Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 13665 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 13665 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 21/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso 14968/2023 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE N.V.di diritto belga- in persona del legale rappres. p.t., rappres. e difesa da ll’ avv.to NOME COGNOME per procura speciale in atti;
-ricorrente –
-contro-
COGNOME; COGNOMERAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappres. p.t., rappresentati e difes i dall’ avv. NOME COGNOME per procura speciale in atti;
-controricorrenti- avverso la sentenza d ella Corte d’appello di Venezia, n. 1309/2023, pubblicata in data 14.06.2023;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 6.05.2025 dal Cons. rel., dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
Con atto di citazione notificato il 15.2.2007, le società RAGIONE_SOCIALE, di diritto olandese, RAGIONE_SOCIALE, di diritto maltese, RAGIONE_SOCIALE, di diritto belga, nonché NOME COGNOME dipendente della prima e titolare del marchio comunitario RAGIONE_SOCIALE utilizzato dalle predette società, convenivano in giudizio avanti al Tribunale di Venezia, sezione specializzata in materia di proprietà industriale e intellettuale, le società RAGIONE_SOCIALE e COGNOME RAGIONE_SOCIALE, esponendo di essersi accordate con i sig.ri COGNOME e con la neocostituita società RAGIONE_SOCIALE per la locazione di un macchinario RAGIONE_SOCIALE (consegnato nel novembre 2003) e la realizzazione e concessione di licenza dell’utilizzo esclusivo in Italia dei diritti sulla tecnologia RAGIONE_SOCIALE e sul marchio registrato RAGIONE_SOCIALE a fronte del versamento di royalties a favore della licenziante RAGIONE_SOCIALE
In particolare, le società attrici esponevano: poiché la licenziataria RAGIONE_SOCIALE era stata inadempiente alle obbligazioni assunte, commercializzando e producendo articoli RAGIONE_SOCIALE al di fuori del territorio di sua competenza, un collegio arbitrale belga aveva dichiarato la risoluzione dei contratti di locazione e di licenza del marchio, condannato RAGIONE_SOCIALE al pagamento dei canoni di locazione e al risarcimento dei danni e ordinato la cessazione immediata della produzione e distribuzione dei prodotti RAGIONE_SOCIALE; che, tuttavia, i convenuti, allo scopo di sottrarsi alle pretese creditorie vantate dalle attrici in forza del lodo arbitrale, avevano trasferito ‘di fatto’ l’azienda di RAGIONE_SOCIALE alla neocostituita società RAGIONE_SOCIALE, con sede presso lo stesso indirizzo di RAGIONE_SOCIALE, che venne subito dopo posta in liquidazione; che la RAGIONE_SOCIALE aveva depositato in data 15 dicembre 2005 una domanda di brevetto (relativo ad invenzione riconducibile a
COGNOME NOME) avente in realtà ad oggetto la stessa tecnologia RAGIONE_SOCIALE di cui le attrici erano titolari dal 1984; che il marchio “RAGIONE_SOCIALE” era del tutto affine al marchio RAGIONE_SOCIALE.
Tanto premesso, le attrici denunciavano come illecito tale comportamento delle convenute e dei sig.ri COGNOME, nonché la concorrenza sleale subita a norma dell’art. 2598, commi 1 e 3, c.c., e la violazione dei diritti di esclusiva del marchio RAGIONE_SOCIALE, chiedendo, quindi, che RAGIONE_SOCIALE e i sig.ri COGNOME rispondessero delle obbligazioni e dei danni (patrimoniali e non) provocati da RAGIONE_SOCIALE in relazione al trasferimento di fatto del patrimonio della società.
Il Tribunale di Venezia, con sentenza n. 68 del 12.1.2009, rigettava le domande degli attori e le domande riconvenzionali di risarcimento danni proposte dai convenuti.
La Corte territoriale, con sentenza n. 1756 del 17 agosto 2011, rigettava l’appello della parte attrice osservando che: i) mancava la prova del trasferimento dell’azienda, dei beni e rapporti giuridici di RAGIONE_SOCIALE alla RAGIONE_SOCIALE e dell’iscrizione dei relativi debiti nei libri contabili, poiché la documentazione probatoria non era producibile in appello (non avendo la parte dimostrato di non avere potuto produrli in primo grado), con la conseguenza che la RAGIONE_SOCIALE non poteva ritenersi obbligata al pagamento delle somme stabilite dal collegio arbitrale; la tecnologia RAGIONE_SOCIALE non era coperta da privativa; i relativi brevetti europei erano scaduti; la domanda di brevetto RAGIONE_SOCIALE e i modelli comunitari aventi ad oggetto la predetta tecnologia erano posteriori alla domanda di brevetto presentata da RAGIONE_SOCIALE il 16 gennaio 2005; non risultava provata né la capacità distintiva del prodotto RAGIONE_SOCIALE rispetto ad altri prodotti già noti nel mercato, né l’appropriazione del know-how di RAGIONE_SOCIALE da parte di Ecosism, né la imitazione servile dei
pannelli COGNOME da parte di RAGIONE_SOCIALE, che era titolare di domanda di brevetto anteriore; la parola ‘ Sismo ‘ era di uso comune e tipica di altri segni nel settore delle costruzioni, sicché la dedotta contraffazione del marchio non sussisteva, trattandosi di marchio debole e registrato solo come marchio denominativo, non esteso alla forma, al logo, ai colori e ai caratteri; non sussisteva un’ipotesi di concorrenza sleale per confusione mancando la confondibilità tra i segni; con riguardo al dedotto sfruttamento commerciale e alla realizzazione dei moduli Sismo da parte dei COGNOME, gli appellanti non avevano proposto domanda di accertamento della nullità del brevetto RAGIONE_SOCIALE; il prodotto inventato dal COGNOME e brevettato da RAGIONE_SOCIALE costituiva un’evoluzione tecnologica innovativa del sistema costruttivo dei “casseri a perdere”, che rendeva il prodotto diverso da quello Sismo e da altri sistemi modulari prodotti da altre imprese del settore; la ritenuta carenza degli elementi costitutivi della concorrenza sleale nei confronti di RAGIONE_SOCIALE rendeva superfluo l’esame delle censure riferite ai sig.ri COGNOME sul presupposto di una loro partecipazione all’attività concorrenziale illecita, non essendovi prova della imputabilità agli stessi degli inadempimenti di RAGIONE_SOCIALE.
RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE ricorrevano per cassazione, avverso la suddetta sentenza, sulla base di sette motivi a cui resistevano RAGIONE_SOCIALE e i RAGIONE_SOCIALE con controricorso.
La Corte di Cassazione, con sentenza 8.5.2014, n. 13913/2014, accoglieva i primi tre motivi, fondati sulla mancata ammissione delle prove richieste in appello dalle società attrici, argomentando che: la corte veneziana aveva motivato il rigetto dell’istanza di ammissione dei documenti indicati dalle società appellanti esclusivamente in ragione della possibilità di produrli nel precedente grado di giudizio, senza soffermarsi sull’autonomo requisito della indispensabilità ai fini
decisori; dalla motivazione della sentenza impugnata non era possibile desumere in modo non equivoco, nemmeno per implicito, le ragioni della non indispensabilità dei documenti ai fini decisori, da valutare in relazione allo sviluppo assunto dall’intero processo, ne’ le ragioni della non ammissione delle prove testimoniali sui capitoli articolati (e riportati nel ricorso); pertanto, la Corte di appello di Venezia, cui la causa era da rinviare, alla luce degli enunciati principi, avrebbe dovuto rivalutare l’ammissibilità delle prove richieste dalle società appellanti e, in caso di ammissione, riesaminare l’intero materiale probatorio anche ai fini della domanda di accertamento della concorrenza sleale che, secondo la prospettazione di parte, sarebbe integrata dalle contestate condotte di trasferimento di azienda e di appropriazione della tecnologia RAGIONE_SOCIALE da parte della RAGIONE_SOCIALE
Riassunto il processo dalle società originarie attrici, la Corte d’Appello, con sentenza n. 900 del 21.4.2016 rigettava nuovamente il gravame in riassunzione ritenendo, quanto al dedotto trasferimento d’azienda, analizzato il materiale probatorio prodotto, che non risultasse provato il ‘ residuo di organizzazione che dimostra l’attitudine della nuova azienda all’esercizio dell’impresa, nella cui ottica assumeva un valore essenziale l’esame della successione nei contratti con i fornitori e la clientela ‘.
