Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 9338 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 9338 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 09/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 1040/2022 R.G. proposto da : COGNOME NOMECOGNOME domiciliata presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOMECODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro RAGIONE_SOCIALE COGNOME RAGIONE_SOCIALE
-intimati- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO BOLOGNA n. 1667/2021 depositata il 30/6/2021;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 7/2/2025 dal Consigliere NOME COGNOME:
Rilevato che:
Per quanto qui interessa, RAGIONE_SOCIALE conveniva davanti al Tribunale di Parma RAGIONE_SOCIALE perché fosse accertata l’insussistenza di crediti e fosse condannata a risarcirle danni.
La convenuta si costituiva, resistendo e, in via riconvenzionale, chiedendo la condanna di controparte al pagamento di un debito nei propri confronti; autorizzata, chiamava poi in causa RAGIONE_SOCIALE Successivamente si costituiva RAGIONE_SOCIALE quale mandataria di RAGIONE_SOCIALE, che aveva incorporato la convenuta.
Il Tribunale, con sentenza n. 1142/2011, accogliendo le domande attoree, annullava per dolo le cessioni di credito effettuate dall’attrice alla convenuta nell’ambito di contratto di factoring, e condannava la convenuta a risarcire controparte nella misura di euro 2.513.372,45; rigettava la domanda riconvenzionale della convenuta.
RAGIONE_SOCIALE, quale mandataria di RAGIONE_SOCIALE, proponeva appello, cui resistevano sia RAGIONE_SOCIALE sia RAGIONE_SOCIALE. Nelle more del giudizio di secondo grado era dichiarato il fallimento di RAGIONE_SOCIALE per cui, venuto meno il mandato a RAGIONE_SOCIALE, si costituiva il fallimento stesso; diventava parte processuale pure tale NOME COGNOME che si presentava come vedova ed erede di NOME COGNOME, legale rappresentante e liquidatore di RAGIONE_SOCIALE, chiedendo la conferma della sentenza di primo grado.
La Corte d’appello di Bologna, con sentenza n. 1667/2021, sempre per quanto qui interessa, accoglieva l’appello, condannando RAGIONE_SOCIALE a corrispondere al fallimento la somma di euro 2.035.732,62 oltre interessi, rigettava le domande di RAGIONE_SOCIALE e dichiarava inammissibile quello che definiva
‘intervento’ di NOME COGNOME condannandola a rifondere spese di lite all’appellante.
NOME COGNOME ha presentato ricorso sulla base di quattro motivi; nessuno degli intimati si è difeso.
Considerato che:
Con il primo motivo la ricorrente denuncia, ex articolo 360, primo comma, n.3 c.p.c., violazione e/o falsa applicazione degli articoli 347, 166 e 167 c.p.c.
Durante il giudizio di appello RAGIONE_SOCIALE era stata dichiarata fallita e il Fallimento RAGIONE_SOCIALE aveva riassunto il processo nei confronti di RAGIONE_SOCIALE e nei confronti del liquidatore di RAGIONE_SOCIALE, cioè NOME COGNOME essendo risultato che quest’ultimo era deceduto, il Fallimento RAGIONE_SOCIALE indirizzava l’istanza di riassunzione e il relativo decreto del giudice d’appello -che aveva fissato per la prosecuzione l’udienza del 14 aprile 2020 – alla vedova COGNOME quale ‘moglie ed erede’ del suddetto, venuto meno il 24 ottobre 2013, ‘socio unico e liquidatore’ di RAGIONE_SOCIALE in liquidazione cancellata dal Registro delle Imprese il 23 luglio 2013; e così faceva anche nei confronti del di lui figlio NOME COGNOME
NOME COGNOME si costituiva il 10 luglio 2021 (per l’emergenza sanitaria all’udienza del 14 aprile 2020 era stata frattanto rinviata), a suo dire ritualmente e tempestivamente. Pertanto il giudice d’appello incorrerebbe in errore laddove dichiara che la sua fu una costituzione tardiva: sarebbero stati quindi violati gli articoli 347, 166 e 167 c.p.c., e non sarebbe stata rispettata la giurisprudenza di legittimità. Ne deriverebbe che la ricorrente non avrebbe dovuto essere condannata a rifondere spese di lite.
Con il secondo motivo la ricorrente denuncia, ex articolo 360, primo comma, n.3 c.p.c., violazione o falsa applicazione degli articoli 105, 106, 107, 344 e 110 c.p.c.
In sintesi, si afferma che l’attuale ricorrente non era intervenuta autonomamente: il Fallimento RAGIONE_SOCIALE aveva notificato il
ricorso/decreto di riassunzione a NOME COGNOME ma era avvenuto quanto esposto nel motivo precedente. Pertanto NOME COGNOME si sarebbe costituita ‘regolarmente in giudizio a seguito di vocatio in ius da parte del Fallimento’, e non avrebbe effettuato alcun intervento autonomo. Quindi non avrebbe tenuto un comportamento che il giudice d’appello ‘avrebbe potuto sanzionare … con la condanna alle spese’, a rifondere le quali avrebbe dovuto invece essere condannato il fallimento ‘per avere esteso il giudizio’ all’attuale ricorrente.
