Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 14933 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 14933 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 04/06/2025
sul ricorso 7579/2021 proposto da:
COGNOME e COGNOME rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE rappresentate e difese dagli avvocati COGNOME e NOME COGNOME
– controricorrenti e ricorrenti incidentali – avverso l ‘ordinanza della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA n. 2519/2020 depositata il 28/09/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 23/04/2025 dal Cons. Dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. La Corte di appello di Bologna, pronunciando con la sentenza in epigrafe sul contenzioso insorto tra COGNOME e NOME COGNOME e RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE in relazione alla scrittura privata stipulata il 13.1.2008 con cui i COGNOME avevano ceduto a RAGIONE_SOCIALE il 60% del capitale sociale di RAGIONE_SOCIALE a condizione che l’acquirente liberasse i venditori dalla garanzia prestata nei confronti di Unicredit, ha confermato le impugnate determinazioni di primo grado tanto nella parte in cui erano state respinte le domande dei COGNOME intese a far constare l’inadempimento di COGNOME degli obblighi ivi assunti ed a conseguire la condanna delle convenute al risarcimento di ogni danno scaturito, quanto nella parte in cui aveva accolto la domanda riconvenzionale di Tigrotto di condanna degli attori al rimborso di quanto da essa pagato per estinguere il debito dei COGNOME nei confronti della Banca Popolare di Verona, debito di cui, peraltro, si era resa cessionaria pro soluto .
Onde motivare le ragioni del decisum la Corte territoriale, come già divisato dal primo giudice, ha, tra l’altro, ritenuto che nella specie quello intervenuto tra le parti fosse un negozio condizionato («infatti, la consolidata giurisprudenza di legittimità ritiene legittimo che le parti possano subordinare sospensivamente l’efficacia del contratto all’adempimento di una delle prestazioni in esso dedotte … Nella fattispecie concreta, le parti hanno espressamente -” condizionato “-l’efficacia dell’obbligo di cessione delle quote di partecipazione detenute dai Cattani in RAGIONE_SOCIALE alla liberazione dei medesimi dalle garanzie prestate. Peraltro, deve ritenersi che l’efficacia dell’intero contratto sia stata condizionata dalla volontà delle parti all’adempimento della obbligazione di liberare i Cattani dalle garanzie, ciò discendendo per stretta inferenza logica della sussistenza del rapporto sinallagmatico. Non verificandosi
l’adempimento del suddetto obbligo contrattuale di liberazione dei Cattani dalle garanzie prestate, dunque, non si è nemmeno avverata la condizione sospensiva»); che la condizione ivi prevista, rappresentata dalla liberazione dal debito procurata dalla cessionaria, non costituisse una condizione meramente potestativa («la deduzione dell’adempimento dell’obbligazione, posta a carico di una delle parti, come evento condizionante l’efficacia del contratto esclude che l’avveramento, nel caso concreto, fosse rimesso al mero arbitrio della parte medesima. La condizione aveva, dunque, la natura di condizione potestativa o al più potestativa mista, in quanto implicante la cooperazione del terzo. Cioè dei creditori ai fini della versamento della medesima»); che il mancato avveramento della stessa non fosse imputabile ad una condotta di RAGIONE_SOCIALE contraria al dovere di buona fede («come correttamente evidenziato dal primo giudice, emergono due circostanze che escludono la contrarietà buona fede del comportamento tenuto dalle altre parti appellate: a) L’obbligo di liberazione della garanzia è stato parzialmente adempiuto mediante l’acquisto da parte di RAGIONE_SOCIALE del credito vantato da Unicredit nei confronti di RAGIONE_SOCIALE e garantito dalla fideiussione prestata dai COGNOME; b) inoltre, nel corso del 2010 le parti appellanti proposero Unicredit di estinguere il credito della stessa vantato mediante pagamento della somma di euro 200.000,00. Tali circostanze escludono un comportamento contrario a buona fede»).
Per la cassazione dell’impugnata sentenza i COGNOME introducono in via principale cinque mezzi, seguiti da memoria e resistiti avversariamente da controricorso e ricorso incidentale condizionato.
