Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 5029 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 5029 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 26/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso 20360 – 2022 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in Fermo, presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME dal quale sono rappresentati e difesi, giusta procura in calce al ricorso, con indicazione de ll’ indirizzo pec;
– ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata presso l’avv. NOME COGNOME dal quale è rappresentata e difesa con l’avv. NOME COGNOME giusta procura in calce al controricorso, con indicazione degli indirizzi pec;
– controricorrente –
e contro
RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE, divisione RAGIONE_SOCIALE)RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore COGNOME
– intimati – avverso la sentenza n. 760/2022 della CORTE D’APPELLO di ANCONA, pubblicata il 14/6/2022; camera di consiglio
udita la relazione della causa svolta nella dell’8 /5/2024 dal consigliere NOME COGNOME
lette le memorie delle parti.
FATTI DI CAUSA
1. Nel 2013, RAGIONE_SOCIALE (oggi RAGIONE_SOCIALE di COGNOME NOME RAGIONE_SOCIALE) convenne in giudizio, dinnanzi al Tribunale di Fermo, C.M.V. di COGNOME NOME RAGIONE_SOCIALE Simon RAGIONE_SOCIALE (oggi RAGIONE_SOCIALE) esponendo che aveva acquistato dalla convenuta un impianto di verniciatura a polveri, che non erano stati rispettati i tempi di consegna, che il macchinario presentava sin da subito evidenti vizi e difetti a causa della negligenza e imperizia del personale addetto al montaggio e alla cattiva qualità dei materiali impiegati, che a causa di tali difetti l’impianto , ancor prima di entrare in funzione, aveva provocato ingenti danni alla pavimentazione del capannone ove era stato posizionato e che era entrato parzialmente in funzione soltanto alla data del 30/3/09, senza rispettare gli standard di produzione prospettati alla vendita.
Pertanto, poiché nonostante le innumerevoli denunce dei vizi e difetti del macchinario e le diffide al risarcimento dei danni, la convenuta non aveva mai provveduto ad effettuare le opere necessarie per il regolare funzionamento dell’impianto , lamentando danni per perdita di fatturato e costi accessori necessari per il ripristino della
pavimentazione del capannone, la società attrice chiese la condanna della convenuta RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE al pagamento in suo favore della somma di Euro 1.534.200,00, a titolo di risarcimento.
Costituendosi, per quel che qui ancora rileva, la CMV chiese di essere autorizzata a chiamare in causa la RAGIONE_SOCIALE, divisione RAGIONE_SOCIALE (oggi UnipolSAI RAGIONE_SOCIALEni s.p.a.RAGIONE_SOCIALE, al fine di essere manlevata nella denegata ipotesi di una sua accertata responsabilità; chiese, altresì, che fosse accertata l ‘intervenuta rinuncia da parte della società istante all’azione di garanzia o, in ogni caso, la prescrizione o la decadenza da ll’azione ; chiese, infine, in riconvenzionale, la condanna di RAGIONE_SOCIALE e, in solido, dei soci illimitatamente responsabili NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME che pure chiamò in causa, al pagamento in suo favore della complessiva somma di Euro 181.500,00 a titolo di residuo prezzo non corrisposto o alla maggiore o minor somma di giustizia, oltre rivalutazione ed interessi.
Si costituì pure la terza chiamata la RAGIONE_SOCIALE, divisione Aurora, chiedendo fosse accertata la non operatività della polizza; NOME COGNOME e NOME COGNOME rimasero contumaci.
Espletato l’accertamento tecnico chiesto dalla società attrice, con sentenza non definitiva n.881/2014, il Tribunale di Fermo rigettò le eccezioni preliminari; quindi, espletata consulenza tecnica e rigettate le altre istanze istruttorie, con sentenza n. 438/2018, accolse la domanda attrice e condannò la società convenuta al risarcimento del danno in misura di Euro 11.500,00 oltre interessi; rigettò la domanda di manleva e condannò la società convenuta al rimborso delle spese di lite nei confronti della società assicuratrice chiamata in causa; accolse, altresì, la domanda riconvenzionale e condannò la società attrice, in solido con i soci NOME COGNOME e NOME COGNOME al pagamento della
somma di Euro 181.500,00 oltre interessi in favore della società RAGIONE_SOCIALE a titolo di saldo prezzo del macchinario.
