Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 30577 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 30577 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 27/11/2024
incensurabile », concetto peculiare e distinto rispetto a quanto afferente alla responsabilità penale in senso stretto e tale da richiedere un accertamento di tipo diverso e più generale;
ciò posto, la Corte territoriale riteneva che, sulla base di quanto desumibile dall’ordinanza applicativa della misura cautelare nei confronti del ricorrente e della sentenza di condanna in primo grado, pur non definitiva, si evincesse lo stabile inserimento del COGNOME, quale soggetto intraneo all’ufficio, postosi a disposizione RAGIONE_SOCIALE organizzatori in modo pronto e continuativo, nel sistema volto all’illecita definizione di pratiche amministrative ed al rilascio contra legem di permessi di soggiorno, aggiungendo che l’essersi in ipotesi
egli limitato ad eseguire ordini superiori fosse non decisivo, per il trattarsi semmai di ordini in contrasto con norme di legge;
la valutazione da operare agli specifici fini del giudizio -concludeva la Corte di merito -non poteva quindi che dare esito negativo per il ricorrente;
3.
Concetto COGNOME ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi, resistiti da controricorso del RAGIONE_SOCIALE;
è in atti memoria del ricorrente.
CONSIDERATO CHE
1.
il primo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione (art. 360 n. 3 c.p.c.) dell’art. 35, co. 6, del d. lgs. n. 165 del 2001, dell’art. 2, co. 2, del d. lgs. n. 160 del 2006 e dell’art. 26 della legge n. 53 del 1989 e muove dal rilievo secondo cui, per effetto della legge n. 732 del 1984, era stato eliminato il requisito della buona condotta per l’assunzione nel pubblico impiego e neppure il d. lgs. n. 165 del 2001, di attuale regolazione della materia, faceva alcun cenno alla presenza di condanne definitive quale ostacolo alla costituzione di un rapporto di pubblico impiego;
secondo la normativa vigente -assume il ricorrente che richiama anche Corte Costituzionale 27 luglio 2007, n. 329 – non possono accedere al pubblico impiego coloro che siano sottoposti a misure di prevenzione e sicurezza, o ai quali sia stata inflitta l’interdizione perpetua o temporanea dai pubblici uffici, per il tempo della stessa o coloro che siano stati destituiti per procedimento disciplinare o destituiti per insufficiente rendimento da un precedente impiego, fattispecie al cui interno la sua posizione non rientrava;
neppure veniva in rilievo il fatto che una condanna potesse essere posta a fondamento del diniego di assunzione, se prevista come
causa di licenziamento, perché comunque nel caso di specie non vi era alcuna sentenza penale definitiva;
il secondo motivo denuncia, ancora ex art. 360 n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 2 del d.p.r. n. 487 del 1984, norma che regola le esclusioni dai concorsi presso la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ed evidenza come, secondo tale disciplina, solo la perdita dell’elettorato attivo o la destituzione dall’impiego potevano comportare un tale effetto;
lo spirito della legge n. 732 del 1984, abrogativa del requisito della buona condotta, non consentirebbe di stabilire nel bando di concorso l’esclusione per condanna di uno dei delitti che a norma dell’art. 85 del d.p.r. n. 3 del 1957 ed anche Corte Costituzionale 14 ottobre 1988 n. 971, intervenuta rispetto a tale norma, aveva escluso qualsiasi automatismo espulsivo sulla base di una pregressa condanna penale, tutto dovendosi rimettere a concrete valutazioni di appropriatezza e gravità in sede disciplinare;
stante tale normativa con riferimento alle sentenze definitive di condanna, a maggior ragione doveva ritenersi l’avvenuta violazione di legge nel caso di specie, nel quale non vi erano pronunce passate in giudicato a carico del ricorrente;
il terzo motivo è rubricato come omesso esame di fatto decisivo (art. 360 n. 5 c.p.c.) e censura l’avere la Corte territoriale omesso del tutto di valutare l’atto di appello, pur depositato, proposto avverso la pronuncia di condanna penale di primo grado, la cui lettura smentiva l’affermazione secondo la quale il ricorrente non avrebbe mai confutato le accuse a lui rivolte, in realtà sempre ‘rigettate’ sia in fatto che in diritto;
il quarto motivo adduce infine la violazione e falsa applicazione dell’art. 653 c.p.p., dell’art. 111 Cost. e dell’art. 27 Cost. sul presupposto che solo la sentenza penale di condanna definitiva pronunciata a seguito di dibattimento, ai sensi dell’art. 653 c.p.p., potrebbe avere effetto di giudicato nel giudizio civile, mentre nel
caso di specie la Corte d’Appello aveva fondato la propria decisione su una sentenza non passata in giudicato, considerando il ricorrente colpevole prima del maturare delle condizioni previste per legge;
2.
