Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 2341 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 2341 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 24/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 20021/2020 R.G. proposto da:
NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrente-
avverso il DECRETO del TRIBUNALE di IVREA n. 4696/2017 depositato il 27/06/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17/01/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
Fatti di causa
Il tribunale di Ivrea ha respinto l’opposizione di NOME COGNOME allo stato passivo del fallimento di RAGIONE_SOCIALE in liquidazione.
L ‘istante era stato escluso con la motivazione che il compenso richiesto per l’attività svolta quale amministratore (prima) e liquidatore (poi) della società fallita, da un lato era stato determinato in conflitto di interessi, egli essendo stato il legale rappresentante della fallita e altresì il legale rappresentante della società RAGIONE_SOCIALE, socio unico della fallita stessa, e dall’altro era comunque eccessivo e non commisurato alle prestazioni rese e alla consistenza della società, oltre che fissato per una carica di liquidatore di durata indeterminata.
A conferma del primo rilievo il tribunale ha osservato che, in effetti, l’opponente era risultato esser (a) socio di rilevanza al 50 % del capitale (di cui il 25% direttamente detenuto e l’altro 25 % detenuto indirettamente, tramite la RAGIONE_SOCIALE) e amministratore con poteri di rappresentanza di RAGIONE_SOCIALE; (b) socio di maggioranza (prima di cedere tutte le sue quote a RAGIONE_SOCIALE) e amministratore unico di RAGIONE_SOCIALE, già RAGIONE_SOCIALE; sicché in tal guisa egli aveva scelto, sostanzialmente, l’organo di amministrazione della RAGIONE_SOCIALE e il compenso di questo, e aveva affidato a sé stesso la gestione della RAGIONE_SOCIALE fissando a propria discrezione il compenso della carica.
Inoltre, COGNOME aveva preso parte, quale unico partecipante sia in qualità di legale rappresentate della fallita sia in qualità di legale rappresentante del socio unico della stessa, all’ assemblea della società che il 24-7-2014 lo aveva confermato quale amministratore unico fino al 31-12-2016, con emolumento di 350.000,00 EUR annui lordi.
Il tribunale ne ha tratto che l ‘affidamento dell’incarico gestorio all’opponente era avvenuto in palese conflitto di interessi, avendo il rappresentante legale della società perseguito interessi alieni (personali o di terzi) inconciliabili con quelli dell’ente rappresentato , ed essendo stato il compenso deliberato col suo voto determinante in quanto unico partecipante all’assemblea.
Dopodiché il tribunale ha pure rilevato l’eccessività del compenso, siccome sproporzionato rispetto alla dimensione economica della società come indicata anche nel ricorso in opposizione, e dell’impegno gestorio richiesto all’ amministratore. Invero il giro di affari della fallita era risultato assai modesto e il compenso di 350.000,00 EUR lordi sarebbe stato praticamente di poco inferiore al capitale sociale, con inevitabile ingiustificato detrimento per la società.
Ancora ha ritenuto che la domanda non fosse stata corredata da un’adeguata prova dell’attività svolta, dal momento che le produzioni documentali per la maggior parte erano di provenienza unilaterale dall’opponente stesso.
Infine, ha osservato che le prestazioni svolte erano state connotate da inadempimenti specificamente eccepiti unitamente a condotte di mala gestio , a fronte dei quali inadempimenti COGNOME aveva formulato solo generiche contestazioni senza fornire invece la prova di una condotta adempiente. Tra le condotte rilevanti era in particolare emerso come fatto incontestabile che, nonostante le emergenze dei bilanci, l’attività imprenditoriale era proseguita in spregio all’integrale perdita del capitale sociale, con conseguente aggravamento del dissesto e omessa assunzione dei necessari provvedimenti da parte degli organi sociali.
COGNOME ha proposto ricorso per cassazione in cinque motivi.
Il Fallimento ha replicato con controricorso.
Sono state depositate memorie.
Ragioni della decisione
I. -Col primo motivo è dedotta la violazione o falsa applicazione degli artt. 50-bis, 276 e 158 cod. proc. civ. perché il giudizio di opposizione al passivo
richiede la decisione collegiale, mentre nel caso concreto nessuna udienza collegiale si sarebbe mai tenuta. Pur volendosi considerare che all’istruzione era stato designato un giudice (AVV_NOTAIO), altrettanto sarebbe stato da considerare che il giudice designato aveva poi fissato l’udienza di discussione sempre dinanzi a sé stessa e non dinanzi al collegio. Per cui i n definitiva l’unico giudice che aveva assistito alla discussione era stato il relatore designato; e peraltro la discussione era altresì avvenuta all’udienza del 24 -1-2019, quindi un anno e mezzo prima della decisione adottata con decreto del 27-6-2020.
