Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 33208 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 33208 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 18/12/2024
Oggetto: Mediazione e condizione sospensiva
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 08198/2021 R.G. proposto da
RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME ed elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultimo, in Montecorvino Rovella, INDIRIZZO
-ricorrente –
contro
COGNOME rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME presso il cui studio in Roma, INDIRIZZO è elettivamente domiciliato.
-controricorrente –
NOME
-intimata –
Avverso la sentenza n. 6309/2020, della Corte d’Appello di Roma, pubblicata il 11/12/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12 dicembre 2024 dalla dott.ssa NOME COGNOME
Rilevato che:
1. Con atto di citazione, COGNOME NOME convenne in giudizio, davanti al Tribunale di Tivoli, lo studio RAGIONE_SOCIALE e COGNOME NOME perché venisse accertata la mancata verificazione della condizione sospensiva inserita nella proposta di acquisto del 2/8/2008 del bene e, comunque, l’assenza di vincoli contrattuali tra lui e l’alienante COGNOME NOME in ordine alla vendita dell’immobile sito in Tivoli, INDIRIZZO e perché venisse emesso provvedimento di condanna della COGNOME alla restituzione della somma di € 2.500,00, versata a titolo di caparra confirmatoria e dello RAGIONE_SOCIALE alla restituzione della somma di € 8.900,00, versata a titolo di provvigione, nonché entrambi al risarcimento dei danni per la mancata conclusione del contratto definitivo nella misura di € 10.000,00 o quella ritenuta di giustizia.
Si costituì la sola società RAGIONE_SOCIALE che chiese il rigetto della domanda, mentre COGNOME NOME rimase contumace.
Con sentenza n. 1126/2013, il Tribunale di Tivoli rigettò le domande.
Il giudizio di gravame, instaurato da COGNOME NOME con atto di citazione notificato il 05/08/2014, nel quale si costituì la sola società RAGIONE_SOCIALE eccependo l’inammissibilità dell’appello per essere stato proposto oltre il termine semestrale dalla data di pubblicazione della sentenza e chiedendo il suo rigetto, si concluse, dopo essere stata disposta la trattazione scritta con ordinanza del 03/11/2020, ai sensi dell’art. 221 del d.l. n. 34/2020, conv., con modif., dalla l. n. 77/2020 e successive modif., in relazione alla proroga dello stato di emergenza epidemiologica per il contenimento della diffusione del virus SarsCov-2, con la sentenza n. 6309/20, con la quale la Corte d’Appello di Roma accolse l’appello e, in riforma della sentenza impugnata,
accertò il mancato verificarsi della condizione sospensiva dedotta in contratto, dichiarando privo di effetto il vincolo contrattuale insorto tra NOME COGNOME e NOME COGNOME condannò quest’ultima alla restituzione, in favore del primo, della somma di € 2.500,00 e la società RAGIONE_SOCIALE alla restituzione della somma di € 8.900,00, rigettò la domanda risarcitoria e compensò per un quarto le spese di lite tra le parti, condannando le appellate alla rifusione dei restanti tre quarti per entrambi i gradi del giudizio.
Contro la predetta sentenza, la RAGIONE_SOCIALE propone ricorso per cassazione sulla base di tre motivi. COGNOME NOME si difende con controricorso, mentre COGNOME NOME è rimasta intimata.
Considerato che :
1.1 Con il primo motivo, si lamenta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1353, 1757 e 1326 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., sull’avveramento della condizione sospensiva, perché i giudici di merito, dopo avere affermato che le parti avevano inteso condizionare sospensivamente il contratto preliminare – per la cui conclusione era stata prevista la dazione della somma di euro 2.500,00 a titolo di caparra confirmatoria all”esito positivo’ della verifica delle visure catastali, avevano ritenuto che l’autorizzazione concessa dall’acquirente all’agenzia di versare la caparra confirmatoria nonostante l’esito negativo di detta verifica, per essere risultate sussistenti due iscrizioni ipotecarie, non andasse considerata come rinuncia alla condizione sospensiva, come affermato dal Tribunale, non avendo l’acquirente inteso perfezionare il preliminare in presenza di una siffatta situazione. Ad avviso della ricorrente, i giudici, dopo avere espresso considerazioni condivisibili allorché avevano ritenuto che la condizione fosse stata apposta nell’interesse del solo acquirente e che questi avrebbe potuto
rinunciarvi in qualsiasi forma, anche per fatti concludenti, avevano errato nell’escludere che il predetto, autorizzando il pagamento della caparra confirmatoria e sottoscrivendo la dichiarazione attestante ‘l’esito positivo dei controlli ipocatastali effettuati’, avesse inteso rinunciare alla condizione o avesse dato atto della sua intervenuta realizzazione, tanto più che il contratto preliminare prevedeva l’obbligo, in capo all’alienante, di presentare il bene libero da pesi al momento del rogito notarile.