Le società RAGIONE_SOCIALE impugnavano anche tale decisione innanzi alla Corte di Cassazione, la quale, con sentenza n. 1188/2020 del 21.1.2020, in accoglimento del terzo motivo -con il quale, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 e 5, c.p.c., era stata contestata la violazione e falsa applicazione dell’art. 2598, nn. 1 e 3, c.c., ed in particolare il vizio argomentativo in riferimento al profilo della mancata ed omessa pronuncia sulla domanda di concorrenza sleale, pur rimessa alla cognizione del giudice del rinvio dalla sentenza di annullamento in
precedenza emessa dalla Cassazione, ed in particolare alla mancata valutazione di una corposa documentazione attestante l’esistenza dei denunciati atti di concorrenza sleale nei confronti dei ricorrenti -cassava e rinviava nuovamente alla Corte d’Appello , in quanto la corte veneziana aveva omesso di pronunciarsi, discostandosi peraltro dal dictum espresso dalla Corte di Cassazione nella precedente pronuncia di annullamento, sulla domanda relativa ai denunciati atti di concorrenza sleale, avendo, al contrario, pronunciato solo sulla domanda volta a far dichiarare l’intervenuto trasferimento d’azienda.
Il giudizio veniva riassunto dalle società RAGIONE_SOCIALE che chiedevano accertarsi che le condotte ascritte agli appellati integrassero atti di concorrenza sleale ex art. 2598, n. 1 e 3, c.c.
RAGIONE_SOCIALE NOME e NOME COGNOME si costituivano nel giudizio riassunto chiedendo il rigetto di tutte le domande proposte, la conseguente conferma della sentenza di primo grado e la condanna delle attrici alle spese di tutti i gradi.
Con sentenza del 10.11.22 la Corte territoriale rigettava l’appello, osservando che: preliminarmente occorreva dare atto che, alla luce di quanto ritenuto dalla Cassazione nell’ult ima sentenza di rinvio, doveva ritenersi ormai irrevocabile la statuizione di rigetto della domanda di accertamento dell’intervenuta cessione tra RAGIONE_SOCIALE ed RAGIONE_SOCIALE dell’azienda della prima avente ad oggetto l’esercizio dell’impresa di produzione e commercializzazione nel settore delle costruzioni per mezzo della quale RAGIONE_SOCIALE e i suoi referenti di fatto (i convenuti COGNOME) avrebbero continuato l’attività oggetto di contestazione, di utilizzo abusivo della tecnologia ‘RAGIONE_SOCIALE‘ e di produzione e commercializzazione di materiale da costruzione e realizzazione di opere di costruzione sotto la denominazione commerciale e/o i marchi RAGIONE_SOCIALE ; l’ evidente carenza di
allegazione e illustrazione precludeva la disamina dei mezzi di prova aggiuntivi richiesti dalle società appellanti, e quindi la formulazione del corrispondente giudizio di indispensabilità al fine del decidere; peraltro, le stesse società RAGIONE_SOCIALE avevano dimostrato la ‘non indispensabilità’ di detti mezzi di prova aggiuntivi, considerando che i nuovi documenti indica ti in calce all’atto d’appello non si riferivano, in realtà, alla domanda di accertamento della condotta di concorrenza sleale, ma esclusivamente alla questione della cessione dell’azienda di RAGIONE_SOCIALE a RAGIONE_SOCIALE, che però doveva ritenersi ormai irretrattabile; era in ogni caso da sottolineare come nessuno degli elementi qualificanti la contestazione della condotta illecita di concorrenza sleale addebitata ai COGNOME– che questi avrebbero posto in essere ai danni delle attrici per il tramite delle società RAGIONE_SOCIALE (in seguito posta in liquidazione e quindi fallita) ed RAGIONE_SOCIALE– poteva trovare, neanche astrattamente, conferma in dette nuove istanze probatorie, nessuna delle quali faceva specifico riferimento agli elementi ritenuti dal Tribunale prima, e dalla Corte d’Appello, poi, quali dati rile vanti per escludere la fondatezza della domanda, e segnatamente che: le società attrici avevano instaurato il giudizio di primo grado senza essere titolari di alcun diritto di privativa industriale; la tecnologia posta a fondamento della domanda attorea