Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 18351 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 18351 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 04/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6226/2019 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME;
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME AVV_NOTAIO
che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di ROMA n. 7922/2018 depositata il 12/12/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 11/06/2024 dal Consigliere NOME COGNOME;
FATTI DI CAUSA
1. RAGIONE_SOCIALE conveniva innanzi al Tribunale di Roma RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE per ivi sentir trasferire in suo favore, ai sensi dell’art. 2932 c.c., le azioni rappresentanti il 25 per cento del capitale sociale di RAGIONE_SOCIALE e per sentir condannare RAGIONE_SOCIALE al risarcimento del danno per il ritardo con cui tale trasferimento era stato eseguito. Chiedeva altresì, nei confronti di RAGIONE_SOCIALE che, previo accertamento della inopponibilità nei suoi confronti della clausola di gradimento contenuta nell’art. 6 dello statuto sociale di quest’ultima, le venisse ordinato di prendere atto del trasferimento delle azioni e di provvedere ai relativi e conseguenti adempimenti.
Deduceva, a fondamento della sua domanda, di aver concluso con RAGIONE_SOCIALE un contratto di compravendita azionaria avente ad oggetto una quota del 25 per cento delle azioni rappresentanti il capitale sociale di RAGIONE_SOCIALE per un corrispettivo di euro 27.000,00 (pari alla differenza tra euro 262.500,00 e l’importo del 25 per cento degli utili distribuiti ai soci in esecuzione della delibera dell’assemblea di RAGIONE_SOCIALE del 28 aprile 2003) . L’ efficacia di tale contratto era sospensivamente condizionata al rilascio, entro il termine di quattro mesi (termine successivamente prorogato al 28
febbraio 2004), da parte di RAGIONE_SOCIALE del suo consenso scritto alla cessione delle suddette azioni. Nonostante le intense trattative intercorse tra le parti anche successivamente allo spirare del termine previsto del 28 febbraio 2004 e nonostante avesse espletato ogni necessaria formalità posta a suo carico, RAGIONE_SOCIALE per il tramite dell’AVV_NOTAIO, non si era più resa disponibile alla conclusione del contratto definitivo di compravendita azionaria.
RAGIONE_SOCIALE costituendosi contestava l’avversa domanda, di cui chiedeva il rigetto, sottolineando che il contratto del 24 settembre 2003 non era mai divenuto efficace a causa del mancato avveramento, nel termine prorogato del 28 febbraio 2004, della condizione sospensiva costituita dal rilascio del consenso alla cessione delle azioni da parte di RAGIONE_SOCIALE,
Si costituiva altresì RAGIONE_SOCIALE che contestava l’avversa domanda, di cui chiedeva il rigetto, sottolineando di essere rimasta estranea al rapporto controverso
Il Tribunale rigettava la domanda attorea.
RAGIONE_SOCIALE proponeva appello avverso la suddetta sentenza.
RAGIONE_SOCIALE E RAGIONE_SOCIALE resistevano al gravame.
La Corte d’Appello di Roma rigettava l’appello evidenziando che dall’esame del contratto del 24 settembre 2003 e segnatamente dall’art. 3 risultava che le parti avessero espressamente stabilito che « Il closing avverrà entro venti giorni dal ricevimento del consenso scritto di RAGIONE_SOCIALE alla cessione della quota, purché tale consenso – il cui rilascio entro quattro mesi da oggi deve intendersi ad ogni effetto quale condizione sospensiva dell’efficacia del presente contratto …».
Risultava ancora dall’esame della nota del 22 gennaio 2004, sottoscritta da entrambe le parti che queste ultime avevano concordemente stabilito di prorogare il termine per l’ avveramento della condizione dal 24 gennaio al 28 febbraio 2004. Era, quindi, incontestato che l’evento dedotto in condizione non si fosse verificato neppure nel termine prorogato, tanto che ancora a luglio del 2004 erano in corso trattative tra le parti (trattative che evidentemente, presupponevano logicamente che il contratto non si fosse concluso).
