Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 14107 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 14107 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 27/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 21952/2022 r.g. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE con sede in Modena, al INDIRIZZO in persona del legale rappresentante pro tempore ed amministratore delegato NOME COGNOME rappresentata e difesa, giusta procura speciale allegata al ricorso, da ll’ Avvocato NOME COGNOME, presso il cui studio elettivamente domicilia in Torino, alla INDIRIZZO
–
ricorrente –
contro
NOME COGNOME rappresentato e difeso, giusta procura speciale allegata al controricorso, dagli Avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME con cui elettivamente domicilia presso lo studio di quest’ultima in Roma, alla INDIRIZZO
-controricorrente –
e
RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE, con sede in Segrate (MI), alla INDIRIZZO, in persona del presidente del consiglio di amministrazione e legale rappresentante pro tempore NOME COGNOME rappresentata e difesa,
giusta procura speciale allegata al controricorso, dagli Avvocati NOME COGNOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME con cui elettivamente domicilia presso lo studio di quest’ultima in Roma, alla INDIRIZZO
-controricorrente –
avverso la sentenza, n. cron. 2137/2022, della CORTE DI APPELLO DI MILANO depositata in data 17/06/2022;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del giorno 15/05/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. RAGIONE_SOCIALE, società attiva in servizi di customer communication management (CCM), ossia servizi di gestione dell’intero ciclo di comunicazioni per clientela di classe ‘ enterprise ‘, citò NOME COGNOME, suo ex dipendente (con il ruolo di ‘ key account ‘), e RAGIONE_SOCIALE (oggi RAGIONE_SOCIALE, società presso cui quest’ultimo era poi passato a lavorare, innanzi al Tribunale di Milano, al fine di sentirne dichiarare la responsabilità a titolo di illecita acquisizione, rivelazione ed utilizzo di informazioni segrete e/o riservate ex artt. 98-99 del d.lgs. n. 30/2005 (cd. Codice della proprietà industriale) nonché a titolo di concorrenza sleale ex art. 2598, n. 3, cod. civ e, comunque, di responsabilità aquiliana ex art. 2043 cod. civ., e di ottenere, tra le altre cose, la condanna di entrambi al risarcimento del danno (nella misura non inferiore ad € 2.000.000).
Sostenne che il Marra aveva illecitamente messo a disposizione di RAGIONE_SOCIALE informazioni segrete e know how di RAGIONE_SOCIALE, così consentendo alla prima -che, in passato, offriva soltanto servizi di stampa, scansione e postalizzazione -di divenire ‘ improvvisamente concorrente dell’attrice in un settore (Customer Communication Management -CCM) ove mai aveva operato prima soprattutto nei confronti di clienti di classe enterprise , ossia società aventi centinaia di migliaia, se non milioni di clienti ‘. In particolare, proprio grazie all’ingresso del Marra, RAGIONE_SOCIALE era riuscita a partecipare ad alcune gare per la fornitura di servizi informatici indette da diversi
operatori che erano storici clienti dell’attrice e si avvalevano dei suoi servizi fin dai primi anni duemila (tra cui, ad esempio, RAGIONE_SOCIALE, Sky e RAGIONE_SOCIALE) e si era così aggiudicata la gara bandita da RAGIONE_SOCIALE (ora Wind), sottraendole illecitamente il cliente.
1.1. Instauratosi il contraddittorio, si costituirono i convenuti, ciascuno contestando le avverse pretese e concludendo per il loro rigetto, con condanna della controparte per lite temeraria. RAGIONE_SOCIALE inoltre, chiese condannarsi RAGIONE_SOCIALE al risarcimento delle spese sostenute per le attività difensive svolte nel corso dei procedimenti penali avviatisi, in parallelo, a carico di NOME COGNOME ed altri due soggetti, stante l’intervenuta archiviazione dei procedimenti.