Col secondo mezzo è dedotta la violazione o falsa applicazione degli artt. 99 legge fall. e 24 cost. perché in sede di costituzione nel giudizio di opposizione la curatela si era difesa introducendo un corposo ampliamento del thema decidendum e del thema probandum . Specificamente essa per la prima volta aveva dedotto l a serie di doglianze all’attività svolta dal ricorrente COGNOME, suscettibili di costituire base di un’ eventuale azione di responsabilità, così impedendogli l’esercizio del diritto di difesa mediante la prova della legittimità della propria condotta e del l’esatto adempimento del mandato. Invero a tal fine COGNOME aveva chiesto al tribunale un termine per il deposito di note e documenti, termine che tuttavia non era stato concesso.
II. – I primi due motivi, unitariamente esaminabili, sono infondati.
L’art. 99 legge fall. , nel testo rilevante in causa, stabilisce che all’esito del ricorso in opposizione il presidente, nei cinque giorni successivi al deposito, ‘ designa il relatore, al quale può delegare la trattazione del procedimento ‘ , e simultaneamente fissa l’udienza di comparizione entro sessanta giorni dal deposito del ricorso.
È ovvio che, in questo specifico caso, si tratta dell’udienza di comparizione dinanzi al relatore designato.
Dipoi il collegio provvede in via definitiva sull’opposizione con decreto motivato entro sessanta giorni dall’udienza o dalla scadenza del termine eventualmente assegnato per il deposito di memorie.
III. – La circostanza, enfatizzata a conclusione del primo motivo, che il decreto sia stato adottato dal collegio in ritardo (anche notevole), rispetto alla
data dell’udienza, non integra una ragione di nullità, ma semplicemente espone all’eventuale responsabilità disciplinare in presenza dei presupposti di legge.
IV. – Come questa Corte ha già avuto modo di precisare (v. Cass. Sez. 1 n. 12116-16), la norma, nella formulazione derivante dalle modifiche di cui al d.lgs. n. 169 del 2007, consente la trattazione dei procedimenti di impugnazione di cui all’art. 98 legge fall., ivi compreso quello di opposizione allo stato passivo, tanto dinanzi al collegio quanto dinanzi a uno dei suoi componenti, delegato dal presidente. E ove si sia optato (come nel caso di specie) per questa seconda modalità, l’investitura del collegio per la decisione è possibile anche in via breve da parte del giudice designato, in coerenza con la deformalizzazione tipica del nuovo rito speciale, che è ispirata a esigenze di celerità, e anche senza la concessione dei termini previsti dall’art. 99, undicesimo comma, legge fall., giacché codesta è puramente eventuale e facoltativa.
V. – Occorre poi tener presente che la trattazione del procedimento di cui all’art. 99 legge fall. non è disciplinata dalle norme del codice di procedura civile, che riguardano il rito ordinario.
Quelle norme, cioè, non sono applicabili neppure per ragioni logicosistematiche allo speciale rito delle impugnazioni dello stato passivo fallimentare, poiché questo costituisce un procedimento a sé, speciale appunto e totalmente autosufficiente.
All’interno del modello procedimentale disegnato dall’art. 99 legge fall. non trova alcun aggancio testuale la pretesa del ricorrente di vedersi concedere un termine a difesa in caso di costituzione in giudizio avversaria con proposizione di eccezioni.
La norma stabilisce che, purché tempestiva, sia proprio la costituzione il momento ultimo per la proposizione di eccezioni non rilevabili d’ufficio. E non è neppure dedotto che la costituzione della curatela sia avvenuta, nel caso specifico, in violazione del termine di legge (art. 99, sesto comma, legge fall.).
VI. -Col terzo motivo il ricorrente denunzia la violazione o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. e l’ omesso esame di fatti decisivi.
Lamenta:
che quanto ai profili di responsabilità, i fatti dedotti dalla curatela non siano stati in effetti esaminati e che nella valutazione delle prove il tribunale non abbia tenuto conto del quadro probatorio effettivamente esistente, essendosi la curatela limitata ad asserire una serie di fatti senza provare alcunché;
che la situazione di conflitto di interessi sia stata ritenuta in mera adesione agli assunti della curatela, senza considerare che invece dai documenti allegati e dal ricorso in opposizione era emerso il ruolo di COGNOME quale mero esecutore delle volontà di RAGIONE_SOCIALE, soggetto terzo e dotato di propria autonomia patrimoniale; così come era stato dimostrato -egli dice – che RAGIONE_SOCIALE, socio unico di RAGIONE_SOCIALE, era dotata di un proprio c.d.a. composto da quattro componenti, il quale c.d.a. aveva deliberato all’unanimità (compreso dunque il medesimo COGNOME) di attivare le iniziative per la liquidazione della RAGIONE_SOCIALE.
