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Condanna alle spese: quando l’erede paga in giudizio

La Corte di Cassazione ha stabilito che la condanna alle spese processuali è legittima nei confronti dell’erede che, pur essendo stato chiamato in giudizio da terzi, si costituisce e prende una posizione processuale risultata poi perdente. Nel caso specifico, l’erede del liquidatore di una società aveva chiesto la conferma della sentenza di primo grado, che è stata poi riformata in appello. La Suprema Corte ha chiarito che tale condotta, a prescindere dalle modalità di ingresso nel processo, qualifica l’erede come parte soccombente, giustificando l’addebito dei costi legali.

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Condanna alle Spese: Quando l’Erede Paga Anche se Chiamato in Causa

Il principio della soccombenza, secondo cui chi perde paga, è una colonna portante del nostro sistema processuale. Ma cosa accade quando una parte non avvia la causa ma vi viene trascinata, come nel caso di un erede chiamato a proseguire un giudizio? Un’ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce che la condanna alle spese non dipende da come si entra nel processo, ma dalla posizione che si assume al suo interno. Se l’erede si difende attivamente e le sue richieste vengono respinte, è giusto che paghi le spese legali.

I Fatti del Processo

La vicenda ha origine da una causa intentata da una società di produzione cinematografica contro una società di factoring. Il tribunale di primo grado aveva dato ragione alla società di produzione, annullando delle cessioni di credito e condannando la società di factoring a un cospicuo risarcimento.

Durante il giudizio d’appello, la situazione si complica: la società appellante viene dichiarata fallita e il processo viene proseguito dal curatore fallimentare. Nel frattempo, decede anche il liquidatore della società di produzione. Di conseguenza, il curatore fallimentare riassume il processo nei confronti dell’erede del liquidatore, la vedova, chiamandola a partecipare al giudizio.

La Corte d’Appello ribalta la decisione di primo grado, dando ragione al fallimento e condannando la società di produzione a pagare una somma ingente. Inoltre, dichiara inammissibile l’intervento dell’erede e la condanna a rifondere le spese di lite all’appellante.

La questione della condanna alle spese in Cassazione

L’erede ha impugnato la decisione davanti alla Corte di Cassazione, sostenendo di non dover pagare le spese per diversi motivi. In sintesi, la sua tesi era: “Non ho iniziato io la causa, sono stata chiamata in giudizio. La mia costituzione era un atto dovuto e tempestivo, non un intervento autonomo. Pertanto, la condanna alle spese è ingiusta”. Sosteneva, inoltre, che avrebbe dovuto essere il fallimento, che l’aveva coinvolta, a farsi carico dei costi.

Le Motivazioni della Corte

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, confermando la condanna alle spese a carico dell’erede, sebbene con una motivazione parzialmente diversa da quella della Corte d’Appello.
Il punto centrale, secondo la Suprema Corte, non è stabilire se l’atto di costituzione dell’erede fosse un “intervento” tardivo o una rituale risposta a una chiamata in causa. Il fattore decisivo è la condotta processuale tenuta dall’erede una volta entrata nel processo.

L’erede non si è limitata a una partecipazione passiva, ma ha preso una posizione netta: ha chiesto la conferma della sentenza di primo grado, che era favorevole alla società del defunto marito, e quindi il rigetto dell’appello. Agendo in questo modo, ha sposato una tesi processuale che è risultata perdente. La Corte d’Appello, infatti, ha completamente riformato la prima sentenza.

In base al principio di soccombenza (articolo 91 del codice di procedura civile), la parte le cui domande o difese vengono respinte è tenuta a rimborsare le spese alla controparte. Poiché l’erede ha chiesto il rigetto dell’appello e l’appello è stato accolto, essa è a tutti gli effetti una parte soccombente.

Conclusioni

L’ordinanza ribadisce un principio fondamentale: nel processo civile, si risponde delle proprie scelte difensive. Anche chi viene chiamato in causa da altri, come un erede, nel momento in cui assume una posizione attiva e si oppone alle richieste della controparte, si assume il rischio della soccombenza. La condanna alle spese diventa quindi la naturale conseguenza della sconfitta processuale, a prescindere dal fatto che non sia stato l’attore iniziale del giudizio. La decisione serve da monito: ogni parte processuale, a prescindere dal suo ruolo, deve attentamente valutare le proprie strategie, poiché una difesa attiva che si rivela infondata comporta precise responsabilità economiche.

Un erede, chiamato in un processo d’appello, può essere condannato a pagare le spese legali?
Sì, secondo questa ordinanza, l’erede può essere condannato alle spese se, una volta costituito in giudizio, assume una posizione processuale attiva (come chiedere il rigetto dell’appello) che viene poi respinta dal giudice.

Cosa determina la condanna alle spese in un processo?
La condanna alle spese è determinata dal principio della soccombenza. Ciò significa che la parte le cui domande, difese o eccezioni vengono rigettate dal giudice è considerata la parte perdente e, di regola, deve rimborsare le spese legali sostenute dalla parte vincitrice.

Il modo in cui una parte entra nel processo (ad esempio, per chiamata di un terzo) influisce sulla condanna alle spese?
No, ai fini della condanna alle spese, non è determinante il modo in cui una parte entra nel processo. Ciò che conta è la sua condotta processuale. Se una parte, anche se chiamata in causa, prende una posizione attiva che risulta soccombente, può essere condannata a pagare le spese.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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