LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Concorrenza sleale: storno dipendenti non è illecito

Una società ha citato in giudizio una concorrente, fondata da suoi ex dipendenti, per concorrenza sleale, lamentando storno di personale e sviamento di clientela. La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando le decisioni dei gradi precedenti. La motivazione principale è che il semplice passaggio di dipendenti e clienti a una nuova azienda non costituisce di per sé un illecito. Per configurare la concorrenza sleale, l’attore deve provare l’uso di mezzi specifici non conformi alla correttezza professionale, prova che in questo caso è mancata.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Concorrenza Sleale: Quando lo Storno di Dipendenti è Lecito? La Cassazione Fa Chiarezza

L’accusa di concorrenza sleale rappresenta uno dei timori più diffusi nel mondo imprenditoriale, specialmente quando ex dipendenti decidono di avviare un’attività nello stesso settore. Un’ordinanza recente della Corte di Cassazione, la n. 2586 del 2024, offre spunti fondamentali per comprendere i confini tra la lecita competizione e la condotta illecita, sottolineando l’importanza di una prova rigorosa.

I Fatti di Causa

Una società, che chiameremo Alfa S.r.l., ha convenuto in giudizio un’altra azienda, la Beta S.r.l., accusandola di concorrenza sleale. La società Beta era stata costituita da alcuni ex dipendenti della Alfa, i quali, secondo l’accusa, avevano pianificato la nuova attività mentre erano ancora legati dal precedente rapporto di lavoro. Le condotte contestate erano principalmente tre: lo storno di dipendenti, lo sviamento della clientela e l’indebito approfittamento di informazioni riservate e know-how aziendale, aggravato dalla diffusione di notizie false a seguito della scomparsa del fondatore della società Alfa.

Sia il Tribunale che la Corte di Appello avevano respinto le richieste della società Alfa, ritenendo non provate le condotte illecite. La Corte d’Appello, in particolare, aveva evidenziato che il passaggio dei dipendenti alla nuova società era avvenuto in modo lecito, dopo la regolare cessazione dei rispettivi rapporti di lavoro. Inoltre, la società Alfa non era riuscita a dimostrare la sottrazione di know-how o la violazione di diritti di proprietà intellettuale. Di fronte a queste decisioni, la società Alfa ha proposto ricorso in Cassazione.

La Concorrenza Sleale e l’Onere della Prova

Il cuore della decisione della Corte di Cassazione ruota attorno alla distinzione fondamentale tra concorrenza, anche aggressiva, e concorrenza sleale. I giudici hanno ribadito un principio consolidato: l’acquisizione di clientela da un imprenditore concorrente non è, di per sé, una condotta anticoncorrenziale. Fa parte delle normali dinamiche di mercato.

Ciò che trasforma una normale competizione in un atto illecito è l’utilizzo di mezzi non conformi alla correttezza professionale. Ad esempio, l’acquisizione sistematica di clienti di un concorrente diventa illecita se realizzata sfruttando notizie riservate (come listini, strategie commerciali, dati sui clienti) apprese durante un precedente rapporto di lavoro e non destinate a essere divulgate all’esterno. Nel caso di specie, la società ricorrente non ha fornito elementi concreti per dimostrare che la società Beta avesse utilizzato tali mezzi scorretti.

Lo Storno di Dipendenti e la Violazione dell’Obbligo di Fedeltà

Un punto cruciale del ricorso riguardava la presunta violazione dell’obbligo di fedeltà (art. 2105 c.c.) da parte degli ex dipendenti. La società Alfa sosteneva che questi avessero “tramato” per costituire la nuova società mentre erano ancora suoi dipendenti. Tuttavia, la Corte di Cassazione ha evidenziato come le corti di merito avessero accertato che l’attività concorrenziale era iniziata solo successivamente alla cessazione dei rapporti di lavoro.

Inoltre, la ricorrente non aveva provato né le specifiche qualifiche “chiave” dei dipendenti trasferiti, né l’effettiva sottrazione e utilizzo di un know-how aziendale. Le deduzioni erano rimaste generiche, impedendo al giudice di riscontrare una condotta illecita. La Cassazione, essendo giudice di legittimità e non di merito, non può riesaminare i fatti così come accertati nei precedenti gradi di giudizio (quaestio facti), ma solo verificare la corretta applicazione della legge.

le motivazioni

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile basandosi su diverse ragioni giuridiche. In primo luogo, molti dei motivi di ricorso tendevano a un riesame del merito della vicenda, chiedendo alla Corte di rivalutare le prove e le conclusioni fattuali dei giudici di appello, un’attività preclusa in sede di legittimità.
La ratio decidendi principale risiede nell’insussistenza della prova di atti di concorrenza sleale. La Corte ha chiarito che il “trasferimento di clientela” è un effetto naturale della competizione e non un illecito in sé. Per configurare una violazione, era necessario dimostrare che tale trasferimento fosse avvenuto con mezzi illeciti, come l’uso di informazioni segrete. La società ricorrente non è riuscita a fornire tale prova. Anche l’accusa di violazione dell’obbligo di fedeltà è caduta, poiché è stato accertato che l’attività concorrenziale era iniziata dopo la fine del rapporto di lavoro. L’assenza di una solida base probatoria ha reso le censure inammissibili, consolidando la decisione della Corte d’Appello.

le conclusioni

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile e ha condannato la società ricorrente al pagamento delle spese processuali. Questa ordinanza rafforza un importante principio per gli imprenditori: per vincere una causa di concorrenza sleale non basta lamentare la perdita di dipendenti e clienti a favore di un concorrente fondato da ex collaboratori. È indispensabile fornire prove concrete e specifiche che dimostrino l’uso di mezzi professionalmente scorretti. In assenza di patti di non concorrenza e di prove di condotte illecite, la libertà di iniziativa economica e la libera circolazione dei lavoratori sul mercato prevalgono.

Quando il passaggio di dipendenti a un’azienda concorrente costituisce concorrenza sleale?
Secondo la sentenza, il semplice passaggio di dipendenti non è di per sé illecito. Diventa concorrenza sleale quando è realizzato con mezzi non conformi alla correttezza professionale, come lo sfruttamento di notizie riservate acquisite durante il precedente rapporto di lavoro per ottenere un vantaggio competitivo.

È sufficiente dimostrare un “trasferimento di clientela” per provare la concorrenza sleale?
No. La Corte ha specificato che l’acquisizione di clientela originariamente legata a un concorrente non costituisce, da sola, una condotta anticoncorrenziale, ma rientra nelle normali dinamiche di mercato. L’illecito si configura solo se tale risultato è ottenuto con metodi scorretti.

Perché la Corte di Cassazione ha ritenuto inammissibile il ricorso in questo caso?
Il ricorso è stato ritenuto inammissibile principalmente perché le censure mosse dalla ricorrente si basavano su una richiesta di riesame dei fatti già accertati dalla Corte di Appello, attività non consentita in sede di legittimità. Inoltre, la Corte ha rilevato che la ricorrente non aveva fornito prove sufficienti a dimostrare le specifiche condotte illecite (come l’uso di know-how riservato o la violazione dell’obbligo di fedeltà durante il rapporto di lavoro), rendendo le sue doglianze infondate.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati