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Consolidato fiscale: compenso per le perdite cedute

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna di una società controllante a versare un corrispettivo alla sua controllata, poi fallita, per aver utilizzato le perdite fiscali di quest’ultima nell’ambito del regime del consolidato fiscale. Secondo la Corte, la rinuncia della controllata alla possibilità di utilizzare autonomamente tali perdite in futuro deve essere compensata, sulla base di un accordo tra le parti la cui esistenza è stata provata in giudizio, anche tramite ammissioni della stessa controllante. L’interruzione del consolidato a causa del fallimento non esonera la controllante da tale obbligo.

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Consolidato Fiscale: Il Diritto al Compenso per le Perdite Cedute

Il regime del consolidato fiscale rappresenta uno strumento fondamentale per i gruppi societari, permettendo di ottimizzare il carico fiscale complessivo. Ma cosa succede quando una società del gruppo cede le proprie perdite fiscali alla controllante per poi fallire? La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 15075/2024, ha fornito chiarimenti cruciali sull’obbligo di remunerazione per il vantaggio ottenuto, anche quando il rapporto si interrompe bruscamente.

I Fatti di Causa

Una società controllante (qui “Holding S.p.A.”) aveva aderito insieme alla sua controllata (“Controllata S.r.l.”) al regime del consolidato fiscale. Grazie a questo accordo, Holding S.p.A. ha potuto utilizzare una significativa perdita fiscale registrata da Controllata S.r.l. per ridurre il proprio reddito imponibile, ottenendo un cospicuo risparmio d’imposta.

Successivamente, Controllata S.r.l. è stata dichiarata fallita. Il curatore fallimentare ha quindi agito in giudizio contro Holding S.p.A., chiedendo il pagamento di un importo pari al vantaggio fiscale conseguito da quest’ultima, sostenendo l’esistenza di un obbligo di compensazione.

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello hanno dato ragione al fallimento, condannando Holding S.p.A. al pagamento della somma richiesta. La questione è così giunta all’esame della Corte di Cassazione.

La Decisione della Corte di Cassazione e il Consolidato Fiscale

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso di Holding S.p.A., confermando le decisioni dei giudici di merito. I motivi del ricorso si concentravano su tre punti principali:

1. Natura dell’obbligo: La ricorrente sosteneva che il diritto al compenso non deriva automaticamente dalla legge, ma solo da uno specifico accordo contrattuale che, a suo dire, i giudici non avevano adeguatamente accertato.
2. Omessa pronuncia: Lamentava che la Corte d’Appello non avesse esaminato uno specifico motivo di gravame relativo alla ricostruzione dell’accordo.
3. Valore dell’ammissione: Contestava che una sua ammissione, contenuta in un atto processuale, potesse essere interpretata come un riconoscimento di debito, specialmente se l’obbligazione di base era inesistente.

La Cassazione ha ritenuto tutti i motivi infondati.

Le Implicazioni dell’Accordo di Consolidato Fiscale

La Corte ha chiarito che, sebbene la legge non preveda un obbligo automatico di pagamento, le parti, nell’esercizio della loro autonomia negoziale, possono (e di norma fanno) stipulare accordi di consolidamento che regolano il trasferimento dei vantaggi fiscali. In questi accordi, si prevede un corrispettivo per la società che rinuncia a un proprio vantaggio futuro (la “chance” di dedurre le perdite negli anni successivi) in favore del gruppo.

Nel caso specifico, i giudici di merito avevano correttamente accertato l’esistenza di un tale accordo, basandosi non su “labili indizi”, ma sull'”aperta ammissione” della stessa Holding S.p.A., che in un proprio atto aveva fatto riferimento a somme pagate “in esecuzione del contratto di consolidamento”.

Le Motivazioni

La Suprema Corte ha ribadito un principio fondamentale: l’accertamento dei fatti e la valutazione delle prove sono di competenza esclusiva del giudice di merito. La Cassazione non può sostituire la propria valutazione a quella della Corte d’Appello, a meno che non vi sia un’omissione totale nell’esame di un fatto storico decisivo, cosa che in questo caso non è avvenuta. La motivazione della Corte d’Appello è stata ritenuta logica, coerente e non contraddittoria.

Inoltre, è stato precisato un punto cruciale: l’interruzione del regime di consolidamento (in questo caso, a causa del fallimento della controllata) non libera la controllante dall’obbligo di compensare la società che ha già conferito il vantaggio fiscale. La controllante, infatti, trattiene il beneficio fiscale già conseguito, e pertanto deve remunerare la controparte per la “chance” di cui l’ha privata.

Conclusioni

L’ordinanza in esame consolida un importante principio in materia di consolidato fiscale e rapporti infragruppo. La cessione delle perdite fiscali da una società all’altra non è un atto a titolo gratuito, ma un’operazione economica che presuppone una giusta remunerazione per la parte che si priva di un potenziale vantaggio. Le società devono quindi prestare massima attenzione nella redazione degli accordi di consolidamento, definendo chiaramente gli obblighi di compensazione, poiché l’esistenza di tali patti può essere provata in giudizio con ogni mezzo, incluse le ammissioni contenute negli atti processuali. Anche in scenari di crisi, come il fallimento, gli obblighi derivanti da questi accordi restano validi ed esigibili.

Nel regime del consolidato fiscale, il diritto della società che cede le perdite a un compenso nasce direttamente dalla legge?
No, il diritto al compenso non deriva direttamente dalla norma di legge, ma da uno specifico accordo di consolidamento stipulato tra le parti nell’esercizio della loro autonomia negoziale. Tuttavia, la legge (art. 118, comma 4, d.P.R. 917/1986) riconosce che la rinuncia alla chance di futura deducibilità delle perdite giustifica un corrispettivo compensativo.

Cosa succede all’obbligo di pagamento della controllante se il regime del consolidato fiscale si interrompe, ad esempio per fallimento della controllata?
L’interruzione del regime non esonera la controllante dall’obbligo di compensare la società che ha conferito le perdite. Anche se il consolidamento cessa, la controllante trattiene il vantaggio fiscale già conseguito e deve quindi remunerare la controllata per aver rinunciato alla possibilità di utilizzare autonomamente quelle perdite.

L’ammissione di aver effettuato pagamenti in esecuzione di un “contratto di consolidamento” può essere usata come prova dell’esistenza dell’obbligo di pagamento?
Sì. La Corte di Cassazione ha confermato che l’ammissione fatta dalla parte appellante nei propri atti difensivi (nello specifico, affermando che una sua domanda era tesa a ottenere la restituzione di quanto pagato “in esecuzione del contratto di consolidamento”) costituisce una prova rilevante per dimostrare l’esistenza di un preciso accordo e del conseguente obbligo di pagamento.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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