Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 13331 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 13331 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 19/05/2025
la seguente
ORDINANZA
tra
NOME COGNOME (C.F CODICE_FISCALE;
RAGIONE_SOCIALE con sede in Milano INDIRIZZO (C.F. e p.iva P_IVA in persona del legale rappresentante pro tempore NOME COGNOME;
RAGIONE_SOCIALE in liquidazione con sede in Milano INDIRIZZOC.F.
e P.IVA P_IVA) in persona del legale rappresentante pro tempore NOME COGNOME tutti rappresentati e difesi dall’avv. NOME COGNOME con studio dell’avv. COGNOME sito in Milano, INDIRIZZO come da procure speciali in calce al ricorso;
– ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE con sede legale in Milano, INDIRIZZO c.f. e p.i. P_IVA, in persona dell’Amministratore Unico e legale rappre -sentante pro tempore, dott.ssa NOME COGNOME rappresentata e difesa, giusta procura speciale allegata in atti , dall’avv. NOME COGNOME elettivamente
domiciliata presso lo studio di quest’ultimo in Milano, INDIRIZZO nonché al domicilio digitale di cui alla casella p.e.c. EMAIL.
– controricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, n. 918/2019, c.f. 09051940964, in persona del curatore, dott. NOME COGNOME, con sede legale in Milano, INDIRIZZO, rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME del Foro di Milano, elettivamente domiciliato presso lo studio della stessa in Milano, INDIRIZZO.
– controricorrente –
avverso il decreto di rigetto n. cronol. 2611/2023, repert. n. 2834/2023 del 25 settembre 2023, emesso dalla Corte di Appello di Milano a definizione della causa civile iscritta al n. R.G. n. 704/2023;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 28/4/2025
dal Consigliere dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con il decreto impugnato la Corte di appello di Milano ha respinto il reclamo presentato da NOME COGNOME, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE in liquidazione avverso il decreto di omologa del concordato del Fallimento RAGIONE_SOCIALE del Tribunale di Milano emesso il 20-4-23, nella resistenza di RAGIONE_SOCIALE e del Fallimento RAGIONE_SOCIALE in liquidazione.
La Corte territoriale ha in primo luogo ricordato che: (i) RAGIONE_SOCIALE in qualità di terzo assuntore, aveva depositato in data 8-7-22 una proposta di concordato fallimentare nella procedura RAGIONE_SOCIALE; (ii) la proposta si sostanziava nell’assunzione delle obbligazioni derivanti dal concordato medesimo a fronte della cessione alla ricorrente dell’intero attivo fallimentare; (iii) l ‘attivo concordatario era stato valorizzato da RAGIONE_SOCIALE in complessivi euro 5.353.623,32 ed era composto da: disponibilità liquide pari a euro 3.482.167,92; – una serie di cespiti immobiliari (ai fini della proposta concordataria, agli immobili era stato attribuito un valore complessivo pari a euro 1.711.500,00, determinato
all’esito di una stima dell’attuale valorizzazione di mercato di ciascuno degli stessi); – crediti (in fase di recupero) del valore nominale di euro 346.142,78, già incassati quanto a euro 36.735,26; – credito condizionato di euro 150.000,00 maturato a seguito di una permuta stipulata dalla società nel 2018 e attualmente oggetto di un contenzioso stragiudiziale; (iv) nello specifico la proposta concordataria fallimentare prevedeva: -il soddisfacimento integrale delle spese in prededuzione; – il soddisfacimento solo parziale dei creditori privilegiati garantiti da ipoteche sugli immobili, ‘con conseguente necessità di dare corso al degrado al chirografo della parte così non rimborsata delle posizioni creditorie di cui trattasi’ ; – il soddisfacimento integrale dei creditori privilegiati; – il soddisfacimento parziale (nella misura indicativa del 82,15%) dei creditori chirografari; (v) con riferimento al soddisfacimento parziale dei creditori ipotecari suindicati, con conseguente degrado al chirografo della parte non rimborsata, RAGIONE_SOCIALE aveva sottoscritto con tali creditori ipotecari appositi accordi individuali ‘con efficacia risolutivamente condizionata alla mancata omologa del concordato fallimentare proposto da RAGIONE_SOCIALE, accordi nell’ambito dei quali (inter alia) i creditori ipotecari medesimi ‘ avevano ‘ espressamente dichiarato di condividere ed accettare la determinazione del valore di mercato dei singoli Immobili gravati dalle ipoteche poste a garanzia dei loro crediti privilegiati, accettando anche in deroga, su base negoziale e individuale, alle prescrizioni di cui all’art. 124, comma 3, l.f., il degrado al chirografo di parte degli stessi nella misura indicata nella Proposta Concordataria ‘; (vi) i l concordato fallimentare così approvato dai creditori è stato omologato dal Tribunale.
3. La Corte di appello ha dunque osservato, per quanto qui ancora rileva, che: (a) in ordine alla censura relativa alla presunta violazione da parte del l’accordo intervenuto tra la proponente ed i creditori ipotecari del l’art. 233 l.f., nessun accordo era intervenuto con il fallito né l’accordo in questione aveva alterato la par condicio creditorum risolvendosi, anzi, per i creditori aderenti all’accordo nella rinuncia al soddisfacimento al 100% del loro credito; (b) anche l’ulteriore obiezione sollevata dai reclamanti secondo cui per effetto dell’accordo tra la proponente e i creditori ipotecari il credito era venuto meno, cosicché quest’ultimi non avrebbero potuto votare -era errata,
in quanto, il credito di RAGIONE_SOCIALE e di RAGIONE_SOCIALE permaneva , al di là dell’accollo della proponente, per la parte degradata al chirografo, e dunque i predetti creditori erano senz’altro ammess i al voto, secondo quanto risultante dagli accordi condizionati, necessariamente, all’omologa ; (c) l’ulteriore motivo di reclamo, secondo cui avrebbe dovuto essere modificato lo stato passivo con inserimento della proponente al posto dei creditori ipotecari era infondato, atteso che lo stato passivo del Fallimento non poteva essere variato in relazione a un fatto dipendente dall’omologa del concordato , prima che l’omologa del concordato intervenisse in via definitiva; (d) la censura, inoltre, relativa alla composizione del comitato dei creditori – del quale facevano parte i creditori aderenti all’accordo – era parimenti infondata, in quanto l’accordo condizionato all’omologa del concordato fallimentare non determina va una modifica dello stato passivo, in ragione del carattere condizionato di tale accordo, e dunque nemmeno la modifica della composizione del comitato dei creditori, di cui gli attuali membri avevano comunque diritto di far parte, stante il credito residuo (chirografario) in capo agli stessi; (e) anche il conflitto di interessi del comitato dei creditori era stato smentito dalla circostanza che i creditori ipotecari avevano comunque accettato un trattamento peggiore, in sede concordataria, di quello dovuto in sede fallimentare, ove avrebbero tratto un utile ancora maggiore, e cioè il soddisfacimento al 100% del credito ipotecario; (f) la censura in ordine alla mancanza della perizia ex art 124 l. fall. – sulla base del fatto che la liquidazione fallimentare avrebbe portato ad un avanzo di attivo (con integrale soddisfacimento dei chirografari), con conseguenziale violazione dell’art. 124 l. fall. (il quale prevede la perizia nel caso in cui i privilegiati siano degradati) – era infondata, in quanto la finalità protettiva della norma era stata comunque garantita anche in assenza della perizia, e ciò in ragione del fatto che, a seguito di accordo con i creditori ipotecari, gli stessi avevano comunque accettato un soddisfacimento parziale con degrado al chirografo (nella misura dell’82,15%) , con la conseguenza che non sussistevano i presupposti per l’applicazione dell’art. 124 , 3 comma, l. fall.; (g) i creditori chirografari avevano infatti votato favorevolmente la proposta né poteva assumere rilievo ex art. 129, comma sei, l. fall., la mera convenienza del
concordato; (h) i n ogni caso, l’ avanzo di attivo prospettato dalla reclamante era eventuale e futuribile, laddove invece il concordato consentiva il soddisfacimento certo e immediato dei creditori, posti così al riparo dai tempi del fallimento con gli annessi costi in prededuzione.
Il decreto, pubblicato il 25 settembre 2023, è stato impugnato da NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE in liquidazione con ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, cui RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE in liquidazione hanno resistito con controricorso.
La Procura generale, nella persona del Sostituto procuratore NOME COGNOME ha depositato requisitoria scritta, con la quale ha chiesto il rigetto del ricorso.
Entrambe le controricorrenti hanno depositato memoria.
È stata disposta la riunione dei ricorsi con rg. nn. 21232/2023 e 21279/2023, considerato che gli stessi avevano ad oggetto l’impugnazione del medesimo provvedimento.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si censura il provvedimento impugnato ex art. 360 comma 1, n. 3 c.p.c. per violazione e falsa applicazione degli artt. 1353, 1357, 1360, 1362, 1456 e 1458. c.c. in relazione alla corretta interpretazione degli accordi raggiunti fra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE
1.1 Il motivo, così articolato, è inammissibile.
1.1.1 Le ricorrenti criticano, cioè, il provvedimento impugnato nella parte in cui, confermando il decreto di omologa, avevano accertato che gli accordi individuali con i creditori ipotecari avevano determinato un accollo in capo a RAGIONE_SOCIALE limitato a una parte dei crediti dei primi verso il fallimento, con la conseguenza che i creditori ipotecari avevano mantenuto, anche dopo la stipula degli accordi individuali con i creditori ipotecari, sia la qualità di creditori del fallimento (relativamente ai crediti non accollati), sia la propria legittimazione a rivestire il ruolo di membri del comitato dei creditori, avendo dunque validamente concorso a rendere il parere sulla proposta. Secondo le ricorrenti, invece, una corretta interpretazione degli accordi individuali con i creditori ipotecari avrebbe dovuto portare a ritenere che l’accollo avesse
riguardato, invece, tutti i crediti dei creditori ipotecari, di talché gli stessi avrebbero perso la propria qualità giuridica di creditori e non avrebbero più potuto far parte del comitato dei creditori.
1.2 In primo luogo, le ricorrenti deducono in rubrica la violazione di varie disposizioni di legge, senza far seguire, nella esposizione dei motivi, la puntuale illustrazione delle ragioni per le quali il provvedimento impugnato sarebbe incorso nella violazione di ciascuna delle norme menzionate.
Sul punto, giova infatti ricordare che, secondo gli insegnamenti di questa Corte di legittimità, il vizio della sentenza previsto dall’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., dev’essere dedotto, a pena d’inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366, n. 4, c.p.c., non solo con l’indicazione delle norme che si assumono violate ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intellegibili ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendo alla corte regolatrice di adempiere al suo compito istituzionale di verificare il fondamento della lamentata violazione. Risulta, quindi, inidoneamente formulata la deduzione di errori di diritto individuati per mezzo della sola preliminare indicazione delle singole norme pretesamente violate, ma non dimostrati per mezzo di una critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia, operata mediante specifiche e puntuali contestazioni nell’ambito di una valutazione comparativa con le diverse soluzioni prospettate nel motivo e non attraverso la mera contrapposizione di queste ultime a quelle desumibili dalla motivazione della sentenza impugnata (cfr., tra le altre, Cass. Sez. 1, Sentenza n. 24298 del 29/11/2016 ; Sez. L, Ordinanza n. 17570 del 21/08/2020; da ultimo: Cass. Sez. U, n. 23745 del 28.10.2020).
1.3 In secondo luogo, si deduce la violazione dei criteri ermeneutici senza tuttavia alcun richiamo testuale al contenuto dell’accordo che la Corte d’Appello avrebbe mal giudicato ed interpretato, né al canone esegetico in tesi mal applicato.
