Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 14033 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 14033 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 26/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 21216/2020 R.G. proposto da : COGNOME rappresentato e difeso dall’Avv. P COGNOME
-ricorrente-
contro
NOMECOGNOME NOME, NOME COGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME, NOME, elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOMEcontroricorrenti- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO GENOVA n. 1518/2019 depositata il 08/11/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28/02/2025 dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME citò in giudizio innanzi al Tribunale di Chiavari NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME ed NOME COGNOME per chiedere la risoluzione e/o l’inefficacia dell’atto di divisione per notar NOME COGNOME del 15 luglio 1979, con il quale era divenuto assegnatario del lotto quarto – in comproprietà con il fratello e coerede NOME COGNOME -facente parte di una serie di immobili caduti in successione a seguito del decesso del padre NOME COGNOME
La domanda si fondò sull’asserito mancato verificarsi della condizione sospensiva richiamata nella coeva scrittura privata con la quale le parti avevano stabilito che nel caso in cui agli assegnatari del quarto lotto non venisse concessa licenza alcuna per edificare le due casette, o venisse comunque concessa una edificabilità minore, le parti avrebbero dovuto procedere ad una nuova divisione.
Si costituirono i convenuti per chiedere il rigetto della domanda e la conferma della validità ed efficacia dell’atto di divisione ereditaria del 15/07/1979.
Il Tribunale di Chiavari rigettò la domanda.
La Corte d’appello di Genova, con sentenza resa pubblica in data 11.7.2018, confermò integralmente la sentenza del primo grado.
Secondo l’interpretazione dell’atto di divisione, gli assegnatari del quarto lotto dovevano avere la possibilità di costruire sui terreni due piccole abitazioni familiari ad uso abitazione, composta ciascuna da una cubatura abitabile orientativamente uguale a quella assegnata a ciascuno degli altri condividenti.
In detta scrittura, era previsto l’obbligo, in capo agli assegnatari del quarto lotto, di presentare ‘ immediatamente’ al Comune di Rapallo
la domanda e i relativi progetti per edificare le due villette, domanda che, in realtà, non venne mai presentata, nonostante il lotto fosse edificabile, come evidenziato dalla CTU.
Alla luce di tale ricostruzione, la Corte di merito ritenne infondata la doglianza relativa al mancato avveramento della condizione costituita dall’inedificabilità dell’area.
Per la cassazione della sentenza della Corte d’Appello di Genova ha proposto ricorso NOME COGNOME sulla base di tre motivi.
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME hanno resistito con controricorso.
In prossimità dell’adunanza camerale, le parti hanno depositato memorie illustrative.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso, si denuncia la violazione e falsa applicazione, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., con specifico riferimento all’art. 20.08 delle norme di attuazione del PRG del Comune di Rapallo, approvato con delibera consiliare 15 luglio 1982 e approvato con P.P.G.R. n. 1216 del 7.10.1986. La Corte territoriale avrebbe considerato edificabile il terreno oggetto di divisione sulla base delle dichiarazioni del dirigente del Comune di Rapallo, rese in data 31/01/2013, contrastanti con l’art.20.08 del Piano Regolatore, che limiterebbe l’edificabilità del lotto all’attività agricola e ad altre ipotesi ma non all’uso residenziale. Anche la CTU svolta in grado d’appello si sarebbe limitata ad una ricognizione dei principi del P.R.G. vigente, confermando la edificabilità di manufatti connessi all’uso agricolo ed escludendo la possibilità di costruire edifici ad uso residenziale.
Con il secondo motivo di ricorso, si deduce, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione di legge con specifico riferimento all’art. 20.08.01 delle norme di attuazione del PRG del Comune di Rapallo, approvato con delibera consiliare 15 luglio
1982 e approvato con P.P.G.R. n. 1216 del 7.10.1986, anche con riferimento all’omesso esame delle norme del PRG, ai sensi dell’art. 360 comma 1, n. 5 c.p.c.
La Corte d’Appello avrebbe ritenuto edificabile il lotto quattro, mal interpretando l’art. 20.08. del P.R.G. del Comune di Rapallo che prevederebbe un limite minimo di edificazione pari a 10.000 mq, a fronte di circa 17.000 mq a disposizione del ricorrente e dell’altro coerede, che escluderebbe, di fatto, la possibilità di costruire due villette unifamiliari. Il motivo di ricorso si sofferma sulle conseguenze derivanti dall’errata interpretazione del PRG e dissente dall’affermazione della Corte territoriale riguardo alla mancata presentazione del progetto di edificazione del lotto, che sarebbe stata determinata dall’impossibilità di edificare, proprio alla luce delle norme del PRG del Comune di Rapallo.
I motivi, che per la loro connessione vanno trattati congiuntamente, sono infondati.
Le censure si risolvono in una apodittica contestazione dell’accertamento di fatto relativo all’edificabilità del lotto quattro, assegnato al ricorrente ed al fratello con atto di divisione notar NOME COGNOME del 15 luglio 1979, accertamento dal quale derivava il mancato avveramento della condizione contenuta nella coeva scrittura privata, con la quale le parti avevano stabilito che nel caso in cui agli assegnatari del quarto lotto non venisse concessa licenza alcuna per edificare le due casette, o venisse comunque concessa una edificabilità minore, le parti avrebbero dovuto procedere ad una nuova divisione.
La Corte d’appello ha disposto CTU per accertare l’edificabilità del lotto quattro alla luce del PRG vigente alla data del 1982, al quale le parti avevano fatto riferimento nell’atto di divisione, in cui era stato precisato che la divisione era stata stipulata allo scopo di ottenere ‘mediante la separazione dei fabbricati rurali dai terreni di natura uliveto la valorizzazione di questi ultimi allo scopo
edificatorio in previsione dell’imminente approvazione del piano regolatore’ (pag.3 della sentenza impugnata).
