Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 24860 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2 Num. 24860 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 09/09/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 28609/2020 R.G. proposto da:
IMMOBILIARE RAGIONE_SOCIALE COGNOME, NOME, difesi dall’avvocato NOME COGNOME
-ricorrent i e controricorrenti all’incidentale -contro
VALORE RAGIONE_SOCIALE, FINANZIARIA INTERNAZIONALE RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliate in ROMA LUNGOTEVERE PRATI, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOMECOGNOME rappresentat e e difese dagli avvocati COGNOME NOME (per Aqa) e COGNOME (per Aqa)
-controricorrenti e ricorrenti incidentalinonché
COGNOME difeso dagli avvocati COGNOME NOME COGNOME e COGNOME
-ricorrente incidentale-
COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME difesi dagli avvocati COGNOME COGNOME
-ricorrenti incidentali-
avverso la SENTENZA di CORTE D’APPELLO MILANO n. 2225/2020 depositata il 10/09/2020.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 27/06/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Udita la requisitoria del P.M., la Sostituta P.G. NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del primo motivo del ricorso principale della promittente venditrice; l’accoglimento del primo e del secondo motivo dei ricorsi incidentali adesivi dei soci della promittente venditrice ricorrente; il rigetto del secondo e del terzo motivo del ricorso principale e dei ricorsi incidentali adesivi dei soci, con assorbimento degli altri motivi; il rigetto del ricorso incidentale della promissaria acquirente; il rigetto del primo motivo del ricorso incidentale dell’altro socio (NOME COGNOME della promittente venditrice.
Uditi gli avvocati NOME COGNOME per NOME COGNOME, NOME COGNOME per RAGIONE_SOCIALE , NOME COGNOME per NOME COGNOME, NOME COGNOME per Valore Reale.
FATTI DI CAUSA
La controversia trae origine dalla stipula di un contratto preliminare di compravendita immobiliare tra la società (promissaria acquirente) RAGIONE_SOCIALE e i promittenti venditori (la Immobiliare del Ronchetto, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME). Il preliminare subordinava l’efficacia del vincolo contrattuale all’approvazione del Piano integrato di intervento (PII) da parte dell’Amministrazione comunale (condizione sospensiva), ma prevedeva inoltre una condizione risolutiva potestativa (diritto dell’acquirente di risolvere il contratto in caso di diniego espresso o silenzio dell’amministrazione per oltre
sei mesi dalla richiesta). Successivamente, Valore Reale domandava ai promittenti venditori la restituzione della caparra confirmatoria di € 600.000 ritenendo integrata la condizione risolutiva, ottenendo nel 2013 dal Tribunale di Busto Arsizio un correlativo decreto ingiuntivo. In sede di opposizione, i promittenti venditori sostenevano che la condizione risolutiva non si era verificata in quanto il Comune non aveva pronunciato alcun diniego, bensì aveva ritenuto di non dar corso alla procedura. Inoltre, imputavano la mancata approvazione del piano all’inerzia dell’acquirente e ritenevano legittimo il proprio recesso con ritenzione della caparra. Nel 2018 il Tribunale accoglieva l’opposizione, revocando il decreto ingiuntivo. La decisione era fondata sul mancato avveramento della condizione risolutiva e sull’inerzia della parte acquirente nella produzione della documentazione necessaria per l’approvazione del PII, ritenendo pertanto legittimo il recesso dei promittenti venditori.
RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE (subentrata nel 2015 alla prima nella gestione del fondo) proponevano appello principale. NOME COGNOME e NOME COGNOME proponevano appelli autonomi, a cagione della loro pretermissione nella sentenza impugnata. I loro appelli venivano poi riuniti al processo principale. Nel 2020 la Corte di appello di Milano ha dichiarato la nullità della sentenza di primo grado nei confronti di NOME e NOME COGNOME per omessa pronuncia ma, decidendo nel merito, ha accolto l’appello principale, ritenendo non avverata la condizione sospensiva prevista nel contratto (senza che ciò fosse imputabile a Valore Reale) e considerando quindi inefficace fin dall’inizio il contratto, con conseguente obbligo di restituzione della caparra. Ha ritenuto assorbita la questione relativa alla condizione risolutiva. Ha pertanto confermato il decreto ingiuntivo opposto, condannando in solido RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME alla restituzione della caparra di € 600.000.
