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Consecuzione delle procedure e revocatoria fallimentare

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 11647/2025, ha stabilito un principio cruciale in materia di azione revocatoria fallimentare. In un caso in cui un fallimento è seguito a una procedura di concordato preventivo, la Corte ha affermato che, in virtù della consecuzione delle procedure, la normativa applicabile e i relativi termini di decadenza devono essere individuati con riferimento alla data di inizio della prima procedura (il concordato) e non a quella della successiva dichiarazione di fallimento. Di conseguenza, ha rigettato il ricorso di un creditore che sosteneva l’applicabilità di una normativa diversa basata sulla data del fallimento. La Corte ha inoltre dichiarato inammissibile il motivo relativo alla prova della conoscenza dello stato di insolvenza, ribadendo che tale accertamento di fatto spetta al giudice di merito.

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Consecuzione delle procedure: la Cassazione stabilisce la regola per l’azione revocatoria

L’ordinanza n. 11647/2025 della Corte di Cassazione affronta un tema di grande rilevanza nel diritto fallimentare, consolidando l’orientamento sul principio della consecuzione delle procedure. Questa decisione chiarisce in modo definitivo quale sia il momento determinante per individuare la legge applicabile ai termini di decadenza dell’azione revocatoria quando un fallimento segue un concordato preventivo. Si tratta di un principio fondamentale per tutelare la parità di trattamento tra i creditori.

I Fatti del Caso: La Revocatoria dopo il Concordato Preventivo

Una società, dopo essere stata ammessa e aver ottenuto l’omologazione di un concordato preventivo, subiva la risoluzione dello stesso e veniva successivamente dichiarata fallita. Il curatore fallimentare avviava un’azione revocatoria contro un’impresa individuale creditrice, chiedendo la restituzione di alcuni pagamenti ricevuti nel periodo sospetto antecedente all’ammissione al concordato.

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello accoglievano la domanda del curatore, ritenendo che il fallimento e il precedente concordato dovessero essere considerati come un unico percorso di gestione della crisi d’impresa. Il creditore, tuttavia, ricorreva in Cassazione, sostenendo che i termini di decadenza per l’azione revocatoria fossero ormai scaduti, poiché, a suo avviso, la normativa applicabile doveva essere quella in vigore al momento della dichiarazione di fallimento e non quella vigente all’epoca dell’ammissione al concordato.

La questione della consecuzione delle procedure e la sua applicazione

Il cuore della controversia risiedeva nell’interpretazione del principio della consecuzione delle procedure e della sua interazione con le norme transitorie introdotte dalle riforme fallimentari. Il ricorrente sosteneva che, in base all’art. 150 del D.Lgs. n. 5 del 2006, la data di riferimento per stabilire la disciplina applicabile fosse quella della dichiarazione di fallimento. Poiché il fallimento era stato dichiarato dopo l’entrata in vigore di nuove norme sui termini di decadenza (art. 69-bis legge fall.), l’azione revocatoria sarebbe stata, a suo dire, tardiva.

La tesi opposta, sostenuta dal curatore e accolta dai giudici di merito, si fondava invece sull’idea che il concordato e il fallimento costituissero un’unica procedura concorsuale. Di conseguenza, il momento rilevante per l’individuazione della legge applicabile doveva essere quello dell’ammissione alla prima procedura, il concordato preventivo, iniziata prima dell’entrata in vigore del nuovo art. 69-bis.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, fornendo importanti chiarimenti sul principio di consecuzione e superando alcuni suoi precedenti contrastanti.

Il Principio della Consecuzione Prevale sulla Norma Transitoria

La Cassazione ha ribadito il valore sistematico del principio di consecuzione delle procedure. Tale principio mira a ‘congelare’ il patrimonio del debitore al momento dell’emersione della crisi (l’inizio della prima procedura) per garantire la neutralità rispetto alla scelta del debitore di accedere a una procedura piuttosto che a un’altra. Considerare il concordato e il successivo fallimento come un fenomeno unitario impedisce che il decorso del tempo tra le due fasi possa pregiudicare i diritti dei creditori.

La Corte ha specificato che la norma transitoria (art. 150 del D.Lgs. n. 5/2006) non contiene alcuna deroga a questo principio. L’assenza di un’esplicita menzione della consecuzione in tale norma non può essere interpretata come una volontà del legislatore di disapplicare un principio giurisprudenziale così consolidato. Anzi, tale principio è stato successivamente formalizzato dal legislatore stesso.

La Valutazione della “Scientia Decoctionis”

Per quanto riguarda il secondo motivo di ricorso, relativo alla presunta erronea valutazione della conoscenza dello stato di insolvenza (la scientia decoctionis), la Corte lo ha dichiarato inammissibile. Ha ricordato che l’accertamento di tale elemento soggettivo è una questione di fatto, riservata al giudice di merito. La Corte d’Appello aveva adeguatamente motivato la sua decisione sulla base di elementi concreti, come la presenza di numerosi protesti, un precedente decreto ingiuntivo e pagamenti avvenuti dopo il fallimento di un piano di rientro. Tale motivazione è stata ritenuta sufficiente e non sindacabile in sede di legittimità.

Le Motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano sulla necessità di dare coerenza al sistema di gestione della crisi d’impresa. La consecuzione delle procedure non è un mero artificio giuridico, ma risponde all’esigenza sostanziale di trattare l’insolvenza come un fenomeno unitario, indipendentemente dagli strumenti procedurali che si succedono nel tempo. Permettere che la scelta della data di riferimento (concordato o fallimento) possa alterare le tutele per i creditori, come l’esercizio dell’azione revocatoria, creerebbe una disparità di trattamento e incentiverebbe comportamenti opportunistici. Con questa ordinanza, la Corte non solo risolve il caso specifico ma supera consapevolmente precedenti decisioni non allineate (Cass. nn. 6506/2020 e 3606/2022), rafforzando la certezza del diritto.

Le Conclusioni

In conclusione, l’ordinanza n. 11647/2025 sancisce che, in caso di fallimento consecutivo a un concordato preventivo, il dies a quo per l’individuazione della disciplina applicabile all’azione revocatoria è la data di ammissione alla prima procedura. Questa decisione ha importanti implicazioni pratiche: i curatori fallimentari e i creditori sanno con certezza che le tutele revocatorie sono ancorate all’inizio della crisi, indipendentemente dalla durata e dall’esito della procedura di concordato. Si tratta di un pilastro fondamentale a garanzia della par condicio creditorum.

In caso di fallimento che segue un concordato preventivo, quale data si usa per determinare la legge applicabile all’azione revocatoria?
Si utilizza la data di inizio della prima procedura, ovvero quella di ammissione al concordato preventivo, in base al principio della ‘consecuzione delle procedure’.

La norma transitoria dell’art. 150 del d.lgs. n. 5 del 2006 deroga al principio della consecuzione delle procedure?
No, la Corte di Cassazione ha stabilito che tale norma non contiene alcuna eccezione al principio consolidato della consecuzione, che considera le procedure come un fenomeno unitario.

La Corte di Cassazione può riesaminare la valutazione del giudice di merito sulla conoscenza dello stato di insolvenza da parte del creditore (scientia decoctionis)?
No, la valutazione dei fatti che provano la scientia decoctionis è riservata al giudice di merito. La Cassazione può intervenire solo se la motivazione è totalmente assente, apparente o illogica, ovvero al di sotto del ‘minimo costituzionale’.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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