i motivi possono essere esaminati congiuntamente e non possono trovare accoglimento;
2.1
intanto va osservato come essi, insistendo univocamente sull’assenza di una condanna definitiva, finiscano per non misurarsi realmente con quanto argomentato dalla Corte territoriale, ovverosia sul fatto che, rispetto alle posizioni di impiego pubblico perseguite dal ricorrente, la legislazione richiede un requisito di ‘condotta incensurabile’, che è cosa diversa dall’assenza di condanne penali e che, afferendo -come giustamente sottolinea la Corte di merito e si dirà anche di seguito – alle qualità morali e di condotta, comportano un accertamento più generale sulle modalità di comportamento dell’interessato nell’ambito della collettività;
2.2
in effetti, la ricostruzione normativa operata dalla Corte di merito è puntuale e completa;
non vi è dubbio che il requisito della c.d. ‘buona condotta’ per l’accesso all’impiego, di cui all’art. 2, n. 3, del d.p.r. n. 3 del 1957, sia stato eliminato dalla legge n. 732 del 1984;
attualmente in via generale operano i limiti previsti dall’art. 2, co. 3, del d.p.r. n. 487 del 1994 che contempla coloro che siano esclusi dall’elettorato attivo (in base all’art. 2 del d.P.R. 20 marzo 1967, n. 223, contenente «Approvazione del testo unico delle leggi per la disciplina dell’elettorato attivo e per la tenuta e la revisione delle liste elettorali»), coloro che sono sottoposti a misure di prevenzione e sicurezza e coloro ai quali è stata inflitta l’interdizione perpetua o temporanea -per il tempo della stessa -dai pubblici uffici, sempre
che sia intervenuto un provvedimento definitivo), coloro che siano stati destituiti (all’esito del procedimento disciplinare) o dispensati (per insufficiente rendimento) dall’impiego, cui ora, con le integrazioni apportate con il d.p.r. n. 82 del 2023, si aggiungono coloro che siano stati licenziati per motivi disciplinari ai sensi della vigente normativa di legge o contrattuale, ovvero siano stati dichiarati decaduti per aver conseguito la nomina o l’assunzione mediante la produzione di documenti falsi o viziati da nullità insanabile, nonché coloro che abbiano riportato condanne con sentenza passata in giudicato per reati che costituiscono un impedimento all’assunzione presso una pubblica amministrazione; in alcuni particolari settori operano limiti più stringenti, in ragione delle funzioni peculiari che sono coinvolte e quindi l’art. 35, co. 6, del d. lgs. n. 165 del 2001 prevede che « ai fini delle assunzioni di personale presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, il RAGIONE_SOCIALE e della cooperazione internazionale e le amministrazioni che esercitano competenze istituzionali in materia di difesa e sicurezza dello Stato, di polizia, di giustizia ordinaria, amministrativa, contabile e di difesa in giudizio dello Stato, si applica il disposto di cui all’articolo 26 della legge 1° febbraio 1989, n. 53, e successive modificazioni ed integrazioni »;
quest’ultima norma stabilisce che « per l’accesso ai ruoli del personale della polizia di Stato e delle altre forze di polizia indicate dall’articolo 16 della legge 1 aprile 1981, n. 121, è richiesto il possesso delle qualità morali e di condotta stabilite per l’ammissione ai concorsi della magistratura ordinaria »;
pronunciando sul regime anteriore ai requisiti quali stabiliti per l’accesso alla magistratura ordinaria dall’art. 2, co. 2, del d. lgs. n. 160 del 2006, è stato chiarito che l’accesso ai ruoli non può essere negato sulla base di generiche « informazioni raccolte da apparati amministrativi o da uffici di pubblica sicurezza » che confluiscano in un apprezzamento insindacabile del Ministro (Corte Costituzionale
31 marzo 1994, n. 108) e di elementi di valutazione estranei alla persona del candidato, in quanto riguardanti i suoi familiari (Corte Costituzionale con sentenza 13-28 luglio 2000, n. 391);
in questo quadro, l’art. 2, co. 2 lett. b -bis ) del d. lgs. n. 160 del 2006 ha previsto che per l’accesso alla magistratura ordinaria e quindi agli altri impieghi che richiedono analoghi requisiti in forza dei succitati richiami normativi, tra cui quello di cui si discute in causa – il candidato debba « essere di condotta incensurabile »;
come già si è accennato, quelle richieste per l’accesso alla magistratura ordinaria, sono « qualità morali e di condotta » (art. 26, cit.) che – come sottolinea molto puntualmente la Corte territoriale -esprimono, pur nell’ampiezza del concetto, un giudizio più generale sulle modalità di comportamento nell’ambito della collettività e costituiscono il parametro dirimente per l’accesso a impieghi come quello oggetto di causa anche per l’esigenza (Cons. Stato, sez. IV, 6 dicembre 2013, n. 5817; Cons, Stato, sez. II, 17 gennaio 2023, n. 605) di assicurare la tutela della credibilità e del prestigio che devono contraddistinguere le future funzioni;
tale giudizio prescinde dalle condanne penali e dunque non ha rilievo il richiamo contenuto nei motivi all’art. 653 c.p.p. ed al tema del giudicato penale di condanna, così come non ha rilievo il fatto -di cui alla memoria difensiva finale -che vi siano state assoluzioni e proscioglimenti per prescrizione nella successiva vicenda penale (come anche le successive vicende normative proprie della fattispecie criminosa), proprio perché quanto rileva non è la commissione di reati, ma la ‘incensurabilità’ della condotta, che come si è detto è concetto diverso e più ampio;
la valutazione di tale requisito, rispetto alla pregressa previsione sulla ‘buona condotta’, ha poi impostazione negativa, nel senso che esso non va positivamente dimostrato e purtuttavia l’incensurabilità può essere esclusa – con preclusione quindi rispetto all’assunzione – se emergano elementi contrari rispetto ad essa;
la Corte territoriale ha in proposito ritenuto, come si è detto nello storico di lite, che sulla base delle dichiarazioni rese da un compartecipe e delle risultanze delle conversazioni telefoniche, fosse emerso l’inserimento stabile del ricorrente in un sistema, pur ideato e condotto da altri, finalizzato a favorire pratiche contra legem in ambito di permessi di soggiorno per stranieri, cui il COGNOME partecipava come intraneo all’ufficio competente, ponendosi a disposizione RAGIONE_SOCIALE organizzatori in modo pronto e continuativo, senza che contasse il fatto che in tal modo egli eseguisse ordini superiori, in quanto la circostanza era da ritenere irrilevante in presenza di contrasto con norme di legge;
da ciò il riscontro di elementi di ‘censurabilità’ delle condotte e quindi l’inidoneità all’assunzione, che integra il parametro normativo dirimente rispetto al caso di specie;
2.4
il ragionamento è chiaro e puntuale nel rispetto dei (corretti) parametri normativi posti alla base di esso;
neanche può avere rilievo, in senso contrario, quanto dedotto con il terzo motivo, con riferimento all’essersi trascurato il contenuto dell’atto di appello avverso la sentenza penale di primo grado, dalla quale sono stati in parte tratti gli elementi di convincimento valorizzati dalla Corte d’Appello;
il motivo, infatti, assume come vizio l’omesso esame di un documento, mentre l’art. 360 n. 5 c.p.c. consente le censure sui profili motivazionali, ma solo se riguardanti l’omesso esame di fatti e non di prove;
il richiamo all’atto di appello in sede penale è del resto assolutamente generico, nulla essendo precisato, quanto appunto a fatti, di ciò che dovrebbe in ipotesi sorreggere una censura nei menzionati termini;
in definitiva, la valutazione di merito resiste pienamente alle censure mosse con il ricorso per cassazione;
3.
venendo all’ultimo motivo, con esso si assume l’omesso esame di un fatto decisivo (art. 360 n. 5 c.p.c.) e la violazione dell’art. 1336 c.c., oltre che del d.l. n. 101 del 2013, conv. con mod. in legge n. 125 del 2013 e della legge n. 205 del 2017;
il ricorrente riepiloga, sul piano normativo ed amministrativo, l’ iter assunzionale del personale precario presso il RAGIONE_SOCIALE e sostiene che egli avesse diritto ad essere assunto fin dal 2014, epoca di formazione della graduatoria conseguente al d.l. n. 101 del 2013, conv. con mod. in legge n. 125 del 2013, da cui poi si era attinto per le graduali immissioni in ruolo;
egli rappresenta poi che, se l’assunzione fosse stata tempestivamente attuata, il RAGIONE_SOCIALE avrebbe semmai dovuto licenziarlo previo procedimento disciplinare, con ogni garanzia di difesa e contraddittorio, mentre con il rifiuto tout court dell’assunzione tutto ciò non si era reso possibile, sicché i ritardi della P.A. avevano finito per gravare indebitamente su chi aveva diritto alla stabilizzazione in ruolo;
il ricorrente aggiunge infine che l’accaduto gli impedirebbe anche di usufruire del disposto dell’art. 102 -bis disp. att. c.p.p., secondo cui chi sia prosciolto o assolto dopo aver subito una misura cautelare cui fosse conseguito il licenziamento dal posto di lavoro ha diritto alla reintegrazione;
3.1
iniziando dall’ultimo profilo, va detto che esso sovrappone ancora il tema della responsabilità penale e quello dell’incensuratezza per « qualità morali e di condotta », che governa come si è detto la fattispecie;
l’assoluzione o proscioglimento non significano necessariamente la ricorrenza di quei requisiti di non censurabilità, che restano dunque
da valutare sul solo piano civilistico, come del resto è avvenuto sulla base RAGIONE_SOCIALE argomenti ampiamente sviluppati dalla Corte territoriale e che, come si è detto, resistono ai motivi di ricorso per cassazione;
3.2
è infondato anche quanto genericamente sostenuto dal ricorrente in merito a tempi e modi delle decisioni della RAGIONE_SOCIALE rispetto alla sua assunzione;
il d.l. n. 101 del 2013 prevedeva assunzioni in ragione delle risorse finanziarie e pertanto il positivo collocamento del ricorrente nella conseguente graduatoria non sanciva un diritto all’assunzione, né può imputarsi un ritardo per il solo fatto che l’assunzione non fosse avvenuta fin da subito, stante appunto la necessità di rispettare quei vincoli che non dipendono dal RAGIONE_SOCIALE, ma dagli stanziamenti finanziari esistenti e disponibili;
4.
non è infine condivisibile la tesi secondo cui il RAGIONE_SOCIALE avrebbe dovuto procedere dapprima all’assunzione e solo successivamente all’apertura del procedimento disciplinare o che comunque il momento in cui si doveva valutare il requisito di incensurabilità fosse quello dell’originaria immissione nella graduatoria;
4.1
l’esistenza di limiti di carattere soggettivo all’assunzione presso la P.A. è conseguenza insita nel sistema che -le citazioni risalgono a Corte Costituzionale 27 luglio 2007, n. 329 – si colloca « nell’area coperta da tre precetti costituzionali » in quanto il legislatore è chiamato ad individuare « i requisiti negativi necessari per l’ingresso nel rapporto di lavoro pubblico contemperando il diritto di tutti di accedere agli uffici pubblici (art. 51 Cost.) con l’esigenza di garantire, anche attraverso la scelta del personale, il buon andamento e l’imparzialità dell’organizzazione amministrativa (art.
97 Cost.) e il rispetto del dovere di lealtà dei dipendenti pubblici (art. 98 Cost.) »;
nel caso di specie, è evidente che le « qualità morali e di condotta » si riferiscono a funzioni che necessitano di una rigorosa osservanza dei parametri di fondo della vita consociata e che devono poter essere valutate ex ante rispetto all’assunzione, in quanto la RAGIONE_SOCIALE non può accogliere nei propri ruoli, per i principi fondanti che ispirano quei limiti e che si sono appena citati, personale inidoneo;
4.2
non può neanche esservi dubbio rispetto al fatto che il momento in cui si doveva valutare la ricorrenza del requisito dell’incensurabilità fosse quello in cui l’assunzione doveva avere luogo e non quello precedente in cui vi era stata l’ammissione alla procedura di stabilizzazione o l’immissione nelle graduatorie RAGIONE_SOCIALE idonei;
è ben vero che l’art. 2, u.c., del d.p.r. 487 del 1994 in tema di requisiti generali di accesso agli impieghi civili delle pubbliche amministrazioni, richiamato anche dall’art. 70, co. 13, del d. lgs. n. 165 del 2001, prevedeva ratione temporis che « i requisiti prescritti devono essere posseduti alla data di scadenza del termine stabilito nel bando di concorso per la presentazione della domanda di ammissione »;
per quanto non sia chiaro se la procedura qui in esame – pur se svolta, secondo le allegazioni, del ricorrente sulla base di un’originaria procedura concorsuale per l’accesso al lavoro a termine – presenti tratti propri e differenziali, si può ritenere che valgano i principi generali di cui al citato d.p.r.;
essi però, rispetto a requisiti destinati a poter mutare successivamente al tempo in cui sia stata aperta la procedura, vi sia stato ammesso il candidato o anche siano formate le graduatorie RAGIONE_SOCIALE idonei – come è rispetto al presupposto della non censurabilità -non possono in alcun modo essere intesi, proprio per le menzionate esigenze di valutazione ex ante , nel senso che
valga in via definitiva lo stato di fatto esistente in momenti antecedenti a quello dell’assunzione;
la norma citata va dunque certamente intesa, per evidenti ragioni di parità di trattamento, nel senso che in generale, i requisiti richiesti dalla procedura assunzionale devono essere posseduti quando essa sia indetta o nei termini da essa fissati;
purtuttavia, quando si tratti di requisiti soggettivi necessari al rapporto di pubblico impiego, che siano destinati a poter mutare tra quegli originari momenti e quando l’assunzione sia concretamente da attuare, è inevitabile che si proceda ad una nuova valutazione, di certo non impedita dalla formulazione della disposizione;
tanto è vero che le recenti modifiche della medesima previsione, apportate dal d.p.r. n. 82 del 2023, stabiliscono che i requisiti richiesti debbano essere « posseduti sia alla data di scadenza del termine stabilito nel bando di concorso sia all’atto della sottoscrizione del contratto di lavoro », con ciò esplicitando quanto già doveva essere ritenuto, in via interpretativa, per i requisiti destinati a mutare nel corso del tempo;
4.3
in definitiva, sia l’esistenza di condanne penali ostative all’accesso al pubblico impiego, sia -come nel caso di specie – i rigorosi requisiti riguardanti le qualità morali e di condotta previsti per le assunzioni presso le amministrazioni che esercitano competenze istituzionali in materia di difesa e sicurezza dello Stato e di polizia, afferendo a presupposti comportamentali e di onorabilità connessi alle funzioni cui si aspira, devono essere comunque posseduti, a prescindere dalla loro ricorrenza allorquando si svolgono le procedure a tal fine indette dalla RAGIONE_SOCIALE, nel momento in cui in concreto si procede alla successiva assunzione;
4.4
su tali premesse è evidente che ogni valutazione non poteva che essere svolta allorquando si venne a concretizzare -con l’ulteriore
scorrimento della graduatoria – la fattispecie utile per la concreta stabilizzazione dell’interessato, sicché la sentenza deve ritenersi non sia incorsa nelle denunciate violazioni o false applicazioni di legge;
5.
il ricorso va dunque integralmente disatteso, con regolazione secondo soccombenza delle spese del grado.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore della controparte delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in euro 5.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1bis , se dovuto.
Così deciso in Roma nell’adunanza camerale del 10.9.2024.