Ricorrono in cassazione i promittenti venditori Immobiliare RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME, NOME COGNOME con sei motivi, illustrati da memoria. Resiste la promissaria acquirente RAGIONE_SOCIALE, insieme a Finanziaria Internazionale e RAGIONE_SOCIALE (subentrata a sua volta nella gestione del fondo) con controricorso e ricorso incidentale con un motivo, illustrato da memoria, al quale resistono i ricorrenti principali con controricorso. Propone ricorso incidentale adesivo al ricorso principale NOME COGNOME (con un primo motivo aggiunto ai motivi del ricorso principale), illustrato da memoria. Propongono parimenti ricorso incidentale adesivo al ricorso principale NOME COGNOME e NOME COGNOME La Sostituta P.G. NOME COGNOME ha depositato requisitoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – Il primo motivo del ricorso principale denuncia la violazione dell’art. 345 c.p.c. La Corte d’appello ha errato nel ritenere ammissibile la domanda proposta per la prima volta in grado di appello da RAGIONE_SOCIALE con cui si chiedeva l’accertamento della inefficacia del contratto per mancato avveramento della condizione sospensiva. In primo grado, la parte aveva fondato la propria pretesa esclusivamente sull’avveramento della condizione risolutiva e non sull’inefficacia del contratto ab origine. L’accoglimento della nuova domanda ha violato il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato e determinato un mutamento della causa petendi, con rilevante incidenza anche sulla ripartizione degli oneri probatori.
La sentenza impugnata ha affermato che, sebbene nel giudizio di primo grado l’acquirente avesse posto a fondamento della sua domanda la condizione risolutiva, ciò non impediva al giudice d’appello di decidere sulla condizione sospensiva, trattandosi di elementi risultanti dal contratto già allegato e presente in atti. Ha quindi ritenuto legittimo pronunciarsi sull’inefficacia del contratto, in
base al mancato avveramento della condizione sospensiva, senza configurare una domanda nuova.
Il ricorrente incidentale NOME COGNOME ha aderito a questo motivo, sottolineando che nel proprio giudizio d’appello non ha mai ricevuto notificazione dell’impugnazione principale, e che non vi fu integrazione del contraddittorio, così che la Corte avrebbe esteso gli effetti della sentenza senza che egli potesse difendersi sulle domande nuove, incorrendo nella violazione degli artt. 101 c.p.c. e 24 Cost.
Il primo motivo è rigettato.
L’orientamento consolidato di questa Corte distingue nettamente tra l’eccezione di avveramento della condizione risolutiva, che costitusce un elemento estintivo, quindi eccezione in senso stretto rilevabile solo dalla parte interessata, e il mancato avveramento della condizione sospensiva, che attiene all’efficacia iniziale del negozio. La sua carenza, ovvero il mancato avveramento dell’evento dedotto in condizione, determina la mancanza di un elemento costitutivo e come tale è rilevabile dal giudice d’uffi cio, purché ciò risulti dagli atti di causa (cfr. Cass. n. 15375/2010; Cass. n. 2214/2002). Di conseguenza, la Corte di appello, nell’esaminare il profilo relativo al mancato avveramento della condizione sospensiva, non ha pronunciato su una domanda nuova, ma ha correttamente esercitato il proprio potere-dovere di verificare la sussistenza dei fa tti costitutivi della domanda, accertando l’inefficacia originaria del titolo e quindi la fondatezza della pretesa della promissaria acquirente di vedersi restituita la caparra.
– Il secondo motivo denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 345 c.p.c. per omessa pronuncia sulla eccezione di inammissibilità dei documenti nuovi prodotti per la prima volta in appello dalle appellanti RAGIONE_SOCIALE. Tali documenti, relativi allo scambio di corrispondenza tra RAGIONE_SOCIALE e il Comune
in ordine alla richiesta del PII, erano nella piena disponibilità dell’acquirente e non vi era motivo alcuno per la mancata produzione nel giudizio di primo grado. I ricorrenti avevano tempestivamente eccepito l’inammissibilità degli stessi ex art. 345 co. 3 c.p.c., ma la Corte d’appello non si è pronunciata sul punto.