VII. – Col quarto motivo il ricorrente denunzia la violazione o falsa applicazione degli artt. 1395, 2373, 2377 cod. civ. a proposito della ritenuta esistenza di una effettiva fattispecie di conflitto di interessi, perché è annullabile il contratto concluso dal rappresentante con sé stesso, in proprio o quale legale rappresentante di un’altra parte, salvo che non vi sia stata specifica autorizzazione, ovvero che il contenuto del contratto sia stato predeterminato in modo da escludere il conflitto.
Questa cosa si sarebbe dovuta evincere, a suo dire, dal verbale del c.d.a. di RAGIONE_SOCIALE prima richiamato, giacché i quattro componenti (tra cui lo stesso COGNOME COGNOME avevano deliberato all’unanimità di attivare le iniziative per la messa in liquidazione della RAGIONE_SOCIALE delegando a tal fine giustappunto COGNOMECOGNOME COGNOME durata massima di 36 mesi e con compenso annuo di 120.000,00 EUR in sostituzione del precedente compenso d ell’amministratore unico (350.000,00 EUR).
VIII. Col quinto motivo infine sono dedotti l’o messo esame di fatto decisivo e la violazione o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., per avere il tribunale erroneamente ritenuto eccessivo il compenso per la carica amministrativa (prima) e per quella di liquidatore (poi), essendo stata di contro dimostrata la congruità del compenso sia in relazione all’impegnativa attività
prestata in favore della società, sia in relazione ai report di categoria da utilizzare quale parametro di raffronto in assenza di una tariffa ufficiale.
IX. -I motivi dal terzo al quinto possono essere esaminati unitariamente. Il quinto motivo è inammissibile e ciò si riflette sulla sorte degli altri.
X. – Sotto spoglie di censura in iure , il ricorrente muove una critica alla valutazione del tribunale in ordine al profilo di manifesta eccessività del compenso preteso.
Tale critica è però inammissibile in cassazione perché la valutazione suddetta è di pieno merito e non è sindacabile alla luce degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ.
Queste norme non possono essere evocate per dire che il giudice abbia male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova.
La ricostruzione in fatto del giudice del merito resta censurabile in cassazione solo mediante critica della motivazione, ma nei rigorosi limiti oggi declinati dall’ art. 360, n. 5, cod. proc. civ., vale a dire mediante specificazione di fatti storici decisivi che la motivazione avrebbe omesso di considerare (v. Cass. Sez. U n. 8053-14).
Nella prospettiva del vizio di motivazione il quinto motivo di ricorso è completamente carente: da un lato perché le circostanze indicate non risultano veicolate mediante riferimento al come, al quando e al dove le stesse fossero state puntualmente dedotte e documentalmente supportate ; dall’altro perché è ovvio che si tratta di circostanze irrilevanti a fronte di quanto invece affermato dal tribunale.
La decisione sulla eccessività del compenso è stata motivata col fatto di essere stato il compenso medesimo fissato in somma annua di poco inferiore al capitale sociale a fronte di carenze dimostrative dell’attivi tà in effetti svolta in beneficio della società.
La pretesa era stata quindi avanzata senza prove, dal momento che le produzioni documentali ad essa riferite si erano rivelate per la maggior parte di unilaterale provenienza dall’opponente stesso.
Tale essendo la ratio del decreto, è di solare evidenza che il ricorrente semplicemente pretende una revisione critica della suddetta valutazione, notoriamente inammissibile in cassazione.
XI. – Poiché quella appena detta è una ratio decidendi autonoma, perfettamente in grado di giustificare il diniego di ammissione allo stato passivo quanto al credito relativo ai compensi, diventano inammissibili -per difetto di interesse – i restanti motivi terzo e quarto (v. Cass. Sez. U n. 16602-05, Cass. Sez. U n. 10374-07).
XII. -Le spese seguono la soccombenza.
p.q.m.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese processuali, che liquida in 10.200,00 EUR. di cui 200,00 EUR per esborsi, oltre accessori e rimborso forfetario di spese generali nella massima percentuale di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello relativo al ricorso, se dovuto.
Deciso in Roma, nella camera di consiglio della prima sezione civile, addì