1.2. L’adito tribunale, istruita la causa documentalmente e con ammissione di prove orali, di un ordine di esibizione (a carico di Sky, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE) e di una consulenza tecnica, con la sentenza del 26 novembre 2020, n. 7719, accolse solo parzialmente le domande attrici. In particolare: i ) rigettò quelle di accertamento della violazione degli artt. 98 e 99 del d.lgs. n. 30 del 2005, tanto da parte di RAGIONE_SOCIALE, quanto del Marra; ii ) accolse, ma soltanto nei confronti di RAGIONE_SOCIALE, la domanda di accertamento della concorrenza sleale ex art. 2598, n. 3, cod. civ, per aver essa assunto un dipendente chiave della concorrente e per averlo destinato proprio ai tre specifici clienti che questi aveva seguito presso RAGIONE_SOCIALE s.p.a., così garantendosi un vantaggio anti-competitivo; iii ) respinse le restanti domande, tanto dell’attrice (inibitoria, penale e pubblicazione della sentenza) quanto dei convenuti (rifusione delle spese legali per il processo penale e condanna dell’attrice per lite temeraria).
Pronunciandosi sui gravami, principale ed incidentale, promossi contro questa decisione, rispettivamente, dall’originaria attrice e da entrambi i convenuti, l’adita Corte di appello di Milano, con sentenza del 17 giugno 2022, n. 2137, così dispose: « Rigetta l’appello principale proposto da RAGIONE_SOCIALE; accoglie parzialmente gli appelli incidentali di RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME e per l’effetto: a) dichiara insussistente la responsabilità di RAGIONE_SOCIALE ex art. 2598, n. 3, c.c. e, pertanto, non dovuta alla società appellante somma alcuna a
titolo di risarcimento del danno; b) condanna RAGIONE_SOCIALE al pagamento delle spese sostenute per la difesa in sede penale, per un totale di Euro 51.122,55; conferma, per il resto, la sentenza impugnata ; ».
2.1. Per quanto qui ancora di interesse ed in sintesi, quella corte, evidenziata « l’infondatezza della eccezione di nullità dei mandati conferiti dalle appellate ai propri legali, non essendo ravvisabile alcun effettivo conflitto di interessi o incompatibilità tra le posizioni delle parti appellate »: i ) ritenne che, « Con il terzo e quarto motivo di impugnazione, parte appellante si duole, da un lato, del mancato accertamento del concorso di Marra nella concorrenza sleale ex art. 2598, n. 3, c.c. (concorso che discenderebbe dal fatto che, proprio grazie al suo intervento, RAGIONE_SOCIALE sarebbe riuscita a partecipare alle gare con i tre principali clienti di Doxee, oltre che dal beneficio personale ottenuto da COGNOME, il quale sarebbe stato subito collocato in una posizione apicale all’interno di Nuova CS) e, dall’altro lato, dell’inesatta quantificazione e/o liquidazione del risarcimento del danno posto a carico di RAGIONE_SOCIALE (tra le altre cose, vengono lamentati il mancato esperimento di una CTU, l’applicazione di criteri errati per il calcolo del lucro cessante e l’errata limitazione della perdita di chance al solo 20%). Entrambi i motivi di appello devono essere disattesi alla luce di quanto verrà di seguito esposto in relazione alle impugnazioni incidentali proposte dagli appellati »; ii ) precisò che « non è sufficiente, per integrare una responsabilità anticoncorrenziale dell ‘ex dipendente ex art. 2598, n. 3, c.c. l’utilizzo presso il nuovo datore di lavoro del bagaglio di cognizioni ed esperienze acquisite in costanza del precedente rapporto di lavoro (così già la S.C. con la pronuncia n. 14479/2002), trattandosi di conoscenze divenute ormai parte della personalità del dipendente, che da lui possono essere legittimamente portate a supporto di migliori nuove possibilità lavorative. Pertanto, laddove non si travalichi il limite della segretezza delle informazioni o di eventuali patti di non concorrenza validi per il periodo successivo al rapporto di lavoro (ipotesi che nella specie non risulta ricorrere), non costituisce concorrenza sleale -bensì sviluppo fisiologico delle relazioni professionali -lo sfruttamento da parte dell’ex dipendente delle competenze e conoscenze lecitamente acquisite