Il secondo motivo è inammissibile per difetto di decisività.
La denuncia di un vizio di omessa pronuncia presuppone che l’errore processuale abbia avuto un’incidenza causale sulla decisione. Il motivo di ricorso che lamenti tale vizio è inammissibile per carenza di interesse qualora la questione pretermessa dal giudice di merito non sia decisiva, sicché un suo eventuale esame non avrebbe potuto condurre ad un esito diverso. Nel caso di specie, la decisione della Corte di appello si fonda unicamente sulla questione dell’inefficacia del contratto preliminare per il mancato avveramento della condizione sospensiva. Tale conclusione è stata raggiunta sulla base dell’esame del contratto, prodotto sin dal primo grado di giudizio, e della mancata approvazione del Piano Integrato di Intervento. La ratio decidendi della sentenza impugnata non si basa in alcun modo sui documenti che i ricorrenti assumono essere stati tardivamente prodotti in appello. Peraltro, come dedotto dalle controricorrenti, tali documenti erano stati prodotti unicamente a sostegno dell’istanza di sospensione dell’esecutività della sentenza di primo grado e non a fondamento delle ragioni di merito. Ne consegue che l’omessa pronuncia sull’ammissibilità di tali documenti è irrilevante ai fini della decisione finale, la quale si sarebbe fondata sui medesimi presupposti anche qualora il giudice d’appello si fosse pronunciato sull’eccezione.
– Il terzo motivo denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia sulla domanda proposta in primo grado avente ad oggetto l’accertamento dell’avveramento della condizione risolutiva e la conseguente risoluzione del contratto. La Corte territoriale, avendo accolto la nuova domanda sulla condizione sospensiva, ha
ritenuto irrilevante la questione della condizione risolutiva, omettendo ogni valutazione in merito alla sua effettiva ricorrenza. Ciò ha determinato un vizio per ultrapetizione e per omessa pronuncia su una domanda ritualmente introdotta.
Il terzo motivo è rigettato.
La Corte ha correttamente ritenuto che, una volta accertato il mancato avveramento della condizione sospensiva e dunque l’inefficacia originaria del contratto, risulta assorbita in quanto irrilevante la questione del verificarsi della condizione risolutiva.
4. – Il quarto motivo denuncia la violazione degli artt. 2697, 1218, 1358 e 1359 c.c. La Corte d’appello ha errato nel ritenere non provato l’inadempimento dell’acquirente rispetto agli obblighi funzionali all’avveramento della condizione risolutiva. Valore Reale, infatti, non ha mai presentato al Comune una domanda completa di approvazione del PII, risultando documentata la mancanza della relazione economica di massima, prevista come requisito minimo. Ciò avrebbe dovuto indurre il giudice a ritenere la condizione risolutiva non avveratasi per fatto dell’acquirente, con conseguente applicazione della fictio iuris dell’art. 1359 c.c. in favore dei promittenti venditori.
Il quarto motivo è inammissibile.
In primo luogo, il motivo è privo di pertinenza rispetto alla ratio decidendi della sentenza impugnata. La Corte di appello non ha fondato la propria decisione sull’avveramento o meno della condizione risolutiva, ma sulla questione logicamente preliminare e assorbente del mancato avveramento della condizione sospensiva, che ha privato il contratto di efficacia sin dall’origine. Di conseguenza, le censure relative alla ripartizione dell’onere probatorio sull’avveramento della condizione risolutiva sono inconferenti, in quanto criticano una statuizione che non costituisce il fondamento della decisione.
In secondo luogo, per quanto attiene alla dedotta violazione degli artt. 1358 e 1359 c.c., la censura mira, in realtà, a ottenere un riesame nel merito dell’accertamento di fatto già compiuto dal giudice di secondo grado. La Corte territoriale ha esaminato la condotta della promissaria acquirente e ha escluso, con apprezzamento di fatto, che vi fossero elementi sufficienti per ritenerla inadempiente o contraria a buona fede. Ha inoltre escluso la sussistenza di un nesso di causalità tra la presunta inerzia della promissaria acquirente e la mancata approvazione del Piano, riconducendo quest’ultima a vicende urbanistiche autonome relative al Piano di Governo del Territorio. Tale valutazione, in quanto congruamente motivata e priva di vizi logici, non è sindacabile in sede di legittimità. Il motivo, pertanto, si risolve nel tentativo di contrapporre una diversa ricostruzione dei fatti a quella operata dal giudice di merito, esulando dai limiti del giudizio di cassazione.
5. – Il quinto motivo denuncia la violazione dell’art. 2697 c.c., degli artt. 1358 e 1359 c.c. nonché dell’art. 25 della l.r. Lombardia n. 12/2005, come modificato dalla l.r. n. 5/2009. La Corte d’appello ha erroneamente escluso la responsabilità dell’acquirente per la mancata approvazione del PII, sostenendo che essa dipendeva dalla sopravvenuta adozione di un PGT non compatibile. I ricorrenti hanno evidenziato che, in forza della normativa regionale vigente, era comunque possibile l’approvazione di piani integrati essenziali per la riqualificazione urbana anche prima dell’approvazione del nuovo PGT. L’inattività dell’acquirente ha impedito l’avvio della procedura e l’esame dell’intervento, rendendo inapplicabile l’art. 1359 c.c.
Il quinto motivo è inammissibile.
La censura, pur prospettando formalmente violazioni di legge, si risolve nella richiesta di una nuova e diversa valutazione dei fatti e delle prove, inammissibile in sede di legittimità. La Corte di appello ha esaminato la questione e ha escluso, con un accertamento di fatto congruamente motivato, sia la sussistenza di un comportamento
contrario a buona fede, sia il nesso causale tra l’asserita incompletezza della documentazione e la mancata approvazione del piano. Il giudice di merito ha infatti individuato la causa determinante della mancata approvazione nella scelta urbanistica autonoma del Comune, manifestatasi con l’adozione di un Piano di Governo del Territorio (PGT) incompatibile con il Piano Integrato di Intervento (PII) voluto dalle parti .
L’accertamento del nesso di causalità e la valutazione della condotta delle parti secondo il canone della buona fede costituiscono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito che, se sorretti da motivazione adeguata e non illogica come nel caso di specie, si sottraggono al sindacato di questa Corte. Le argomentazioni dei ricorrenti, comprese quelle relative alla pretesa applicabilità di una deroga prevista dalla legge regionale, tendono a contrapporre la propria ricostruzione fattuale a quella operata dalla sentenza impugnata, esulando dai limiti del giudizio di legittimità.
6. – Il sesto motivo denuncia la violazione degli artt. 1358, 1359 e 1221 c.c. La Corte d’appello ha omesso di considerare che la sopravvenuta impossibilità di approvazione del piano, in conseguenza della mancata previsione del comparto nel PGT adottato, è imputabile all’acquirente. Quest’ultimo era già in mora per non aver presentato una domanda corretta e completa nei tempi utili, impedendo l’esame dell’intervento prima della modifica urbanistica. La condotta inerte ha determinato un aggravamento del rischio contrattuale in violazione dei principi di buona fede, con conseguente applicabilità della fictio iuris dell’avveramento.
Il sesto motivo è inmmissibile.
Esso si basa su una ricostruzione dei fatti ipotetica e diversa da quella accertata dal giudice di merito. L’applicazione dell’art. 1221 c.c. presuppone, quale suo fondamento logico e giuridico, l’accertamento di una situazione di mora del debitore, ossia di un
ritardo colposo e imputabile nell’adempimento della propria prestazione.
Nel caso di specie, la Corte di appello ha escluso, con un apprezzamento di fatto non sindacabile in questa sede, l’esistenza di una condotta inerte o contraria a buona fede da parte della promissaria acquirente, giudicando le relative allegazioni dei ricorrenti come del tutto generiche e non puntuali. La Corte ha inoltre ricostruito la vicenda evidenziando come le parti si fossero di fatto orientate a seguire l’iter di formazione del nuovo PGT, tanto da presentare osservazioni in quella sede.
Mancando l’accertamento del presupposto fattuale della mora, l’intera costruzione giuridica basata sulla disciplina dell’art. 1221 c.c. risulta priva di fondamento. Il motivo si risolve, ancora una volta, nel tentativo di sollecitare a questa Corte una nuova valutazione del comportamento delle parti e una diversa ricostruzione della sequenza causale degli eventi, attività preclusa nel giudizio di legittimità.
7. – Con il primo motivo del ricorso incidentale autonomo, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE denunciano la violazione dell’art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia da parte della Corte di appello sulla domanda di restituzione delle somme versate alle parti opponenti a titolo di spese del primo grado di giudizio. Premettono che la sentenza di primo grado aveva condannato al pagamento di € 24.698,00 in favore di ciascuna delle tre parti opponenti, per un totale di € 74.094,00. Nelle more del giudizio di appello e in esecuzione della sentenza, le controparti avevano ricevuto da Valore RAGIONE_SOCIALE complessivamente € 111.442,86. In appello era stata quindi proposta domanda di restituzione di tali somme.
La Corte di appello, pur condannando i soccombenti in appello al pagamento delle spese dei due gradi di giudizio (€ 23.000 per il primo grado e € 13.000 per il secondo), aveva tuttavia omesso
qualsiasi statuizione sulla restituzione delle somme già incassate in esecuzione della sentenza di primo grado, incorrendo quindi -secondo i ricorrenti -in un vizio di omessa pronuncia.
Il primo motivo del ricorso incidentale autonomo è inammissibile per violazione del principio di autosufficienza/specificità.
In ossequio a tale principio, la parte che lamenti un’omessa pronuncia ha l’onere non solo di allegare di aver proposto la domanda, ma anche di indicare in quale specifico atto del giudizio di merito lo abbia fatto, trascrivendone le parti rilevanti, al fine di consentire a questa Corte di verificare, accedendo agli atti, la veridicità dell’asserzione e la decisività della questione.
Nel caso di specie, le ricorrenti incidentali si limitano ad affermare genericamente che «in appello, è stata richiesta la condanna delle controparti alla restituzione delle somme incassate in esecuzione della sentenza di primo grado», senza tuttavia indicare in quale atto del giudizio di secondo grado (atto di appello, memoria, foglio di precisazione delle conclusioni) tale domanda sia stata formulata, né tantomeno ne trascrivono il contenuto.
Tale omissione impedisce a questa Corte di verificare se la domanda di restituzione sia stata effettivamente e tempestivamente sottoposta al giudice di appello e, di conseguenza, se sussista il denunciato vizio di omessa pronuncia. Il motivo deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile.
– Con il secondo motivo del ricorso incidentale autonomo, si denuncia la violazione dell’art. 36 co. 3 d.lgs. 58/1998, per avere la Corte territoriale rigettato la domanda di estromissione di RAGIONE_SOCIALE dal giudizio di appello, nonostante che -a far data dal 29 ottobre 2018 -la gestione del fondo RAGIONE_SOCIALE fosse passata ad RAGIONE_SOCIALE che pertanto era l’unico soggetto legittimato ad agire nell’interesse dei partecipanti al fondo. Secondo
i ricorrenti, la Corte di appello avrebbe errato nel ritenere che tale subentro non avesse rilevanza ai fini della legittimazione sostanziale e processuale di RAGIONE_SOCIALE rigettando quindi la domanda di estromissione e coinvolgendo indebitamente nel giudizio un soggetto che aveva cessato di essere parte legittimata già prima della proposizione dell’appello.
Il motivo è rigettato.
La Corte territoriale ha fatto corretta applicazione dei principi che regolano la successione a titolo particolare nel diritto controverso, disciplinata dall’art. 111 c.p.c. La successione nella gestione del fondo di investimento, avvenuta nel corso del giudizio, integra una fattispecie di successione a titolo particolare, con la conseguenza che, per legge, il processo prosegue tra le parti originarie. La sentenza pronunciata avrà in ogni caso effetto anche nei confronti del successore, RAGIONE_SOCIALE la quale è infatti ritualmente intervenuta nel giudizio (cfr. Cass. 4741/2023).
L’estromissione della parte originaria (l’alienante, RAGIONE_SOCIALE, anche in caso di intervento del successore, non è un effetto automatico, ma è subordinata, ai sensi del terzo comma dell’art. 111 c.p.c., al consenso di tutte le altre parti. Dagli atti non risulta, né i ricorrenti incidentali lo hanno dedotto, che le controparti (gli originari opponenti) abbiano prestato tale consenso. Pertanto, il rigetto della domanda di estromissione da parte della Corte di appello è giuridicamente corretto e immune da censure.