Con sentenza 760/022, la Corte d’appello di Ancona rigettò l’impugnazione della RAGIONE_SOCIALE e dei soci NOME COGNOME e NOME COGNOME
Per quel che qui ancora rileva, la Corte d’appello escluse la valenza probatoria della c.t.u per la prova del danno di cui era stato chiesto il risarcimento (la perdita di fatturato), escluse la valenza confessoria dell’avvenuto pagamento del prezzo della dichiarazione resa da RAGIONE_SOCIALE alla terza società di leasing RAGIONE_SOCIALE, in cui peraltro era dichiarata soltanto l ‘avvenuta corresponsione di un acconto e non dell’intero ; infine, ritenne comunque che la società attrice, acquirente, non avesse adempiuto al suo onere di provare il pagamento del prezzo, come preteso in riconvenzionale dalla venditrice, seppure affermò di condividere l’assunto, valorizzato nella sentenza parziale richiamata in appello, che in citazione, con la contestazione dei vizi del bene, fosse stata contestata anche l’obbligazione di pagamento.
Avverso questa sentenza hanno proposto ricorso per cassazione la RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME in proprio, affidato a tre motivi, illustrati da successiva memoria; RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso, pure depositando memoria.
RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME non hanno svolto difese.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, articolato in riferimento al n. 3 comma I dell’art. 360 cod. proc. civ., RAGIONE_SOCIALEn.RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME hanno lamentato la violazione e falsa applicazione dell’art. 2735 cod. civ., per avere la Corte d’appello affermato che la dichiarazione resa dalla CMV all ‘ impresa di leasing, estranea al processo, non possa essere considerata una confessione stragiudiziale ex art. 2735 cod. civ.; al
contrario, infatti, secondo il primo comma dell’articolo suindicato, la confessione stragiudiziale fatta a un terzo è comunque «liberamente apprezzata dal giudice», sicché, pur non avendo la stessa valenza della dichiarazione resa alla parte, non avrebbe potuto essere apprezzata alla stregua di un mero indizio, perché conserva la valenza oggettiva di prova, sulla quale il giudice può legittimamente fondare il proprio convincimento.
1.1. Il motivo è infondato.
In diritto, interpretando l’art. 2735 cod. civ., questa Corte ha chiarito che l’articolo, prevedendo che la confessione stragiudiziale fatta ad un terzo non ha valore di prova legale, come la confessione giudiziale o stragiudiziale fatta alla parte, e può, quindi, essere liberamente apprezzata dal giudice, ha inteso ricondurre la portata probatoria di questa dichiarazione, rispetto al diritto di cui si controverte e che necessita di accertamento, alla valutazione in fatto del Giudice di merito; di questa valutazione, in conseguenza, è esclusa la sindacabilità in sede di legittimità se a sorreggerla è stata resa una motivazione adeguata ( ex plurimis , Cass. Sez. L, n. 11898 del 18/06/2020).
In fatto, come riportato in controricorso, era stato convenuto che il prezzo della prima fornitura dell’impianto, commissionata da RAGIONE_SOCIALE a RAGIONE_SOCIALE, fosse coperto dal leasing, fatta eccezione per l’iniziale acconto di Euro 97.500 che l’utilizzatrice RAGIONE_SOCIALE avrebbe dovuto corrispondere alla fornitrice RAGIONE_SOCIALE; per difetto di liquidità sufficiente al pagamento di questo acconto in unica soluzione, RAGIONE_SOCIALE aveva convenuto con RAGIONE_SOCIALE il pagamento dilazionato in 6 rate di Euro 16.259,00, a mezzo ricevute bancarie poi rimaste tutte insolute; intanto, tuttavia, CMV, confidando nel pagamento dell’acconto, aveva rilasciato comunque a RAGIONE_SOCIALE la dichiarazione di ricevuta perché necessaria all’erogazione del leasing.