grazie alle precedenti esperienze lavorative. Ai fini della decisione non assume peraltro rilievo specifico, di per sé soltanto, la circostanza che NOME COGNOME si sia visto affidare una posizione apicale in Nuova CS, essendo un diritto del lavoratore quello di poter migliorare la propria posizione professionale, così come un diritto dell’impresa quello di organizzare la propria azienda acquisendo i collaboratori più competenti e offrendo loro migliori condizioni di lavoro »; iii ) opinò, quanto al primo motivo di gravame incidentale di RAGIONE_SOCIALE, che, « In primo luogo, risulta dagli atti che NOME COGNOME non fosse più dedicato ai clienti RAGIONE_SOCIALE, Sky e RAGIONE_SOCIALE da almeno 4 anni prima della sua assunzione in Nuova CS. Egli, infatti, era stato key account di RAGIONE_SOCIALE soltanto fino al dicembre 2010, mentre dal 2011 fino alla data delle sue dimissioni aveva ricoperto il ruolo di International Business Manager in Repubblica Ceca, ruolo per il quale gli erano affidate mansioni diverse, tanto che è la stessa parte appellante ad affermare che, nel periodo in cui Marra si trovava in Repubblica Ceca, ‘i clienti da lui ‘gestiti’ sono stati assegnati ad altri dipendenti di RAGIONE_SOCIALE, tra cui RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE ‘ . Non può, in secondo luogo, non essere adeguatamente valorizzata la circostanza che, come si è detto, non è stata data la prova di (e il CTU non ha riscontrato) un effettivo utilizzo di informazioni segrete o riservate di Doxee tali da garantire, in effetti, a Eglue un vantaggio anticoncorrenziale in occasione della partecipazione alle gare menzionate. Pare alla Corte che la circostanza di aver assunto e posto Marra a capo della divisione RAGIONE_SOCIALE non possa quindi essere idonea a supportare una responsabilità ex art. 2598, n. 3, c.c., né in capo a Nuova CS, né in capo a Marra, considerato che -non essendo stato quest’ultimo dedicato agli specifici clienti in questione negli ultimi quattro anni del suo impiego presso Doxee -pare assai poco verosimile (e comunque non sufficientemente dimostrato) che Marra abbia potuto garantire a Nuova CS un effettivo vantaggio anti-competitivo grazie alle sue conoscenze specifiche dei clienti. Pare, invece, più plausibile che Marra sia stato assunto, per le competenze ed esperienze legittimamente maturate nel settore di CCM, da un’azienda che voleva implementare e rafforzare il proprio business in quel particolare segmento, e che egli, forte di tali competenze ed esperienze, abbia
contribuito al normale sviluppo delle attività di CCM, in ottemperanza all’incarico a lui conferito. D’altronde, delle tre gare a cui RAGIONE_SOCIALE ha partecipato successivamente all’ingresso di NOME COGNOME, soltanto quella con RAGIONE_SOCIALE è stata poi effettivamente aggiudicata a RAGIONE_SOCIALE, mentre Sky e RAGIONE_SOCIALE, in continuità con il passato, hanno affidato i contratti sempre a Doxee, secondo quella che pare una normale logica di mercato. Sul punto, la sentenza merita di essere riformata: va quindi esclusa una responsabilità a titolo di concorrenza sleale (anche) in capo a COGNOME e annullata la condanna di quest’ultima al risarcimento del danno per Euro 70.000,00 a tale titolo, come riconosciuto dal Tribunale ».
Per la cassazione di questa sentenza ha promosso ricorso RAGIONE_SOCIALE affidandosi a due motivi. Hanno resistito, con separati controricorsi, RAGIONE_SOCIALEgià RAGIONE_SOCIALE) e NOME COGNOME Tutte le parti hanno depositato anche memoria ex art. 380bis. 1 cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso, rubricato « Sulla violazione o falsa applicazione dell’art. 2598, comma 1, n. 3, c.c. e dell’art. 2055 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., sulla violazione o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. e sull’omesso esame circa fatti e documenti decisivi in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. », censura la sentenza impugnata nella parte in cui, dopo aver negato la segretezza delle informazioni ex artt. 98-99 del d.lgs. n. 30/2005 di RAGIONE_SOCIALE utilizzate dal Marra presso il suo nuovo datore di lavoro RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE per offrire i propri servizi ai clienti della ricorrente, ha escluso la configurabilità di una condotta di slealtà concorrenziale nel comportamento di RAGIONE_SOCIALE e di un corrispondente concorso in essa del Marra.
