Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 11647 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 11647 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 03/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 30203/2020 R.G. proposto da NOME COGNOME titolare dell’impresa individuale COGNOME di NOME COGNOME, elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME rappresentato e dife so dall’avv. NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1027/2020 del la Corte d’Appello di Bari, depositata il 16.6.2020;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del l’ 11.3.2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Il fallimento RAGIONE_SOCIALE in liquidazione venne dichiarato all’esito della risoluzione del concordato preventivo cui la società era stata ammessa e che era stato omologato.
Il curatore fallimentare avviò nei confronti di NOME COGNOME titolare di impresa individuale, un’azione revocatoria di alcuni pagamenti ricevuti nel periodo sospetto antecedente all’ammissione al concordato preventivo, avendo ravvisato il presupposto della consecuzione tra le due procedure concorsuali.
Il Tribunale di Bari accolse la domanda e la sentenza di primo grado venne confermata dalla Corte d’Appello di quella città, che rigettò il gravame del convenuto.
Contro la sentenza della Corte territoriale NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione articolato in due motivi.
Il fallimento RAGIONE_SOCIALE in liquidazione si è difeso con controricorso, illustrato anche con memoria depositata nel termine di legge anteriore alla data fissata per la trattazione in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 -bis .1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si denunciano, con riferimento all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., la violazione o falsa applicazione dell’art. 6 9 -bis legge fall. -prospettandosi la decadenza dall’esercizio dell’azione revocatoria -nonché l’erronea applicazione del principio della «consecuzione delle procedure».
I giudici del merito hanno ritenuto non applicabili nel caso di specie, ratione temporis , i termini di decadenza di cui all’art.
69 -bis , comma 1, legge fall., valorizzando il fatto che il fallimento era stato dichiarato in consecuzione rispetto alla precedente procedura di concordato preventivo, la quale era iniziata con il decreto di ammissione pronunciato prima dell’entrata in vigore di quella disposizione di legge (introdotta nella legge fallimentare dall’art. 55 del d.lgs. n. 5 del 2006) .
Secondo il ricorrente, invece, la consecuzione delle procedure -che di per sé non viene messa in discussione -non osterebbe a ll’applicazione dell’art. 69 -bis , comma 1, legge fall., dovendosi avere riguardo, per l’individuazione della normativa applicabile, non alla data dell’ammissione al concordato, bensì a quella della dichiarazione di fallimento, in ossequio alla norma transitoria contenuta nell’art. 150 del d.lgs. n. 5 del 2006 (« I ricorsi per dichiarazione di fallimento e le domande di concordato fallimentare depositate prima dell ‘ entrata in vigore del presente decreto, nonché le procedure di fallimento e di concordato fallimentare pendenti alla stessa data, sono definiti secondo la legge anteriore»).
1.1. Con riguardo a questo motivo il controricorrente ha sollevato un’eccezione di inammissibilità che non merita accoglimento.
Più precisamente si prospetta l’inammissibilità dell’appello -rilevabile d’ufficio anche in sede di legittimità e comunque evidenziata anche nella sentenza qui impugnata -perché il gravame sarebbe stato eccentrico rispetto alla ratio decidendi della sentenza di primo grado: mentre il Tribunale, applicando il principio di consecuzione delle procedure, aveva considerato il fallimento virtualmente pendente fin dalla data di ammissione al concordato preventivo, l’appellante aveva contestato che la
disciplina transitoria del l’art. 150 del d.lgs. n. 5 del 2006 non si applica al concordato preventivo. Da ciò sarebbe conseguito, secondo il fallimento che solleva l’eccezione di inammissibilità, il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado incentrata su una ratio decidendi diversa e, quindi, non impugnata.
1.1.1 Sennonché l’eccezione non può essere accolta, perché confonde il profilo dell ‘esistenza di un gravame con quello della sua pertinenza rispetto al decisum e, quindi, della sua fondatezza. La sentenza di primo grado era basata su una certa interpretazione del regime transitorio contenuto nell’art. 150 del d.lgs. n. 5 del 2006, non condivisa e censurata dall’appellante. Il fatto che la Corte d’Appello abbia ritenuto non pertinente la critica -ovverosia non idonea a scalfire la correttezza della motivazione della decisione impugnata -non esclude che il gravame sia stato proposto e affrontato nel merito, tant’è che , in perfetta coerenza con tale assunto, il dispositivo della Corte territoriale è stato in modo esplicito di rigetto e non di inammissibilità.
1.2. Nel merito, il motivo è infondato.
1.2.1. Come si già accennato, non è in discussione il presupposto della consecuzione tra il concordato preventivo e il successivo di fallimento, quantunque le due procedure siano state separate da uno iato temporale (stanti l’omologazione del concordato e la sua successiva risoluzione), che di per sé non esclude l’unicità del fenomeno di insolvenza cui entrambe erano destinate a fare fronte (v., ex multis , Cass. n. 26159/2024).
In presenza della consecuzione di procedure questa Corte ha già avuto modo di affermare che, ai fini della individuazione
delle norme applicabili alle azioni recuperatorie esperibili dal fallimento successivamente dichiarato, si deve avere riguardo alla data di inizio della prima procedura e non a quella della dichiarazione di fallimento (Cass. n. 6045/2016, pronunciata con riferimento alla riduzione della durata del periodo sospetto rilevante ai fini delle azioni revocatorie operata con il d.l. n. 35 del 2005, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 80 del 2005).
E deve essere qui ribadito il « valore sistematico del principio di consecuzione, che intercetta l ‘ interesse del ceto creditorio alla neutralità del previo ricorso del debitore a procedure concordatarie, con l ‘ obiettivo di congelare il valore del patrimonio presente al momento anteriore onde poterlo assoggettare, poi, eventualmente, alla liquidazione concorsuale ». Inoltre, « la consecuzione addirittura si sostanzia -essa in quanto tale -nella considerazione unitaria della procedura di concordato preventivo cui è succeduta quella di fallimento » (Cass. n. 6045/2016 cit.).
1.2.2. Si tratta allora di stabilire se, con l’art. 150 del d.lgs. n. 5 del 2006, il legislatore abbia inteso porre una deroga o un’eccezione rispetto a tale prospettazione, che di per sé conforta la correttezza della decisione assunta dalla Corte d’Appello di Bari .
Ebbene, nel testo della disposizione di legge non vi è alcun cenno alla consecuzione di procedure e nulla induce a pensare che il legislatore intendesse contraddire l’efficacia di un principio giurisprudenziale che anzi, di lì a poco, fece proprio e formalizzò con l’introduzione del secondo comma dell’art. 69 -bis legge fall.
(art. 33, comma 1, lett. a -bis , del d.l. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012).
Sebbene il tenore letterale dell’art. 150 sia diverso da quello dell’art. 2, comma 2, del d.l. n. 35 del 2005, non pare che il legislatore abbia inteso discostarsi dalla regola generale per cui le nuove disposizioni «si applicano alle azioni revocatorie proposte nell ‘ ambito di procedure iniziate dopo la data di entrata in vigore del presente decreto».
La formula dell’art. 150 d.lgs. n. 5 del 2006 (« … le procedure di fallimento e di concordato fallimentare pendenti alla stessa data , sono definiti secondo la legge anteriore»), in quanto analitica, è sicuramente meno ampia di quella d ell’art. 2, comma 2, del d.l. n. 35 del 2005, che fa generale e indistinto riferimento alle «procedure» (e, infatti, per la necessità di un’applicazione estensiva anche a procedure non contemplate in modo esplicito nell’art. 150 , v. Cass. n. 27454/2924); ma non per questo impedisce di intendere il concetto di «procedure di fallimento … pendenti» alla luce del consolidato principio della « considerazione unitaria della procedura di concordato preventivo cui è succeduta quella di fallimento ».
1.2.3. In tale direzione deve essere integrato in senso correttivo, e dunque condotto a meditato superamento, quanto a suo tempo statuito in altri due precedenti di questa Corte (Cass. nn. 6506/2020; 3606/2022), in cui dalla constatazione che l’art. 150 del d.lgs. n. 5 del 200 6 pone la disciplina transitoria « senza prevedere alcuna rilevanza autonoma sul piano della disciplina applicabile ed in particolare della revocatoria fallimentare alla eventuale consecuzione delle
procedure » è stata tratta una implicita deroga a quel principio consolidato; deroga che invece dovrebbe essere desunta da specifici indici rivelatori di una volontà del legislatore in tal senso e non dalla mera mancanza di un’esplicita affermazione del principio stesso.
Il secondo motivo censura: in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., la violazione o falsa applicazione dell’art. 67 legge fall. e degli artt. 2727 e 2729 c.c., per «erronea applicazione dell’istituto della presunzione » ; in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., «omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio» , avuto riguardo all’accertamento dell’elemento soggettivo della scientia decoctionis .
Secondo il ricorrente la Corte d’Appello avrebbe errato nell’apprezzamento dei fatti ai fini dell’accertamento presuntivo della conoscenza dello stato d’insolvenza al tempo della ricezione dei pagamenti oggetto dell’azione revocatoria; aspetto sul quale la decisione impugnata sarebbe anche carente di motivazione.
2.1. Il motivo è inammissibile.
Oggetto di censura è, infatti, l’accertamento del fatto, che è di per sé riservato al giudice del merito. La Corte d’Appello ha del resto motivato il proprio accertamento indicando, quali fatti noti rilevanti ai fini del ragionamento presuntivo, l’elevazione di protesti «molto numerosi», il fatto che il ricorrente avesse precedentemente chiesto e ottenuto decreto ingiuntivo contro la società poi fallita e il fatto che i pagamenti fossero stati effettuati dopo l’inutile scadenza della prima rata di un concordato piano di rientro.
Il che è sicuramente più che sufficiente per escludere che la decisione impugnata sia priva di una motivazione, vizio censurabile in sede di legittimità solo nel caso estremo di riduzione al di sotto del «minimo costituzionale», che si ravvisa nella «mancanza assoluta di motivi sotto l ‘ aspetto materiale e grafico», nella «motivazione apparente», nel «contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili» e nella «motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile» (Cass. S.u. n. 8053/2014).
Rigettato il ricorso, le spese del giudizio di legittimità vengono compensate, in ragione della presenza di precedenti di legittimità che possono avere indotto il ricorrente a confidare in un diverso esito dell’impugnazione .
Si dà atto che, in base al l’esito del giudizio, sussiste il presupposto per il raddoppio del contributo unificato ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte: rigetta il ricorso; compensa le spese del giudizio di legittimità;
dà atto, ai sensi dell ‘ art.13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell ‘ ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio