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Conflitto di interessi: quando il contratto è nullo?

Una società facente parte di un gruppo ha richiesto l’ammissione al passivo di un’altra società del medesimo gruppo, in amministrazione straordinaria, per un credito derivante da canoni di locazione. La Corte di Cassazione ha confermato la decisione dei giudici di merito, i quali avevano ritenuto il contratto di locazione annullabile per conflitto di interessi. Anche in presenza di una proprietà comune, l’amministratore aveva agito favorendo una società a discapito dell’altra. Il ricorso è stato dichiarato inammissibile in quanto mirava a un riesame dei fatti, non consentito in sede di legittimità.

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Conflitto di interessi infragruppo: l’identità dei soci non basta a escluderlo

La gestione delle operazioni commerciali tra società appartenenti allo stesso gruppo imprenditoriale solleva questioni delicate, soprattutto quando le decisioni sono prese da un amministratore che opera per entrambe le entità. Un conflitto di interessi può sorgere anche quando la proprietà è la medesima. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce che la comune appartenenza a un gruppo e l’identità della compagine sociale non sono sufficienti, di per sé, a escludere l’annullabilità di un contratto svantaggioso per una delle società. Analizziamo la vicenda per comprendere i principi affermati dai giudici.

I fatti del caso

La controversia nasce nell’ambito di una procedura di amministrazione straordinaria di una società operativa. Un’altra società dello stesso gruppo, proprietaria dell’immobile in cui la prima svolgeva la sua attività, ha chiesto di essere ammessa al passivo per un ingente credito relativo a canoni di locazione non pagati.

L’operazione originaria, risalente a molti anni prima, era complessa: la società operativa aveva venduto il proprio opificio a una società di leasing, la quale lo aveva concesso in leasing alla società immobiliare del gruppo. Quest’ultima, a sua volta, lo aveva sub-locato alla società operativa a un canone mensile significativo. Anni dopo, con l’apertura della procedura concorsuale, gli organi della procedura si sono opposti al pagamento del debito, eccependo l’annullabilità del contratto di locazione per conflitto di interessi.

Il Tribunale ha dato ragione alla procedura, ritenendo che l’operazione fosse stata strutturata per avvantaggiare la società immobiliare a danno di quella operativa, con un contratto stipulato da un amministratore che rappresentava entrambe le parti.

La decisione della Corte di Cassazione e il conflitto di interessi

La società creditrice ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo principalmente due punti:
1. Non poteva esserci conflitto di interessi, dato che entrambe le società erano controllate dalle medesime persone, con un assetto proprietario coincidente.
2. Il Tribunale avrebbe commesso un errore di percezione delle prove, non valutando correttamente una perizia di parte che escludeva qualsiasi pregiudizio economico.

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, respingendo le argomentazioni della ricorrente e consolidando importanti principi in materia.

Le motivazioni

La Corte ha chiarito che, ai fini del conflitto di interessi, non è sufficiente guardare alla mera identità dei soci o all’appartenenza a un gruppo. Anche in questo contesto, l’autonomia patrimoniale e soggettiva di ogni singola società deve essere tutelata. Un contratto è annullabile se crea un vantaggio per una società (e per l’amministratore che ne è anche socio) a fronte di un sacrificio economico per l’altra, senza che questo sacrificio sia bilanciato da un vantaggio compensativo per il gruppo nel suo complesso.

Nel caso specifico, l’operazione aveva di fatto trasferito il rischio immobiliare sulla società operativa, costringendola a pagare un canone elevato, mentre la società immobiliare del gruppo ne traeva un beneficio netto. La Corte ha sottolineato che, per escludere il conflitto, la società ricorrente avrebbe dovuto dimostrare l’esistenza di un progetto imprenditoriale unitario e coordinato, dal quale anche la società sacrificata avrebbe tratto un vantaggio indiretto. Tale prova non è stata fornita.

Inoltre, la Cassazione ha ribadito la propria funzione di giudice di legittimità: il suo compito non è rivalutare i fatti o le prove (come la perizia di parte), ma solo verificare la corretta applicazione delle norme di diritto. Poiché il Tribunale aveva fornito una motivazione ampia e logica sulla sussistenza del conflitto, la Corte non poteva riesaminare tale accertamento. Le censure della ricorrente sono state quindi giudicate un tentativo inammissibile di ottenere un terzo grado di giudizio nel merito.

Conclusioni

L’ordinanza in esame offre due importanti lezioni pratiche. La prima è che le operazioni infragruppo devono essere attentamente vagliate per evitare situazioni di conflitto di interessi. L’identità della compagine sociale non è uno scudo sufficiente: ogni operazione deve essere giustificata da una logica economica che non danneggi ingiustificatamente una delle entità giuridiche coinvolte. La seconda lezione riguarda i limiti del ricorso per cassazione: non è una sede in cui si possano rimettere in discussione gli accertamenti fattuali compiuti dai giudici di merito, a meno che non si denuncino vizi processuali specifici e non un generico disaccordo con la valutazione delle prove.

La comune appartenenza a un gruppo societario esclude il conflitto di interessi dell’amministratore?
No. Secondo la Corte, l’identità della compagine sociale e l’appartenenza a un gruppo non sono sufficienti a escludere un conflitto di interessi. È necessario dimostrare che l’operazione, pur svantaggiosa per una società, si inserisce in un progetto imprenditoriale unitario che produce vantaggi compensativi anche per la società sacrificata.

È possibile chiedere alla Corte di Cassazione di riesaminare le prove e i fatti di una causa?
No, il ricorso per cassazione non è un terzo grado di giudizio nel merito. La Corte può solo valutare la corretta applicazione delle norme di legge (errores in iudicando) o la validità del procedimento (errores in procedendo), ma non può sostituire la propria valutazione dei fatti a quella del giudice di merito, se questa è motivata in modo logico e congruo.

Quali sono le conseguenze di un contratto stipulato da un amministratore in conflitto di interessi?
Il contratto concluso dall’amministratore in conflitto di interessi con la società è annullabile su domanda della società stessa, a condizione che il conflitto fosse conosciuto o riconoscibile dal terzo contraente. Nel caso di operazioni infragruppo, la procedura concorsuale (in questo caso l’amministrazione straordinaria) può sollevare l’eccezione di annullabilità per paralizzare la pretesa creditoria basata su tale contratto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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