1.1. Tale doglianza si rivela complessivamente inammissibile alla stregua delle considerazioni tutte di cui appresso, fin da ora, peraltro, ricordandosi che la congruità della motivazione adottata dal giudice di appello deve essere verificata con esclusivo riguardo alle questioni sottoposte al suo esame, e dallo stesso risolte per decidere la controversia, risultando ad essa del tutto
estranea la decisione eventualmente diversa del giudice di primo grado, la quale è destinata a rimanere interamente travolta ed assorbita da quella emessa, in sua sostituzione, dal giudice del gravame, che, dunque, può limitarsi ad una valutazione diretta del materiale probatorio messo a disposizione dalle parti, nell’ambito delle questioni sollevate con i motivi di impugnazione, senza essere tenuto ad una puntuale confutazione dei singoli punti della decisione impugnata ( cfr ., anche nelle rispettive motivazioni, Cass. nn. 4226 e 395 del 2021; Cass. n. 15038 del 2018; Cass., n. 28487 del 2005; Cass. n. 9670 del 2003; Cass. n. 2078 del 1998).
1.2. Innanzitutto, il motivo prospetta genericamente e cumulativamente vizi di natura eterogenea (censure motivazionali ed errores in iudicando ), in contrasto con la tassatività dei motivi di impugnazione per Cassazione e con l’orientamento della giurisprudenza di legittimità per cui una simile tecnica espositiva riversa impropriamente sul giudice di legittimità il compito di isolare, all’interno di ciascun motivo, le singole censure ( cfr., ex aliis , anche nelle rispettive motivazioni, Cass. nn. 8671, 3284 e 2115 del 2025; Cass. nn. 33778, 26383 e 4979 del 2024; Cass. nn. 35782, 30878, 27505 e 4528 del 2023; Cass. nn. 35832 e 6866 del 2022). In altri termini, è inammissibile la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi di impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’articolo 360, comma 1, nn. 3 e 5, cod. proc. civ., non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quelli della violazione di norme di diritto, sostanziali e processuali, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione ( cfr . Cass. nn. 26383 e 4979 del 2024; Cass. nn. 35782, 30878 e 27505 del 2023; Cass. nn. 11222 e 2954 del 2018). È sicuramente vero, peraltro, che, « In tema di ricorso per cassazione, l’inammissibilità della censura per sovrapposizione di motivi di impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360, primo comma, numeri 3 e 5, c.p.c., può essere superata se la formulazione del motivo permette di cogliere con chiarezza le doglianze
prospettate, di fatto scindibili, onde consentirne l’esame separato, esattamente negli stessi termini in cui lo si sarebbe potuto fare se esse fossero state articolate in motivi diversi, singolarmente numerati » ( cfr ., in termini, Cass. n. 39169 del 2021. In senso sostanzialmente conforme, si vedano anche Cass., SU, n. 9100 del 2015; Cass. n. 7009 del 2017; Cass. n. 26790 del 2018). Tanto, però, non si rinviene nel motivo di ricorso in esame, il quale, per come concretamente argomentato, appare caratterizzato da rinvii alla decisione di primo grado e da un’impropria commistione di fatti, documenti e risultanze dell’espletata c.t.u., sicché non consente di individuare, con chiarezza, le doglianze riconducibili agli invocati vizi, rispettivamente, motivazionali e di violazione di legge, in modo tale da consentirne un loro esame separato, come se fossero articolate in motivi diversi, senza rimettere al giudice il compito di isolare quella teoricamente proponibili, al fine di ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione consentiti, prima di decidere su di esse.
1.3. In secondo luogo, perché trascura completamente le specifiche modalità di deduzione del vizio ex art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ. (ove pure si volesse fare riferimento ad esso) -nel testo modificato dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012 e qui applicabile ratione temporis , risultando impugnata una sentenza pubblicata il 17 giugno 2022 -come stabilite da Cass., SU, n. 8053 del 2014, a tenore della quale, tra l’altro, la parte così ricor rente deve indicare -nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui agli artt. 366, primo comma, n. 6, cod. proc. civ. e 369, secondo comma, n. 4), cod. proc. civ. -il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il dato, testuale o extratestuale (emerge nte dagli atti processuali), da cui ne risulti l’esistenza, il come e il quando (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti ( cfr ., in motivazione, Cass. nn. 8671 e 2115 del 2025). Né, peraltro, tiene conto del consolidato orientamento di questa Corte secondo cui che la menzionata disposizione riguarda un vizio specifico denunciabile per cassazione relativo all’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, da intendersi riferito ad un preciso accadimento o una precisa
circostanza in senso storico naturalistico, come tale non ricomprendente questioni o argomentazioni, sicché sono inammissibili le censure che, irritualmente, estendano il paradigma normativo a quest’ultimo profilo ( cfr., ex aliis , anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 8671 del 2025; Cass. nn. 26379, 19417, 14677, 9807 e 6127 del 2024; Cass. nn. 28390, 27505, 4528 e 2413 del 2023; Cass. n. 31999 del 2022; Cass., SU, n. 23650 del 2022; Cass. nn. 9351, 2195 e 595 del 2022).
1.4. Esso, inoltre, da un lato, mostra di non tenere in alcun conto che, in tema di ricorso per cassazione, sono inammissibili, per violazione dell’art. 366, comma 1, n. 6, cod. proc. civ., le censure fondate su atti e documenti del giudizio di merito qualora il ricorrente si limiti a richiamare tali atti e documenti, senza riprodurli nel ricorso (come concretamente accaduto nella specie) ovvero, laddove riprodotti, senza fornire puntuali indicazioni necessarie alla loro individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di cassazione, al fine di renderne possibile l’esame, ovvero ancora senza precisarne la collocazione nel fascicolo di ufficio o in quello di parte e la loro acquisizione o produzione in sede di giudizio di legittimità ( cfr . Cass., SU, n. 34469 del 2019; Cass. n. 18695 del 2021; Cass. n. 31999 del 2022; Cass. n. 5141 del 2023); dall’altro, dimentica che il vizio di motivazione per omesso esame di un mezzo istruttorio può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui esso investa un punto decisivo della controversia e, quindi, ove la prova non esaminata in concreto sia idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la ratio decidendi risulti priva di fondamento ( cfr . Cass. n. 18072 del 2024 n. 16214 del 2019).
1.5. Con riguardo, poi, al (pure) dedotto vizio di violazione di legge, giova premettere che il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ. può rivestire la forma della violazione di legge (intesa come errata negazione o affermazione dell’esistenza o inesistenza di una norma, ovvero attribuzione
alla stessa di un significato inappropriato) e della falsa applicazione di norme di diritto (intesa come sussunzione della fattispecie concreta in una disposizione non pertinente perché, ove propriamente individuata ed interpretata, riferita ad altro, ovvero deduzione da una norma di conseguenze giuridiche che, in relazione alla fattispecie concreta, contraddicono la sua, pur corretta, interpretazione. Cfr . Cass. nn. 19423, 16448 e 5436 del 2024; Cass. n. 1015 del 2023; Cass. n. 5490 del 2022; Cass. n. 3246 del 2022; Cass. n. 596 del 2022; Cass. n. 40495 del 2021; Cass. n. 28462 del 2021; Cass. n. 25343 del 2021; Cass. n. 4226 del 2021; Cass. n. 395 del 2021). È opportuno evidenziare, inoltre, che questa Corte, ancora recentemente ( cfr ., pure nelle rispettive motivazioni, oltre alle pronunce appena citate, Cass. n. 35041 del 2022, Cass. n. 33961 del 2022 e Cass. n. 13408 del 2022), ha chiarito, tra l’altro, che: a ) non integra violazione, né falsa applicazione di norme di diritto, la denuncia di una erronea ricognizione della fattispecie concreta in funzione delle risultanze di causa, poiché essa si colloca al di fuori dell’ambito interpretative ed applicativo della norma di legge; b ) il discrimine tra violazione di legge in senso proprio (per erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa) ed erronea applicazione della legge (in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta) è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, diversamente dalla prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa ( cfr . Cass. n. 10313 del 2006; Cass. n. 195 del 2016; Cass. n. 26110 del 2015; Cass. n. 8315 del 2013; Cass. n. 16698 del 2010; Cass. n. 7394 del 2010); c ) le doglianze attinenti non già all’erronea ricognizione della fattispecie astratta recata dalle norme di legge, bensì all’erronea ricognizione della fattispecie concreta alla luce delle risultanze di causa, ineriscono tipicamente alla valutazione del giudice di merito ( cfr . Cass. n. 13238 del 2017; Cass. n. 26110 del 2015).
Orbene, nella misura in cui la censura in esame si duole che la corte distrettuale, dopo aver negato la segretezza delle informazioni ex artt. 98-99 del d.lgs. n. 30/2005 di RAGIONE_SOCIALE utilizzate dal Marra presso il suo nuovo datore di lavoro RAGIONE_SOCIALEgià RAGIONE_SOCIALE per offrire i propri servizi ai clienti della ricorrente, ha escluso la configurabilità di una condotta di slealtà
concorrenziale nel comportamento di RAGIONE_SOCIALE e di un corrispondente concorso in essa del Marra, la corrispondete doglianza, per come concretamente argomentata, benché formulata con riferimento all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., in realtà si rivela sostanzialmente volta ad ottenere un riesame di accertamenti fattuali compiuti, sul punto, dalla medesima corte, così dimenticando, tuttavia, che: i ) il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ. deve essere dedotto, a pena di inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366, n. 4, cod. proc. civ., non solo con la indicazione delle norme assertivamente violate, ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intelligibili ed esaurienti intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendosi alla Corte regolatrice di adempiere al suo istituzionale compito di verificare il fondamento della lamentata violazione ( cfr . tra le più recenti, anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 2115 del 2025; Cass., SU, n. 34782 del 2024; Cass. nn. 33909, 27328, 16448 e 15033 del 2024; Cass. nn. 13408 e 9014 del 2023; Cass. n. 31071 del 2022. Si veda pure Cass., SU, n. 23745 del 2020, a tenore della quale, « in tema di ricorso per cassazione, l’onere di specificità dei motivi, sancito dall’art. 366, comma 1, n. 4), c.p.c., impone al ricorrente che denunci il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., a pena d’inammissibilità della censura, di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare – con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni -la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa »); ii ) un’autonoma questione di malgoverno degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. non dipende, né è dimostrata, dall’erronea valutazione del materiale istruttorio, bensì, come ripetutamente chiarito da
questa Corte, può porsi, rispettivamente, solo allorché la parte ricorrente alleghi che il giudice di merito: 1) abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti ovvero disposte d’ufficio al di fuori o al di là dei limiti in cui ciò è consentito dalla legge ( cfr ., anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 3229 del 2025; Cass. nn. 25376, 19371, 17201, 11069 e 5375 del 2024; Cass. nn. 35782, 16303, 11299 e 28385 del 2023; Cass. n. 35041 del 2022; Cass., SU, n. 20867 del 2020, che ha pure precisato che «è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c.»); 2) abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova che invece siano soggetti a valutazione ( cfr . Cass., SU, n. 20867 del 2020, che ha pur puntualizzato che, « ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione »; Cass. n. 27000 del 2016). Del resto, affinché sia rispettata la prescrizione desumibile dal combinato disposto dell’art. 132, n. 4, e degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., non si richiede al giudice del merito di dar conto dell’esito dell’avvenuto esame di tutte le prove prodotte o comunque acquisite e di tutte le tesi prospettategli, ma di fornire una motivazione logica ed adeguata all’adottata decisione, evidenziando le prove ritenute idonee e sufficienti a suffragarla ovvero la carenza di esse ( cfr . Cass. n. 3229 del 2025; Cass. 24434 del 2016); iii ) spetta al giudice di merito, dunque, individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le risultanze processuali, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliendo, tra le stesse, quelle ritenute più idonee a dimostrare i fatti in discussione e, quindi, a fondare la decisione; iv ) costituisce ‘ elemento valutativo riservato al giudice del merito ‘, apprezzare, ‘ nell’ambito del giudizio di fatto al medesimo riservato, l’esistenza ed il valore di una condotta di non contestazione dei fatti rilevanti,