Era, poi, rimasto insoluto il pagamento della somma di Euro 84.000,00 come portata dalla fattura n.65/00, dovuta per l’ampliamento dell’impianto, consistente nell’allungamento del tunnel di lavaggio; il pagamento di questo ampliamento non era compreso nel leasing.
Nella specie, dunque, la Corte d’appello , richiamata la dettagliata motivazione di primo grado, ha rilevato che «la dichiarazione rilasciata dalla CMV alla RAGIONE_SOCIALE (la terza impresa di leasing, n.d.r.) – riferita comunque all’acconto di Euro 97.500,00 e non al pagamento della fornitura integrativa per Euro 84.000,00 -in quanto dichiarazione resa ad un terzo estraneo al processo, non può essere considerata una confessione stragiudiziale (ex art. 2735 cod. civ.) ed è stata condivisibilmente valutata di per sé insufficiente a supplire, da un lato, alla mancata contestazione, nell’ an e nel quantum , dell’importo dovuto e, d all’altro , alla ordinaria possibilità di provare documentalmente l’avvenuto pagamento, anche solo parziale. Quanto alle richieste istruttorie, richiamate genericamente, l’appellante non chiarisce in che termini le stesse consentirebbero di supplire alle evidenziate carenze probatorie».
È evidente, allora, che la Corte d’appello ha svolto una corretta e adeguata valutazione della insufficienza della valenza probatoria della dichiarazione resa da CMV al terzo LOCAT.
Con il secondo motivo, articolato in riferimento al n. 4 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ., la società ricorrente e i due soci hanno denunciato la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c. 2 n. 4 cod. proc. civ. , per avere la Corte d’appello reso una motivazione in sé contraddittoria: in particolare, avrebbe contraddittoriamente affermato di condividere « l’assunto, valorizzato nella sentenza parziale richiamata dagli appellanti, che la contestazione della validità della fornitura da parte degli attori implicava anche quella
della sussistenza della correlata obbligazione il cui adempimento era stato azionato in via riconvenzionale», e subito dopo che la dichiarazione rilasciata dalla CMV alla RAGIONE_SOCIALE fosse insufficiente a « supplire da un lato alla mancata contestazione, nell’ an e nel quantum , dell’importo dovuto e dall’altro alla ordinaria possibilità di provare documentalmente l’avvenuto pagamento, anche solo parziale ».
2.1. Il motivo è infondato. Nessuna contraddizione è ravvisabile nella motivazione della Corte d’appello, atteso che la selezione dei fatti non contestati, l’individuazione dell’onere probatorio e la valutazione delle prove raccolte costituiscono momenti del processo decisionale distinti e autonomi: in tal senso, l ‘avvenuta contestazione della debenza del pagamento era differente dalla contestazione del quantum del prezzo ancora dovuto (cioè l’acconto e l’importo della fattura relativa all’ampliamento) e non spostava certamente a carico del venditore – creditore l’onere di prova re il mancato adempimento, atteso che, per principio consolidato, in applicazione del più generale principio di necessaria vicinanza della prova, il creditore che agisce per il pagamento di un suo credito è tenuto unicamente a fornire la prova del rapporto o del titolo dal quale deriva il suo diritto e non anche a provare il mancato pagamento, che, come tale, integra un fatto estintivo e deve perciò essere necessariamente provato dal debitore che l’eccepisca (Cass. Sez. U, n. 13533 del 30/10/2001).