avrebbe potuto, semmai, ricevere protezione solo nel caso di informazioni segrete e nel caso di concorrenza confusoria qualora il potenziale acquirente avesse potuto equivocare sulla fonte di produzione, condizioni che però nella specie non sussistevano; non vi era imitazione servile dei prodotti perché, sia i prodotti RAGIONE_SOCIALE, che quelli di RAGIONE_SOCIALE, erano in realtà riconducibili a una tecnologia di comune dominio da anni, non coperta da alcuna tutela brevettuale e sulla quale le attrici non potevano invocare alcun diritto esclusivo; il pannello RAGIONE_SOCIALE vantava una miglioria tecnica,
regolarmente brevettata; RAGIONE_SOCIALE non aveva utilizzato il marchio RAGIONE_SOCIALE di proprietà delle appellanti, bensì solo il proprio marchio complesso (denominazione + logo) RAGIONE_SOCIALE; la lamentata somiglianza tra i siti internet delle società coinvolte non era rilevante posto che il sito RAGIONE_SOCIALE si presentava sostanzialmente simile a molti altri siti di aziende del settore, che presentavano più o meno tutti, foto di costruzioni, grafici sulla qualità dei materiali, informazioni sulla tecnologia usata e in ogni caso in tale sito non si trovano apprezzabili elementi di collegamento con le società del gruppo RAGIONE_SOCIALE; l’accertata carenza delle condizioni che giustificano il ricorso alla tutela concorrenziale nei confronti delle due società rendeva superfluo l’esame delle domande proposte nei confronti di NOME e NOME COGNOME sul presupposto di una fattiva partecipazione all’illecito disegno nei termini riportati, rimasta una mera allegazione priva di riscontro sul piano probatorio; si trattava di considerazioni corrette, basate su dati docume ntali, sulle quali la stessa Corte d’appello si era già pronunciata in termini che il collegio, in difetto di chiare, diverse, evidenze probatorie, riteneva di confermare; la tecnologia RAGIONE_SOCIALE non era coperta da alcuna privativa dato che i due brevetti europei erano scaduti, come ammesso peraltro dalle stesse appellanti, mentre la domanda di brevetto Sismo EP 1447 488 A1, depositata in data 18.6.2007 e i modelli comunitari depositati in data 17.1.2007 e pubblicati il 13.3.2007, aventi ad oggetto la menzionata tecnologia RAGIONE_SOCIALE, risultavano posteriori rispetto alla domanda di brevetto PD2005000367 depositata da RAGIONE_SOCIALE il 16.12.2005; non risultava dimostrata la capacità distintiva del prodotto RAGIONE_SOCIALE rispetto ad altri prodotti già noti sul mercato; non risultava provata in alcun modo l’appropriazione del know-how di RAGIONE_SOCIALE da parte di RAGIONE_SOCIALE, non essendo dimostrato il dedotto trasferimento di azienda da RAGIONE_SOCIALE
Veneto a RAGIONE_SOCIALE e non essendo stato allegato alcun diverso elemento a sostegno della illecita appropriazione della tecnologia RAGIONE_SOCIALE da parte di RAGIONE_SOCIALE, sicché, in tale contesto, andava confermato il rigetto della richiesta di nuova ctu che avrebbe avuto natura meramente esplorativa; non poteva inoltre configurarsi la dedotta fattispecie di imitazione servile dei pannelli RAGIONE_SOCIALE da parte di RAGIONE_SOCIALE, titolare, come si è detto, di domanda di brevetto anteriore e non risultando neppure configurabile la confondibilità tra i rispettivi moduli; doveva altresì escludersi che il sito internet di RAGIONE_SOCIALE generasse confusione in ordine ad origine, caratteristiche e provenienza dei prodotti RAGIONE_SOCIALE rispetto ai prodotti RAGIONE_SOCIALE; non sussisteva la dedotta contraffazione del marchio posto che il marchio comunitario RAGIONE_SOCIALE era stato registrato solo come marchio denominativo, sicché la privativa non poteva ritenersi estesa alla forma, al logo, ai colori e ai caratteri, ma solo alle parole depositate, mentre l’espressione ‘building tecnology’ rappresentava nulla più che la traduzione inglese dell’espressione di comune diffusione ‘tecnologia da costruzione’; la parola che caratterizzava il marchio RAGIONE_SOCIALE era una parola di uso comune, nonché radice comune di altri segni nel settore delle costruzioni, come ampiamente dimostrato dalle parti convenute in primo grado; il marchio era pertanto ‘debole’ e erano conseguentemente sufficienti lievi modifiche o semplici variazioni; nel caso in esame era pertanto esclusa la confondibilità fra i marchi in esame, sia in considerazione dell’intrinseca differenza tra l’espressione RAGIONE_SOCIALE ed RAGIONE_SOCIALE e al diverso valore evocativo di tali espressioni, sia in quanto RAGIONE_SOCIALE era un ‘marchio figurativo’ essendo la registrazione estesa anche al logo; non er a pertanto ravvisabile ipotesi di concorrenza sleale per confusione ai sensi dell’art. 2598 n. 1 c.c. per carenza del presupposto della confondibilità con i segni distintivi dei prodotti e/o dell’attivit à delle
società appellanti; non sussisteva neppure l’abusivo sfruttamento commerciale e l’abusiva realizzazione dei moduli Sism o in Italia da parte dei Manganello per mezzo di RAGIONE_SOCIALE; in relazione al brevetto detenuto dalla RAGIONE_SOCIALE. si doveva ritenere che i Manganello avessero applicato a una tecnologia di base una soluzione tecnica innovativa che aveva permesso di migliorare le prestazioni dei materiali quanto all’isolamento acustico e che differenziava il pannello Ecosism dagli altri pannelli in commercio, e dunque anche dal pannello delle società appellanti; la ritenuta carenza degli elementi costituitivi della concorrenza sleale nei confronti di RAGIONE_SOCIALE assorbiva e rendeva superfluo -come già ritenuto dal giudice di primo grado -l’esame delle censure specificatamente riferite a NOME e NOME COGNOME non essendovi alcuna prova della imputabilità ai medesimi degli inadempimenti e delle violazioni riferibili alla società RAGIONE_SOCIALE, posto che i rapporti negoziali erano intercorsi unicamente tra le appellanti e tale società; RAGIONE_SOCIALE non poteva essere ritenuta la continuatrice dell’attività d’impresa svolta da RAGIONE_SOCIALE utilizzando la struttura aziendale della medesima; nessun rilievo poteva pertanto attribuirsi al fatto che i COGNOME avessero svolto e svolgessero in RAGIONE_SOCIALE il ruolo di amministratori.
La RAGIONE_SOCIALE, di diritto belga, ricorre in cassazione, avverso la suddetta sentenza della Corte d’appello, con quattro motivi, illustrati da memoria.
NOME e NOME COGNOME e l’RAGIONE_SOCIALE resistono con controricorso, illustrato da memoria.
RITENUTO CHE
Il primo motivo denunzia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2598 nn. 1 e 3 c.c. e travisamento della prova.
La ricorrente assume al riguardo, che: la Corte territoriale, con il secondo giudizio in riassunzione, nel pronunciarsi nuovamente sull’ammissibilità della nuova documentazione- rigettandola sulla base della mancata deduzione in merito alla loro indispensabilità e sulla circostanza che la dedotta concorrenza sleale trovasse riscontro in documenti già prodotti sin dal primo grado, per la cui valutazione la stessa Corte ha richiamato integralmente quanto da essa deciso sul punto (con la sentenza del 2011, cassata) e dal Tribunale di Veneziaha trascurato il fatto che la questione relativa all’identità dei dipendenti, mezzi e macchinari tra le Società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, come del res to l’ammissibilità della nuova docum entazione prodotta in appello, era circostanza, per quanto dedotto nel secondo giudizio in riassunzione, passata in giudicato; pertanto, con questa seconda decisione, la Corte d’Appello è entrata nel merito di questioni già passate in giudicato e tale operato e decisione sul punto è evidentemente inammissibile; la sentenza di primo grado, confermata dalla sentenza impugnata, ha erroneamente respinto la domanda di contraffazione di marchio RAGIONE_SOCIALE, ritenendo quest’ultimo un segno debole e che il marchio RAGIONE_SOCIALE fosse sufficientemente dotato di idonei elementi di differenziazione, mentre l ‘aver RAGIONE_SOCIALE depositato un marchio affine, in quanto racchiude il cuore del segno Sismo, preceduto dal prefisso Eco, che nulla aggiunge in termini di distintività, nonché l’aver riprodotto il segno nei medesimi colori verdi di quelli RAGIONE_SOCIALE, per contraddistinguere i medesimi prodotti, erano circostanze di per sé idonee ad integrare la dedotta contraffazione di marchio, contrariamente a quanto statuito nella sentenza di primo grado; l ‘aver inoltre accompagnato il segno alla dicitura ‘RAGIONE_SOCIALE‘, che richiama la dicitura utilizzata da RAGIONE_SOCIALE ‘RAGIONE_SOCIALE‘, conferma va l’intento d ecettivo, dato che l’uso di tale
dicitura non era giustificato, né necessitato e confermava unicamente l’intento imitativo del seg no altrui da parte di RAGIONE_SOCIALE; sussisteva quindi la lamentata contraffazione di marchio ex art. 20 e 21 D.Lgs. 30/05 e 2569 c.c.; sulla base di tutte le ampie produzioni documentali offerte, la Corte territoriale avrebbe dovuto apprezzare e ritenere provato che RAGIONE_SOCIALE aveva posto in essere atti idonei a creare confusione con i prodotti e l’attività di RAGIONE_SOCIALE, ponendo così in essere atti di concorrenza sleale ex art. 2598 nn. 1 e 3 c.c.; nonostante tutte le deduzioni esposte, la Corte d’Appello ha ritenuto il trovato RAGIONE_SOCIALE non coperto da privativa, affermando che non sussisterebbe l’imitazione servile per assenza di ‘ confondibilità tra i rispettivi moduli ‘ e ‘che non vi fosse confusione tra i siti posto che nel sito RAGIONE_SOCIALE vengono ‘ unicamente descritti i pannelli RAGIONE_SOCIALE senza alcun riferimento alla società o al marchio RAGIONE_SOCIALE, né alla tecnologia da questa utilizzata ‘ ; il travisamento della prova, per quanto sopra riportato, era palese posto che invece i documenti prodotti dimostravano inequivocabilmente che sul sito RAGIONE_SOCIALE erano riprodotte immagini fotografiche di cantieri ‘ asseritamente realizzati in RAGIONE_SOCIALE ‘, viceversa realizzati da Sismo in cui comparivano i pannelli Sismo riportanti il segno Sismo; la Corte di merito ha, altresì, erroneamente sostenuto che non sarebbe provata ‘ l’appropriazione del know -how di RAGIONE_SOCIALE da parte di RAGIONE_SOCIALE non essendo dimostrato il dedotto trasferimento d’aziend a da RAGIONE_SOCIALE ad RAGIONE_SOCIALE, e in contrasto col dictum espresso da codesta Suprema Corte con la decisione del 2020, che ha ritenuto non esservi alcuna pregiudizialità logico giuridica tra la domanda di concorrenza sleale e il trasferimento d’azienda , escludendo anche il dedotto trasferimento di know-how sulla base dell’insussistente trasferimento d’azienda, travisando per il resto la documentazione prodotta, consistente in immagini fotografiche, che
non abbisognavano di alcuna valutazione, risultando come RAGIONE_SOCIALE avesse reclamizzato tramite immagini come realizzati con la propria tecnologia cantieri realizzati da Sismo riproducenti immagini di pannelli con il medesimo segno.
Il secondo motivo denunzia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 61 c.p.c., omessa, insufficiente e carente motivazione, per aver la Corte d’Appello, omettendo la motivazione, escl uso l’ammissibilità della ctu richiesta da RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE sulla sussistenza del requisito della novità della domanda brevettuale NUMERO_DOCUMENTO presentata da RAGIONE_SOCIALE con particolare riferimento ai brevetti europei della RAGIONE_SOCIALE nr. 0162183 B1 del 7 novembre 1988 e nr. 0180667 B1 del 26 febbraio 1992, nonché rispetto alla domanda di registrazione brevettuale europea n. NUMERO_DOCUMENTO presentata in data 11 febbraio 2003 da RAGIONE_SOCIALE con annessa voltura dei diritti conferiti dalla registrazione a favore di RAGIONE_SOCIALE la Corte si limitò a dichiarare che la ctu richiesta ‘avrebbe natura meramente esplorativa’, mentre le parti avevano prodotto in giudizio tutta la documentazione necessaria a fornire la prova di quanto affermato.
Il terzo motivo deduce omessa, insufficiente e carente di motivazione su un fatto decisivo della controversia, per non aver la Corte d’appello ammesso la ctu che invece avrebbe potuto stabilire la sussistenza o meno del requisito della novità e tale elemento risultava decisivo ai fini dell’acclarare la sussistenza di atti di concorre nza sleale posti in essere nei confronti di RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE
Al riguardo, la ricorrente lamenta che: già dal 2003 fu evidente il disegno dei COGNOME di appropriarsi del nome e della tecnologia altrui, di non adempiere alle obbligazioni nei confronti di RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, nonché di nuocere a queste
ultime entrando, sempre in violazione di quanto dagli stessi pattuito, in aperta concorrenza con esse, dapprima costituendo la RAGIONE_SOCIALE, tramite la prestanome NOME COGNOME (moglie di NOME COGNOME e madre di NOME COGNOME), e poi trasferendo a quest’ultima s ocietà l’azi enda di RAGIONE_SOCIALE e ponendo la società in liquidazione; la Corte territoriale aveva però ritenuto incontestabile che tra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE non fosse intervenuta alc una cessione d’azienda, in contrasto con la statuizione espressa dalla Cassazione con la decisione del 2020, che aveva escluso qualsiasi pregiudizialità logico giuridica tra la domanda di concorren za sleale e il trasferimento d’azien da; la pronuncia impugnata non teneva conto della violazione del dovere di fedeltà ex art. 2105 c.c., essendo assodato che all’epoca del deposito il COGNOME, dipendente della RAGIONE_SOCIALE, aveva depositato una domanda di brevetto a favore della RAGIONE_SOCIALE.
Il quarto motivo denunzia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., ed omessa, insufficiente e carente motivazione, per aver la Corte d’appello, al termine del giudizio di riassunzione, condannato RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE al pagamento delle spese del giudizio di appello, di rinvio e dei giudizi in Cassazione, sebbene la ricorrente fosse stata vittoriosa in entrambi i giudizi di legittimità.
Il primo motivo è inammissibile sotto diversi profili.
Una ratio decidendi della sentenza impugnata consiste nel fatto che, all’esito del la pronuncia di legittimità, la Corte territoriale, investita del compito di valutare l’ammissib ilità dei mezzi probatori, ha ritenuto la non indispensabilità dei nuovi mezzi di prova, aggiungendo che essi non riguardavano gli elementi ritenuti rilevanti nei precedenti gradi di merito per escludere la fondatezza della domanda, fra cui l’irrilevanza del sito internet in ordine alla sua portata anticoncorrenziale, in quanto
era da escludere che tale sito internet di RAGIONE_SOCIALE generasse confusione in ordine ad origine, caratteristiche e provenienza dei prodotti RAGIONE_SOCIALE rispetto ai prodotti RAGIONE_SOCIALE.
Invero, il motivo, che denuncia il travisamento della prova circa il sito internet, non coglie dunque la predetta ratio : trattasi di profilo assorbente ai fini dell’inammissibilità della censura.
Va, comunque, aggiunto che la censura tende inoltre al riesame dei fatti.
Al riguardo, la Corte d’appello ha ritenuto di non ammettere le suddette prove per mancanza d’indispensabilità, ed ha ritenuto non provate le condotte illecite ascritte dalla ricorrente alle controparti; le varie doglianze sono dirette, pertanto, a sollecitare una diversa valutazione ed interpretazione dei fatti di causa circa la configurabilità degli illeciti ascritti alle parti convenute.
Infatti, la ricorrente contesta, in sostanza, la valutazione probatoria espressa nella sentenza impugnata, considerandola erronea per non essere approdata ad uno scrutinio di sussistenza degli illeciti oggetto della domanda.
Sul punto, il collegio intende dare continuità al principio per cui, la valutazione delle prove raccolte, anche se si tratta di presunzioni, costituisce un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione, sicché rimane estranea al vizio previsto dall’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. qualsiasi censura volta a criticare il “convincimento” che il giudice si è formato, a norma dell’art. 116, commi 1 e 2, c.p.c., in esito all’esame del materiale istruttorio mediante la valutazione della maggiore o minore attendibilità delle fonti di prova, atteso che la deduzione del vizio di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c. non consente di
censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali, contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendo alla stessa una diversa interpretazione al fine di ottenere la revisione da parte del giudice di legittimità degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito (Cass., n. 20553/2021; n. 32505/2023).