Il Tribunale di Roma, una volta accertato che la condizione sospensiva non si era avverata neppure nel termine prorogato, aveva correttamente concluso che il contratto del 24 settembre 2003 non era mai divenuto efficace.
Non era fondata la tesi dell’appellante secondo cui le parti quanto meno in modo tacito e per comportamenti concludenti avevano rinunciato alla condizione a suo tempo apposta al contratto medesimo o avevano inteso prorogarne il termine di avveramento per tutto il tempo necessario. Nessuno dei documenti prodotti dall’appellante deponeva in tal senso.
Come affermato dal primo giudice, in mancanza di una prova certa ed univoca d ell’avveramento della condizione apposta dalle parti, il contratto del 24 settembre 2003 non aveva mai acquistato efficacia.
Non si poteva sostenere che tale condizione si fosse avverata ai sensi dell’art. 1359 c.c. non essendovi prova che, nel periodo precedente la scadenza del termine, RAGIONE_SOCIALE avesse tenuto un comportamento pregiudizievole delle ragioni di RAGIONE_SOCIALE incombendo sul creditore l’onere di dimostrare che il mancato
avveramento era stato causato da un comportamento imputabile a titolo di dolo o di colpa al debitore della prestazione (così Cass. n. 5492/10; cfr. altresì in tal senso Cass. n. 25422/ 14 e Cass. n. 16501/14), esclusa invece la eventuale rilevanza di comportamenti successivi alla scadenza del 28 febbraio 2004.
L’ appellante, infatti, non era stata in grado di indicare quali concreti comportamenti tenuti da RAGIONE_SOCIALE avessero impedito il verificarsi della condizione, tenuto altresì conto che sempre a norma del citato art. 1359 c.c., l’avveramento della condizione non era riscontrabile in un semplice comportamento inattivo ma presupponeva in ogni caso la dimostrazione che la parte che non aveva interesse all’avveramento della condizione avesse tenuto una condotta dolosa o colposa maliziosamente preordinata ad impedire il suo verificarsi (così Cass. n. 8843/13, Cass. n. 8363/03 e Cass. n. 7377/96), salvo che il comportamento inattivo non costituisse violazione di un obbligo di agire imposto dal contratto o dalla legge.
Del tutto irrilevante era, infine, la circostanza che il vincolo di inalienabilità delle azioni medesime fosse venuto meno successivamente non essendo dimostrato che le cosiddette trattative tra le parti si erano protratte oltre il settembre 2004 (data delle ultime comunicazioni scambiate dalle parti) quando non era ancora venuto meno il vincolo di inalienabilità delle azioni, stabilito dall’art. 12 del contratto concluso il 9 maggio 2002 tra RAGIONE_SOCIALE ed RAGIONE_SOCIALE, espressamente richiamato nel contratto del 24 settembre 2003 e di cui l’acquirente aveva dichiarato essere a conoscenza.
Di conseguenza dovevano essere rigettate anche le richieste risarcitorie e restitutorie riproposte da RAGIONE_SOCIALE.
RAGIONE_SOCIALE, ha proposto ricorso avverso la suddetta sentenza.
RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE oggi RAGIONE_SOCIALE hanno resistito con controricorso
Le parti, con memoria depositata in prossimità dell’udienza , hanno insistito nelle rispettive richieste.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso è così rubricato: Carenza di motivazione Violazione dell’art. 132 , secondo comma, n. 4, c.p.c. in relazione all’art. 360 , primo comma, n. 4, c.p.c.
La ricorrente aveva dedotto con i motivi di appello che i comportamenti riferibili ad RAGIONE_SOCIALE nel periodo successivo al 28.2.2004 dovevano considerarsi nel loro significato negoziale, che l’inutile decorso d el termine di avveramento della condizione non aveva in realtà determinato l’inefficacia del contratto , avendo infatti le parti – sia pure solo in via tacita e per fatti concludenti inteso prorogare il termine di avveramento della condizione fin quando non fossero state adempiute le formalità necessarie per rendere operativo il consenso di RAGIONE_SOCIALE sostanzialmente già accordato.
La ricorrente ripercorre tutti gli elementi in base ai quali sarebbe erronea la decisione di ritenere definitivamente inefficace il contratto a causa dal puro e semplice decorso del termine prorogato del 28.2.2004 con ciò incongruamente privando di senso (e di qualsivoglia peraltro inevitabile implicazione interpretativa inutilmente evocata da RAGIONE_SOCIALE) tutto il cospicuo affaccendarsi
delle parti e soprattutto del legale di RAGIONE_SOCIALE, dal marzo 2004 in poi, allo scopo di ottenere il consenso di RAGIONE_SOCIALE.
La sentenza, inoltre, sarebbe viziata per carenza di motivazione non essendo possibile ricostruire il percorso logicogiuridico della decisione.
In particolare parte ricorrente pone l’accento sulla comunicazione del 5.3.2004 mediante la quale l’AVV_NOTAIO, nel rispondere alle sollecitazioni al riguardo dell’AVV_NOTAIO, segnalava l’inutilità della formalizzazione di un secondo atto di proroga (‘visto che è in corso l’ iter RAGIONE_SOCIALE a seguito di lettera precedente al 28 febbraio’) e semplificava le cose dicendo ‘attendiamo direttamente l’esito e procediamo poi di conseguenza dando attuazione allo stesso e la comunicazione del 3.5.2004 ( supra , pag. 6, punto 3.c, doc. n. 6) con la quale RAGIONE_SOCIALE aveva ribadito il proprio benestare all’operazione previo rilascio della nota lettera di impegni richiesti a controparte con ciò confermando che ‘a quella data il consenso di RAGIONE_SOCIALE non era stato acquisito pienamente.
1.1 Il primo motivo di ricorso è inammissibile.
La censura proposta come vizio di motivazione è inammissibile. Questa Corte a sezioni unite ha chiarito che dopo la riforma dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., operata dalla legge 134/2012, il sindacato sulla motivazione da parte della cassazione è consentito solo quando l’anomalia motivazionale si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; in tale prospettiva detta
anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (cfr. Cass. Sez. un. 8053/2014); – nel caso di specie, la grave anomalia motivazionale non esiste, perché la Corte d’Appello ha sufficientemente motivato sia in relazione alle ragioni per le quali ha ritenuto che il contratto era rimasto inefficace a seguito del mancato avverarsi della condizione sospensiva, sia in relazione alle ragioni per le quali la condizione non poteva ritenersi come avverata ex art. 1359 c.c..
In sostanza ciò che la ricorrente richiede è un’inammissibile rivalutazione in fatto degli elementi istruttori al fine di ritenere dimostrato che le parti avevano ritenuto di prorogare il termine per l’avveramento della condizione. Se, infatti, la proroga del termine per l’avverarsi della condizione può essere desunta anche da fatti concludentia , tuttavia, nel caso di specie con giudizio non sindacabile da questa Corte, tanto il Tribunale che la Corte d’Appello hanno escluso che dall’istruttoria espletata e dai documenti prodotti dalla ricorrente la proroga potesse ritenersi provata vedi pag. 10 e ss. della sentenza.
In altri termini, ciò che si richiede è in sostanza di ricavare la volontà contrattuale delle parti da loro comportamenti concludenti, e tuttavia, in tema di ermeneutica contrattuale, l’accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto del negozio si traduce in una indagine di fatto, affidata al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità solo nell’ipotesi di violazione dei canoni legali d’interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 e seguenti c.c. Ne
Ric. 2019 n. 6226 sez. S2 – ud. 11/06/2024
consegue che il ricorrente per cassazione deve non solo fare esplicito riferimento alle regole legali d’interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamene violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai richiamati canoni legali (Vedi Cass. n. 17168 del 2012; n. 27136 del 2017 e n. 873 del 2019).
In conclusione, deve ribadirsi che qualora le parti, come nella specie, abbiano sospensivamente condizionato il contratto al verificarsi di un evento, indicando nel reciproco interesse il termine entro il quale esso possa utilmente avverarsi, il contratto deve considerarsi inefficace per il mancato avveramento della condizione dal momento in cui sia decorso inutilmente il suddetto termine (Sez. 2, Sentenza n. 19146 del 23/09/2004, Rv. 577322 – 01).
Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: Non corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato Violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 , primo comma, n. 4, c.p.c.
Il giudice dell’appello ha risposto – respingendola – ad una domanda diversa da quella che RAGIONE_SOCIALE aveva formulato con i suoi motivi di gravame. L’appellante aveva chiesto di applicare l’art. 1359 c.c. ai comportamenti tenuti da controparte dopo il 28.2.2004 e la Corte ha respinto tale domanda perché è mancata la prova di comportamenti riferibili ad RAGIONE_SOCIALE per il periodo anteriore.
2.1 Il secondo motivo di ricorso è infondato.
La Corte ha esaminato complessivamente le clausole contrattuali e il comportamento delle parti e ha escluso l’applicabilità dell’art.1359 c.c.
In particolare, la Corte, al contrario di quanto afferma la ricorrente, ha esaminato il comportamento delle parti successivo
allo spirare del termine per l’avveramento della condizione e ha escluso che da quanto emerso potesse ricavarsi una volontà di prorogare il suddetto termine per tutto il tempo necessario o addirittura una volontà implicita di rinuncia alla condizione.
D’altra parte, una volta escluso che le parti sulla base di fatti concludenti abbiano ritenuto di prorogare il termine o di rinunciare alla condizione, il comportamento rilevante ai sensi degli artt. 1358 e 1359 c.c. non può che essere quello antecedente. Infatti, una volta divenuto inefficace il contratto, pur nell’immanenza dell’obbligo di buona fede nel comportamento delle parti che caratterizza tutte le fasi negoziali antecedenti e successive la conclusione del contratto non può più farsi applicazione della fictio di avveramento della condizione.
In caso di contratto sospensivamente condizionato al verificarsi di un certo evento entro un determinato termine, l’obbligo di comportarsi secondo buona fede ai sensi dell’art. 1358 c.c. sussiste fino alla scadenza del termine entro il quale è possibile il verificarsi della condicio facti , non potendosi attribuire alcuna rilevanza al comportamento della parte successivo allo scadere del termine.
In ogni caso, come si è detto, la Corte d’Appello ha tenuto conto dell’intera vicenda negoziale , esaminando le condotte delle parti contrattuali sia prima che dopo lo scadere del termine e dunque risulta evidente che la censura di non corrispondenza tra chiesto e pronunciato è del tutto destituita di fondamento così come quella di omessa pronuncia.
Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: Violazione dell’art. 1359 c.c. in relazione all’art. 360 , primo comma, n. 3, c.p.c.
Ric. 2019 n. 6226 sez. S2 – ud. 11/06/2024
Il rifiuto di consegnare la lettera di impegni richiesta da RAGIONE_SOCIALE per emettere il consenso all’operazione ha determinato il mancato rilascio del consenso al quale RAGIONE_SOCIALE si era dichiarata pronta (e quindi il mancato avveramento della condizione) che dunque sarebbe dipeso esclusivamente dall’indebito rifiuto di RAGIONE_SOCIALE e dei suoi soci ad emettere la lettera di impegni richiesta dalla stessa RAGIONE_SOCIALE.
La Corte del merito avrebbe errato nel negare rilievo per tali fini al ‘semplice comportamento inattivo’ ipotizzato a carico di RAGIONE_SOCIALE perché la giurisprudenza, del tutto consolidata, considera significativo allo scopo anche il comportamento inattivo od omissivo il quale consista – come nel caso ‘in una condotta dolosa o colposa, in una maliziosa preordinazione del fatto impeditivo ovvero in una azione od omissione cosciente e volontaria che si ponga in contrasto con il principio della correttezza e della buona fede’.
3.1 Il terzo motivo di ricorso è infondato.
La sentenza impugnata nell’interpretazione e applicazione dell’art.1359 c.c. è conforme alla giurisprudenza di legittimità mancando tutti i presupposti per ritenere avverata la condizione.
Nella specie, infatti l’avveramento della condizione dipendeva dalla volontà di un soggetto terzo e, dunque, non vi era alcun obbligo di attivarsi in capo a RAGIONE_SOCIALE per ottenere il consenso di RAGIONE_SOCIALE, se non nei limiti del comportamento secondo buona fede ex art. 1358 c.c.
La Corte d’Appello ha escluso che il mancato consenso di RAGIONE_SOCIALE possa casualmente ricollegarsi ad un comportamento imputabile, a titolo di dolo o di colpa, a RAGIONE_SOCIALE. Anche in questo
caso parte ricorrente richiede una diversa valutazione in ordine al comportamento di RAGIONE_SOCIALE al fine di affermare che il mancato avverarsi della condizione sia ad essa imputabile. In altri termini nessuna violazione di obblighi di buona fede può riscontrarsi nel comportamento della promissaria venditrice, sicché il mancato consenso di RAGIONE_SOCIALE ha comportato le conseguenze previste in contratto, senza che rilevi, ai sensi dell’art. 1359 c.c., un eventuale comportamento omissivo di RAGIONE_SOCIALE che non aveva alcun obbligo specifico di attivarsi e che non ha posto alcun ostacolo alla prestazione del consenso della società terza per rimuovere il vincolo di inalienabilità. Infatti, la richiesta di un’ulteriore garanzia a carico di RAGIONE_SOCIALE per consentire la vendita delle azioni non era prevista in contratto e non può ritenersi rientrare tra gli obblighi a suo carico in pendenza della condizione.
Peraltro, ai fini dell’applicazione dell’art. 1359 c.c. non è in alcun modo dimostrato che RAGIONE_SOCIALE avesse un interesse contrario all’avveramento della condizione ; infatti, la condizione può ritenersi apposta nell’interesse di uno solo dei contraenti solo in presenza di una clausola espressa in tal senso o di elementi che inducano a ritenere che l’altra parte non abbia alcun interesse al suo verificarsi . In proposito occorre ribadire che: Nell’ipotesi di negozio condizionato, per l’operatività dell’art. 1359 cod. civ., in virtù del quale la condizione si considera avverata qualora sia mancata per causa imputabile alla parte che aveva interesse contrario al suo avveramento, è necessaria la sussistenza di una condotta dolosa o colposa di detta parte, non riscontrabile nel caso di mero comportamento inattivo, salvo che questo non costituisca
violazione di un obbligo di agire imposto dal contratto o dalla legge (Sez. L, Sentenza n. 8843 del 11/04/2013, Rv. 625915 – 01).
Il ricorso è rigettato.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo tenuto conto che in ipotesi di difesa di più parti aventi identica posizione processuale e costituite con lo stesso avvocato, è dovuto un compenso unico senza che rilevi la circostanza che il comune difensore abbia presentato distinti atti difensivi.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater D.P.R. n. 115/02, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità nei confronti delle parti controricorrenti che liquida unitariamente in euro 8000, più 200 per esborsi, oltre al rimborso forfettario al 15% IVA e CPA come per legge;
ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, I. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto;
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ Sezione civile in data 11 giugno 2024.
IL PRESIDENTE NOME COGNOME