Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 7548 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 7548 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 21/03/2024
O R D I N A N Z A
sul ricorso proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, con sede in Vigarano Mainarda, in persona del legale rappresentante sig. NOME COGNOME, rappresentata e difesa per procura alle liti in calce al ricorso dagli AVV_NOTAIO NOME COGNOME e NOME COGNOME, elettivamente domiciliata presso lo studio dell’Avvo cato NOME COGNOME in Roma, INDIRIZZO.
Ricorrente
contro
RAGIONE_SOCIALE, COGNOME NOME e RAGIONE_SOCIALE liquidazione, rappresentati e difesi per procura alle liti in calce al controricorso da ll’ AVV_NOTAIO, elettivamente domiciliati presso lo studio del l’AVV_NOTAIO in Roma, INDIRIZZO.
Controricorrenti per la cassazione della sentenza n. 608/2020 della Corte di appello di Bologna, depositata l’11. 2. 2020.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio dell’8. 3. 2024 dal consigliere relatore NOME COGNOME.
Fatti di causa e ragioni decisione
Con sentenza del 2012 il Tribunale di Ferrara, risolvendo la controversia insorta tra la RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE in relazione ad un contratto preliminare, stipulato in data 21. 6. 2008, con cui la prima aveva promesso di acquistare le quote detenute dai RAGIONE_SOCIALE della società RAGIONE_SOCIALE, al fine di divenire proprietaria di un capannone che costituiva l’unico bene intestato alla società, accolse la domanda della RAGIONE_SOCIALE di trasferimento delle quote sociali con riduzione del prezzo, rispetto a quello convenuto di euro 343.000,00, nell ‘importo di euro 245.214,14, per la presenza di vizi nell’immobile , e condannò la stessa società RAGIONE_SOCIALE al pagamento della somma di euro 87.150,00 a titolo di risarcimento dei danni per la protratta occupazione senza titolo, in pendenza del preliminare, del capannone della società RAGIONE_SOCIALE, già oggetto di provvedimento di sequestro giudiziario emesso nel corso del giudizio.
Con sentenza n. 608 dell’11. 2. 2020 la Corte di appello di Bologna accolse solo in parte il gravame proposto dalla società RAGIONE_SOCIALE, relativamente al momento del decorso degli interessi sulla somma da versare a titolo di residuo prezzo dell’acquisto, rigettandolo per il resto. In particolare, per quanto qui ancora rileva, venne confermata la statuizione di primo grado che aveva condannato la società appellante al risarcimento del danno per occupazione senza titolo dell’immobile e quella che aveva rigettato la sua richiesta di risarcimento dei danni. La Corte territoriale motivò tale conclusione affermando che, ai sensi dell’art. 7 del contratto preliminare , la consegna anticipata dell’immobile era stata prevista non al fine della sua utilizzazione ma allo scopo di consentire alla promissaria acquirente di verificare la eventuale necessità di adeguamento della struttura alla sua attività e che tale ragione era venuta meno per il fatto che la parte aveva mantenuto la detenzione adducendo la presenza di vizi dell ‘immobile solo in sede di stipula del definitivo; aggiunse che, a seguito del suo sequestro giudiziario, la parte si era accordata con il custode di corrispondere una somma per la perdurante occupazione, il cui versamento doveva ritenersi avvenuto a titolo di risarcimento del danno; con riferimento alle domande risarcitorie riproposte dalla appellante, le rigettò rilevando che vizi e le irregolarità
dell’immobile non aveva impedito alla società di esercitare la sua attività e che le spese di trasloco e rimozione dei materiali non erano risarcibili, essendo esborsi che la società avrebbe dovuto affrontare comunque.
Per la cassazione di questa sentenza, con atto notificato il 13. 11. 2002, giusta la sospensione dei termini disposta dai decreti legge n. 18 e n.23 del 2020, ha proposto ricorso la RAGIONE_SOCIALE, affidandosi a cinque motivi.
RAGIONE_SOCIALE NOME, COGNOME NOME e la RAGIONE_SOCIALE hanno notificato controricorso.
La causa è stata avviata in decisione in camera di consiglio.
Preliminarmente va disattesa l’istanza di interruzione del giudizio avanzata dal difensore dei controricorrenti sul rilevo che, nella pendenza di esso, la società RAGIONE_SOCIALE è stata dichiarata fallita. L’orientamento consolidato di questa Corte è infatti nel senso che, essendo il giudizio di cassazione governato da ll’impulso d’ufficio, non trova applicazione in esso la disciplina dell’interruzione del processo prevista dagli artt. 299 e seguenti c.p.c. ( Cass. n. 30785 del 2023; Cass. n. 3630 del 2021; Cass. n. 7477 del 2017 ).
Il primo motivo di ricorso, che denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 167, comma 2, c.p.c., 1362 e 1363 c.c., 115 c.p.c., 2697, comma 2, c.c. e 112 e 342 c.p.c., investe il capo della decisione con cui la Corte di appello ha confermato la condanna al risarcimento del danno per indebita occupazione dell’immobile.
Con una prima serie di censure si assume che la Corte di appello, laddove ha affermato che l’anticipata consegna dell’immobile era stata prevista solo per consentire alla promissaria acquirente di effettuare verifiche sulla eventuale necessità di adeguare la struttura alla propria attività, è incorsa in vizio di extrapetizione, avendo la società convenuta dedotto che tale consegna aveva carattere temporaneo al solo fine di anticipare i lavori di imbiancatura dei muri del capannone. Si aggiunge che comunque la circostanza addotta dalla Corte di appello non era risultata provata e che ha integrato una ragione della decisione nuova, in quanto mai dedotta dalle parti.
In ogni caso si sostiene che l’interpretazione accolta dalla sentenza in ordine al contenuto della clausola n. 7 del contratto preliminare risulta condotta in
violazione dei criteri di interpretazione del contratto, atteso che la consegna anticipata era stata prevista dai contraenti al fine di permettere alla promissaria acquirente di predisporre il capannone alle proprie esigenze aziendali e cioè allo scopo di consentirle di iniziare da subito la propria attività.
Il motivo è infondato e per il resto inammissibile.
In particolare, appare infondata la censura di extrapetizione.
Decisiva in questo senso è la considerazione che la proposizione da parte della società convenuta della domanda di risarcimento del danno per indebita occupazione dell’immobile investiva il giudice di merito della questione relativa alla legittimità di tale detenzione, il cui esame passava necessariamente, in forza delle allegazioni delle parti, per la valutazione del contenuto e significato della clausola del contratto preliminare che aveva previsto l’anticipata consegna dell’immobile, la quale pertanto di veniva questione integrante il thema decidendum . Ciò porta di escludere il vizio di extrapetizione denunziato, tenuto conto che, nell’interpretazione del contratto , il giudice deve seguire i criteri ermeneutici stabiliti dalla legge ( art. 1362 e seguenti c.c. ), senza essere vincolato dalle prospettazioni delle parti, potendo arrivare ad attribuire all’atto anche una qualificazione giuridica diversa. Inoltre il vizio di extrapetizione della sentenza è ravvisabile qualora il giudice emetta un provvedimento diverso da quello richiesto o attribuisca un diverso bene di vita diverso ovvero ponga a fondamento della decisione fatti estranei alla materia del contendere ( ex multis : Cass. n. 1616 del 2021; Cass. n. 8048 del 2019; Cass. n. 18868 del 2015; Cass. n. 455 del 2011; Cass. n. 11455 del 2004 ), non laddove decida sulla domanda proposta sulla base di ragioni o circostanze che, pur non allegate, risultino comunque dagli atti di causa sottoposti al suo esame.
La censura che contesta l’interpretazione della clausola contrattuale fatta propria dalla sentenza impugnata è invece inammissibile per genericità, non indicando in modo specifico e puntuale i canoni interpretativi violati né le ragioni ed il modo in cui si sarebbe consumata la violazione, risolvendosi in una lettura solo diversa ed alternativa a quella accolta dal giudice di merito.