Orbene, occorre ricordare che, secondo la consolidata giurisprudenza espressa da questa Corte, ‘l’interpretazione di un atto negoziale è tipico accertamento in fatto riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità, se non nell’ipotesi di violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, di cui agli articoli 1362 e seguenti c.c. Pertanto, onde far valere una violazione sotto il primo profilo, occorre non solo fare puntuale riferimento alle regole legali d’interpretazione, mediante specifica indicazione dei canoni asseritamente violati e ai principi in esse contenuti ma occorre, altresì, precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito se ne sia discostato. Occorre, inoltre, che il motivo e così gli argomenti che concorrono alla sua illustrazione non si risolvano nel contrapporre alla interpretazione accolta dal giudice del merito una propria e diversa interpretazione degli indici fattuali delibati da questo e posti a fondamento della interpretazione contestata, giacché in tale modo si indurrebbe la Corte di cassazione a travalicare i limiti dei propri compiti istituzionali e a farsi inammissibilmente interprete di un ruolo che non le compete, sostituendo il proprio giudizio a quello del decidente di merito’ (Cass., n. 31899/2018).
In realtà, le ricorrenti – come già sopra evidenziato – non avevano né indicato i canoni interpretativi asseritamente violati né dedotto in quali termini il giudice del merito se ne fosse discostato, senza, peraltro, la puntuale indicazione degli elementi testuali che avrebbero dovuto essere oggetto dell’interpretazione, con la conseguenziale ed inevitabile inammissibilità radicale delle doglianze così proposte.
Con il secondo motivo si censura il provvedimento impugnato, ai sensi dell’ art. 360 comma 1, n. 3 c.p.c., per violazione e falsa applicazione degli artt. 132 c.p.c., 118 disp. att. al c.p.c. 111, comma 6, Cost., 124 e 125 l.fall. per aver la Corte di Appello errato nell’interpretazione della domanda. Sostengono le ricorrenti che la Corte territoriale avrebbe omesso di analizzare le conseguenze in concreto degli accordi raggiunti come sollevati dai ricorrenti concentrandosi, per negarne la sussistenza e rigettare la doglianza, su di un aspetto non eccepito, ciò in spregio ai criteri interpretativi stabiliti dalla giurisprudenza di legittimità, in relazione alla domanda.
2.1 Anche il secondo motivo non supera il vaglio di ammissibilità.
2.1.1 Più in particolare, le ricorrenti premettono di aver dedotto, avanti la Corte d’Appello, che: (a) i creditori ipotecari non avrebbero potuto far parte del comitato dei creditori in ragione della perdita della qualità di creditori derivante dell’accollo pattuito negli accordi individuali con i creditori ipotecari; (b) i creditori ipotecari in seno al comitato dei creditori avrebbero versato in una situazione di conflitto d’interesse che avrebbe dovuto condurre alla loro astensione. Sulla base di tali premesse, sempre secondo le ricorrenti, la Corte d’ a ppello avrebbe errato nell’interpretare le suddette eccezioni: (i) perché nel d ecreto d’ appello si indagava sulla sussistenza di una violazione dell’art. 233 l.fall., quando in realtà le opponenti non avrebbero inteso invocare tale violazione; (ii) in relazione all’eccezione sub a), perché la Corte di Appello sarebbe incorsa in un evidente errore interpretativo laddove aveva affermato che la loro doglianza fosse da rigettare in quanto a seguito dell’intervenuto accordo il credito non sarebbe venuto meno; (iii) in relazione all’eccezione sub b), perché ‘le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, (Cass. 17186/2021), hanno affermato che nel concordato fallimentare ed in quello preventivo può parlarsi di conflitto di interessi, ma hanno precisato che i relativi casi sono innumerevoli e spetta alla legge stabilire quali ipotesi siano rilevanti e quali no, indicando il metodo più opportuno per neutralizzare il conflitto. Nel caso di specie i Resistenti considerano palese il conflitto di interessi in cui si sono messi i creditori RAGIONE_SOCIALE laddove il loro interesse era ottenere l’esecuzione da parte di RAGIONE_SOCIALE d i un accordo di natura privatistica raggiunto prima della proposizione della proposta concordataria e senza che gli altri creditori fossero stati messi a conoscenza dell’esistenza di tale accordo’ (pagg. 41-42).
2.2 Il motivo presenta plurimi e concorrenti profili d’inammissibilità.
2.2.1 Anzitutto, vale il principio per cui in tema di ricorso per cassazione, l’erronea interpretazione della domanda e delle eccezioni non è censurabile ai sensi dell’ articolo 360, primo comma, n. 3, del c.p.c., perché non pone in discussione il significato della norma ma la sua concreta applicazione operata dal giudice di merito, il cui apprezzamento, al pari di ogni altro giudizio di fatto, può essere esaminato in sede di legittimità soltanto sotto il profilo del vizio di motivazione, ovviamente entro i limiti in cui tale sindacato è, ora,
ancora consentito dal vigente articolo 360, primo comma, n. 5, del c.p.c. (Cass., n. 4064/1999; n. 5034/2000; n. 6328/2000; n. 12180/2000; Cass. n. 38638/2021).
2.2.2 Quanto, poi, alla censura sub b), con essa i ricorrenti neanche denunciano -con tutta evidenza -un errore interpretativo della Corte di merito circa il senso e la portata dell’eccezione avversaria sulla sussistenza di un conflitto di interessi in capo ai creditori ipotecari, bensì, per contro, una non condivisa valutazione circa il merito della questione inerente la sussistenza di un conflitto d’ interessi.
Una simile censura, per come è formulata, è tuttavia inammissibile, posto che nella stessa non è denunziata la violazione o falsa applicazione di alcuna norma di legge inerente la disciplina del conflitto di interessi dei membri del comitato dei creditori. La censura, per contro, inerisce una valutazione puramente fattuale, da parte del giudice del merito, delle risultanze di causa, sottratta, come noto, al vaglio di legittimità.
Con il terzo motivo si censura il provvedimento impugnato, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., per violazione dell’art. 124 l. fall. per aver la Corte di Appello omesso di verificare in concreto la necessità della perizia prevista dalla norma ritenendola nel caso di specie non dovuta, in quanto non violata la ratio legis .
3.1 Occorre, cioè, verificare se, a fronte di un patto paraconcordatario – con il quale i creditori ipotecari accettino un pagamento parziale del proprio credito – sia comunque necessaria la perizia attestativa ex art. 124 l.fall. ed in caso positivo cosa comporti la sua omissione.
Sul punto, risulta utile ricordare che la giurisprudenza di questa Corte (v. Cass. 22045/2016) ha già concluso per l’irrilevanza della relazione del professionista designato dal tribunale quando la proposta preveda l’integrale pagamento del credito privilegiato seppur con semplice dilazione, giacché in questo caso la misura del soddisfacimento non è legata al valore di mercato dei beni o dei diritti suscettibili di liquidazione, bensì solo all’incidenza economica del decorso del tempo (il ritardo nell’ademp imento) sul credito.
Il principio richiamato pone tuttavia la diversa (ma collegata) questione se, cioè, in tutti gli altri casi, in cui la misura del soddisfacimento è legata al
valore di mercato dei beni o dei diritti suscettibili di liquidazione, ipotesi che ricorre nel caso di specie, sia sempre necessaria la presenza della perizia di stima di cui all’art. 124 l.fall.
L’art. 124, co. 3, l.fall. stabilisce che il trattamento “falcidiato” dei creditori privilegiati ed ipotecari ” non può essere inferiore alla misura realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale, sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione, indicato nella relazione giurata di un professionista in possesso dei requisiti di cui all’art. 67, terzo comma, lett. d,) designato dal tribunale ” e, specie a seguito del correttivo del 2007 – che ha sostituito il termine ” liquidazione ” a quello precedente di ” vendita ” -appare evidente che quella stima non possa ridursi tout court al ” valore di mercato “, il quale non coincide con il ” ricavato in caso di liquidazione “, ma costituisce un termine di riferimento per la determinazione di quanto sarebbe possibile ricavare dalla vendita coattiva fallimentare, utile ad orientare le valutazioni spettanti ai creditori, in sede di approvazione del concordato, e al giudice, in sede di omologazione, in ordine alle concrete possibilità di soddisfazione dei crediti in questione (così, Cass. 16738/2011; v. anche: Cass. Sez. 1, Sentenza n. 24359 del 29/10/2013)
Sul punto qui da ultimo in discussione risultano allora calzanti e condivisibili le osservazioni della Procura Generale contenute nella sua requisitoria scritta, secondo le quali ‘ la stima di cui alla relazione giurata prevista dall’art. 124, co. 3, l.fall. deve costituire una stima certa e precisa, in quanto parametro di riferimento non solo per la valutazione della misura di soddisfazione minima dei creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca dei quali la proposta non preveda il pagamento integrale (Cass. 22045/2016), a pena di inammissibilità della proposta, ma anche per il calcolo dell’importo per cui il credito prelatizio è ammesso al voto e computato nel calcolo della maggioranza, con riguardo alla parte che non può essere soddisfatta con il ricavato dalla liquidazione del bene o diritto oggetto di garanzia (v. art. 127, co. 4, l.fall. per cui “i creditori muniti di diritto di prelazione di cui la proposta di concordato prevede, ai sensi dell’articolo 124, terzo comma, la soddisfazione non integrale, sono considerati chirografari per la parte residua del credito”) (Cass.6435/2024) ‘ .
In realtà, la relazione giurata del professionista designato dal tribunale è funzionale alla verifica di un valore che consenta di determinare la misura di soddisfazione del credito presumibilmente realizzabile in caso di liquidazione dei beni e dei diritti, quale limite minimo suscettibile di essere previsto nella proposta di concordato (Cass. 22045/2016).
Orbene, nel patto concordatario tra proponente e creditori ipotecari oggetto di causa questi ultimi accettano su base negoziale ed individuale il degrado al chirografo di parte del credito ipotecario, di talché trattandosi, di certo, di un diritto disponibile non vi sono dubbi che, con riferimento all’interesse primario tutelato dalla norma, una simile pattuizione negoziale possa legittimamente derogare alla prescrizione di cui all’art. 124 l.fall. Tuttavia, la norma, oltre a determinare la misura di soddisfazione del creditore privilegiato o ipotecario, svolge altresì una funzione per il calcolo dell’importo per cui il credito prelatizio è ammesso al voto e computato nel calcolo della maggioranza, con riguardo alla parte che non può essere soddisfatta con il ricavato dalla liquidazione del bene o diritto oggetto di garanzia.
Ne consegue che tale ultima considerazione potrebbe ben determinare un interesse degli altri creditori o dello stesso debitore a che vi sia una relazione giurata di un terzo, di un professionista indipendente nominato dal tribunale, ove l’espressione di voto di tali creditori sia stata determinante nella formazione delle maggioranze.
Tuttavia, un tale interesse non può profilarsi nel caso di specie, posto che la proposta di concordato fallimentare è stata approvata, sia pur con il meccanismo del silenzio assenso, dall’unanimità dei creditori ammessi al voto.
Discende da ciò l’infondatezza del motivo.
Con il quarto motivo di ricorso le ricorrenti denunciano ‘violazione e/o fal -sa applicazione di norma di legge ex art. 360, n. 3 cpc ex art. 124 l.f. in relazione agli artt. 1325 e 1346 c.c. per avere la Corte di Appello omesso di considerare e decidere in merito all’eccepito abuso di diritto violazione dell’art. 112 c.p.c.’.
4.1 Per argomentare tale motivo, si deduce che: (i) la proposizione di una opposizione all’omologazione di un concordato fallimentare da parte del fallito
investirebbe il Tribunale anche del ‘merito’ della proposta concordataria, al fine di verificare che non ricorra un’ipotesi di abuso dello strumento concordatario; (ii) la Corte d’Appello non avrebbe compiuto la predetta valutazione (di non ricorrenza di una fattispecie di abuso); (iii) occorreva apprezzare una serie di dati fattuali, che avrebbero dovuto dimostrare come fosse ‘assolutamente e palesemente preferibile la prosecuzione della procedura liquidatoria in luogo della proposta concordataria come for mulata’, liquidazione che avrebbe potuto generare ‘non solo un pagamento integrale di tutti i creditori della RAGIONE_SOCIALE ma altresì un surplus che potrebbe andare a vantaggio del socio della fallita’ .
4.2 La censura di omessa pronuncia è inammissibile.
4.2.1 L’omessa pronuncia su alcuni dei motivi di appello, e, in genere, su una domanda, eccezione o istanza ritualmente introdotta in giudizio, integra una violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., che deve essere fatta valere esclusivamente ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, dello stesso codice, mentre è inammissibile ove il vizio sia dedotto come violazione dell’art. 360, primo comma, n. 3 e n. 5, cod. proc. civ. (Cass. 27/10/2014, n. 22759; Cass. ord. 16/03/2017, n. 6835), salvo che nell’illustrazione del motivo non si faccia esplicito riferimento alla nullità della sentenza, circostanza questa non ricorrente nel caso in esame (cfr. ex multis Cass. 2101/2019).
4.2.2. La censura è altresì inammissibile posto che la Corte territoriale ha esaminato la doglianza, ritenendo che non fosse ravvisabile alcuna violazione dei principi applicabili al concordato fallimentare perché, come riportato nel passaggio della motivazione ritrascritto anche negli atti del giudizio di legittimità, ‘l’avanz o di attivo prospettato dalla reclamante è eventuale e futuribile laddove invece il concordato consente il soddisfacimento certo e immediato dei creditori, posti così al riparo dei tempi del fallimento con gli annessi costi in prededuzione’ (v. decreto, pag. 7).
4.2.3 Secondo i ricorrenti nel caso di specie si riscontrerebbe invece un ingiustificato sacrificio per le ragioni del debitore che, non essendo parte dell’accordo intervenuto tra il proponente e i creditori, si vedrebbe sottrarre i suoi beni sulla base di una valutazione che, pur idonea a soddisfare i crediti
in misura ritenuta conveniente dalla maggioranza dei creditori, risulterebbe insufficiente rispetto al valore reale dell’attivo fallimentare.
Ma anche tale doglianza è inammissibile.
Sul punto, giova ricordare che la giurisprudenza di questa Corte ha affermato che, nel giudizio di omologazione del concordato fallimentare, il controllo del tribunale è limitato alla verifica della regolarità formale della procedura e dell’esito della votazione – salvo che non sia prevista la suddivisione dei creditori in classi e alcune di esse risultino dissenzienti – restando escluso ogni controllo sul merito, “a eccezione dell’indagine sull’eventuale abuso dell’istituto” (v. Cass. Sez. 1 n. 24359-13, Cass. Sez. 1 n. 19645-15).
Ciò posto, accertare che si sia concretizzato o meno, nel concordato fallimentare, un abuso per effetto della distorsione del fine della procedura, con un eccesso di sacrificio imposto al patrimonio del fallito non necessario al soddisfacimento dei creditori, integra un accertamento di fatto.
Orbene, le ricorrenti pretendono ora proprio un nuovo scrutinio di tale apprezzamento, con deduzioni che si pongono pertanto ben al di là del perimetro delimitante l’area di cognizione di questo giudice di legittimità.
Ne deriva la inammissibilità del quarto motivo.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte delle ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13 (Cass. Sez. Un. 23535 del 2019).
P.Q.M.
rigetta i ricorsi e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore di ciascun controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 6.500 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte delle ricorrenti , dell’ulteriore importo
a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13. Così deciso in Roma, il 28 aprile 2025