 del 1982, corroborando detta affermazione con ampia argomentazione in fatto e in diritto, rimarcando la distinzione tra la contestazione dell’inadempimento di cui all’a rt. 5 e comunicazione per il tentativo di conciliazione di cui all’art. 46 (abrogato dall’art. 34 del d.lgs. n. 150 del 1/09/2011, ma all’epoca vigente) della legge n. 203 del 1982 e pertanto immune da vizi logici che possano in questa sede rilevare.
La censura del primo motivo di ricorso è, pertanto, inammissibile, in quanto a mezzo di essa è chiesta una diversa valutazione di un elemento fattuale (la nota dell’ottobre 2007) sulla quale la Corte territoriale ha già adeguamento effettuato la valutazione.
Il primo motivo, in conclusione, così come proposto, e come valutato dal consigliere delegato, chiede il riesame di un accertamento di fatto, espletato adeguatamente dal giudice del merito e la censura che esso contiene non è conforme a diritto.
Il secondo motivo pure è inammissibile, per le ragioni ampiamente esposte dalla proposta di definizione, peraltro con ampio richiamo alla giurisprudenza di legittimità circa le censure veicolabili con il riferimento agli artt. 115 e 116 c.p.c.
Invero il secondo motivo di impugnazione si limita anch’esso a chiedere una mera rivalutazione degli atti di causa e non contiene, come già affermatosi nella proposta di definizione accelerata, un’esatta e specifica individuazione delle norme di legge che si assumono violate, incorrendo in tal modo in violazione dell’art. 355, primo comma, n. 4 c.p.c.
La memoria depositata dall’ARSAC ribadisce quanto già affermato in ricorso e si limita a rinnovare la richiesta di diverso apprezzamento della nota dell’ottobre 2007 . Sul punto è pertanto, sufficiente ribadire -giusta le considerazioni svolte – che la Corte d’appello di Catanzaro non ha affatto tralasciato di prendere in esame la nota o lettera dell’ottobre dell’anno 2007 ma ha escluso che essa potesse valere quale contestazione dell’inadempimento ai sensi dell’art. 5 della legge n. 203 del 1982 , affermando che essa conteneva soltanto la richiesta di avvalersi della clausola risolutiva espressa di cui a ll’originario testo contrattuale, poi dichiarato nullo limitatamente alla clausola
Entrambi i motivi di ricorso sono, pertanto, inammissibili.
In conclusione, il ricorso è inammissibile.
Le spese di lite seguono la soccombenza della ricorrente e, tenuto conto dell’attività processuale espletata, in relazione al valore della controversia, sono liquidate come da dispositivo e sono distratte in favore degli avvocati del controricorrente, che hanno reso la dichiarazione di cui all’art. 93 c.p.c.
La decisione da parte del Collegio è conforme alla proposta di definizione accelerata formulata ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ.
La conformità è integrale: riguarda non solo l’esito del ricorso, inteso come dispositivo o formula terminativa della deliberazione, ma anche -sulla base di quanto si è rilevato – le ragioni che tale esito sostengono, cosicché alla dichiarazione di inammissibilità dell’impugnazione consegue, quale ulteriore conseguenza, la
condanna della ricorrente ai sensi dell’art. 96, terzo e quarto comma codice di rito civile, con liquidazione degli importi delle relative condanne come da dispositivo (sui presupposti per l’applicazione dell’art. 96, terzo e quarto comma si veda Sez. U n. 28540 del 13/10/2023 Rv. 669313 – 01).
La decisione di inammissibilità del ricorso comporta, infine, che deve attestarsi, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente e in favore del competente Ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1 bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 2.410,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge e ne dispone distrazione in favore degli avvocati NOME e NOME COGNOME.
Condanna la ricorrente al pagamento a favore della controricorrente di euro di euro 1.000,00 ai sensi dell’art. 96, terzo comma, c.p.c. e di euro 500,00 a favore della Cassa delle ammende ai sensi dell’art. 96, quarto comma, c.p.c.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente e in favore del competente Ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di Cassazione, sezione III civile, in data 3/12/2024.