Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 2554 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 2554 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 26/01/2024
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
C.C. 17/01/2024
VENDITA IMMOBILIARE
ORDINANZA
sul ricorso (iscritto al N.R.G. NUMERO_DOCUMENTO) proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa, in virtù di procura speciale rilasciato su foglio separato materialmente congiunto al ricorso, dall’AVV_NOTAIO ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell’AVV_NOTAIO in Roma, INDIRIZZO;
–
ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa, in virtù di procura speciale apposta in calce al controricorso, dagli AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO e NOME COGNOME ed elettivamente domiciliata presso lo studio del secondo, in Roma, INDIRIZZO;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte di appello di Firenze n. 1267/2019 (pubblicata il 28 maggio 2019);
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 17 gennaio 2024 dal Consigliere relatore NOME COGNOME;
lette le memorie depositate dalle difese di entrambe le parti.
RITENUTO IN FATTO
1. Con atto di citazione notificato nel marzo 2004, la società RAGIONE_SOCIALE (poi trasformatasi in RAGIONE_SOCIALE) conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Prato, la società RAGIONE_SOCIALE per sentir dichiarare l’annullamento della vendita effettuata il 17.05.2004 con rogito per AVV_NOTAIO COGNOMEAVV_NOTAIO (n. 39.445 rep. e fasc. 6675), debitamente registrata e trascritta, in virtù della quale essa attrice aveva trasferito alla suddetta convenuta alcuni beni ubicati nel Comune di Prato, alla INDIRIZZO e alla INDIRIZZO, nonché nel Comune di Agliana, alla INDIRIZZO, sul presupposto della violazione dell’art. 1394 c.c. in tema di conflitto di interessi e di quella dell’art. 1395 c.c. relativa al contratto con se stesso.
A sostegno della domanda, la società attrice deduceva: – che i sigg. NOME COGNOME e NOME COGNOME (il primo padre del secondo) erano soci accomandatari e amministratori, con poteri di firma disgiunta tra loro, della società RAGIONE_SOCIALE (di cui rivestivano la qualità di soci accomandanti le sigg.re COGNOME NOME -moglie e madre degli accomandatari – e NOME e NOME COGNOME, rispettivamente figlia e sorella dei predetti); – che ciascun socio era titolare della quota del 20% del capitale sociale; – che il COGNOME NOME aveva poi trasferito i beni in forza del predetto atto di vendita alla società RAGIONE_SOCIALE, della quale lo stesso era titolare del 95% delle quote, nonché presidente; – che, alla sottoscrizione del contratto di vendita, era intervenuta in rappresentanza della società acquirente tale COGNOME NOME, moglie del presidente nonché consigliere delegato della RAGIONE_SOCIALE, debitamente autorizzata; – che gli stessi beni erano stati, tuttavia, promessi in vendita da ll’altro
amministratore, COGNOME NOME, con contratti preliminari apparentemente stipulati pochi giorni prima alle società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, società riconducibili alle figlie NOME e NOME COGNOME (così dovendosi ritenere pacifica l’intenzione della società di cedere a terzi gli immobili).
Ad avviso della società attrice, quindi, la citata compravendita conclusa per AVV_NOTAIO COGNOME si sarebbe dovuta considerare stipulata in violazione degli indicati artt. 1394 e 1395 c.c. poiché: – il valore dei beni trasferiti sarebbe stato non solo inferiore al loro valore commerciale, ma anche a quello catastale; – il pagamento del prezzo, concordato nella misura di euro 868.700,00, oltre iva, avrebbe dovuto essere corrisposto per una parte consistente di esso (ovvero nell’importo di euro 708.700,00) mediante una dilazione di 20 mesi, prassi da intendersi esclusa dagli usi commerciali; – il COGNOME NOME, che aveva sottoscritto il controverso contratto di compravendita nella qualità di legale rappresentante della venditrice RAGIONE_SOCIALEall’epoca) RAGIONE_SOCIALE, sarebbe stato a conoscenza sia del valore dei beni che della volontà del padre di trasferirli alla due menzionate società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE; l’atto impugnato era stato stipulato davanti a notaio diverso da quello a cui si rivolgevano abitualmente le società del gruppo familiare COGNOME, con modalità di stipula e tempi di trascrizione dell’atto tali da rendere evidente che la vendita sarebbe stata effettuata in contrasto con l’interesse della RAGIONE_SOCIALE, all’insaputa dei soci e con la volontà di procedere all’attuazione dei preliminari di vendita sottoscritti dal co -amministratore COGNOME NOME.
Si costituiva la società convenuta, la quale instava per il rigetto dell’avversa domanda, sostenendo che, nella fattispecie, difetta vano i presupposti per l’applicazione degli invocati artt. 1394 e 1395 c.c.
All’esito dell’espletata istruzione probatoria, l’adito Tribunale, con sentenza n. 787/2012, accoglieva la domanda, accertando e dichiarando la situazione di conflitto di interesse in cui aveva agito il COGNOME NOME nello stipulare, per conto della società di famiglia, il contratto di vendita in favore della sua società, all’insaputa di tutti gli altri soci e contro la loro volontà, ritenendo, altresì, l’irrilevanza di ogni argomento con riferimento all’entità del prezzo e al suo mancato pagamento.
Decidendo sull’appello formulato dalla RAGIONE_SOCIALE e nella costituzione della RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE), la Corte di appello di Firenze, con sentenza n. 1267/2019 (pubblicata il 28 maggio 2019), lo rigettava, confermando integralmente la decisione di prime cure, ravvisando la ricorrenza, nel caso di specie, di tutte le condizioni individuate dall’art. 1394 c.c. per addivenire alla dichiarazione dell’annullamento dell’impugnato contratto, essendo rimaste confermate le plurime circostanze ed allegazioni portate dalla società RAGIONE_SOCIALE di cui all’atto di citazione introduttivo del giudizio, ritenendosi, peraltro, assorbita ogni altra questione, con particolare riferimento alla sussistenza dei presupposti della violazione dell’art. 1395 c.c., oltretutto anch’essi ricorrenti, ponendosi riguardo al fatto che in sede di conclusione del contratto era comparsa per la società acquirente la moglie del COGNOME NOME, munita da parte di costui dei necessari poteri di stipula.
Contro la suddetta sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, la RAGIONE_SOCIALE, resistito con controricorso dalla RAGIONE_SOCIALE
I difensori di entrambe le parti hanno anche depositato memoria.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Con il primo motivo, la ricorrente ha denunciato -ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. -la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1394 c.c., prospettando l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui ha ravvisato la sussistenza del conflitto di interessi indipendentemente dalla valutazione se vi fosse inconciliabilità in concreto fra gli interessi del rappresentante e del rappresentato e se il contratto di compravendita in questione si fosse tradotto in un danno per la società venditrice (di per sé non riconducibile alla circostanza del mancato pagamento di parte del prezzo della compravendita), non ricorrendo, peraltro, l’ipotesi di un esclusivo perseguimento dell’interesse del rappresentante.
Con la seconda censura, la ricorrente ha dedotto -in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. la violazione e falsa applicazione dell’art. 1394 c.c. per vizio della motivazione, non avendo la Corte di appello, con la sentenza impugnata, valutato come, nella concreta fattispecie, l’interesse del rappresentante e del rappresentato fossero pienamente coincidenti, compatibili e conciliabili, stante l’oggetto sociale della società venditrice (la compravendita di immobili) e la comune volontà delle parti di pervenire alla conclusione di una compravendita del compendio immobiliare, come descritto nel relativo rogito, per un prezzo congruo ed in assenza di qualsiasi pregiudizio per la società alienante RAGIONE_SOCIALE
In termini essenziali, la ricorrente ha inteso prospettare il vizio di motivazione della pronuncia di appello per aver omesso ogni valutazione della circostanza che la vendita effettuata dal socio accomandatario della società RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, alla RAGIONE_SOCIALE fosse avvenuta con modalità tali da escludere la possibilità di conflitto di interesse, in quanto: – non si sarebbe potuto configurare un conflitto di interessi rilevante per inconciliabilità degli
interessi nella compravendita immobiliare laddove la società venditrice abbia quale oggetto la compravendita immobiliare; – il contratto aveva comportato per la società venditrice un vantaggio economico superiore a quello che sarebbe stato ritratto nell’ipotesi in cui i beni fossero stati trasferiti in adempimento dei richiamati preliminari di compravendita.
3. Rileva, in primo luogo, il collegio che è necessario prendere in esame l’eccezione formulata dalla controricorrente – di supposta carenza di interesse della ricorrente, in base all’argomentazione che la stessa, con il proposto ricorso, non avrebbe impugnato quella che si sarebbe dovuta ritenere un’ulteriore ‘ratio decidendi’ della sentenza impugnata relativamente alla ritenuta sussistenza anche delle condizioni previste dall’art. 1395 c.c.
Con tale eccezione, in altri termini, la RAGIONE_SOCIALE sostiene l’inammissibilità del ricorso sul presupposto che non sarebbero state censurate entrambe le ‘rationes decidendi’, da ritenersi poste a fondamento della sentenza di appello, ma solo quella relativa alla ravvisata sussistenza degli elementi configuranti il conflitto di interesse come contemplato dall’art. 1394 c.c., senza cioè attaccare anche l’altra da considerarsi tale ‘ratio’, con la quale la Corte di appello, pur avendo ritenuto assorbito l’altro motivo di gravame riferito all’art. 1395 c.c., aveva, in ogni caso, rilevato anche la sussistenza dei presupposti della dedotta violazione di quest’ultima norma.
L’eccezione non merita accoglimento, poiché in effetti -la sentenza della Corte toscana non si è fondata su due autonome ‘rationes decidendi’ (l’una delle quali posta a sostegno del rigetto del motivo riguardante l’art. 1394 c.c. formante esclusivamente oggetto specifico delle due censure formulate con il ricorso per
cassazione e l’altra involgente l’art. 1395 c.c.), ma in modo diretto, esaustivo e consapevole solo sul motivo di gravame relativo alla confutazione della sentenza di primo grado, con la quale era stata rilevata la sussistenza di tutti i presupposti previsti dall’art. 1394 c.c., tale da condurre alla declaratoria di annullamento dell’impugnato contratto di vendita, nel mentre, dalla stessa sentenza di appello, emerge una chiara affermazione dell’assorbimento di ogni altra questione, con particolare riguardo a quella relativa alla ricorrenza dei presupposti per la violazione dell’art. 1395 c.c., alla quale viene fatto un semplice riferimento del tutto generico e meramente incidentale, senza, tuttavia, che la inerente considerazione possa ritenersi idonea a configurare una ulteriore ragione fondante della decisione di secondo grado.
4. Ciò chiarito in via preliminare, osserva il collegio che il primo motivo non è fondato, alla stregua degli specifici e connessi accertamenti delle circostanze fattuali esposti (v. pagg. 6-8) nella sentenza impugnata (peraltro espressasi in senso pienamente adesivo al percorso logico-motivazionale adottato con la sentenza di primo grado), sul condivisibile presupposto, in punto di diritto, che -ai fini dell’annullamento del contratto – per la sussistenza del dedotto conflitto di interessi è richiesta la sua riconoscibilità da parte dell’altro contraente e non è, invece, imposta anche la necessità dell’arrecamento di un danno conseguente.
La Corte territoriale ha desunto la violazione dell’art. 1394 c.c. sulla scorta di una serie di circostanze univocamente indizianti (cfr. Cass. n. 15981/2007 e Cass. n. 271/2017) idonee a rappresentare un complessivo quadro fattuale conducente al raggiungimento di un idoneo supporto probatorio (non smentito da altre possibili emergenze contrapposte), consistito nell’aver accertato la situazione
di conflitto di interessi in cui aveva operato il NOME COGNOME stipulando, per conto della società di famiglia (la RAGIONE_SOCIALE, il contratto di vendita in favore della sua società, all’insaputa di tutti gli altri soci, senza che potessero assumere una rilevanza al riguardo aspetti attinenti all’entità del prezzo ed al suo mancato pagamento.
Come già rimarcato, per la configurazione della violazione del citato art. 1394 c.c. non si prospetta come necessario (argomento sul quale anche insiste il ricorrente) l’accertamento ulteriore anche della produzione di conseguenze dannose, le quali, peraltro, possono consistere, oltre che in una diminuzione patrimoniale, in qualsiasi lesione subìta dal soggetto passivo: a tal proposito è indiscutibile che la società RAGIONE_SOCIALE e con essa i suoi soci (titolari dell’80% del capitale) erano stati lesi, nel loro diritto di determinare, in quanto maggioranza, le scelte societarie, dalla contraria volontà del socio NOME COGNOME, titolare solo del 20% del capitale sociale.
In merito la giurisprudenza di questa Corte è consolidata nel ritenere che il conflitto di interessi tra rappresentante e rappresentato che, se conosciuto o conoscibile dal terzo, rende annullabile il contratto concluso dal rappresentante, ai sensi dell’art. 1394 c.c. (applicabile anche ai casi di rappresentanza organica di una persona giuridica), ricorre allorquando il primo sia portatore di interessi incompatibili con quelli del secondo, cosicché la salvaguardia dei detti interessi gli impedisce di tutelare adeguatamente l’interesse del “dominus”, con la conseguenza che non ha rilevanza, di per sé, che l’atto compiuto sia vantaggioso o svantaggioso per il rappresentato e che non è necessario provare di aver subito un concreto pregiudizio, perché il rappresentato possa domandare o eccepire l’annullabilità del negozio. A tal fine, i vincoli
di solidarietà e la comunanza d’interessi fra rappresentante e terzo sono indizi che consentono al giudice del merito di ritenere, secondo l’ id quod plerumque accidit ed in concorso con altri elementi (come l’inesistenza di qualsiasi interesse al contratto ovvero la sussistenza di un pregiudizio non correlato al alcun vantaggio), sia il proposito del rappresentante di favorire il terzo, sia la conoscenza effettiva o quanto meno la conoscibilità di tale situazione da parte del terzo.
5. Il secondo motivo è, invece, inammissibile, in applicazione del principio (ricavabile dall’art. 348 -ter, ultimo comma, c.p.c.) della c.d. ‘doppia conforme’, essendo stata basata la motivazione della sentenza di appello sullo stesso percorso logico-argomentativogiuridico della decisione di primo grado, nonché sulle medesime circostanze fattuali (non avendo la ricorrente addotto elementi in contrario) e, in ogni caso, potendosi ritenere che sia stato, tutt’al più, prospettato un vizio di motivazione insufficiente (non potendo la stessa affatto considerarsi omessa, risultando anzi più che congrua ed adeguata), come tale non più deducibile in sede di legittimità (a seguito della novellazione del disposto di cui al n. 5) dell’art. 360 c.p.c.), in consonanza con l’uniforme giurisprudenza di questa Corte (v., tra le tante, a partire da Cass. SU nn. 8053 e 8054 del 2014, Cass. n. 23940/2017 e, da ultimo, Cass. n. 7090/2022).
6. In definitiva, alla stregua delle argomentazioni complessivamente svolte, il ricorso va respinto, con conseguente condanna dell a soccombente ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che si liquidano come in dispositivo (tenuto conto delle attività compiute nell’interesse della controricorrente e del valore della causa).
Infine, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali
per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi euro 11.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre contributo forfettario, iva e cpa nella misura e sulle voci come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile