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Condizione potestativa: quando il contratto è valido?

La Cassazione conferma la condanna al pagamento di un compenso professionale, nonostante il mancato avveramento della condizione sospensiva del rilascio del permesso di costruire. La Corte ha ritenuto che la condizione fosse meramente potestativa e che il suo mancato avveramento fosse imputabile alla parte debitrice, che non ha mai richiesto il permesso. Di conseguenza, la condizione si considera come avverata.

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Condizione Potestativa: Obbligo Nullo o Obbligo di Buona Fede?

Un recente provvedimento della Corte di Cassazione offre importanti chiarimenti sulla validità degli accordi subordinati a una condizione potestativa, ovvero una clausola il cui avveramento dipende dalla volontà di una delle parti. La questione centrale è: quando l’inerzia della parte che dovrebbe attivarsi per far avverare la condizione rende comunque esigibile la prestazione? La Suprema Corte ha confermato che l’obbligo di agire secondo buona fede prevale, impedendo di eludere i propri impegni contrattuali.

I Fatti di Causa

La vicenda trae origine da un debito per prestazioni professionali non saldate. Per risolvere la controversia, un ingegnere e gli eredi del suo debitore stipulavano una transazione. L’accordo prevedeva che, in cambio della rinuncia al credito originario, gli eredi avrebbero affidato al professionista un nuovo incarico: la progettazione di un complesso di villette a schiera.

Il pagamento del compenso per questo nuovo incarico, pari a 56.000 euro, era subordinato a una condizione sospensiva: il rilascio del permesso di costruire da parte del Comune. L’ingegnere completava la sua prestazione, redigendo il progetto che veniva regolarmente approvato dal Consiglio Comunale. Tuttavia, gli eredi committenti non presentavano mai la domanda per ottenere il permesso di costruire, impedendo di fatto l’avveramento della condizione e, di conseguenza, negando il pagamento al professionista.

La Decisione della Corte d’Appello sul concetto di Condizione Potestativa

Mentre il Tribunale di primo grado aveva respinto la domanda dell’ingegnere, ritenendo semplicemente non avverata la condizione, la Corte d’Appello ha ribaltato la decisione. I giudici di secondo grado hanno qualificato la clausola come una condizione potestativa, poiché il suo verificarsi (il rilascio del permesso) dipendeva da un’iniziativa che solo i committenti potevano intraprendere (la presentazione della domanda).

La Corte ha ritenuto che l’inerzia degli eredi, i quali avevano l’obbligo di attivarsi, costituisse un comportamento contrario a buona fede. Tale comportamento era finalizzato unicamente a sottrarsi all’obbligo di pagamento. Di conseguenza, la Corte d’Appello ha applicato il principio della “finzione di avveramento” previsto dall’art. 1359 del Codice Civile, considerando la condizione come se si fosse verificata, e ha condannato gli eredi al pagamento dell’intero compenso.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

Gli eredi hanno impugnato la sentenza d’appello dinanzi alla Corte di Cassazione, basando il loro ricorso su quattro motivi principali:
1. Errata applicazione dell’art. 1355 c.c.: Sostenevano che, se la condizione era meramente potestativa, l’intera obbligazione di pagamento avrebbe dovuto essere dichiarata nulla, non solo la condizione.
2. Errata applicazione dell’art. 1359 c.c.: Affermavano che l’onere di predisporre e presentare la domanda di permesso di costruire gravasse sul professionista e non su di loro, quindi non poteva essergli imputato alcun comportamento ostativo.
3. Omesso esame di un fatto decisivo: Lamentavano che la Corte non avesse considerato una lettera in cui l’ingegnere avrebbe ammesso che il progetto era fermo in attesa di un acquirente per i terreni.
4. Violazione delle norme sul compenso professionale: Argomentavano che, anche ammettendo la finzione di avveramento, il compenso non poteva essere riconosciuto per intero, dato che il professionista aveva svolto solo una parte dell’attività commissionata (la progettazione preliminare).

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, respingendo tutte le censure sollevate. La Corte ha chiarito che i motivi del ricorso miravano, in realtà, a ottenere un nuovo esame dei fatti, un’attività preclusa in sede di legittimità. I giudici del merito avevano già accertato, con una valutazione non sindacabile, che l’obbligo di presentare la domanda per il permesso di costruire incombeva sui committenti e che la loro inerzia era stata determinante e contraria a buona fede.

La Suprema Corte ha ribadito che la contestazione dell’interpretazione di una clausola contrattuale deve specificare quali canoni ermeneutici siano stati violati, cosa che i ricorrenti non avevano fatto. Inoltre, per quanto riguarda il presunto omesso esame della lettera, i ricorrenti avevano violato il principio di autosufficienza del ricorso, non riproducendo il contenuto del documento e non indicandone la precisa collocazione processuale. Questo ha impedito alla Corte di valutarne la rilevanza e la decisività.

Infine, anche la censura relativa alla quantificazione del compenso è stata giudicata un tentativo di rimettere in discussione l’accertamento di fatto compiuto dalla Corte d’Appello, la quale aveva ritenuto eseguita la prestazione dovuta in base agli accordi transattivi.

Le Conclusioni

L’ordinanza in esame rafforza un principio fondamentale del diritto dei contratti: il dovere di buona fede nell’esecuzione delle obbligazioni. Non è possibile inserire una condizione in un contratto e poi, con la propria inazione, impedirne l’avveramento al solo scopo di sottrarsi ai propri impegni. In tali casi, la legge interviene con la finzione di avveramento, tutelando la parte che ha agito correttamente e che avrebbe avuto diritto alla controprestazione. La decisione sottolinea inoltre il rigore formale del giudizio di cassazione, che non consente di riesaminare le valutazioni di fatto compiute nei gradi di merito, ma solo di controllare la corretta applicazione delle norme di diritto.

Quando una condizione sospensiva si considera “meramente potestativa”?
Una condizione è meramente potestativa quando il suo avveramento dipende da una specifica iniziativa che solo una delle parti può assumere (in questo caso, la richiesta del permesso di costruire da parte dei committenti), e non dal mero arbitrio di quest’ultima. Il suo mancato avveramento per inerzia della parte obbligata ad agire è contrario a buona fede.

Cosa succede se una parte impedisce volontariamente l’avveramento di una condizione?
Secondo l’articolo 1359 del Codice Civile, la condizione si considera avverata (principio della “finzione di avveramento”) qualora sia mancata per causa imputabile alla parte che aveva un interesse contrario al suo avveramento. Di conseguenza, il contratto diventa pienamente efficace e la prestazione diventa esigibile.

Perché la Cassazione può dichiarare un ricorso inammissibile senza esaminare il merito della questione?
La Corte di Cassazione dichiara un ricorso inammissibile quando questo non rispetta i requisiti di legge. Ad esempio, quando le censure sollevate non denunciano una violazione di legge ma tendono a un riesame dei fatti già accertati dai giudici di merito, oppure quando il ricorso viola il principio di autosufficienza, omettendo di riportare elementi essenziali (come il contenuto di un documento) per la decisione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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