Con il terzo motivo la ricorrente denuncia, ex articolo 360, primo comma, n.3 c.p.c., violazione o falsa applicazione dell’articolo 91 c.p.c.
Afferma il giudice d’appello: ‘Le spese seguono la soccombenza, anche in parte minimale in capo alla interveniente, avendo comunque costretto la controparte ad esercitare attività difensiva, almeno nelle comparse finali’ (così effettivamente si rinviene nella motivazione della sentenza, a pagina 14).
Oppone la ricorrente che, invece, ‘è agli atti che il RAGIONE_SOCIALE non ha svolto la benché minima attività difensiva’ nei confronti di NOME COGNOME onde la sua condanna alle spese si troverebbe senza ‘fondamento giuridico’. E ‘ad ogni modo … fu il Fallimento costringere’ la ricorrente ‘a svolgere attività processuale’ quando le ‘estese il giudizio’. Quindi NOME COGNOME non potrebbe ritenersi soccombente ai sensi dell’articolo 91 c.p.c., essendosi ‘costituita in giudizio -peraltro tempestivamente … -solo in ragione della riassunzione della causa nei suoi confronti da parte del Fallimento’.
Con il quarto motivo la ricorrente denuncia, ex articolo 360, primo comma, n.3 c.p.c., violazione o falsa applicazione dell’articolo 81 c.p.c.
A proposito dell’assenza di ‘soggettività giuridica legata alla persona fisica del Liquidatore’ NOME COGNOME Rota la motivazione della
sentenza sarebbe ‘incompiuta e parziale’, poiché se quest’ultimo ‘è stato ritenuto privo di soggettività giuridica, in quanto non titolare dei diritti e doveri facenti invece capo ad una società di capitali … priva della stessa doveva essere ritenuta altresì la moglie … in qualità di erede’; conseguentemente la corte territoriale avrebbe commesso violazione o falsa applicazione dell’articolo 81 c.p.c.
5. I motivi meritano vaglio congiunto: tramite vari profili, infatti, la ricorrente chiede di essere esonerata dalla condanna alle spese processuali disposta dal giudice d’appello.
La corte felsinea, nelle pagine 3-4 della sentenza, osserva che nelle more del giudizio d’appello SHTF veniva dichiarata fallita ‘ed il processo veniva riassunto dal Fallimento RAGIONE_SOCIALE‘; successivamente ‘all’udienza di trattazione interveniva COGNOME in qualità di coniuge del legale rappresentante e liquidatore di Milano RAGIONE_SOCIALE ‘deceduto, come da certificato prodotto, in data 24/10/13, chiedendo la conferma della sentenza’.
Quando, più avanti (pagine 13-14), offre la motivazione stricto sensu , la corte qualifica inammissibile quello che definisce ‘intervento’ dell’attuale ricorrente, costituitasi come sopra detto ‘chiedendo la conferma’: ‘mancando l’allegazione di un qualsiasi titolo, anche successorio della comparente, la quale si limita ad allegare la qualità di <>, ed escluso comunque ogni presupposto che l’interruzione del processo per morte della parte, atteso che il COGNOME era legale rappresentante di una società di capitali ed in seguito Liquidatore …, il che comunque non viene a creare una soggettività giuridica legata alla persona fisica del Liquidatore, si tratterebbe, in sostanza, di un mero intervento adesivo privo di interesse giuridicamente rilevante e comunque tardivo, dal che l’inammissibilità dello stesso’.
Come si è visto, quindi, lo stesso giudice d’appello riconosce, nella esposizione dei fatti processuali, che NOME COGNOME si era costituita producendo certificato di morte di NOME COGNOME.
Tuttavia, è chiaro che ciò non è dirimente, sia perché sarebbe stato necessario produrre un certificato sullo stato di famiglia attestante che l’attuale ricorrente era la coniuge di quest’ultimo, sia perché, appunto, NOME COGNOME era in giudizio in qualità di organo della società a responsabilità limitata.
Sostiene la ricorrente che si trattava di una società a responsabilità limitata a socio unico, e che il socio unico era proprio NOME COGNOME. Ciò non risulta accertato dalla sentenza impugnata, che neanche menziona una simile questione. Peraltro, anche se così fosse – e che fosse stata la società cancellata dal Registro delle Imprese (si veda ricorso, pagine 17 e 22) -, NOME COGNOME anche se l’avesse provato, e avesse pure provato di essere l’erede del socio unico della società a sua volta venuta meno, avrebbe dovuto essere comunque condannata a rifondere le spese come soccombente sulla base di una mera correzione motivazionale in questa sede, giacché ella aveva chiesto la conferma della sentenza di primo grado ovvero il rigetto dell’appello.
6. Il ricorso va pertanto rigettato; non vi è luogo a pronuncia sulle spese.
Seguendo l’insegnamento di S.U. 20 febbraio 2020 n. 4315 si dà atto, ai sensi dell’articolo 13, comma 1 quater, d.p.r. 115/2012, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’articolo 13, comma 1 quater, d.p.r. 115/2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari
a quello per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma il 7 febbraio 2025