RAGIONI DELLA DECISIONE
2.1. Il primo motivo del ricorso principale denuncia «la violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3
c.p.c. in relazione all’art. 112 c.p.c. e agli artt. 1218, 1362, 1363, 1376, 1351, 1355, 1356, 1358 c.c. nella parte in cui, a seguito di una errato governo dei canoni ermeneutici del contratto, il giudice di merito non ha riconosciuto l’inadempimento delle parti resistenti e il loro obbligo/dovere di adempiere alle obbligazioni contrattuali e di risarcire il danno». Sostengono, in sintesi, i ricorrenti che la Corte adita avrebbe «errato nell’applicazione della legge nella parte in cui ha interpretato il contratto nel senso che l’obbligazione principale, cioè la liberazione dalle garanzie, dovesse intendersi quale elemento accidentale o condizionale del contratto . L’interpretazione del contratto come “vendita sottoposta a condizione sospensiva” (qualificata poi nel prosieguo della decisione impugnata come “potestativa mista”) contrasta apertamente con la lettera del contratto laddove soggetta ad una corretta ermeneusi del testo ex artt. 1362 e 1355 del cod. civ. . Nell’interpretazione del contratto, il carattere prioritario dell’elemento letterale non deve essere inteso in senso assoluto, specifica il più recente insegnamento della Suprema Corte, atteso che il richiamo nell’art. 1362 c.c. alla comune intenzione delle parti impone di estendere l’indagine ai criteri logici, teleologici e sistematici, anche laddove il testo dell’accordo sia chiaro ma incoerente con indici esterni rivelatori di una diversa volontà dei contraenti. . Occorre avere dunque corretto riguardo all’intenzione delle parti e da questa dipende(rà) anche la risarcibilità del danno da inadempimento. . Invero la cessione della partecipazione sociale in RAGIONE_SOCIALE da parte dei COGNOME a Biostrada/Tigrotto (nella persona di NOME COGNOME) rappresentava evidentemente, così come sostanzialmente esposto anche da controparte, la conclusione di un complesso negozio traslativo del nucleo essenziale dell’azienda detenuta dalla RAGIONE_SOCIALE . La comune volontà delle parti individuava l’obbligazione di liberare le garanzie accese dai Cattani presso le
banche che vantavano crediti nei confronti della RAGIONE_SOCIALE quale elemento essenziale del contratto».
2.2. Il motivo non ha pregio e si sottrae pregiudizialmente al chiesto scrutinio di legittimità in quanto inteso a rinnovare il sindacato meritale esercitato dal decidente del grado nell’interpretare la convenzione inter partes .
Come è noto l’interpretazione del contratto si traduce in una operazione di accertamento della volontà dei contraenti che si risolve in una indagine di fatto riservata al giudice di merito, incensurabile, di regola in cassazione, in quanto la Corte di Cassazione non è giudice del fatto sostanziale, ma solo del fatto processuale, salvo che per la violazione delle regole ermeneutiche, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ. e per l’omesso esame di un fatto decisivo e oggetto di discussione tra le parti ai sensi dell’art. 360, comma 1. n. 5, cod. proc. civ. ( ex plurimis , Cass., Sez. IV, 4/04/2022, n. 10745). In particolare, fermo che la parte che intenda denunciare un errore di diritto o un vizio di ragionamento nell’interpretazione di una clausola contrattuale, non può limitarsi a richiamare le regole di cui agli artt. 1362 e ss. cod. civ.., avendo invece l’onere di specificare insieme ai canoni che in concreto assuma violati, « il punto ed il modo in cui il giudice del merito si sia dagli stessi discostato», va ribadito che le censure che si intendono declinare in relazione al ragionamento interpretativo sviluppato dal giudice di merito non può «risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata, poiché quest’ultima non deve essere l’unica astrattamente possibile ma solo una delle plausibili interpretazioni, sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di
legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra» (Cass., Sez. III, 28/11/2017, n. 28319).
2.3. E questo è esattamente il vulnus , come bene oppongono i controricorrenti a pag 10 del controricorso, che infirma alla radice la prospettazione dei Cattani e che ne impedisce, come detto, la disamina.
3.1. Il secondo motivo di ricorso lamenta un vizio di «omessa, contraddittorietà e falsa motivazione nonché violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 5 c.p.c. in relazione agli artt. 24 e 111 della Cost., all’art. 112 c.p.c. e agli artt. 1218, 1321, 1325, 1418 e 1425 c.c.». Sostengono, in sintesi, i ricorrenti, che al riguardo reputano di trarre conforto da una conforme ricognizione in fatto, che tra le affermazioni operate in sentenza, laddove, pur riconoscendosi la legittimazione passiva di COGNOME, si era, tuttavia, negato ogni effetto conseguente, e laddove si era dato atto che la causa del contratto era riconducibile al sinallagma corrente tra le opposte prestazioni di ciascuna parte, sussisterebbe «un contrasto irriducibile … giacché il contratto avrebbe una causa improduttiva di effetti potendo la parte resistente sottrarsi ad libitum dall’obbligazione». In particolare, «se il primo motivo di ricorso trova accoglimento relativamente alla legittimazione passiva di RAGIONE_SOCIALE, tuttavia tale statuizione rimane ” assorbita dal rigetto degli altri motivi di appello ” e non si comprende quindi perché venga respinto il quarto motivo di ricorso in appello volto alla riforma della statuizione di accoglimento della domanda riconvenzionale proposta da RAGIONE_SOCIALE che ha chiesto l’estromissione dal giudizio per un difetto di legittimazione passiva denegato dal giudice di appello ma assorbito ” del rigetto degli altri motivi di appello” ».
3.2. Il motivo non ha pregio e si consegna pregiudizialmente ad una declaratoria di inammissibilità in quanto evidentemente privo di specificità.
Per vero sfrondato di ogni suggestione evocata dalla rubrica -a stemperare i risvolti della quale va ricordato, in breve, che il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ. non è denunciabile in vista di una doppia conforme e che l’omessa o contradditoria motivazione (la falsa motivazione essendo un vizio ignoto all’ordinamento processuale), ove incidente, come non qui, sul percorso decisionale, concreta un error in procedendo e non è, perciò, riconducibile al vizio motivazionale di cui al parametro evocato e che non è, poi, a rigor di logica, minimamente contraddittorio affermare la legittimazione passiva di una parte e concludere, nel merito, che la domanda contro di essa non ha fondamento -il motivo, per i profili più astrattamente scrutinabili che fanno leva su pretese violazioni di diritto, si mostra affetto da un vizio propositivo assai più radicale dato che la sua declinazione oblitera le regole che da sempre concorrono a definire lo statuto di censurabilità per cassazione dell’errore di diritto. Sicché, una volta premesso che, siccome «il ricorso per cassazione deve contenere, a pena di inammissibilità, l’esposizione dei motivi per i quali si chiede la cassazione della sentenza impugnata, aventi i requisiti della specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata» ( ex plurimis , Cass., Sez. I, 17/07/2007, n. 15952), è necessario che «nell’esposizione del motivo trovino espressione le ragioni del dissenso che la parte intende marcare nei riguardi della decisione impugnata, formulate in termini tali da soddisfare esigenze di specificità, di completezza e di riferibilità a quanto pronunciato proprie del mezzo azionato e, insieme, da costituire una critica precisa e puntuale e, dunque, pertinente delle ragioni che ne hanno
indotto l’adozione» (così in motivazione ex plurimis , Cass., Sez. I, 24/04/2024, n. 11164), va poi più direttamente ricordato, a confutazione di ogni superstite resistenza sul punto, che «il vizio della sentenza previsto dall’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., dev’essere dedotto, a pena d’inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366, n. 4, c.p.c., non solo con l’indicazione delle norme che si assumono violate ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intellegibili ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendo alla corte regolatrice di adempiere al suo compito istituzionale di verificare il fondamento della lamentata violazione, (onde) risulta, quindi, inidoneamente formulata la deduzione di errori di diritto individuati per mezzo della sola preliminare indicazione delle singole norme pretesamente violate, ma non dimostrati per mezzo di una critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia, operata mediante specifiche e puntuali contestazioni nell’ambito di una valutazione comparativa con le diverse soluzioni prospettate nel motivo e non attraverso la mera contrapposizione di queste ultime a quelle desumibili dalla motivazione della sentenza impugnata» ( ex plurimis , Cass., Sez. I, 29/11/2016, n. 24298).
3.3. La prospettazione ricorrente, sia pur nei limiti anzidetti, manca visibilmente di questi caratteri e si espone alla preclusione rilevata. Non viene illustrato, in particolare, perché la mera riconosciuta validità del contratto avrebbe dovuto comportare l’accertamento dell’inadempimento.
4.1. Il terzo motivo del ricorso principale denuncia la «violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c. in relazione all’art. 345 c.p.c. e agli artt. 1358, 1359 e 1362 c.c. nella parte in cui, qualificata la condizione di cui all’art. 2 del contratto come condizione potestativa mista, il Giudice di merito (nella sentenza di primo grado e di appello) non ha attribuito alle società convenute la responsabilità del suo mancato avveramento, senza valutare la sussistenza dell’obbligo di comportarsi secondo buona fede ex art. 1358 e.e. anche da parte dei promissari acquirenti». Sostengono in sintesi i ricorrenti che «la liberazione dalle ulteriori garanzie prestate dai Sig.ri COGNOME dedotte in contratto quale “condizione” di efficacia del negozio traslativo non si è avverata per causa esclusivamente imputabile alle parti convenute che hanno soltanto “finto” di dare corso ai propri obblighi contrattuali proponendo delle condizioni di “acquisto” del credito garantito, segnatamente quello da vantato da Unicredit (dedotto sub art. 4 del contratto di cessione – doc. 1 di parte ricorrente), a condizioni inaccettabili per l’istituto bancario. . Con il presente motivo di ricorso la parte ricorrente lamenta allora il cattivo governo fatto dal Giudice di merito degli artt. 1358 e 1359 del codice civile perché avrebbe dunque dovuto dare per avverata la condizione di cui si tratta ed accertata la “finzione” di adempimento dell’obbligazione gravante sulle convenute. . Nel richiedere l’adempimento delle obbligazioni gravanti sulla controparte, anche in ragione del disposto dell’art. 1358 e 1359 del codice civile, la parte ricorrente non ha affatto violato il principio del divieto di “nova” in appello ricorrendo al più una differente qualificazione giuridica della richiesta di corretto adempimento dell’obbligazione gravante sulle parti resistenti. Le norme contenute negli artt. 1358 e 1359 c.c., nella scorretta
alterazione della vicenda condizionale imputabile alle società convenute, avrebbero dovuto consentire, se correttamente applicate dal Giudice cli merito, ai Sig.ri COGNOME di realizzare direttamente e immediatamente il proprio interesse, la cessione della quota di controllo della società RAGIONE_SOCIALE verso la liberazione dalle garanzie prestate favore della società, oltre al risarcimento del danno».
4.2. Il motivo non ha pregio e si offre in relazione a ciascuno dei denunciati profili di illegittimità a rilievi parimenti preclusivi.
4.3. Debitamente espunti i richiami figuranti in rubrica a pretese violazione di norme di diritto che si sottraggono pregiudizialmente ad ogni esame per le ragioni cui si è fatto cenno in chiusa del secondo motivo di ricorso, la duplice doglianza in cui si compendia la prospettazione ricorrente, da un lato -nella parte in cui si lamenta la violazione del dovere di buona fede cui è tenuto il soggetto condizionatamente obbligato nell’interesse dell’altro contraente a mente dell’art. 1358 cod. civ. -concreta una critica di puro fatto, non suscettibile di disamina in questa sede dato che il giudizio sulla sussistenza o meno della buona fede importa un apprezzamento di fatto, sottratto al sindacato di legittimità ove sorretto da esauriente motivazione e ispirato a esatti criteri giuridici ( ex plurimis , Cass., Sez. II, 10/09/2019, n. 22585); dell’altro -nella parte in cui si lamenta, con riferimento alla fictio dettata dall’art. 1359 cod. civ., l’erroneità del pronunciamento d’appello che ne avrebbe decretato l’inammissibilità per novità della deduzione, concreta una denuncia del tutto priva di autosufficienza non specificandosi se e quando sia stato allegato il fatto del mancato avveramento della condizione per causa imputabile alla parte avente interesse contrario al suo avveramento ed, in particolare, se e quando sia stato allegato l’interesse contrario all’avveramento.
