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Concorso di colpa: la banca risponde per i controlli?

In un caso di danno patrimoniale causato da un dipendente, la Corte di Cassazione ha stabilito un importante principio sul concorso di colpa. La Corte ha annullato la sentenza d’appello che escludeva la responsabilità della banca, affermando che spetta all’istituto di credito, e non al lavoratore, dimostrare di aver adottato adeguate misure di controllo interno per prevenire l’illecito. La mancanza di tali prove può configurare un concorso di colpa della banca, riducendo l’obbligo risarcitorio del dipendente.

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Concorso di colpa: la banca risponde per i controlli interni inefficienti?

Un dipendente di un istituto di credito causa un danno milionario alla sua azienda. La responsabilità è solo sua? O la banca, priva di adeguati sistemi di controllo, ha una parte di colpa? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 13759/2024) fa luce su un tema cruciale: il concorso di colpa dell’istituto di credito per le operazioni illecite compiute dal proprio personale, ribaltando l’onere della prova e sottolineando i doveri di diligenza qualificata del settore bancario.

I Fatti del Caso: Un Danno Milionario e la Difesa del Dipendente

La vicenda trae origine da una richiesta di risarcimento danni avanzata da un importante istituto di credito nei confronti di un suo ex dipendente. Quest’ultimo era stato ritenuto responsabile di una serie di “operazioni illegittime” che avevano causato alla banca un danno patrimoniale di quasi sei milioni di euro. Il lavoratore, pur non negando le operazioni, si è difeso sostenendo che la banca avesse una corresponsabilità nell’accaduto. A suo dire, l’istituto era privo di un adeguato sistema di controlli interni, idoneo a prevenire o a intercettare tali condotte. Inoltre, egli avrebbe agito non per un tornaconto personale, ma nell’ambito di strategie commerciali provenienti dai vertici aziendali, orientate unicamente al raggiungimento di budget operativi.

La Decisione della Corte d’Appello: Responsabilità Esclusiva del Lavoratore

In secondo grado, la Corte d’Appello aveva dato piena ragione alla banca. I giudici avevano escluso il concorso di colpa dell’istituto sostenendo una tesi molto rigida: poiché era rimasta “indeterminata la fonte delle procedure di controllo” e la “struttura aziendale” preposta, non si poteva addebitare alcuna negligenza alla banca. In pratica, la Corte d’Appello aveva posto a carico del dipendente l’onere di indicare puntualmente quale fosse la “condotta alternativa lecita” che la banca avrebbe dovuto tenere per evitare il danno. Una prova, di fatto, quasi impossibile da fornire per un singolo lavoratore all’interno di una struttura complessa.

Le Motivazioni della Cassazione: il concorso di colpa e l’onere della prova

La Corte di Cassazione ha completamente ribaltato questa prospettiva, accogliendo i motivi di ricorso del lavoratore e cassando la sentenza d’appello. Il ragionamento dei giudici supremi si fonda su due pilastri fondamentali.

L’Onere della Prova si Inverte: Spetta alla Banca Dimostrare la Propria Diligenza

Il punto centrale della decisione è l’inversione dell’onere della prova. La Cassazione chiarisce che non spetta al dipendente dimostrare quali controlli specifici siano mancati. Al contrario, è la banca, in virtù della sua natura di operatore professionale qualificato e dei precisi obblighi normativi (come quelli previsti dal Testo Unico della Finanza), a dover dimostrare di aver adottato tutte le misure e le procedure idonee a prevenire illeciti.

La Corte sottolinea che ignorare le allegazioni del dipendente sulla carenza di controlli, sulle sanzioni ricevute dalla Banca d’Italia per deficit organizzativi e sulle delibere della Consob, significa eludere “il piano essenziale della valutazione dell’adeguatezza dei comportamenti tenuti dalla banca sotto il profilo organizzativo”. In sostanza, era la banca a dover provare la propria diligenza, non il lavoratore a dover provare la sua negligenza.

Il Concorso di Colpa del Creditore (Art. 1227 c.c.): Rilevabile d’Ufficio

La Suprema Corte ribadisce un principio procedurale di grande importanza. L’articolo 1227 del Codice Civile distingue due ipotesi: il fatto colposo del creditore che ha contribuito a causare il danno (primo comma) e il comportamento che ha solo aggravato un danno già prodottosi (secondo comma).

La prima ipotesi, quella del concorso di colpa nella produzione del danno, è rilevabile d’ufficio dal giudice. Ciò significa che il giudice può e deve valutare una possibile corresponsabilità del danneggiato (in questo caso, la banca) ogni volta che dagli atti emergano elementi di fatto che la suggeriscano, anche senza una specifica richiesta formale della controparte. La Corte d’Appello, quindi, ha errato nel non considerare d’ufficio gli evidenti indizi di una possibile negligenza organizzativa della banca.

Le Conclusioni

L’ordinanza in esame ha importanti implicazioni pratiche. Essa stabilisce che un istituto di credito non può limitarsi a chiedere il risarcimento a un dipendente infedele, ma deve essere in grado di dimostrare di aver messo in campo una struttura organizzativa e di controllo adeguata a prevenire tali condotte. Il principio del concorso di colpa impone una valutazione complessiva in cui la negligenza del danneggiante viene bilanciata con quella del danneggiato. Per le banche, questo si traduce in un dovere non solo formale, ma sostanziale, di implementare e attuare modelli di organizzazione efficaci, la cui assenza o inefficienza può avere conseguenze dirette sulla misura del risarcimento ottenibile in sede giudiziaria.

A chi spetta l’onere di provare l’adeguatezza dei controlli interni di una banca in caso di danno causato da un dipendente?
Secondo la Corte di Cassazione, l’onere della prova spetta alla banca. L’istituto di credito, in quanto operatore professionale, deve dimostrare di aver adottato tutte le misure idonee a prevenire l’illecito, e non il dipendente a dover indicare quali specifici controlli sono mancati.

Può un giudice considerare la corresponsabilità della banca anche se non specificamente richiesta dal dipendente?
Sì. Il concorso di colpa del creditore (la banca) nella causazione del danno, previsto dall’art. 1227, primo comma, c.c., è una circostanza che il giudice può rilevare d’ufficio, cioè di propria iniziativa, qualora dagli atti processuali emergano elementi di fatto che la suggeriscano.

Quali elementi possono indicare un concorso di colpa da parte della banca?
La sentenza evidenzia diversi elementi, tra cui: precedenti sanzioni da parte di organi di vigilanza (come Banca d’Italia o Consob) per carenze nell’organizzazione dei controlli interni, la dimostrazione che il dipendente agiva nell’ambito di strategie commerciali imposte dai vertici, e la generale assenza di un sistema di controlli adeguato a contrastare le condotte infedeli.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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