Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 15596 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 15596 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 11/06/2025
Oggetto
Responsabilità civile generale -Danni da franamento di terreno soprastante
Prova civile -Consulenza tecnica d’ufficio Poteri del giudice -Adesione alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio -Obbligo della motivazione -Limiti
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6869/2023 R.G. proposto da COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, rappresentati e difesi dall’Avv. NOME COGNOME e dall’Avv. NOME COGNOME domiciliati digitalmente ex lege ;
-ricorrenti –
contro
COGNOME NOME e NOME, rappresentati e difesi dall’Avv. NOME COGNOME domiciliati digitalmente ex lege ;
-controricorrenti – avverso la sentenza della Corte d’Appello di Catania, n. 2045/2022, depositata in data 7 novembre 2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio dell’8 maggio 2025
dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
i coniugi NOME COGNOME e NOME COGNOME e i coniugi NOME COGNOME e NOME COGNOME convennero in giudizio, nel 2015, davanti al Tribunale di Catania, i coniugi NOME COGNOME e NOME COGNOME chiedendone la condanna al risarcimento dei danni subiti dai rispettivi fondi rustici per essere stati investiti, in data 5 novembre 2014, dal movimento franoso innescatosi dal fondo di proprietà dei convenuti posto a quota superiore, asseritamente a causa delle opere edilizie in esso abusivamente realizzate (un fabbricato, spazi di pertinenza, dei percorsi pedonali e una strada carrabile) che, in thesi , avevano alterato il naturale deflusso delle acque meteoriche;
con sentenza n. 4001 del 2019 l’adito Tribunale , espletata c.t.u., riconobbe che le opere realizzate dai coniugi COGNOMECOGNOME avevano contribuito al danno in misura del 37,5% e, pertanto, in parziale accoglimento delle domande, condannò i convenuti al pagamento della somma di Euro 7.858,68 in favore dei coniugi COGNOME e di quella di Euro 4.136,22 in favore dei coniugi COGNOME, oltre interessi e rivalutazione, ed oltre alle spese processuali, ordinando altresì ai convenuti di provvedere all’ eliminazione della stradella;
pronunciando sul gravame interposto dai coniugi COGNOME, la Corte d’appello di Catania, disposta nuova c.t.u., con sentenza n. 2045/2022, depositata in data 7 novembre 2022, in totale riforma della decisione gravata, ha rigettato le domande risarcitorie, condannando gli appellati, in solido, alla rifusione in favore degli appellanti delle spese di entrambi i gradi del processo e alla restituzione di quanto riscosso in esecuzione della sentenza di primo grado;
facendo proprie le valutazioni e le conclusioni della nuova c.t.u. (testualmente trascritte alle pagg. 23-27 della sentenza) la Corte etnea ha infatti ritenuto che la responsabilità dell’evento del 5 novembre 2014 non fosse attribuibile ai manufatti realizzati dai convenuti, ma
piuttosto: a) all’evento meteorologico eccezionale; b) alle condizioni geologico-strutturali (faglie), geomorfologiche e idrogeologiche del versante; c) alla presenza di una condotta idrica di proprietà di tale ditta COGNOME&COGNOME, che avrebbe contribuito al dissesto;
avverso tale sentenza NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME propongono ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui resistono, con controricorso, NOME COGNOME e NOME COGNOME;
l a trattazione è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380bis.1 cod. proc. civ.;
non sono state depositate conclusioni dal Pubblico Ministero; i ricorrenti hanno depositato memoria;
considerato che:
con il primo motivo i ricorrenti denunciano, con riferimento all’art. 360, primo comma, num. 4, cod. proc. civ., « nullità della c.t.u. disposta nel giudizio di appello avendo il c.t. individuato una terza causa della frana riguardante altro soggetto mai coinvolto nel procedimento e sulla quale nessuna delle parti aveva dedotto alcunché; v iolazione dell’art. 115 c.p.c. e del principio del contraddittorio ex art. 101 c.p.c.; conseguente nullità della sentenza trattandosi di nullità assoluta » (così testualmente nell’intestazione) ;
rilevano che la c.t.u. ─ in violazione del principio dispositivo (art. 115 c.p.c.) e del principio del contraddittorio (art. 101 c.p.c.), oltre che dei criteri di riparto dell’onere probatorio (art. 2697 cod. civ.) e dei principi enunciati da Cass. Sez. U. n. 3086 del 2022, ed eccedendo dai limiti propri di una c.t.u. deducente quale doveva considerarsi quella disposta nel giudizio di appello ─ ha individuato una terza causa della frana, attribuendola a una condotta idrica di proprietà di un soggetto estraneo al procedimento ( ‘ ditta COGNOME RAGIONE_SOCIALE Scilio ‘ ), mai coinvolto nel giudizio e mai menzionato dalle parti;
lamentano che la Corte territoriale abbia ignorato l’eccezione di
nullità della consulenza per tal motivo da essi tempestivamente sollevata;
con il secondo motivo i ricorrenti denunciano, con riferimento all’art. 360, primo comma, num. 4, cod. proc. civ., « motivazione apparente poiché la Corte territoriale, pur in presenza di osservazioni critiche specifiche formulate dai cc.tt. di parte e dalla difesa degli odierni ricorrenti, si è limitata a trascrivere interi brani della relazione ivi comprese le conclusioni, che capovolgono quelle della prima perizia collegiale, senza neppure un cenno all’evidente contrasto evidenziato dalla difesa e dai c.t.p. con ampie argomentazioni, in tal modo violando il disposto degli artt. 116 e 132 c.p.c. ed omettendo l’esame di un fatto decisivo che aveva costituito oggetto di discussione tra le parti con conseguente nullità della sentenza » (così la rubrica);
lamentano che la Corte d’appello:
─ non abbia fornito una spiegazione logica o scientifica per giustificare l’adesione alle conclusioni del consulente;
─ abbia omesso di effettuare un’analisi comparativa tra le conclusioni della c.t.u. collegiale espletata in primo grado e quelle della c.t.u. in appello, che sono diametralmente opposte;
─ abbia ignorato le articolate contestazioni sollevate dai consulenti tecnici di parte, che avevano evidenziato l’importanza dell’intervento antropico (costruzioni abusive) nel rendere più gravoso lo scolo delle acque, in violazione dell’art. 913 c.c.;
─ abbia motivato attraverso affermazioni generiche e apodittiche, senza considerare le argomentazioni tecniche e scientifiche presentate dai ricorrenti, né i fatti decisivi che erano stati oggetto di discussione;
il primo motivo è manifestamente infondato;
l’arresto di Cass. Sez. U. n. 3086 del 2022 ha enunciato il principio secondo cui « in materia di consulenza tecnica d’ufficio il consulente nominato dal giudice, nei limiti delle indagini commessegli e nell’osservanza del contraddittorio delle parti, può acquisire, anche
prescindendo dall’attività di allegazione delle parti, non applicandosi alle attività del consulente le preclusioni istruttorie vigenti a carico delle parti, tutti i documenti che si rende necessario acquisire al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli, a condizione che essi non siano diretti a provare i fatti principali dedotti a fondamento della domanda e delle eccezioni che è onere delle parti provare e, salvo quanto a queste ultime, che non si tratti di documenti diretti a provare fatti principali rilevabili d’ufficio »;
tale principio è del tutto impropriamente evocato in ricorso, quale parametro – in tesi violato ─ di legittimità delle acquisizioni istruttorie valorizzate nella sentenza impugnata;
ciò sotto un duplice profilo:
─ anzitutto, perché il principio si riferisce alle acquisizioni documentali effettuate di propria iniziativa dal c.t.u., mentre nella specie l’elemento istruttorio di cui si discute non emerge da documenti acquisiti dall’ausiliario quanto piuttosto dalle ispezioni e sopralluoghi direttamente eseguiti dal consulente in esecuzione del mandato;
─ in secondo luogo, perché l’elemento in questione non attiene ad un fatto principale oggetto di onere probatorio gravante sui convenuti/appellanti: non erano, infatti, i convenuti a dover provare la causa della frana e dei danni lamentati dagli attori/appellati ma al contrario erano questi ultimi a dover provare il nesso causale da essi dedotto tra le opere realizzate dai convenuti sul proprio fondo e l’evento lesivo;
i convenuti/appellanti non hanno opposto al fatto costitutivo posto a fondamento della pretesa risarcitoria degli attori/appellati un diverso fatto impeditivo, modificativo o estintivo idoneo a paralizzare gli effetti (nel che consiste la nozione di eccezione: con riferimento alla quale v., in motivazione, Cass. n. 34053 del 5/12/2023), ma ben diversamente ne hanno contestato la fondatezza, alla stregua di una mera difesa;
il consulente, quindi, nel rilevare l’esistenza di una sequenza
causale che non coinvolgeva le opere realizzate dai convenuti sul proprio fondo, non ha dato evidenza probatoria ad un fatto che erano i convenuti a dover allegare e dimostrare nel rispetto delle preclusioni istruttorie, ma più semplicemente ha negato riscontro istruttorio alle allegazioni poste a fondamento della domanda, con ciò del tutto legittimamente adempiendo all’incarico che gli era stato attribuito;
a tutto concedere, dunque, quel che emerge come dato dirimente dalla contestata relazione di consulenza non è tanto l’accertamento positivo di una certa causa del fenomeno franoso quanto l’accertamento negativo che quel fenomeno non è causalmente correlabile alle opere realizzate dai convenuti nel proprio fondo;
resta con ciò esclusa la dedotta violazione del principio del contraddittorio, inerendo pienamente l’accertamento operato al tema che costituiva oggetto di lite, mentre non può dubitarsi del pieno rispetto dei criterî di riparto dell’onere probatorio ex art. 2697 cod. civ., donde l’infondatezza della censura sotto tale profilo pure dedotta, peraltro in termini del tutto generici;
la violazione dell’art. 115 c.p.c. è poi dedotta al di fuori dei criteri indicati dalla giurisprudenza di questa Corte, inaugurati da Cass. n. 11892 del 2016, ribaditi, in motivazione non massimata, ma espressa, da Cass. Sez. U. n. 16598 del 2016 e, quindi, ex multis , da Cass. n. 20867 del 2020;
il secondo motivo è inammissibile;
anzitutto, per inosservanza dell’art. 366 n. 6 cod. proc. civ.: i ricorrenti omettono di indicare, direttamente o indirettamente, quali fossero le critiche mosse dai cc.tt.pp. alla relazione di consulenza, né è spiegato per qual motivo le prime non potessero intendersi confutate;
in secondo luogo, perché l’eventuale insufficienza argomentativa della consulenza può eventualmente riflettersi sulla motivazione della sentenza in quanto impeditiva di una corretta ed esaustiva ricognizione del fatto ma non implica certo di per sé l’inosservanza del dovere
motivazionale;
occorre al riguardo ribadire che, intanto un vizio di motivazione omessa o apparente è configurabile, in quanto, per ragioni redazionali o sintattiche o lessicali (e cioè per ragioni grafiche o legate alla obiettiva incomprensibilità o irriducibile reciproca contraddittorietà delle affermazioni delle quali la motivazione si componga), risulti di fatto mancante e non possa dirsi assolto il dovere del giudice di palesare le ragioni della propria decisione (v. Cass. Sez. U. 7/04/2014, nn. 8053 8054);
non può invece un siffatto vizio predicarsi quando, a fronte di una motivazione in sé perfettamente comprensibile, se ne intenda diversamente evidenziare un mero disallineamento dalle acquisizioni processuali (di tipo quantitativo o logico: vale a dire l’insufficienza o contraddittorietà della motivazione);
in questo secondo caso, infatti, il sindacato che si richiede alla Cassazione non riguarda la verifica della motivazione in sé, quale fatto processuale riguardato nella sua valenza estrinseca di espressione linguistica (significante) idonea a veicolare un contenuto (significato) e frutto dell’adempimento del dovere di motivare (sindacato certamente consentito alla Corte di cassazione quale giudice anche della legittimità dello svolgimento del processo: cfr. Cass. Sez. U. 22/05/2012, n. 8077), ma investe proprio il suo contenuto (che si presuppone, dunque, ben compreso) in relazione alla correttezza o adeguatezza della ricognizione della quaestio facti ;
una motivazione in ipotesi erronea sotto tale profilo non esclude, infatti, che il dovere di motivare sia stato adempiuto, ma rende semmai sindacabile il risultato di quell’adempimento nei ristretti limiti in cui un sindacato sulla correttezza della motivazione è consentito, ossia, secondo la vigente disciplina processuale, per il diverso vizio di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360, comma primo, num. 5, cod. proc.
