Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 2825 Anno 2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 527/2021 R.G. proposto da:
COGNOME e NOME COGNOME, rappresentati e difesi dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME ed elettivamente domiciliati presso lo studio dei medesimi in ROMA INDIRIZZO
pec:
-ricorrenti-
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME ed elettivamente domiciliata presso lo studio della medesima, in ROMA INDIRIZZO
pec:
Civile Ord. Sez. 3 Num. 2825 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 05/02/2025
-controricorrente-
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del curatore fallimentare, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in ROMA INDIRIZZO, pec:
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di ROMA n. 3003/2020 depositata il 22/06/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10/10/2024 dalla Consigliera NOME COGNOME.
Rilevato che:
Con ricorso ex art. 447 bis c.p.c. la società RAGIONE_SOCIALE, poi RAGIONE_SOCIALE, quale proprietaria di un immobile sito in Pomezia, chiese al Tribunale di Velletri di accertare l’inesistenza o la nullità di un contratto di locazione sull’immobile – stipulato in data 25/7/2006 da NOME COGNOME quale legale rappresentante della società RAGIONE_SOCIALE con il proprio padre NOME COGNOME quale conduttore – a causa dell’assenza di poteri di rappresentanza ex art. 1398 c.c.; in alternativa di dichiarare l’annullamento del contratto per conflitto di interessi ai sensi dell’art. 1394 c.c., e per l’effetto condannare gli occupanti abusivi NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME – moglie e figli di NOME COGNOME – all’immediato rilascio dell’immobile; in via concorrente di condannare gli stessi nonché NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME tutti quali eredi di NOME COGNOME, al risarcimento dei danni connessi alla mancata stipula di un valido contratto di locazione.
Gli occupanti si costituirono in giudizio ed eccepirono il difetto di legittimazione passiva di NOME COGNOME chiedendo nel merito il rigetto delle domande in quanto infondate in fatto e in diritto. Restarono contumaci gli eredi non occupanti NOME, NOME ed NOME COGNOME
Il Tribunale di Velletri accolse la domanda ex art. 1394 c.c., annullando il contratto per conflitto di interessi, ordinò il rilascio dell’immobile e condannò gli eredi di NOME COGNOME in solido tra loro, al pagamento in favore della società ricorrente dell’importo mensile di € 858,61, a titolo di canoni dal luglio 2006 fino all’effettivo rilascio, detratto quanto già corrisposto in virtù del contratto annullato, oltre ad interessi da corrispondersi sulla somma rivalutata anno per anno e maggiorata degli interessi progressivamente maturati.
NOME COGNOME e NOME COGNOME proposero appello prospettando, per quanto ancora qui rileva, l’omessa pronuncia sull’eccepito difetto di legittimazione passiva di NOME COGNOME, non avendo quest’ultimo mai dimorato nell’immobile, la violazione e falsa applicazione dell’art. 1394 c.c., l’omessa pronuncia sul difetto di legittimazione passiva dello stesso COGNOME in merito ai pregiudizi intervenuti successivamente alla morte del padre COGNOME e la violazione e falsa applicazione dell’art. 6 l. n. 392 del 1978. Si costituì in giudizio la società RAGIONE_SOCIALE e spiegò intervento volontario la società RAGIONE_SOCIALE quale nuova proprietaria dell’immobile.
La Corte d’Appello di Roma, con sentenza n.3003 del 2020, ha rigettato il gravame, condannando gli appellanti alle spese in favore dell’appellata e dell’interveniente.
Avverso la sentenza NOME COGNOME e NOME COGNOME propongono ricorso per cassazione sulla base di due motivi.
Resistono con distinti controricorsi la società RAGIONE_SOCIALE e il Fallimento della società RAGIONE_SOCIALE
Vi è memoria della resistente NOME.
Considerato che:
Il Fallimento solleva un’eccezione di improcedibilità del ricorso perché la notifica è stata fatta alla società in bonis dopo l’avvenuta dichiarazione di fallimento. Posto che si tratta di notifica nulla e non inesistente l’eccezione risulta priva di pregio, dato che il Fallimento l’ha sanata, costituendosi nel presente giudizio. Se pure si volesse sostenere che si trattasse di notifica
inesistente (ma lo si osserva per aburdum , dati i noti principi di cui a Cass., Sez. Un., n. 14916 del 2016), assumerebbe rilievo che l’essere stato notificato il ricorso all’altra società, la RAGIONE_SOCIALE, intervenuta nel processo quale successore a titolo particolare, ricorrendo una situazione di litisconsorzio necessario processuale, stante la non estromissione della società RAGIONE_SOCIALE dal giudizio, avrebbe solo comportato l’ordine di notificazione alla fallita.
Con il primo motivo di ricorso – Violazione e falsa applicazione dell’art. 1146 c.c. Violazione e falsa applicazione dell’art. 6 l. n. 392/78, violazione degli artt. 115, 116 e 416 c.p.c. degli artt. 2727 e 2729 c.c. in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c.- i ricorrenti lamentano che la corte del merito, nel riconoscere la legittimazione passiva di NOME COGNOME nonostante egli non fosse succeduto nel contratto di locazione perché non convivente, ha violato l’art. 6 della legge n. 392 del 1978 secondo cui, in caso di morte del conduttore, gli succedono il coniuge, gli eredi ed i parenti abitualmente conviventi nonché il convivente more uxorio. Quindi soltanto la moglie e la figlia conviventi con il conduttore originario dovevano ritenersi subentrate ex lege nel contratto ma non anche NOME COGNOME che non aveva mai dimorato nell’appartamento. Quindi la corte di merito avrebbe errato nel ritenere applicabile alla fattispecie l’art. 1146 co. 1 c.c. con riferimento a chi detentore non poteva ritenersi in ragione dell’assenza del rapporto di convivenza.
Il motivo è inammissibile, in quanto impugna un breve periodo della motivazione della sentenza, non solo riportandolo con un ampio omissis , ma anche attribuendo ad esso un significato che non ha, cioè quello di avere violato l’art. 6 della l. n. 392 del 1978. Il presupposto di tale asserita violazione è quello di avere riconosciuto la legittimazione passiva del NOME COGNOME nonostante che egli non fosse succeduto nel rapporto locativo perché non convivente. Senonché, il ricorso, assumendo come oggetto di critica le ultime tre righe della quartultima pagina della sentenza, fra l’altro con l’ omissis , ignora completamente l’ampia motivazione pregressa enunciata dalla corte nella stessa pagina per giustificare l’affermazione della legittimazione, sicché il motivo è inidoneo a svolgere la funzione propria del motivo (in termini vedi Cass. n. 359 del 2005, il cui consolidato principio di diritto è confermato – in
motivazione espressa sebbene non massimata sul punto – dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 7074 del 2017 e da ultimo da Cass. n. 1341 del 2024),
Tanto è dirimente, non senza doversi considerare che fondatamente le resistenti deducono in iure che la stessa evocazione della disciplina dell’art. 6 citato, una volta acclarata la nullità del contratto locativo per il conflitto di interessi, risulta un fuor d’opera.
A tale notazione, rileva il Collegio, se ne deve aggiungere e si sarebbe dovuta aggiungere un’altra: NOME COGNOME comunque era litisconsorte necessario, atteso che l’azione, volta a far dichiarare l’annullamento del contratto concluso dal rappresentante in conflitto di interesse con il rappresentato, deve necessariamente coinvolgerlo (per riferimenti Cass. n. 652 del 1989).
Con il secondo motivo di ricorso- violazione e falsa applicazione dell’art. 1394 c.c. con riferimento all’art. 360 n. 5 c.p.c. per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti- i ricorrenti lamentano che, erroneamente, la corte abbia ritenuto sussistente il conflitto di interessi dell’amministratore con la società, nonostante il fatto decisivo costituito dall’avvenuta stipulazione del contratto di locazione tra due diversi e distinti soggetti, la RAGIONE_SOCIALE Immobiliare e NOME COGNOME e dell’assenza di interessi personali inconciliabili tra rappresentante e rappresentato.
Il motivo, in disparte la deduzione della violazione e falsa applicazione di una norma di diritto alla stregua del n. 5 dell’art. 360, anziché del n. 3, nonostante esso consista nella prospettazione di un error iuris, non basa la censura sulla vicenda come valutata nello scrutinio del quinto motivo di appello. La sentenza, infatti, in relazione al quinto motivo di appello con cui si censurava la pronuncia di primo grado per avere il Tribunale ravvisato la sussistenza del conflitto di interessi nonostante il collegamento funzionale tra la compravendita del bene e il successivo contratto di locazione e, quindi, nonostante l’assenza di qualsivoglia pregiudizio in capo alla società RAGIONE_SOCIALE ha ritenuto che il Tribunale di Velletri non avesse accertato che i fondi per l’acquisto fossero stati messi a disposizione da NOME COGNOME ma si è limitato a rilevare che tale circostanza era stata allegata dalle parti resistenti,
circostanza peraltro priva di dimostrazione, non potendo attribuirsi valore probatorio ai documenti prodotti dagli appellanti costituitisi tardivamente nel giudizio di primo grado ed incorsi nella preclusione dell’art. 416 c.p.c., non potendo quindi il giudice sopperire a detto effetto preclusivo con il proprio potere istruttorio ai sensi degli artt. 421 e 437 c.p.c. Invece, il motivo addebita alla sentenza di non aver considerato che il negozio giuridico non coinvolgeva la persona fisica di NOME COGNOME ma due diversi e distinti soggetti e che il COGNOME non aveva tratto alcun vantaggio personale dalla stipulazione del contratto di locazione. E’ evidente che si adduce così che il quinto motivo fosse imperniato su questi pretesi fatti.
Ma, in tal modo si contraddice il contenuto del motivo come individuato dalla sentenza e si omette di fornire l’indicazione specifica del suo preteso diverso tenore. Ne segue che ciò che si prospetta assume carattere di novità e, dunque, integra una censura inammissibile.
Quanto, poi, al vizio ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c., i pretesi fatti di cui si assume l’omessa considerazione risultano piuttosto delle valutazioni, e non integrano, come dovrebbero, fatti storici nel senso indicato dalle S.U. nelle sentenze nn. 8053 e 8054 del 2014.
Conclusivamente il ricorso va dichiarato inammissibile, ed i ricorrenti vanno condannati al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo.
Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di una somma a titolo di contributo unificato pari a quella versata per il ricorso, se dovuta.
P.Q.M.
La Corte dichiara il ricorso inammissibile.
Condanna i ricorrenti al pagamento, in favore di ciascuna parte controricorrente, delle spese del giudizio di cassazione che liquida, in favore della società RAGIONE_SOCIALE, nell’importo di € 4000 (oltre € 200 per esborsi) più accessori e spese generali al 15%, ed in favore del Fallimento della società
RAGIONE_SOCIALE nell’importo di € 2.500, (oltre € 200 per esborsi), più accessori e spese generali al 15%.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile del 10