allegati dalla controparte ‘ (così Cass. n. 3680 del 2019), sicché tale apprezzamento è censurabile in sede di legittimità esclusivamente per incongruenza o illogicità della motivazione. Peraltro, ai fini del rispetto del principio di autosufficienza, il ricorso per cassazione con cui viene dedotta la violazione del principio di non contestazione deve indicare sia la sede processuale in cui sono state dedotte le tesi ribadite o lamentate come disattese, inserendo nell’atto la trascrizione dei relativi passaggi argomentativi, sia, specificamente, il contenuto degli scritti difensivi avversari, in modo da consentire alla Corte di valutare la sussistenza dei presupposti per la corretta applicazione dell’art. 115 cod. proc. civ. ( cfr . Cass. n. 15058 del 2024 e Cass. n. 7597 del 2025); v ) il giudizio di legittimità non può essere surrettiziamente trasformato in un nuovo, non consentito, ulteriore grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative ( cfr . Cass. n. 21381 del 2006, nonché, tra le più recenti, Cass., SU, n. 34476 del 2019; Cass. nn. 1822, 2195, 3250, 5490, 9352, 13408, 5237, 21424, 30435, 35041 e 35870 del 2022; Cass. nn. 1015, 7993, 11299, 13787, 14595, 17578, 27522, 30878 e 35782 del 2023; Cass. nn. 4582, 4979, 5043, 6257, 9429, 10712, 16118, 19423, 27328 e 35006 del 2024; Cass. nn. 1166 e 8671 del 2025); vi ) come puntualizzato da Cass. n. 8671 del 2025 ( cfr . in motivazione), « Il compito di questa Corte, , non è quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, né quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dai giudici di merito (Cass. n. 3267 del 2008), anche se il ricorrente prospetta un migliore e più appagante (ma pur sempre soggettivo) coordinamento dei dati fattuali acquisiti in giudizio (Cass. n. 12052 del 2007), dovendo, invece, solo controllare, a norma degli artt. 132, n. 4, e 360 comma 1, n. 4, c.p.c., se costoro abbiano dato effettivamente conto delle ragioni in fatto della loro decisione e se la motivazione al riguardo fornita sia solo apparente ovvero perplessa o contraddittoria (ma non più se
sia sufficiente: Cass. SU n. 8053 del 2014), e cioè, in definitiva, se il loro ragionamento probatorio, qual è reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto, com’è in effetti accaduto nel caso in esame, nei limiti del ragionevole e del plausibile (Cass. n. 11176 del 2017, in motiv.) ».
Il secondo motivo di ricorso, rubricato « Sulla violazione o falsa applicazione dei principi generali in materia di rappresentanza processuale con riferimento agli artt. 24 e 111 Cost., degli artt. 83 e 101 c.p.c., dell’art. 3, comma 3, della legge n. 247/2012 e dell’art. 24 del codice deontologic o forense in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., sulla violazione o falsa applicazione degli artt. 112, 156, 157, 159, 166 e 343 c.p.c. e sulla nullità e/o inammissibilità della costituzione in giudizio avversaria e sulla conseguente nullità della sentenza o del procedimento in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3 e 4, c.p.c. sull’omesso esame circa fatti e documenti decisivi in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. », censura la decisione della corte territoriale di ritenere RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME validamente rappresentati dagli odierni difensori in secondo grado.
2.1. Questa doglianza si rivela insuscettibile di accoglimento.
2.2. Innanzitutto, perché, così come quella precedente, prospetta genericamente e cumulativamente vizi di natura eterogenea (censure motivazionali ed errores in iudicando ), sicché valgono anche qui le stesse considerazioni già svolte nel precedente § 1.2. ed i medesimi principi giurisprudenziali ivi richiamati.
2.3. La corte distrettuale, poi, ha espressamente ritenuto « l’infondatezza della eccezione di nullità dei mandati conferiti dalle appellate ai propri legali, non essendo ravvisabile alcun effettivo conflitto di interessi o incompatibilità tra le posizioni delle parti appellate », così evidentemente disattendendo le contrarie argomentazioni esposte, sul punto, dall’appellante principale nella sua comparsa conclusionale ( cfr . pag. 2-5, riprodotte anche nelle pagine 2932 del suo odierno ricorso): non corrispon de al vero, dunque, l’assunto della ricorrente secondo cui la corte di appello ha « omesso di rilevare il
suddetto fatto rappresentato dall’esistenza del conflitto attuale e potenziale, determinante ai fini della decisione » ( cfr . pag. 33 del ricorso).
2.4. Infine, va rimarcato che: i ) secondo un risalente orientamento di questa Corte, « La regola del codice deontologico professionale che vieta all’avvocato di assumere il patrocinio di soggetti portatori di interessi contrastanti si applica tutte le volte in cui sia stata accertata (ed adeguatamente motivata) l’esistenza e la verificazione, in concreto, di un conflitto tra le parti, che deve, pertanto, risultare effettivo e non soltanto potenziale » ( cfr. Cass., SU, n. 14619 del 2002); ii ) più recentemente, invece, Cass. n. 26769 del 2023 ha ribadito che « l’esistenza di un conflitto di interessi tra le parti (attuale o virtuale) va valutata in correlazione stretta con il concreto rapporto esistente fra le parti i cui interessi risultino suscettibili di contrapposizione (cfr. Cass. 28 gennaio 1997, n. 835), in guisa tale che la tutela degli interessi dell’una parte non possa attuarsi compiutamente senza nocumento per l’interesse o gli interessi dell’altra parte (cfr. Cass. 14 giugno 2005, n. 12741; Cass. 1° ottobre 1999, n. 10863; e Cass. 28 gennaio 1997, n. 835, cit.) »; iii ) in linea generale, ciascuna parte ha interesse ad impugnare i capi della sentenza che la riguardano; iv ) nella specie, la sentenza di primo grado non conteneva alcuna disposizione che vedesse contrapposti RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE ed il Marra, come dimostra, peraltro, il fatto che nessuna domanda dell’una nei confronti dell’altro, e viceversa, era s tata formulata innanzi al tribunale; v ) gli odierni controricorrenti avevano svolto, innanzi alla corte di appello, come nel precedente primo grado, difese ed argomentazioni del tutto coerenti e convergenti tra loro, ovvero volte al rigetto delle pretese di RAGIONE_SOCIALE nei confronti di entrambi; vi ) come agevolmente si evince dalla lettura della sentenza oggi impugnata, il giudice di prime cure aveva rigettato tutte le domande dell’originaria attrice nei confronti del Marra e della RAGIONE_SOCIALE ad eccezione di quella di concorrenza sleale, accolta nei confronti della sola RAGIONE_SOCIALE, senza il riconoscimento di alcun concorso del Marra, per un profilo del tutto avulso dal comportamento di quest’ultimo ; vii ) entrambe le parti appellate avevano, all’evidenza, nel giudizio di gravame, l’interesse coincidente al rigetto dell’avversa
impugnazione. D’altra parte, l’appello incidentale di RAGIONE_SOCIALE aveva come obiettivo la riforma dell’unico capo di condanna per risarcimento danni per concorrenza sleale (per un comportamento esclusivamente suo proprio); l’impugnazione incidentale del M arra (quanto al merito integralmente vittorioso in primo grado), invece, era volta al riconoscimento, a carico dell’appellante principale, delle spese legali e di c.t.u. di primo grado ed al riconoscimento di un risarcimento ex art. 96 cod. proc. civ. per aver RAGIONE_SOCIALE iniziato e condotto la causa in primo grado nei suoi confronti con asserita mala fede; viii ) pertanto, in nessuna delle posizioni degli appellati/appellanti incidentali innanzi alla corte milanese, né nelle difese rispetto all’impugnazione di RAGIONE_SOCIALE, né nelle rispettive impugnazioni incidentali per i rispettivi capi della sentenza che ne erano stati oggetto, era configurabile qualsivoglia profilo di contrapposizione né alcuna potenzialità di conflitto: conclusione, questa, compatibile con entrambi gli orientamenti ermeneutici di legittimità precedentemente descritti.
3. In conclusione, dunque, l’odierno ricorso di RAGIONE_SOCIALE deve essere respinto, restando le spese di questo giudizio di legittimità regolate dal principio di soccombenza e liquidate come in dispositivo, altresì dandosi atto -in assenza di ogni discrezionalità al riguardo ( cfr . Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 -che, stante il tenore della pronuncia adottata, sussistono, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, i presupposti processuali per il versamento, da parte della medesima ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto, mentre « spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento ».
PER QUESTI MOTIVI
La Corte rigetta il ricorso di RAGIONE_SOCIALE e la condanna al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità sostenute dalle costituitesi parti controricorrenti che si liquidano, per ciascuna di esse, in € 8.000,00 per
compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in € 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della medesima ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, giusta il comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima sezione civile