1.2 Il primo motivo è infondato.
In tema di ermeneutica contrattuale, infatti, l’accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto del negozio si traduce in una indagine di fatto, affidata al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità solo nell’ipotesi di violazione dei canoni legali d’interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 e seguenti cod. civ.. Ne consegue che il ricorrente per cassazione deve non solo fare esplicito riferimento alle regole legali d’interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamene violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai richiamati canoni legali (Cass., Sez. 1, 15/11/2017, n. 27136; Cass., Sez. 5, 16/01/2019, n. 873), non essendo, all’uopo, sufficiente una semplice critica della decisione sfavorevole, formulata attraverso la mera prospettazione di una diversa (e più favorevole) interpretazione rispetto a quella adottata dal giudicante (Cass, Sez. L, 09/08/2004, n. 15381; Cass., Sez. 2, 31/05/2010, n. 13242).
Nella specie, la ricorrente non specifica quali canoni legali di ermeneutica contrattuale ex artt. 1362 e segg. cod. civ., siano stati violati, né adduce vizi di motivazione, ma si limita a prospettare una diversa interpretazione da attribuirsi alla condotta posta in essere dall’originario attore, così esulando dai limiti del vizio di
violazione e/o falsa applicazione di legge denunciato, nel quale non rientra l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa che è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta perciò al sindacato di legittimità (cfr. Cass., Sez. 1, 14/01/2019, n. 640).
2.1 Col secondo motivo, subordinato al precedente, si lamenta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., perché i giudici di merito non avevano tenuto conto dell’autorizzazione alla consegna della caparra sottoscritta dal Troisi il 5/8/2008, nella quale aveva reso la dichiarazione ‘a seguito dell’esito positivo dei controlli ipocatastali effettuati’, con la conseguenza che avevano reso non intellegibili i motivi per i quali non avevano interpretato tali circostanze in termini di rinuncia alla condizione o di ammissione positiva dell’avvenuta sua verificazione, fornendo una motivazione inidonea a far comprendere il percorso logico-giuridico seguito.
2.2 Il secondo motivo è parimenti infondato.
Occorre, innanzitutto, osservare come un’autonoma questione di malgoverno degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. possa porsi soltanto allorché il ricorrente alleghi che il giudice di merito abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti o disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali o abbia disatteso prove legali valutandole secondo il suo prudente apprezzamento o considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (Cass., Sez. 6-5, 5/11/2021, n. 32060).
Tali situazioni non sono state neppure dedotte nella specie, essendosi il ricorrente limitato a dolersi dell’interpretazione della proposta e delle condizioni contrattuali in essa esposte offerta dai
giudici di merito, sostanzialmente contrapponendo ad essa una diversa versione ermeneutica.
La censura, peraltro, non tiene conto del fatto che la Corte d’Appello ha esaminato tutte le clausole contrattuali e, dunque, sia quella dicente ‘ il tutto salva verifica positiva delle visure ipocatastali ‘, sia quella dicente ‘ il tutto salvo visione della documentazione relativa all’immobile in oggetto da presentare entro due giorni dall’accettazione della presente ‘, sia quella dicente ‘ la parte venditrice si obbliga ad estinguere il mutuo esistente sull’immobile e a cancellare la relativa ipoteca entro e non oltre il rogito notarile ‘, valorizzando il fatto che la verifica sulle visure aveva consentito di accertare la presenza di due ipoteche giudiziarie derivanti da altrettanti decreti ingiuntivi diverse e ulteriori da quelle correlate al mutuo ipotecario e reputando che l’inserimento delle suddette clausole impedisse di considerare l’autorizzazione al pagamento della caparra in termini di volontà alla stipula del preliminare senza l’assunzione di alcun impegno, da parte della Luzi, di cancellare le ipoteche entro la data del rogito.
Appare evidente, dunque, come i giudici abbiano in realtà esaminato la dichiarazione asseritamente omessa, andando ad analizzare la stessa unitamente alle altre clausole inserite nella proposta onde verificare quale fosse la volontà dell’acquirente, con la conseguenza che la censura non attinge neppure, sotto questo profilo, la ratio decidendi .
3.1 Con il terzo motivo, si lamenta, infine, la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1755 e 1757 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., sul diritto alla provvigione del mediatore, per avere i giudici di merito affermato che il mancato avveramento della condizione avesse inibito l’efficacia del contratto preliminare fin dal suo nascere ovvero la realizzazione del programma negoziale e che questo ostasse al pagamento della
provvigione. Ad avviso della ricorrente, i giudici non avevano considerato che il diritto alla provvigione sorge in conseguenza dell’incontro delle volontà dei soggetti interessati, che questo era avvenuto, nella specie, nel momento in cui la venditrice aveva accettato la proposta sottoscritta dall’acquirente, essendosi in tal modo concluso il contratto, che l’accettazione della proposta, secondo quanto previsto dalla clausola n. 7 della stessa, fosse sufficiente a determinare la conclusione dell’affare e che la conoscenza di detta accettazione da parte dell’acquirente facesse insorgere, alla stregua della clausola n. 4, l’obbligo di corrispondere il compenso al mediatore nella misura del 3% del prezzo convenuto più Iva. Inoltre, l’acquirente aveva mostrato di avere ritenuto concluso l’affare, posto che aveva pagato caparra e provvigione e aveva chiesto alla venditrice un differimento del preliminare e la voltura delle utenze, salvo poi recedere dopo quarantacinque giorni.