civ.), salva l’ipotesi dell’errore revocatorio;
né il fatto dell’adesione alla seconda consulenza, dagli esiti opposti alla prima, nella vigente disciplina del giudizio di cassazione vale di per sé a configurare ammissibile motivo di critica;
sotto tale profilo, non può ritenersi più valido nella sua assolutezza, nell’attuale contesto normativo, il principio evocato in ricorso secondo cui, qualora nel corso del giudizio di merito vengano espletate più consulenze tecniche in tempi diversi con risultati difformi, il giudice, che intenda uniformarsi alla seconda consulenza, non potrebbe limitarsi ad una adesione acritica a quest’ultima, ma dovrebbe espressamente giustificare la propria preferenza, indicando le ragioni per cui ritiene di disattendere le conclusioni del primo consulente (e salvo ovviamente che queste risultino criticamente esaminate dalla nuova relazione), atteso che tale principio risulta elaborato in epoca anteriore alla modifica apportata all’art. 360 n. 5 c.p.c. dall’art. 54, d.l. n. 83/2012 (conv. con l. n. 134/2012), ossia in un tempo in cui era possibile denunciare per cassazione anche la semplice “insufficienza” della motivazione, ciò che invece adesso non è più possibile (così espressamente Cass. Sez. U. n. 8053 del 2014, cit.);
deve piuttosto adesso ritenersi che, nell’ipotesi predetta, la sentenza che abbia motivato uniformandosi ad una sola delle consulenze espletate nel corso del giudizio può essere censurata per cassazione solo nei ristretti limiti dell’art. 360 n. 5 c.p.c., ossia qualora l’omessa considerazione dell’altra relazione peritale si sia tradotta nell’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, nel senso che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia [v. in termini Cass. n. 31511 del 25/10/2022, Rv. 665999; v. anche, in senso sostanzialmente conforme, Cass. n. 8429 del 25/03/2021, secondo la cui massima -Rv. 660858- « in presenza di due successive contrastanti consulenze tecniche d’ufficio (nella specie,
la prima disposta nel giudizio di primo grado e la seconda in sede di gravame), qualora il giudice aderisca al parere del consulente che abbia espletato la sua opera per ultimo, va escluso il vizio di motivazione, deducibile in cassazione ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., e va ritenuta sufficiente la motivazione della sentenza, pur se l’adesione non sia specificamente giustificata, ove il secondo parere tecnico fornisca gli elementi che consentano, su un piano positivo, di delineare il percorso logico seguito e, sul piano negativo, di escludere la rilevanza di elementi di segno contrario, siano essi esposti nella prima relazione o aliunde deducibili. In tal caso, non possono configurare l’anzidetto vizio di motivazione le doglianze di parte che, dirette al solo riesame degli elementi di giudizio già valutati dal consulente tecnico, non individuino gli specifici passaggi della sentenza idonei ad inficiarne la logicità, anche per derivazione dal ragionamento del consulente »];
anche i precedenti di Cass. n. 14599 del 2021, n. 18598 del 2020, n. 13770 del 2018, n. 13399 del 2018, n. 13922 del 2016 citati dai ricorrenti, ove si abbia cura di leggerne le motivazioni per esteso, si muovono nel solco di questa esegesi essendo in essi evidenziati fatti specifici potenzialmente decisivi risultanti dalle consulenze cui i giudici d’appello avevano acriticamente preferito le altre che invece li avevano obliterati;
nel caso in esame, i ricorrenti si dolgono della mancata considerazione del ruolo attribuito nella prima consulenza e poi anche dai cc.tt. di parte al « costruito antropico », asseritamente di rilievo « fondamentale nelle variazioni della permeabilità delle superfici e del conseguente aumento del volume di deflusso idrico e della sua energia », il che però rappresenta una mera valutazione e non integra il « fatto » cui si riferisce il numero 5 dell’art. 360 c.p.c. secondo l’interpretazione pacificamente datane dalla giurisprudenza di questa Corte, vale a dire un preciso accadimento ovvero una precisa circostanza da intendersi in senso storico-naturalistico (cfr. Cass. n.
21152 del 2014; Cass. Sez. U. n. 5745 del 2015);
nella specie, invero, non risulta affatto omesso l’esame dei fatti dedotti in ricorso, i quali sono piuttosto esaminati e risolti in modo divergente alle aspettative di parte ricorrente, anche in relazione alla c.t.u. espletata in primo grado;
le doglianze si risolvono, dunque, nella prospettazione di un vizio di motivazione non coerente con il paradigma attualmente vigente ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., nonché volta ad una nuova valutazione dei fatti e delle risultanze istruttorie, non ammissibile in questa sede;
la memoria che, come detto, è stata depositata dai ricorrenti, ai sensi dell’art. 380bis.1 , primo comma, cod. proc. civ., non offre argomenti che possano indurre a diverso esito dell’esposto vaglio dei motivi;
il ricorso deve essere pertanto rigettato, con la conseguente condanna dei ricorrenti, in solido, alla rifusione delle spese processuali in favore dei controricorrenti, liquidate come da dispositivo;
va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2022, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1 -bis dello stesso art. 13;
P.Q.M.
rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da
parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza