Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 20538 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 20538 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 24/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso di cui al procedimento nr. 17343/2023 proposto da RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME e NOME COGNOME, domiciliati ex lege in INDIRIZZO presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentati e difesi dall’ AVV_NOTAIO (CODICE_FISCALE);
ricorrenti
CONTRO
RAGIONE_SOCIALE, domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO (CODICE_FISCALE), rappresentata e difesa dall’ AVV_NOTAIO NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) e Fallimento della società RAGIONE_SOCIALE e dei soci NOME COGNOME e NOME, domiciliati ex lege in INDIRIZZO, INDIRIZZO presso la cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO. NOME COGNOME(CODICE_FISCALE);
contro
ricorrenti
Procuratore Generale presso la Corte d’appello di Messina intimato
avverso la sentenza nr. 662/2023 pronunciata in data 21/7/2023
dalla Corte d’Appello di Messina;
udita la relazione della causa svolta nella camera di AVV_NOTAIOiglio tenutasi in data 8 maggio 2024 dal AVV_NOTAIO. NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1 Con sentenza del 21/7/2023 la Corte d’Appello Messina ha rigettato il reclamo proposto da RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME e NOME, avverso la sentenza del Tribunale di Messina che aveva dichiarato il fallimento di RAGIONE_SOCIALE, e dei soci illimitatamente responsabili NOME COGNOME e NOME in concordato preventivo omologato in data 21/2/2013.
1.1 Il giudici siciliani osservavano: i) che, ai fini della verifica della fallibilità soggettiva non rilevava in alcun modo se il debitore fosse o meno scientemente e volontariamente inadempiente, pur a fronte d’una contestazione giudiziale della pretesa altrui; andava invece addebitato al debitore, verificatosi lo scarto tra la prospettiva auspicata e quella in concreto attuatasi, il mancato reperimento di ulteriori fonti remuneratorie delle pretese del ceto creditorio; ii) che, secondo il recente orientamento delle sezioni unite di questa Corte, è configurabile una situazione di insolvenza manifestatasi successivamente al decreto di omologa del concordato preventivo evincibile anche dall’incapacità di soddisfare regolarmente le obbligazioni pur nelle più favorevoli modalità ed entità concordate; iii) che l’effetto liberatorio del concordato era stato chiaramente ed inequivocabilmente subordinato all’effettiva soddisfazione delle
pretese del ceto dei chirografari per un ammontare non inferiore del 45% a quello del passivo ammesso, inclusa la fase d’eventuale escussione del patrimonio in trust che si fosse resa necessaria per integrare l’attivo occorrente a raggiungere il medesimo risultato ‘garantito’ con il prosieguo liquidatorio relativo; iv) che l’espressa indicazione d’una percentuale ‘minima’ offerta non poteva interpretarsi come mero auspicio di realizzo, in difetto di locuzioni nettamente chiarificatrici in proposito; v) che il totale dei debiti in chirografo soddisfatti ammontava, a quasi dieci anni dall’avvio della procedura concordataria, soltanto al 3,94% dell’intero e la prognosi negativamente emessa dal primo Giudice circa la potenzialità positiva degli esiti della liquidazione ancora in itinere ad assicurare significativamente in futuro una soddisfazione dei debiti pendenti accettabile e non meramente irrisoria alla percentuale garantita del 45% non era stata in alcun modo smentita da evidenze di fatto contrarie ovvero da censure specifiche.
2 RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno proposto ricorso per Cassazione affidandosi a quattro motivi; RAGIONE_SOCIALE e il Fallimento hanno svolto difese mediante controricorso. Le parti hanno depositato memorie. Non ha svolto difese il Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Messina .
RAGIONI DELLA DECISIONE
1 Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e 360, comma 1°, n. 4 c.p.c.; i ricorrenti affermano che la Corte peloritana, laddove ha ritenuto che la datio in solutum era avvenuta per la liquidazione degli immobili conferiti e senza volontà liberatoria, sarebbe incorsa nel vizio di omessa pronuncia non avendo statuito sulla portata liberatoria, dedotta nel giudizio prefallimentare e nel reclamo, dell’accordo raggiunto nella fase
esecutiva del concordato circa l’ escussione della fidejussione mediante datio in solutum.
1.1 Il motivo è inammissibile in quanto non è configurabile, per come la censura è stata articolata, il lamentato vizio di omessa pronuncia.
1.2 Il vizio di omessa pronuncia, che integra una violazione del principio di corrispondenza fra chiesto e pronunciato ex art. 112 c.p.c., ricorre quando vi sia omissione di pronuncia su un capo di domanda, intendendosi per capo di domanda ogni richiesta delle parti diretta ad ottenere l’attuazione in concreto di una volontà di legge che garantisca un bene all’attore o al convenuto e, in genere, ogni istanza che abbia un contenuto concreto formulato in conclusione specifica, sulla quale deve essere emessa una pronuncia di accoglimento o di rigetto (Cass. 18212 /2020; 18797/2018; 28308 /2017 e 7653 /2012).
1.3 Ora, è evidente che quelle che il ricorrente qualifica come eccezioni, tali non sono, risolvendosi in mere circostanze fattuali, delle quali il giudice non avrebbe tenuto conto nell’apprezzamento dei fatti, così che possono rilevare esclusivamente sotto il profilo motivazionale secondo quanto appresso.
1.4 Ed invero, la differenza fra l’omessa pronuncia di cui all’art. 112 c.p.c. e l’omessa motivazione su un punto decisivo della controversia di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c., si coglie nel senso che, nella prima, l’omesso esame concerne direttamente una domanda od un’eccezione introdotta in causa, autonomamente apprezzabile, ritualmente ed inequivocabilmente formulata (cfr. Cass. n. 6361/07), mentre nel caso dell’omessa motivazione l’attività di esame del giudice che si assume omessa non concerne una domanda od un’eccezione, bensì una circostanza di fatto che, ove
valutata, appunto in fatto, avrebbe comportato una diversa decisione (cfr. Cass. 25714/2014).
Con il secondo mezzo i ricorrenti deducono le medesime doglianze sotto la forma del vizio di omesso esame circa un fatto decisivo della controversia ex art. 360 1° comma nr. 5 c.p.c.
2.1 La censura è inammissibile in quanto, contrariamente a quanto opinato dai ricorrenti, la Corte ha preso espressa posizione sulle circostanze di fatto oggetto del motivo; in particolare, è stato precisato dall’impugnato provvedimento che l’effetto liberatorio del concordato sia stato, chiaramente ed inequivocabilmente, subordinato all’effettiva soddisfazione delle pretese del ceto dei creditori chirografari per un ammontare non inferiore del 45% rispetto a quello del passivo ammesso, e che il soddisfacimento dei creditori nella percentuale indicata era rimasto fermo anche nella fase esecutiva del concordato, nonostante fosse stata prevista l’eventuale escussione del patrimonio in trust che si rendeva necessario per integrare l’attivo occorrente a raggiungere il medesimo risultato ‘garantito’ con il prosieguo liquidatorio relativo.
Il terzo motivo denuncia violazione dell’art. 1363 c.c. in relazione all’art. 360 1° comma c.p.c.; la Corte, ad avviso dei ricorrenti, avrebbe anche errato nella interpretazione dell’atto di integrazione della proposta di ammissione della procedura di concordato preventivo del 27 febbraio 2012 e della cd. proposta irrevocabile di vendita non interpretando, secondo le previsioni della regola di cui all’art. 1363 c.c., le clausole le une con le altre, giungendo ad una lettura parziale degli accordi e, secondo la censura, errata (violazione della regola ermeneutica dei contratti).
3.1 Anche tale motivo non supera il vaglio di ammissibilità.
3.2 È noto che, in tema di ermeneutica contrattuale, l’accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto del negozio si
traduce in una indagine di fatto, affidata al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità solo in relazione al profilo della mancata osservanza dei criteri legali d’interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 e s. c.c., o della radicale inadeguatezza della motivazione. Ne AVV_NOTAIOegue che il ricorrente per cassazione è onerato non solo di indicare espressamente i canoni ermeneutici dei quali si allega la violazione, ma anche di precisare in quale modo e con quali AVV_NOTAIOiderazioni il giudice del merito se ne sia discostato, con la AVV_NOTAIOeguenza che la parte ricorrente è tenuta, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso, a riportare in quest’ultimo il testo denunciato, al fine di AVV_NOTAIOentirne il controllo da parte della Corte di cassazione, che non può sopperire con indagini integrative alle lacune dell’atto di impugnazione (Cass. Sez. U, 10374/2007). In nessun caso, però, il sindacato sull’interpretazione dei contratti e degli atti unilaterali in sede di legittimità può risolversi nella mera contrapposizione fra l’interpretazione proposta dal ricorrente e quella diversa che, tra le varie opzioni possibili, sia stata divisata dai giudici di merito (ex multis, Cass. 27136/2017, 11254/2018, 873/2019, 995/2021 e 9461/2021).
3.3 Ciò premesso, la Corte, riguardo ai punti che interessano, ha affermato quanto segue: « la puntuale ed analitica ricognizione delle vicende concordatarie e delle deliberazioni emesse in illo tempore come operata dal provvedimento in riesame nei §§ da 3.2. a 3.5. dà effettiva conferma del fatto che nel caso di lite -come opinato dal primo Giudice -l’effetto liberatorio del concordato sia stato chiaramente ed inequivocabilmente subordinato (già nella proposta dei debitori, poi aderita dal decreto del 21.2.2013), all’effettiva soddisfazione delle pretese del ceto dei chirografari per ammontare non inferiore del 45% a quello del passivo ammesso, inclusa la fase d’eventuale escussione del patrimonio in trust (la cui dazione in forma di fideiussione non aveva comunque di per sé effetto già liberatorio a pro’ dei debitori) che si fosse resa necessaria per
integrare l’attivo occorrente a raggiungere il medesimo risultato ‘garantito’ con il prosieguo liquidatorio relativo’. L’assunto degli appellanti secondo cui in ciò si sarebbe palesata una lettura meramente formale delle istanze e deliberazioni di lite, là dove invece avrebbe dovuto rilevarsi e riconoscersi da parte del decidente che la ‘garanzia’ offerta tramite la disponibilità alla liquidazione del patrimonio in trust non avrebbe potuto avere logicamente una simile estensione (ossia, il vincolarsi l’effetto liberatorio all’ottenimento effettivo del risultato sperato), essendosi ormai esaurite tutte le fonti di finanziamento del piano di esdebitazione prospettato ed avendo ciò chiaramente riferito i proponenti, non può persuadere atteso che: la datio suddetta avveniva per la liquidazione degli immobili così conferiti (mediante la procura speciale al liquidatore a disporne per alienarli) e senza espressa previsione della superiore voluntas liberatoria (né da parte dei proponenti, né da parte dei creditori poi aderenti); l’espressa indicazione d’una percentuale ‘minima’ offerta ut supra non poteva interpretarsi come mero auspicio di realizzo, in difetto di locuzioni nettamente chiarificatrici in proposito » .
3.4 La censura si limita inammissibilmente a contrapporre, sulla scorta dei medesimi elementi, una diversa ricostruzione degli atti e del risultato interpretativo.
4 Il quarto motivo oppone violazione dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c.; si afferma la illogicità delle ragioni poste a sostegno della sentenza nel passaggio motivazionale in cui si fa riferimento al reperimento di altre risorse per colmare il deficit tra quanto ottenuto dalla liquidazione e la percentuale offerta ai creditori.
4.1 Il motivo è inammissibile, perché viene criticato un passaggio argomentativo della sentenza che in sé non incide sull’esito della controversia ma integra un obiter dictum e in ogni caso nulla toglie alla correttezza delle argomentazioni infondatamente censurate
con i primi tre motivi, già da sole idonee a sorreggere la complessiva decisione.
5 In conclusione, il ricorso è inammissibile.
6 Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
dichiara il ricorso inammissibile.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in favore di ciascuna parte costituita in € 10.200 di cui € 200 per esborsi oltre Iva Cap e rimborso forfettario al 15%.
Dà atto, ai sensi dell’art.13, comma 1 quater del d.P.R. del 30.05.2002 n.115, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, se dovuto, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso nella Camera di Consiglio tenutasi in data 8 maggio