Costituisce orientamento consolidato nella giurisprudenza di questa Corte il principio che l’interpretazione dell’atto negoziale costituisce accertamento di
fatto, come tale demandato in via esclusiva al giudice di merito, e che nel giudizio di cassazione la censura della violazione delle regole in materia di ermeneutica contrattuale richiede la specifica indicazione dei canoni in concreto inosservati e del modo attraverso cui si è realizzata la violazione, e che, per sottrarsi a censura, quella data dal giudice non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili, e plausibili, interpretazioni, in quanto contrapporre a quella fornita dal giudice di merito una diversa ed opposta interpretazione del contratto si risolve in una mera richiesta di un nuovo accertamento sul fatto, come tale non ammessa dinanzi a questa Corte, che è giudice del diritto e non del fatto ( Cass. n. 28319 del 2017; Cass. n. 27136 del 2017; Cass. n. 24536 del 2009; Cass. n. 10131 del 2006).
Il secondo motivo di ricorso, nel denunciare violazione e falsa applicazione degli artt.112, 324, 329 e 342 c.p.c., censura l’affermazione della sentenza impugnata che, dopo avere ritenuto che la consegna anticipata dell’immobile alla promissaria acquirent e NOME era funzionale solo all’esigenza di consentire alla stessa di verificare la eventuale necessità di adeguamento della struttura alla propria attività, ha ritenuto che tale giustificazione fosse venuta meno in ragione della considerazione che ‘ allorché la pendenza del preliminare sia consumata senza alcuna contestazione e l’acquirente non addivenga al contrato definitivo, e soltanto allora adduca l’esistenza di vizi tale da rendere l’immobile inservibile, risulta infranto l’equilibrio sinallagmatico sotteso alla pattuizione contrattuale costituente il presupposto della legittima occupazione da parte del promissario acquirente, che viene a configurarsi sine titulo sin dall’origine ‘. Sostiene al riguardo la ricorrente che tale motivazione appare contrastante con l’accertamento risultante dalla sentenza di primo grado, divenuto definitivo in mancanza di appello della controparti, che aveva addebitato la mancata conclusione del definitivo all’inadempimento dei promittenti veditori, in ragione dell’esisten za di vizi ed irregolarità dell’immobile.
Il motivo è infondato.
Il tema affrontato dalla decisione impugnata attiene alla legittimità o meno della protratta occupazione dell’immobile da parte della società promissaria acquirente, a far data dal preliminare, che è evidentemente questione
indipendente da quella relativa alla denunzia dei vizi ed irregolarità dell’immobile, in ragione dei quali la società odierna ricorrente ha ottenuto, in sede di trasferimento ex art. 2932 c.c., la riduzione del prezzo convenuto. Che si tratti di questioni tra loro non interdipendenti ma separate è scandito del resto dall’accertamento di fatto compiuto dalla Corte di merito, laddove ha affermato che i vizi e le irregolarità dell’immobile non avevano prodotto alcuna limitazione del suo godimento, non avendo impedito alla RAGIONE_SOCIALE di farne uso e di esercitarvi, senza alcuna lamentela, la propria attività. Il fatto quindi che la Corte di appello abbia accolto la domanda della acquirente di riduzione del prezzo non incide in alcun modo sulla questione se la protratta detenzione del bene da parte di essa fosse o meno illegittima.
Il terzo motivo di ricorso, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 132 n. 4 c.p.c., 118 disp. att. stesso codice, 1458 c.c., 112 e 113 c.p.c., investe la motivazione della sentenza impugnata censurata con il motivo precedente, che si assume solo apparente e comunque oscura, per non avere la Corte di appello spiegato le ragioni in base alle quali la tardiva denuncia dei vizi da parte della promissaria acquirente avrebbe ‘ infranto ‘ il sinallagma contrattuale. La Corte non ha poi considerato che la consegna anticipata del bene prevista dal contratto preliminare integrava la diversa figura negoziale del comodato, il quale non prevede a carico di chi ha la disponibilità del bene alcuna controprestazione ma solo l’obbligo di restituirlo alla scadenza .
Si ribadisce inoltre che la motivazione adottata integra il vizio di extrapetizione. Anche questo motivo è infondato.
Le censure non colgono la ratio della decisione impugnata, quale emerge dalla motivazione sopra richiamata, da cui risulta in modo sufficientemente chiaro che la responsabilità della odierna ricorrente è stata affermata per avere continuato ad occupare l’immobile al di là delle esigenze per le quali le era stato consegnato, contestandone vizi ed irregolarità soltanto alla scadenza del termine fissato per il contratto definitivo, così privando di fatto per tale periodo l’altra parte del godimento del bene. Appare altresì evidente che la Corte di appello abbia ravvisato nel comportamento della società appellante una condotta contraria al canone della buona fede contrattuale, in quanto tale idonea ad
incidere sulla causa concreta che aveva sorretto la pattuizione di anticipata consegna dell’immobile.
Inconferente appare infine il richiamo alle disciplina del contratto di comodato, risultando il rapporto che si instaura in forza della clausola di anticipata consegna del bene inserito in un contratto preliminare di compravendita immobiliare strettamente collegato alla previsione della stipulazione del contratto definitivo e quindi retto dalla relativa disciplina negoziale, che la Corte di appello ha individuato, nella specie, nell’art. 7 del contratto preliminare, ricostruendone il contenuto.
Il quarto motivo di ricorso denunzia nullità della sentenza per omesso esame di fatti decisivi per il giudizio e violazione e falsa applicazione degli artt. 1809, 1810 e 2043 c.c., lamentando che la Corte di appello abbia omesso di considerare che la clausola di anticipata consegna del bene inserita in un contratto preliminare porta a ritenere che la detenzione dello stesso da parte del promissario acquirente sia legittima fino alla stipula del contratto definitivo e che, nella specie, essa era stata rit ardata a causa dell’inadempimento dei promittenti venditori. Ne consegue, ad avviso della ricorrente, che l’occupazione dell’immobile, trovando titolo nel contratto preliminare, non poteva considerarsi una condotta illegittima, fonte di un danno ingiusto.
Il motivo, che reitera le censure già esposte, è infondato per le ragioni esposte nel rigettare i motivi precedenti, trovando la conclusione accolta dalla sentenza impugnata la sua ragione giustificatrice nella portata attribuita alla clausola contrattuale prevedente la consegna anticipata dell’immobile e nel rilievo che il protrarsi dell’occupazione del bene, non trovando giustificazione nella predetta pattuizione, costituiva una condotta abusiva, su cui non aveva esercitato incidenza alcuna la presenza di vizi o irregolarità del bene.
Il quinto motivo di ricorso denuncia nullità della sentenza per omesso esame di fatti decisivi per il giudizio e violazione e falsa applicazione degli artt. 115 c.p.c., 1218 e 1233 c.c., censurando la sentenza impugnata per non avere considerato che il pr otrarsi dell’occupazione dell’immobile era stata causata dall’inadempimento dei convenuti .
La ricorrente inoltre lamenta il rigetto delle proprie domande di risarcimento del danno causato dall’inadempimento della controparte, atteso che la presenza di vizi e irregolarità dell’immobile le avevano impedito di destinare l’immobile all’esercizio del la sua attività di impresa ed il mancato riconoscimento delle spese di trasloco e di ricovero dei materiali affrontate.
La prima parte del motivo è infondata, per le ragioni già esposte.
Le altre censure sono inammissibili, avendo la Corte di appello respinto le richieste risarcitorie della appellante in forza delle considerazioni che la presenza di vizi e irregolarità dell’immobile non aveva prodotto alcun pregiudizio al suo godimento, avendovi la società esercitato senza lamentele la sua attività, e che le spese di trasloco e rimozione dei materiali non erano risarcibili, essendo esborsi che la società avrebbe dovuto affrontare in ogni caso. La motivazione sul punto si basa su accertamenti di fatto, non censurabili, in quanto tali, in sede di giudizio di legittimità.
In conclusione, il ricorso è respinto.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
Si dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte della società ricorrente , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
P. Q. M.
rigetta il ricorso; condanna la società ricorrente al pagamento delle spese di giudizio in favore dei controricorrenti, che liquida in euro 5.700,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali
Dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte della società ricorrente , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio dell ‘8 marzo 2024.
IL PRESIDENTE
NOME COGNOME