La Corte d’appello ha aderito alle conclusioni del CTU che, in relazione alla natura edificabile del terreno, aveva chiarito che i terreni oggetto di causa, pur avendo destinazione agricola, erano agevolmente edificabili grazie al Nuovo Piano Regolatore, come risultava espressamente dalla attestazione del Comune di Rapallo.
I motivi di ricorso deducono la violazione delle norme del PRG attraverso la contestazione dell’accertamento di fatto contenuto nella sentenza impugnata, che ha aderito alle risultanze della CTU, ritenendo che non si fosse avverata la condizione risolutiva prevista nella scrittura coeva all’atto di divisione, con la quale le parti avevano stabilito che nel caso in cui agli assegnatari del quarto lotto non venisse concessa licenza alcuna per edificare le due casette, o venisse comunque concessa una edificabilità minore, le parti avrebbero dovuto procedere ad una nuova divisione.
Giova ricordare che, secondo la giurisprudenza espressa da questa Corte (Cass. n. 24414 del 2019), in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità (Cass. n. 3340 del 2019).
E’, inoltre, orientamento consolidato della giurisprudenza di questa Corte (v., Cass., sez. 2, 28 marzo 2006, n. 7078, e Cass., sez. 3, 13 giugno 2007, n. 13845) quello per cui la parte che si duole di carenze o lacune nella decisione del giudice di merito che abbia sostanzialmente basato il proprio convincimento sull’accertamento
tecnico eseguito in giudizio, non può limitarsi a censure apodittiche d’erroneità e/o inadeguatezza della motivazione od anche di omesso approfondimento di determinati temi di indagine, prendendo in considerazione emergenze istruttorie asseritamente suscettibili di diversa valutazione e traendone conclusioni difformi da quelle alle quali è pervenuto il giudice a quo.
Il giudice del merito, quando aderisce alle conclusioni del consulente tecnico che nella relazione abbia tenuto conto, replicandovi, dei rilievi dei consulenti di parte, esaurisce l’obbligo della motivazione con l’indicazione delle fonti del suo convincimento sicchè le critiche di parte, che tendano al riesame degli elementi di giudizio già valutati dal consulente tecnico, si risolvono in tal caso in mere allegazioni difensive, che non possono configurare il vizio di motivazione previsto dall’art. 360 n. 5 cod. proc. civ. ( Sez. 1, Sentenza n. 8355 del 03/04/2007)
Nel caso di specie il ricorrente si è limitato a riportare l’art.20.08 del PRG, che tra le tipologie delle costruzioni ammesse dal PRG , include le ‘attività e/o impianti agricoli e residenza’, senza allegare le ragioni per le quali le costruzioni residenziali non fossero ammesse, se non con un vago riferimento all’erroneità della valutazione in ordine alla sussistenza dello ius aedificandi .
Con il terzo motivo di ricorso, il ricorrente si duole della violazione di legge ex art. 360, comma 1, n.3 c.p.c., con specifico riferimento al mancato rispetto del principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato ex art. 112 c.p.c.; si sostiene che il giudice di primo grado avesse correttamente individuato l’esistenza di due condizioni apposte alla scrittura privata del 1979, ovvero una condizione sospensiva e l’altra risolutiva; tale interpretazione delle clausole non sarebbe stata impugnata con l’appello incidentale sicché la mancata contestazione sul punto avrebbe determinato la formazione del giudicato con la conseguenza che la Corte d’appello
avrebbe violato l’art. 112 c.p.c. sotto il profilo della corrispondenza tra chiesto e pronunciato.
Anche questo motivo è infondato.
Non viola il principio del tantum devolutum quantum appellatum il giudice di appello che fondi la decisione su ragioni che, pur non specificamente fatte valere dall’appellante, tuttavia appaiano, nell’ambito della censura proposta, in rapporto di diretta connessione con quelle espressamente dedotte nei motivi stessi.
Nel giudizio di secondo grado, il giudice può, infatti, riesaminare l’intera vicenda nel complesso dei suoi aspetti, purché tale indagine non travalichi i margini della richiesta, coinvolgendo punti decisivi della statuizione impugnata suscettibili di acquisire forza di giudicato interno in assenza di contestazione, e decidere, con pronunzia che ha natura ed effetto sostitutivo di quella gravata, anche sulla base di ragioni giuridiche diverse da quelle svolte nei motivi d’impugnazione (Cass. 9202/2018; Cass. 8604/2017;Cass. 1377/2016).
E’ consolidato, peraltro, nella giurisprudenza di questa Corte il principio secondo cui, ai fini della selezione delle questioni, di fatto o di diritto, suscettibili di devoluzione e, quindi, di giudicato interno se non censurate in appello, la locuzione giurisprudenziale “minima unità suscettibile di acquisire la stabilità del giudicato interno” individua la sequenza logica costituita dal fatto, dalla norma e dall’effetto giuridico, ossia la statuizione che affermi l’esistenza di un fatto sussumibile sotto una norma che ad esso ricolleghi un dato effetto giuridico. Ne consegue che, sebbene ciascun elemento di detta sequenza possa essere oggetto di singolo motivo di appello, nondimeno l’impugnazione motivata anche in ordine ad uno solo di essi riapre la cognizione sull’intera statuizione (Cass. 12202/2017;Cass. 24783/2018;Cass. 10760/2018).
Il ricorso deve, pertanto, essere rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate in dispositivo.
Ai sensi dell’art.13, comma 1 quater, del DPR 115/2002, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art.13, se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 5000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Seconda