Né è pertinente alla ratio decidendi il rilievo che la Corte di merito avrebbe riesaminato questioni di fatto che sarebbero state oggetto di giudicato, quali ‘ l’identità dei dipendenti, mezzi e macchinari tra le Società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, come del resto l’ammissibilità della nuova documentazione prodotta in appello ‘, appunto perché la sentenza impugnata ha escluso ogni rilevanza probatoria dei vari elementi addotti dalla ricorrente; ne consegue altresì l’irrilevanza del riferimento al giudicato, impropriamente invocato, non emergendo nessun accertamento sull’oggetto della decisione che la Corte d’appello abbia ritenuto espressione degli illeciti invocati dalla ricorrente.
Il secondo motivo è inammissibile.
La ricorrente si duole che la Corte territoriale non abbia disposto la richiesta c.t.u. sulla novità della domanda brevettuale, attingendo la parte della motivazione che ha ritenuto esplorativa tale istanza, in quanto essa sarebbe stata, invece, munita di documentazione idonea alla dimostrazione della capacità distintiva del prodotto RAGIONE_SOCIALE rispetto ad altri prodotti già noti sul mercato.
Al riguardo, la Corte d’appello ha affermato che non risultava provata in alcun modo l’appropriazione del know-how di RAGIONE_SOCIALE da parte di RAGIONE_SOCIALE, non essendo dimostrato il dedotto trasferimento di azienda da RAGIONE_SOCIALE a RAGIONE_SOCIALE, e non essendo stato allegato alcun diverso elemento a sostegno della illecita appropriazione della tecnologia RAGIONE_SOCIALE da parte di RAGIONE_SOCIALE, atteso che anche sulla base dei documenti prodotti in giudizio da RAGIONE_SOCIALE emergeva, infatti, che le forme del
modulo Sismo erano diffuse nel settore e comuni a moduli analoghi prodotti da altre imprese .
Giova dunque ribadire l’orientamento di questa Cort e secondo il quale giudizio sulla necessità e utilità di far ricorso allo strumento della consulenza tecnica d’ufficio rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, la cui decisione è censurabile per cassazione unicamente ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., soggiacendo la relativa impugnazione alla preclusione derivante dalla regola della cd. “doppia conforme” di cui all’art. 348-ter, comma 5, c.p.c., ratione temporis vigente (Cass., n. 25281/2023; n. 7472/2017).
Il terzo motivo è parimenti inammissibile.
La Corte territoriale ha affermato che la ritenuta carenza degli elementi costituitivi della concorrenza sleale nei confronti di RAGIONE_SOCIALE assorbiva e rendeva superfluo -come già ritenuto dal giudice di primo grado -l’esame delle censure specificatamente riferite a NOME e NOME COGNOME sul presupposto di una loro partecipazione alla suddetta attività illecita concorrenziale, non essendovi alcuna prova della imputabilità ai medesimi degli inadempimenti e delle violazioni riferibili alla società RAGIONE_SOCIALE Veneto, posto che i rapporti negoziali erano intercorsi unicamente tra le appellanti e tale società.
Ora, il giudizio di assorbimento risulta impugnato richiamando una serie di circostanze di fatto dalle quali desumere che, dietro il velo della società, coloro che operavano erano le persone fisiche; una volta però venuta meno l’attribuzione degli atti di concorrenza sleale, le circostanze di fatto relative a chi fosse l’effettivo autore dell’illecito perdono decisività, essendo irrilevanti ai fini della decisione.
Il quarto motivo è del pari inammissibile.
Il criterio della soccombenza, al fine di attribuire l’onere delle spese processuali, non si fraziona a seconda dell’esito delle varie fasi del
giudizio, ma va riferito unitariamente all’esito finale della lite, senza che rilevi che in qualche grado o fase del giudizio la parte poi definitivamente soccombente abbia conseguito un esito ad essa favorevole (Cass., n. 6369/2013; n. 13356/2021).
Nella specie, non è stata impugnata la ratio decidendi del regolamento delle spese sulla base dell ‘esito complessivo del giudizio, avendo la ricorrente fatto riferimento all’esito dei due giudizi di cassazione, ma senza però sviluppare la critica con riguardo all ‘esito finale della lite . Le spese seguono la soccombenza.
P.Q,M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio che liquida nella somma di euro 4.700,00 di cui 200,00 per esborsi, oltre alla maggiorazione del 15% per rimborso forfettario delle spese generali, iva ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.p.r. n.115/02, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, ove dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio del 6 maggio 2025.