Con il terzo motivo, articolato in riferimento al n. 3 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ., la società ricorrente e i due soci hanno lamentato la violazione dell’art. 116 cod. proc. civ., in relazione agli artt. 1218 e 2697 cod. civ. , per avere la Corte d’appello ritenuto di poter escludere la valenza probatoria della c.t.u., nonostante il Giudice istruttore avesse esplicitamente chiesto al consulente, in primo grado, di quantificare i danni lamentati in citazione e in atti fosse stato versato un documento, denominato «stima dei costi di gestione annuali
dell’impianto di verniciatura di cui al Progetto N° 116/004/08 » in cui, a pagina 12, era indicato un «fatturato annuo stimato Euro 2.399.000,00» . La Corte d’appello, inoltre, non avrebbe considerato l’avvenuta formazione del giudicato sull’accertamento in fatto compiuto dal T ribunale fallimentare nel decreto di rigetto avverso l’istanza di fallimento presentata dalla stessa RAGIONE_SOCIALE nei confronti di RAGIONE_SOCIALE, in cui era stata considerata, invece, la valenza probatoria della dichiarazione di avvenuta ricezi one dell’acconto. Infine, la Corte non avrebbe neppure giustificato la evidente ed insanabile contraddittorietà esistente tra la proposta conciliativa formulata dal Giudice, in primo grado, ai sensi dell’art. 185 bis cod. proc. civ. e la sentenza successivamente pronunciata.
3.1. Il motivo è in parte inammissibile e in parte infondato.
La Corte d’appello ha richiamato e chiaramente condiviso la motivazione del primo Giudice sulla valenza probatoria della c.t.u e, in conseguenza, anche della relazione di stima (pag. 9 ultimo capoverso della sentenza), in riferimento al l’assenza di adeguati riscontri probatori che l’attrice avrebbe potuto e dovuto fornire, quali la documentazione fiscale e di riscontro di perdite di commesse, dell’effettività e durata del fermo degli impianti, de gli specifici vizi riscontrati nei prodotti realizzati: in conseguenza di questo difetto di prove, il consulente non aveva potuto accertare «inequivocamente l’eziologia dei danni lamentati – solo ‘verosimilmente’ ricollegabili al bene fornito dalla convenuta -e aveva evidenziato come molti difetti del macchinario fossero ricollegabili a comportamenti dell’attrice » (così in sentenza).
In diritto, la censura di violazione dell’art. 116 cod. proc. civ., come qui formulata, è ammissibile soltanto se sia allegato che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato secondo il suo «prudente apprezzamento», pretendendo di
attribuirle un altro e diverso valore o il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (ad esempio, valore di prova legale) oppure abbia dichiarato, sebbene la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento; ove si deduca, invece, l’esercizio non corretto del «prudente apprezzamento» della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, I comma, n. 5, cod. proc. civ., soltanto nei rigorosi limiti in cui ancora è consentito il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione (Sez. U, n. 20867 del 30/09/2020; Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 27847 del 12/10/2021).
Ciò posto, deve allora considerarsi che il principio dello iudex peritus peritorum comporta non soltanto che il giudice di merito, per la soluzione di questioni di natura tecnica o scientifica, non abbia alcun obbligo di nominare un consulente d’ufficio, potendo ricorrere alle conoscenze specialistiche acquisite direttamente attraverso studi o ricerche personali, ma anche che egli, esaminando direttamente la documentazione su cui si basa la relazione del consulente tecnico, possa disattenderne le argomentazioni, in quanto sorrette da motivazioni contraddittorie o insufficienti o sostituirle con proprie diverse, tratte da personali cognizioni tecniche; l’unico onere è quello di un’adeguata motivazione, esente da vizi logici ed errori di diritto ( ex plurimis , Cass. Sez. 2, n. 30733 del 21/12/2017; cfr. Sez. 3, n. 36638 del 25/11/2021).
In tal senso, allora, la censura non è ammissibile perché diretta in effetti a censurare soltanto l’esercizio del prudente apprezzamento e perciò , la motivazione sull’utilizzo delle risultanze della c.t.u.: la censura della motivazione, tuttavia, è preclusa nella fattispecie dalla pronuncia doppiamente conforme in merito, ex art. 348 ter IV comma cod. proc. civ., applicabile alla fattispecie perché l’appello è stato proposto nel 2018.
3.2. Infondato è il profilo di censura fondato sulla valenza di giudicato degli accertamenti in fatto svolti dal Tribunale di Fermo, nel decreto di rigetto dell’istanza di fallimento di RAGIONE_SOCIALE in merito alla dichiarazione rilasciata da RAGIONE_SOCIALE a RAGIONE_SOCIALE
Per principio consolidato, tanto il decreto reiettivo dell’istanza di fallimento, quanto quello che conferma il rigetto non sono idonei al giudicato, trattandosi di provvedimenti non definitivi e privi di natura decisoria su diritti soggettivi; in conseguenza, non rileva che le domande proposte in un diverso procedimento ripercorrano, in fatto, la questione già dibattuta nella precedente sede fallimentare perché il rigetto pronunciato in quella sede non ha statuito su un diritto sostanziale (Cass. Sez. 1, n. 15806 del 07/06/2021, in ordine ai rapporti tra il rigetto di una domanda di estensione di fallimento ex art. 147 l. fall. a un amministratore di una s.a.s. e la proponibilità della successiva azione risarcitoria nei confronti dello stesso soggetto; vi sono riportati numerosi precedenti conformi).
3.3. Infondata è, ugualmente, la censura fondata sulla violazione dell’ art. 185 bis cod. proc. civ.. Nella formulazione applicabile alla fattispecie ratione temporis la proposta conciliativa ex art. 185 bis cod. proc. civ. poteva essere formulata dal Giudice alla prima udienza, ovvero sino a quando fosse esaurita l’istruzione; in tal senso, i ricorrenti si sono limitati a riportare che il Giudice di primo grado avrebbe formulato la proposta a ll’esito della c.t.u. «sostanzialmente» prospettando «il rigetto in toto» tanto della domanda principale quanto di quella riconvenzionale, laddove avrebbe poi deciso la causa in modo «diametralmente opposto», «accogliendo in toto la sola domanda riconvenzionale».
In disparte, allora, ogni considerazione sul fatto che anche la domanda principale è stata accolta, sia pure per una somma limitata, sicché la narrazione dei fatti di causa a base della censura non risulta
precisa e, soprattutto, difetta di autosufficienza perché il contenuto della proposta formulata dal giudice non risulta dalla sentenza di merito, deve rimarcarsi, in diritto, che la proposta conciliativa ha lo specifico scopo di consentire alle parti di raggiungere un risultato concreto, soddisfacente, conveniente e vantaggioso per entrambe, in termini più brevi e, soprattutto, più economici; per questa sua funzione specifica, la proposta implica, dunque, reciproche concessioni e non un vincitore e un soccombente come nel provvedimento decisionale (almeno ordinariamente).
Come tale, dunque, l’art. 185 bis cod. proc. civ. non può precludere al giudice di rivedere, in sede di decisione, l’assetto degli interessi disegnato nella proposta, perché, da un canto, egli conserva la facoltà e il dovere di rivalutare il materiale istruttorio e le questioni portate alla sua attenzione fino all’ultimo momento utile e, d’altro canto, la parte conserva il diritto a vedersi integralmente riconosciuto, sul piano del diritto sostanziale, quanto ad essa sp ettante all’esito del giudizio (cfr. Cass. Sez. 3, n. 200 del l’ 11/01/2021, in motivazione; Corte Costituzionale n. 268 dell’11/12/ 2020).
Il ricorso è perciò respinto, con conseguente condanna in solido dei ricorrenti RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME in proprio al rimborso delle spese processuali in favore di RAGIONE_SOCIALE, liquidate in dispositivo in relazione al valore.
Non vi è luogo a statuizione sulle spese nei confronti di UnipolSAI RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME perché non hanno svolto difese.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME in proprio al pagamento, in favore di RAGIONE_SOCIALE, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 6.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge.
Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del d.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda