Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 258 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 258 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 07/01/2025
NOME
NOME
-intimati – avverso la sentenza n. 607/2019 della Corte d’Appello di Reggio Calabria, pubblicata il 17/7/2019 e non notificata; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 8
novembre 2024 dalla dott.ssa NOME COGNOME
Rilevato che:
Con atto di citazione notificato il 18/11/2010, NOME convenne in giudizio (nel proc. RGAC 483/2010), davanti alla Corte
Oggetto: Appalto – Responsabilità concorrente del committente e dell’impresa.
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 30198/2020 R.G. proposto da
COGNOME, rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME presso il cui studio in Roma, INDIRIZZO, è elettivamente domiciliato.
-ricorrente – contro
d’Appello di Reggio Calabria, COGNOME Stefano e COGNOME NOME Salvatore, riproponendo le domande, eccezioni e difese disattese dal Tribunale civile di Reggio Calabria con la sentenza n. 1076 emessa il 26/07/2010 nel procedimento già iscritto al n. 2360/2000 RGAC, e chiedendo il rigetto delle domande azionate dal COGNOME nei confronti suoi e di COGNOME.
Nel giudizio così incardinato, si costituirono tanto COGNOME COGNOME che chiese il rigetto dell’appello e la conferma della sentenza impugnata, quanto COGNOME NOME COGNOME che aderì all’appello proposto, chiedendone la riunione al procedimento n. 515/2010 RGAC, che egli stesso aveva incardinato, con atto notificato il 10/12/2010, col quale aveva proposto appello avverso la medesima sentenza.
La Corte d’Appello di Reggio Calabria decise i due gravami, previamente riuniti, con la sentenza n. 607/2019, pubblicata il 17/7/2019, con la quale accolse la domanda proposta dal COGNOME nel procedimento iscritto al n. 23690/2000 RGAC davanti al Tribunale di Reggio Calabria, dichiarando che COGNOME NOME NOME e NOME erano tenuti, in solido, al risarcimento del danno da inadempimento contrattuale ex art. 1218 cod. civ., cagionato a COGNOME NOME per le causali di cui in parte motiva, previo riconoscimento del concorso di colpa del danneggiato nella misura del 20%, e condannando COGNOME NOME e COGNOME NOME al pagamento, in favore del COGNOME, della somma complessiva di euro 67.566,184 in valuta al 26/7/2010, oltre interessi legali dal dì della domanda sul predetto importo (previa sua devalutazione al 7/8/2000), e delle spese del giudizio.
Contro la predetta sentenza, COGNOME NOME propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi. COGNOME NOME e COGNOME NOME sono invece rimasti intimati. Le parti hanno depositato memorie.
Considerato che :
1.1 Con il primo motivo di ricorso, si lamenta testualmente ‘ la violazione dell’art. 360, n. 4, cod. proc. civ., in relazione all’art. 132, n. 4, cod. proc. civ., la violazione dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., in relazione agli artt. 1218, 1223, 1226 e 1227 cod. civ. e 115 cod. proc. civ., per avere la Corte reggina riconosciuto la responsabilità concorrente a fatto colposo del COGNOME (committente), valorizzando il solo apporto causale del danneggiato sulla base di una motivazione apparente, e quantificando la percentuale di detto concorso in via equitativa, così omettendo di valutare (ex art. 1227, primo comma, cod. civ.) la grave negligenza del danneggiato medesimo, pure emergente dalle risultanze istruttorie, ignorate dalla Corte calabrese ‘. Il ricorrente, premesso che il lavori di palificazione erano iniziati nel luglio 1988 e sospesi nell’agosto successivo per un attentato alla ditta di trivellazione, che appaltatore e committente avevano concordato un sistema di palificazione di minore consistenza, che l’appaltatore aveva sospeso i lavori per mancato pagamento degli stati di avanzamento, che il committente, nel gennaio-febbraio 1999, aveva incaricato una terza ditta delle opere di sbancamento del terrapieno, accertando così la precarietà della palificazione, e che il crollo della paratia era avvenuto il 23 giugno 2000 nel corso di lavori di smussatura dell’opera eseguiti con martello pneumatico, ha lamentato come i giudici avessero affidato il concorso di colpa tra danneggiante e danneggiato a considerazioni che non tenevano conto dell’incidenza percentuale della colpa del danneggiato e dell’entità delle conseguenze, avessero applicato il principio equitativo nella ripartizione dell’entità dell’apporto causale, benché utilizzabile solo in sede di liquidazione del danno e non di determinazione delle colpe, avessero reso una motivazione apparente siccome mancante delle ragioni della reputata marginalità della colpa del committente e avessero omesso di sindacare l’entità della colpa di quest’ultimo.