3.2 La terza censura è infondata.
Occorre, in primo luogo, osservare come, ai sensi dell’art. 1754 cod. civ. si qualifichi mediatore colui che mette in relazione due o più parti per la conclusione di un affare, risultando idonea, al fine del riconoscimento del diritto alla provvigione, anche l’esplicazione della semplice attività consistente nella ricerca ed indicazione dell’altro contraente o nella segnalazione dell’affare (Cass., Sez. 3, 20/12/2005, n. 28231).
A tal fine, non è necessario che il mediatore partecipi attivamente anche alle successive trattative sino all’accordo definitivo, né che sussista un nesso eziologico diretto ed esclusivo tra l’attività del mediatore e la conclusione dell’affare, né che l’attività da lui svolta in concreto sia qualificabile quale fattore esclusivo e determinante della conclusione dell’affare, ma è sufficiente, ai fini del compenso, che l’attività intermediatrice si ponga in rapporto causale con la
conclusione dell’affare e assuma il carattere indefettibile della completezza e, dunque, che il mediatore abbia messo in relazione le parti, sì da realizzare l’antecedente indispensabile per pervenire alla conclusione del contratto, secondo i principi della causalità adeguata (Cass., Sez. 2, 16/01/2018, n. 869; Cass., Sez. 3, 09/12/2014, n. 25851; Cass., Sez. 2, 25/10/2010, n. 21836; Cass., Sez. 3, 24/01/2007, n. 1507).
Per ‘conclusione dell’affare”, dalla quale, a norma dell’art. 1755 cod. civ., sorge il diritto alla provvigione del mediatore, deve intendersi ciò che, nel linguaggio comune, è l’equivalente del contratto (Cass., Sez. 3, 12/4/2005, n. 7519) e, dunque, il compimento di un’operazione di natura economica generatrice di un rapporto obbligatorio tra le parti, di un atto cioè in virtù del quale sia costituito un vincolo che dia diritto di agire per l’adempimento dei patti stipulati o, in difetto, per il risarcimento del danno (come in caso di contratto preliminare di compravendita di un immobile), purché sufficiente a far sorgere tale diritto, sempre che si tratti di contratto validamente concluso e rivestito dei prescritti requisiti e, quindi, della forma scritta richiesta ad substantiam ex artt. 1350 e 1351 cod. civ. (Cass., Sez. 3, 19/10/2007, n. 22000; Cass., Sez. 3, 26/9/2005, n. 18779), derivando altrimenti dalla presenza di vizi tali da impedire la definitiva attuazione dell’affare la perdita ex art. 1757, terzo comma, cod. civ., del diritto al compenso (Cass., Sez. 3, 10/05/2002, n. 6731).
Allo stesso modo, il mancato verificarsi di una condizione sospensiva impropria, cui sia subordinata dalle parti l’efficacia del contratto stipulato per intervento di un mediatore, consistente nell’esito positivo dell’accertamento di un fatto anteriore alla conclusione del contratto stesso, e per la cui operatività non è richiesto il previo consenso del mediatore, impedisce la conclusione
dell’affare, nei termini sopra specificati, ai fini dell’ottenimento della provvigione da parte del mediatore stesso (in questi termini Cass., Sez. 3, 2/4/2009, n. 7994; Cass., Sez. 3, 22/11/1978, n. 5463).
Nella specie, i giudici di merito hanno escluso in fatto che il contratto fosse stato concluso tra le parti, non essendosi verificata la condizione sospensiva contemplata nella stessa proposta d’acquisto, con la conseguenza che, in applicazione del su esposto principio, non poteva dirsi soddisfatto il requisito richiesto per l’insorgere del diritto del mediatore alla provvigione.
Pur essendo stato anche detto che sono valide le clausole del contratto di mediazione che ampliano, rispetto allo schema legale, i diritti del mediatore e lo esonerano dall’onere di dimostrare l’utilità della sua intermediazione in ordine alla conclusione dell’affare (in questi termini, Cass., Sez. 3, 13/3/2009, n. 6171), deve osservarsi come quelle trascritte nella censura siano ancorate allo schema ordinario dell’insorgenza del diritto al compenso all’atto dell’accettazione della proposta, la cui efficacia era stata, però, condizionata, nella specie, alla verifica dell’assenza di pesi gravanti sul bene, come accertato dai giudici di merito, con la conseguenza che la fattispecie in esame non rientra in alcuna situazione derogatoria rispetto allo schema legale.
In conclusione, dichiarata l’infondatezza di tutte e tre le censure, il ricorso deve rigettato. Le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza e devono essere poste a carico della ricorrente.
Considerato il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del D.P.R. n. 115 del 2002 -della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente del contributo unificato previsto per il ricorso a norma dell’art. 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 12 dicembre