5.1. Il quarto motivo del ricorso principale denuncia «violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3, n. 4 e n. 5 c.p.c. in relazione agli artt. 112, 115 e 345 c.p.c. e agli artt. 1203, 1218 1362, 1363, 1353, 1358, 1359, 1460 cod. civ. nella parte in cui ha accolto la domanda riconvenzionale proposta da COGNOME». Sostengono, in sintesi, i ricorrenti, censurando il giudizio sviluppato dal decidente per dare conto della confermata statuizione di accoglimento in primo grado della riconvenzionale dispiegata da COGNOME che, siccome pronunciandosi nei riferiti termini la Corte di appello, da un lato, aveva ritenuto di accogliere la domanda perché, stante l’inefficacia dell’accordo di trasferimento delle partecipazioni sociali, era venuta meno anche la rinuncia ad ogni domanda nei confronti dei cedenti e dall’altro, aveva creduto di ravvisare la legittimazione di COGNOME ai sensi dell’art. 1203 cod. civ., essa sarebbe perciò «effettivamente incorsa nel denunciato vizio di extrapetizione concretante la violazione processuale di cui all’evocato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, avendo pronunciato su domande diverse da quelle che erano state invero dedotte ab initio dalle parti ed in ordine alle quali era stata proposta la domanda incidentale dai convenuti (ora resistenti) che avevano formulato domanda riconvenzionale nel giudizio di prime cure».
5.2. Il motivo non ha pregio ed incorre in rilievi pregiudizialmente preclusivi alla sua trattazione. Va premesso che, in violazione dell’art. 366 n. 6 c.p.c., non risulta specificato il fatto costitutivo dedotto con la domanda riconvenzionale.
Quand’anche, invero, si volesse accedere alla tesi impugnante e fosse così superabile l’incontestato dato di fatto che, essendo COGNOME cofideiussore di RAGIONE_SOCIALE, una volta adempiuto l’obbligo corrispondente, per ciò stesso il garante era surrogato nella posizione del creditore per effetto del combinato disposto degli artt.
1203 e 1949 cod. civ., onde sfugge al collegio perché inquadrando la fattispecie in disamina anche sotto questo profilo, il giudice dell’impugnazione fosse incorso nel denunciato vizio di extrapetizione, è più radicalmente assorbente considerare che l’accoglimento della riconvenzionale in questione riposa, nel ragionamento del decidente, non solo su questo argomento, ma anche su altre due affermazioni rimaste pacificamene incensurate vale a dire sul fatto, pure ricordato dai ricorrenti, che l’inefficacia del negozio traslativo travolgeva la rinuncia ad esperire future azioni nei confronti dei cedenti ed, ancora, sul fatto, valorizzato dal decidente, che il credito era stato acquistato da RAGIONE_SOCIALE nel quadro di una cessione pro soluto operata a suo favore dalla banca creditrice.
Ed è perciò appena il caso di ricordare che nel caso in cui la decisione impugnata sia sorretta da una pluralità di rationes decidendi , alcune sole delle quali impugnate, la loro infondatezza non eliderebbe la fondatezza di quelle non impugnate privando di conseguenza l’impugnante dell’interesse all’impugnazione ( ex plurimis , Cass., Sez. I, 18/09/2006, n. 20118).
6.1. Il quinto motivo del ricorso principale lamenta «la violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4 in ordine alla regolazione delle spese di lite». Ciò perché nell’atto di liquidare le spese il decidente non ne avrebbe disposto la compensazione ricorrendo nella specie la reciproca soccombenza delle parti.
6.2. Il motivo è inammissibile poiché, come si insegna abitualmente, in tema di spese processuali, il sindacato della Corte di cassazione è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le stesse non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa, per cui vi esula, rientrando nel potere discrezionale del giudice di merito, la valutazione dell’opportunità di
compensarle in tutto o in parte, sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca che in quella di concorso di altri giusti motivi (Cass., Sez. VI-III, 17/10/2017, n. 24502)
Il ricorso principale va, dunque, respinto. Il ricorso incidentale, in quanto condizionato, resta assorbito.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Ove dovuto sussistono i presupposti per il raddoppio a carico dei ricorrenti principali del contributo unificato ai sensi del dell’art. 13, comma 1quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
Respinge il ricorso principale e dichiara assorbito il ricorso incidentale;
condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in favore di parte resistente in euro 9200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre al 15% per spese generali ed accessori di legge.
Ai sensi del dell’art. 13, comma 1quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti principali, ove dovuto, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
Cosi deciso in Roma nella camera di consiglio della I sezione civile il giorno 23 aprile 2025
Il Presidente Dott. NOME COGNOME