1.2 Il primo motivo è fondato.
Al riguardo, occorre evidenziare come la regola dettata dall’art. 1227, primo comma, cod. civ., che consente la riduzione del risarcimento in presenza della colpa del danneggiato, vada inquadrata esclusivamente nell’ambito del rapporto causale, essendo espressione del principio che esclude la possibilità di considerare danno risarcibile quello che ciascuno procura a sé stesso (Cass. civ.26/04/1994, n. 3957; Cass. 08/05/2003, n. 6988), mentre la colpa cui fa riferimento la suddetta disposizione va intesa non in senso psicologico, né come criterio di imputazione del fatto, bensì come entità della diligenza violata e requisito legale della rilevanza causale del fatto del danneggiato, sussistendo non solo in ipotesi di violazione da parte del creditore-danneggiato di un obbligo giuridico, ma anche di violazione della norma comportamentale di diligenza, sotto il profilo della colpa generica, la quale può sostanziarsi in un comportamento tanto coevo o successivo al fatto illecito, quanto ad esso antecedente, purché legato da nesso eziologico con l’evento medesimo, ed estrinsecarsi con riferimento al danno-conseguenza della condotta di inadempimento o della condotta realizzante il fatto ingiusto e anche direttamente rispetto alla condotta costituente l’illecito, ovverossia giocare ed essere apprezzata come concausa della condotta di inadempimento stesso o di quella determinativa del fatto ingiusto, id est come concausa delle relative condotte illecite (Cass., Sez. 3, 15/3/2006, n. 5677).
Come recentemente chiarito da questa Corte, il concorso di colpa della vittima nella causazione del danno da essa sofferto va determinato né ‘a senso’, né ‘a sensazione’, né attraverso un procedimento matematico, ma va accertato in via logica sulla base dei criteri stabiliti dall’art. 1227, comma primo, cod. civ., e cioè valutando, non in via ipotetica e con giudizio controfattuale, quale tra le due colpe sia stata più grave in riferimento all’altra e quale
tra le due condotte colpose abbia apportato il contributo causale prevalente rispetto all’avverarsi del danno, e, dunque, ipotizzando dapprima quale danno si sarebbe verosimilmente verificato, se solo uno dei due soggetti coinvolti avesse tenuto la condotta alternativa corretta, e quindi ripetendo l’operazione a parti invertite (Cass., Sez. 3, 4/9/2024, n. 23804; Cass., Sez. 3, 9/5/2024, n. 12676), senza che possa ricorrersi, nella ripartizione del grado di colpa, al criterio equitativo ( rectius : dell’entità dell’apporto causale) previsto dall’art. 1226 cod. civ. e richiamato dall’art. 2056 cod. civ., il quale può essere adottato solo in sede di liquidazione del danno, ma non per la determinazione delle singole colpe (Cass., Sez. 3, 21/1/2010, n. 1002).
In definitiva, una volta accertata la gravità della colpa, da rapportarsi alla misura della diligenza violata ovvero, in caso di impossibile dimostrazione delle diverse entità degli apporti causali tra danneggiante e danneggiato nella realizzazione dell’evento dannoso, secondo la presunzione di pari concorso di colpa di cui all’art. 2055, ultimo comma, cod. civ. (Cass., Sez. 3, 21/1/2010, n. 1002), il giudice dovrà ridurre il risarcimento, dando peraltro conto, in motivazione, dei due requisiti (entità della colpa del danneggiato e relativa quantificazione percentuale) e dell’efficienza causale della sua negligenza rispetto alla produzione del danno (Cass., Sez. 3, 21/1/2010, n. 1002; Cass. 29/09/2005, n. 19166; Cass, 08/04/2003, n.5511; Cass. 8/7/1998, n. 6640; Cass., 7/4/1988, n. 2737).
Nella specie, i giudici di merito non si sono affatto attenuti a tali principi, in quanto, lungi dal verificare l’entità dell’apporto causale di ciascuno dei protagonisti della vicenda del crollo della paratia, costruttore, direttore dei lavori e committente, hanno ritenuto di applicare nella ripartizione delle responsabilità e nell’attribuzione della percentuale del 20% a carico del committente, un criterio, quello dell’equità, ‘ in quanto pari alla metà di quella delle colpe dei
concorrenti – tra loro equivalenti del COGNOME e dell’Iriti ‘, che, come sopra chiarito, può essere adottato solo in sede di liquidazione del danno, ma non per la determinazione delle singole colpe, oltre ad avere totalmente taciuto sugli accertamenti dovuti in ordine a negligenza e nesso causale, che avrebbero, invece, dovuto affrontare e risolvere, risultando la sentenza, sotto questo profilo, totalmente priva di motivazione.
Ciò comporta la fondatezza della censura.
2.1 Col secondo motivo, si lamenta testualmente ‘ la violazione dell’art. 360, n. 3, cod. proc. civ. per violazione o falsa applicazione di norme di diritto artt. 1218, 1223, 2041 cod. civ., 115 cod. proc. civ., per avere la Corte reggina riconosciuto un risarcimento non corrispondente al reale depauperamento subito dal danneggiato (pari al costo di realizzazione del muro crollato), ma un danno corrispondente al prezzo di realizzazione di un muro nuovo, diverso e più costoso rispetto a quello crollato (e progettato ex contractu ) ‘.
Ad avviso del ricorrente, i giudici avevano errato allorché avevano posto a carico di appaltatore e direttore dei lavori i costi di un’opera nuova e più costosa, quantificati non in base al concreto esborso, ma sulla base di un prezziario regionale usato dal c.t.u., senza considerare che i lavori di realizzazione delle paratie erano stati interrotti per il mancato pagamento del prezzo convenuto e che il committente aveva fatto realizzare poi il muro di contenimento secondo il progetto dell’ing. COGNOME inizialmente scartato, sicché il committente avrebbe avuto diritto, quale danno emergente, al risarcimento del reale depauperamento, corrispondente al costo di realizzazione della paratia crollata, mai allegato, né dimostrato.
2.2. Il secondo motivo è parimenti fondato.
Come questa Corte ha avuto modo di affermare, possono essere ricondotti al novero dei danni risarcibili le sole conseguenze immediate e dirette del fatto assurto a criterio di imputazione della responsabilità, tali essendo (come si esprimeva già Cass.
17/12/1963, n. 3184, sia pure ai fini dell’art. 1223 cod. civ. in tema di responsabilità contrattuale) quelle conseguenze normali od ordinarie originate (ovvero causate) dall’evento dannoso secondo il principio della cosiddetta regolarità causale, sicché devono ritenersi esclusi quei danni che siano un riflesso lontano dall’inadempimento e non possano a questo essere riallacciati dal necessario nesso teleologico, per essere intervenute altre cause e circostanze estrinseche, senza le quali il danno ulteriore stesso non si sarebbe verificato, sicché, a mano a mano che la sequenza causale progredisce e si allontana dall’evento che ad essa ha dato origine, l’intervento di fattori concausali diversi ed ulteriori diviene via via preponderante, fino ad escludere la riferibilità – appunto diretta ed immediata – a quello primigenio (Cass., Sez. 3, 22/12/2017, n. 30921).
Peraltro, la compensazione del pregiudizio arrecato e la restaurazione della situazione patrimoniale del soggetto leso non possono risolversi in un vantaggio né produrre un arricchimento del danneggiato rispetto alla situazione patrimoniale preesistente al fatto illecito, dovendo la determinazione delle conseguenze patrimoniali negative limitarsi alla perdita subita ed al mancato guadagno, sicché, nel caso in cui il committente, in seguito all’inadempimento del contratto d’appalto, abbia fatto eseguire da altri la prestazione non esattamente adempiuta dall’appaltatore, con il compimento di un’opera di maggior pregio, in virtù dell’impiego di materiali più costosi di quelli previsti nell’originario contratto d’appalto, il risarcimento del danno per l’inadempimento non s’estende a compensare il costo dei materiali più onerosi di quelli pattuiti, dovendo lo stesso conseguire la medesima utilità economica che avrebbe ottenuto se l’inadempimento dell’appaltatore non si fosse verificato (Cass., Sez. 2, 6/12/1995, n. 12578; Cass., Sez. 2, 2/3/2015, n. 4161), così come se il proprietario di un bene danneggiato dal fatto illecito altrui provveda
a ripararlo prima di avere incassato il risarcimento, egli non potrà pretendere la rifusione dell’intera somma spesa per la riparazione, ove questa sia stata eccessiva in riferimento alle caratteristiche del bene danneggiato, ovvero se, per effetto della riparazione, il bene danneggiato abbia acquistato maggior pregio (Cass., Sez. 3, 5/6/2012, n. 8992).
Orbene, i giudici di merito hanno quantificato il danno, limitandosi a considerare, che ‘ nulla è stato dedotto a riscontro affermativo della censura sub 3.2 (secondo cui il costo dell’attività di trasporto dei materiali formati sarebbe eccessivo rispetto a quello effettivamente lucrabile sul libero mercato tra privati) e pertanto, pur risultando notorio che il prezzario regionale risulti d’ordinario derogato nella libera contrattazione inter privatos , anche tale motivo di gravame va rigettato per infondatezza ‘ e, quanto alla questione della superiorità, rispetto all’importo pattuito in sede d’appalto, delle somme riconosciute per la realizzazione del nuovo muro di sostegno in cemento armato e dei corrispondenti contro muri, che ‘ oltre che per quanto evidenziato sub 3.2, anche perché un appalto onnicomprensivo ben poteva (o avrebbe potuto) accordare per singole lavorazioni sconti o consentire minori importi di costo ove a minor profitto o a più bassa complessità e non costa che il previsto compenso pattuito in origine escludesse simili eventualità recando uno specifico computo metrico, anziché una stima a corpo, dei costi in preventivo o riservando incrementi i caso di lavorazioni speciali ulteriori “.
In tal modo i giudici di merito hanno violato i principi sopra precisati, avendo del tutto omesso di esaminare quale sarebbe stata l’utilità economica che il committente avrebbe ottenuto, alla luce delle lavorazioni pattuite, se non vi fosse stato l’inadempimento dell’appaltatore, onde evitare una non consentita sua locupletazione.
4. In conclusione, dichiarata la fondatezza dei due motivi, il ricorso deve essere accolto e la sentenza cassata, con rinvio alla Corte d’Appello di Reggio Calabria, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Reggio Calabria, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 8/11/2024.