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Concordato Preventivo: quando il fallimento è certo

La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 20538/2024, ha dichiarato inammissibile il ricorso di una società e dei suoi soci, falliti nonostante un concordato preventivo omologato. La Corte ha stabilito che l’effetto liberatorio del concordato era condizionato all’effettivo pagamento di una percentuale minima (45%) ai creditori. Avendo la società pagato solo il 3,94% in quasi dieci anni, la successiva dichiarazione di fallimento è stata ritenuta legittima, poiché la promessa di pagamento non è un mero auspicio, ma un risultato da garantire.

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Concordato Preventivo: La Promessa non Basta, Serve il Pagamento

L’omologazione di un concordato preventivo rappresenta spesso una speranza per le imprese in crisi, un’alternativa al fallimento. Tuttavia, una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 20538/2024) ci ricorda un principio fondamentale: le promesse fatte ai creditori devono essere mantenute. Se il piano concordatario subordina la liberazione dai debiti a un pagamento effettivo, il mancato raggiungimento di tale soglia può riportare l’impresa direttamente sulla via del fallimento. Analizziamo insieme questa importante decisione.

I Fatti del Caso

Una società in nome collettivo e i suoi soci illimitatamente responsabili, dopo aver ottenuto l’omologazione di un concordato preventivo nel 2013, sono stati dichiarati falliti. Il piano concordatario prevedeva il soddisfacimento dei creditori chirografari (quelli non assistiti da garanzie reali) in una misura non inferiore al 45% del loro credito. Per garantire questo risultato, era stato persino costituito un trust in cui erano confluiti alcuni beni immobili da liquidare.

A distanza di quasi dieci anni, però, la realtà era ben diversa: i creditori avevano ricevuto solo il 3,94% di quanto dovuto. Di fronte a questo grave inadempimento, il Tribunale prima e la Corte d’Appello poi avevano ritenuto che lo stato di insolvenza fosse manifesto, dichiarando il fallimento della società e dei soci.

Contro questa decisione, la società ha proposto ricorso in Cassazione, sostenendo, tra le altre cose, che i giudici di merito avessero errato nell’interpretare gli accordi del concordato e non avessero considerato l’effetto liberatorio derivante dalla messa a disposizione dei beni.

La Decisione della Corte di Cassazione sul Concordato Preventivo

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando in toto la decisione della Corte d’Appello. I giudici hanno respinto tutti i motivi di ricorso, fornendo chiarimenti cruciali sulla natura degli impegni assunti in un concordato preventivo.

La Corte ha ribadito che, quando il piano prevede una percentuale minima di soddisfacimento “garantita”, questa non può essere interpretata come una semplice speranza di realizzo. Si tratta di un impegno vincolante, il cui mancato rispetto costituisce un inadempimento che può portare alla risoluzione del concordato e alla successiva dichiarazione di fallimento.

Analisi dei Motivi di Ricorso

I ricorrenti avevano basato la loro difesa su quattro motivi principali:

1. Omessa pronuncia: Lamentavano che la Corte d’Appello non si fosse espressa sulla portata liberatoria dell’accordo. La Cassazione ha chiarito che non si trattava di un’omessa pronuncia su una specifica domanda, ma di una diversa valutazione dei fatti, questione non censurabile in sede di legittimità.
2. Omesso esame di un fatto decisivo: Sostenevano che non fosse stato considerato l’effetto liberatorio del piano. Anche questo motivo è stato rigettato, poiché i giudici di merito avevano ampiamente analizzato la questione, concludendo che tale effetto era subordinato all’effettivo pagamento del 45%.
3. Violazione delle regole di interpretazione del contratto: Contestavano l’interpretazione data dalla Corte d’Appello agli accordi del concordato. La Cassazione ha ribadito il principio secondo cui non può sostituire la propria interpretazione a quella del giudice di merito, se quest’ultima è logicamente motivata.
4. Illogicità della motivazione: Criticavano un passaggio marginale della sentenza. La Corte ha qualificato tale passaggio come obiter dictum, ovvero un’argomentazione non essenziale per la decisione finale e quindi non in grado di inficiarla.

Le Motivazioni della Decisione

Il cuore della decisione risiede nell’interpretazione della volontà delle parti all’interno del piano di concordato preventivo. La Cassazione ha evidenziato come la Corte d’Appello avesse correttamente ricostruito la vicenda, stabilendo che “l’effetto liberatorio del concordato sia stato chiaramente ed inequivocabilmente subordinato […] all’effettiva soddisfazione delle pretese” dei creditori per almeno il 45%. La costituzione del trust e la messa a disposizione dei beni non erano di per sé sufficienti a liberare il debitore, ma rappresentavano solo lo strumento per raggiungere il risultato “garantito”. L’indicazione di una percentuale “minima” non lasciava spazio a interpretazioni diverse: non era un auspicio, ma un obbligo. L’incapacità del debitore di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni, pur nelle modalità più favorevoli previste dal concordato, configura una nuova situazione di insolvenza che giustifica pienamente la dichiarazione di fallimento.

Le Conclusioni

Questa ordinanza offre un monito importante per tutte le imprese che accedono a procedure di composizione della crisi. Un concordato preventivo non è una scorciatoia, ma un patto serio con il ceto creditorio. Le percentuali e le condizioni promesse nel piano non sono mere proiezioni, ma impegni vincolanti. La sentenza chiarisce che il tribunale valuterà sempre l’effettivo adempimento del piano e che la liberazione dai debiti è subordinata al concreto soddisfacimento dei creditori nei termini concordati. In caso contrario, la spada di Damocle del fallimento rimane pronta a cadere, anche a distanza di anni dall’omologazione.

L’omologazione di un concordato preventivo esclude definitivamente il rischio di fallimento?
No. Se l’impresa non adempie alle obbligazioni assunte nel piano concordatario, può manifestarsi una nuova situazione di insolvenza che giustifica la dichiarazione di fallimento, come avvenuto in questo caso.

Cosa significa che una percentuale di pagamento ai creditori è “garantita” nel piano?
Significa che non è un semplice obiettivo o una speranza, ma un risultato che l’impresa si impegna a raggiungere. Il mancato raggiungimento di tale percentuale costituisce un grave inadempimento che può portare alla risoluzione del concordato.

Il trasferimento di beni a un trust per pagare i creditori libera immediatamente il debitore?
Non necessariamente. Come stabilito dalla Corte in questo caso, il trasferimento di beni era solo lo strumento per raggiungere l’obiettivo del pagamento. L’effetto liberatorio per il debitore era subordinato all’effettiva soddisfazione dei creditori nella percentuale pattuita, non al solo conferimento dei beni.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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