-Con l’unico motivo del ricorso incidentale condizionato, si censura il capo di sentenza di appello che afferma che nel corso del giudizio di primo grado non si fosse fatto espresso riferimento al mancato avveramento della condizione sospensiva. In realtà la condizione sospensiva sarebbe stata effettivamente dedotta in primo grado, come dimostrato da più atti difensivi e dalla stessa sentenza
di appello, che ha rilevato come il giudice di primo grado avesse correttamente trattato il tema, pur senza adottare una decisione in merito.
Il motivo è assorbito in conseguenza del rigetto del ricorso principale.
10. – Il primo motivo del ricorso incidentale proposto da NOME COGNOME (anteposto all’adesione ai motivi del ricorso principale) denuncia la nullità della sentenza di secondo grado per violazione del principio del contraddittorio ai sensi dell’art. 101 c.p.c., nonché degli artt. 3 e 24 Cost., in relazione all’art. 360 co. 1 n. 4 c.p.c. Il motivo si fonda sul fatto che l’atto di appello principale promosso da RAGIONE_SOCIALE non è mai stato notificato al ricorrente incidentale NOME COGNOME Neppure nel giudizio instaurato da quest’ultimo , ove le appellate si costituirono, venne proposto appello incidentale né furono richiamate le conclusioni dell’appello principale. La riunione dei procedimenti non fu accompagnata da alcun provvedimento di estensione del contraddittorio nei confronti di NOME COGNOME Quest’ultimo non ebbe quindi mai modo di conoscere i motivi dell’appello principale, né di difendersi su di essi. Ciò nonostante, la Corte d’appello ha accolto tali motivi anche nei suoi confronti, estendendo gli effetti della sentenza senza che fosse stato ritualmente evocato in giudizio, in violazione del diritto di difesa.
Il motivo è rigettato.
È pacifico che il ricorrente avesse a sua volta proposto un autonomo appello avverso la medesima sentenza di primo grado. La Corte di appello, come risulta dagli atti, ha correttamente disposto la riunione di tutti gli appelli separatamente proposti avverso la stessa sentenza, in applicazione dell’art. 335 c.p.c. Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, richiamato anche dalla Procura Generale nelle sue conclusioni, la riunione obbligatoria delle impugnazioni proposte separatamente contro la stessa sentenza
sana l’eventuale difetto di notifica di una di esse a un litisconsorte che sia a sua volta impugnante. Per effetto della riunione, infatti, si costituisce un unico giudizio nel quale tutte le parti assumono la qualità di parte del processo unitariamente considerato e sono poste nella condizione di contraddire sull’intera materia del contendere, comprese le impugnazioni che non siano state loro notificate. Pertanto, nonostante la mancata notifica iniziale, NOME COGNOME in quanto parte del giudizio di appello riunito, ha avuto la piena possibilità di conoscere tutti gli atti processuali, inclusi i motivi dell’appello principale, e di esercitare compiutamente il proprio diritto di difesa. Non sussiste, di conseguenza, alcuna violazione del principio del contraddittorio.
Gli altri motivi del ricorso incidentale proposto da NOME COGNOME sono adesivi a quelli del ricorso principale e quindi sono rigettati insieme con essi.
-La Corte rigetta il ricorso principale, rigetta i ricorsi incidentali autonomi, dichiara assorbito il ricorso incidentale condizionato. Vi è ragione di disporre la compensazione integrale delle spese del presente giudizio.
Inoltre, ai sensi dell’art. 13 co. 1 -quater d.p.r. 115/2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera della parti ricorrenti in via principale e incidentale, di un’ulteriore somma pari a quella prevista per il ricorso a titolo di contributo unificato a norma dell’art. 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale, rigetta i ricorsi incidentali autonomi, dichiara assorbito il ricorso incidentale condizionato e dispone la compensazione integrale delle spese del presente giudizio.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento, ad opera della parti ricorrenti in via principale e incidentale, di un’ulteriore
somma pari a quella prevista per il ricorso a titolo di contributo unificato, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 27/06/2025, nella camera di consiglio della