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Concordato preventivo e fallimento: decisione Cassazione

La Corte di Cassazione chiarisce le regole per l’ammissione dei crediti in un fallimento che segue un concordato preventivo. La decisione dipende crucialmente dalla scadenza del termine per la risoluzione del concordato. Se il fallimento è dichiarato dopo tale scadenza, i creditori possono insinuarsi solo per l’importo ridotto dal concordato, poiché l’effetto esdebitatorio è divenuto definitivo. Il caso è stato rinviato al Tribunale per verificare questo specifico presupposto temporale.

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Concordato Preventivo e Fallimento: La Cassazione Stabilisce i Limiti per i Creditori

La gestione di un concordato preventivo e fallimento successivo rappresenta uno scenario complesso nel diritto fallimentare. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha fornito un chiarimento fondamentale su quale sia l’effettivo ammontare del credito che può essere richiesto dai creditori quando un’impresa fallisce dopo aver ottenuto l’omologazione di un concordato. La decisione ruota attorno a un criterio temporale preciso: la scadenza del termine per chiedere la risoluzione del concordato stesso.

I Fatti di Causa

Una società di costruzioni, dopo aver ottenuto l’omologazione di un concordato preventivo con cessione dei beni, veniva successivamente dichiarata fallita. Durante la fase di accertamento del passivo fallimentare, un istituto di credito chiedeva di essere ammesso per l’intero importo del suo credito originario, e non per la somma ridotta come previsto dal piano concordatario (che prometteva una soddisfazione del 24,95%).

Il Tribunale accoglieva la richiesta del creditore, sostenendo che, non essendo intervenuta una previa risoluzione del concordato, l’effetto di riduzione del debito non si fosse consolidato. Di conseguenza, i creditori avevano il diritto di insinuarsi nel fallimento per la totalità del loro credito iniziale.

I Motivi del Ricorso e la questione sul concordato preventivo e fallimento

La curatela fallimentare ha impugnato questa decisione dinanzi alla Corte di Cassazione, sollevando due questioni principali.

In primo luogo, si sosteneva che l’effetto obbligatorio del concordato omologato avesse già determinato una riduzione definitiva dei crediti. Pertanto, nel successivo fallimento, i creditori avrebbero potuto pretendere solo la parte residua del loro credito, già ‘falcidiato’ dal concordato.

In secondo luogo, la curatela contestava l’interpretazione del Tribunale secondo cui la percentuale di soddisfazione del 24,95% fosse una mera valutazione prognostica e non un impegno vincolante per la società debitrice.

Le Motivazioni della Decisione della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, ritenendo fondate le censure della curatela. I giudici hanno stabilito un principio di diritto dirimente per i casi di cosiddetto ‘fallimento omisso medio’. La Corte ha operato una distinzione cruciale basata sul fattore tempo:

1. Fallimento dichiarato prima della scadenza del termine per la risoluzione del concordato: Se il fallimento interviene quando i creditori hanno ancora la possibilità di chiedere la risoluzione del concordato (ad esempio, per inadempimento del debitore), l’effetto di riduzione del debito (esdebitazione parziale) previsto dall’art. 184 della legge fallimentare non si produce. Il fallimento stesso rende impossibile l’attuazione del piano, quindi i creditori hanno il diritto di insinuarsi al passivo per l’intero importo originario del loro credito.

2. Fallimento dichiarato dopo la scadenza del termine per la risoluzione del concordato: Se, al contrario, il fallimento viene dichiarato quando il termine per chiedere la risoluzione del concordato è già scaduto (o se la domanda di risoluzione è stata rigettata), l’effetto di riduzione del debito si è ormai consolidato e diventa definitivo. In questo scenario, il debitore è obbligato solo nei limiti di quanto previsto dal piano concordatario. Di conseguenza, i creditori possono insinuarsi nel passivo fallimentare unicamente per la somma ridotta secondo le previsioni del concordato.

La Corte ha censurato il Tribunale di merito per non aver effettuato questa fondamentale verifica. Il Tribunale aveva concesso l’ammissione per l’intero credito basandosi unicamente sulla mancata previa risoluzione del concordato, senza accertare se, al momento della dichiarazione di fallimento, i termini per richiederla fossero o meno scaduti. Questo errore di valutazione ha comportato una falsa applicazione delle norme di legge.

Le Conclusioni

In conclusione, la Suprema Corte ha cassato il decreto impugnato e ha rinviato la causa al Tribunale, che dovrà riesaminare la vicenda attenendosi al principio di diritto enunciato. Il giudice del rinvio dovrà, in concreto, verificare se al momento della dichiarazione di fallimento fosse già scaduto il termine per chiedere la risoluzione del concordato preventivo.

Questa pronuncia ha importanti implicazioni pratiche: chiarisce che l’effetto esdebitatorio del concordato non è automaticamente annullato dal fallimento successivo. La sua stabilità dipende da un preciso presupposto temporale, offrendo così un quadro di maggiore certezza giuridica sia per i debitori che per la massa dei creditori nelle complesse interazioni tra procedure concorsuali.

Dopo un concordato preventivo omologato, se la società fallisce, i creditori possono sempre chiedere l’intero importo del loro credito originario?
No. Secondo la Corte di Cassazione, possono farlo solo se il fallimento è stato dichiarato quando era ancora possibile chiedere la risoluzione del concordato. Se tale termine era già scaduto, l’effetto di riduzione del debito è definitivo e possono chiedere solo l’importo ridotto.

Cosa succede se il fallimento viene dichiarato dopo che è scaduto il termine per chiedere la risoluzione del concordato?
In questo caso, l’effetto di parziale liberazione del debitore previsto dal concordato si è consolidato. I creditori, di conseguenza, possono insinuarsi nel passivo del fallimento solo per la misura del credito già ridotta dal piano concordatario, e non per l’importo originario.

Qual è stato l’errore del Tribunale secondo la Cassazione?
L’errore del Tribunale è stato quello di ammettere i creditori per l’intero importo del credito basandosi unicamente sul fatto che il concordato non era stato formalmente risolto, senza però verificare il presupposto decisivo: se il termine per chiedere tale risoluzione fosse già scaduto o meno al momento della dichiarazione di fallimento.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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