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Concordato con continuità aziendale

Il requisito della continuità aziendale, per l’ammissione della proposta alla relativa procedura concorsuale di soluzione della crisi di impresa, richiede che l’azienda, in relazione alla quale si propone ai creditori la “prosecuzione” dell’attività per ricavarne reddittività, sia comunque “in esercizio”, al momento della proposta di concordato, non rilevando invece come cause ostative all’ammissione della proposta al predetto concordato la modificazione di una parte dell’attività produttiva ovvero la diminuzione del numero dei dipendenti.

Pubblicato il 02 July 2023 in Diritto Fallimentare, Giurisprudenza Civile

Il Tribunale di Lucca pronunciava sentenza di fallimento n. 48/2019 nei confronti di XXX S.R.L., dichiarando contestualmente inammissibile la proposta di concordato preventivo.

Proposto reclamo ex art. 18 e 162, 3 comma, l. fall. da parte di XXX S.R.L., nei confronti del Fallimento della XXX S.R.L., avverso la predetta sentenza del Tribunale di Lucca, la Corte di appello di Firenze, con la sentenza ricorsa per cassazione, respingeva l’impugnazione, confermando pertanto la sentenza di prime cure.

La corte del merito riteneva che il concordato era stato definito in continuità e la percentuale garantita era stata indicata in percentuale inferiore al 20%; che, secondo il disposto normativo di cui all’art. 186 bis l. fall., era necessario, per potersi qualificare un concordato in continuità aziendale, che l’attività sia in esercizio al momento dell’ammissione al concordato e al momento del trasferimento della stessa, circostanze invece insussistenti nel caso in esame laddove l’attività era ormai cessata da tempo (a causa della crisi e dell’incendio che aveva distrutto il capannone nel dicembre 2017), né era mai ricominciata, il capannone era stato riconsegnato e tutti i dipendenti avevano cessato l’attività.

Per contro, la nuova presunta attività avrebbe avuto un oggetto diverso: essa infatti sarebbe stata svolta da un solo dipendente contro i 16 dipendenti originari, con ciò evidenziandosi la totale differenziazione dell’attività, neanche comprendendosi, perché non indicato, ove sarebbe stata collocata la sede della nuova impresa.

La curatela fallimentare aveva depositato documentazione attestante anche l’assenza di contratti in corso con fornitori strategici e con clienti strategici, a conferma dell’assenza di alcuna continuità, e ciò con particolare riferimento ai clienti che erano stati definiti nella proposta di concordato come top clients.

Pertanto era emersa l’assenza di contrattazione in corso con riguardo a ***, *** srl, *** srl *** e ***.

L’attività era da tempo cessata, la sede era dismessa, non si aveva una nuova sede, da 16 dipendenti si presumeva passare ad un solo dipendente, non vi erano altri contratti in corso con fornitori e clienti strategici, l’attività ipotizzata era completamente diversa, trattandosi di un segmento minimale dell’attività originaria, con la conseguenza che la continuità non era in alcun modo ipotizzabile.

Non potendosi qualificare il concordato proposto come in continuità aziendale, la mancata previsione del pagamento dei creditori chirografari al 20% rendeva inammissibile la proposta di concordato, a mente dell’art. 160, 4 comma, l. fall..

La sentenza, pubblicata il 22 novembre 2019, era stata impugnata da XXX S.R.L. con ricorso per cassazione.

In ordine al profilo di irrilevanza della modificazione dell’attività imprenditoriale per rintracciare il requisito della continuità aziendale necessario, ai sensi dell’art. 186bis l. fall., per l’ammissione alla relativa procedura concorsuale negoziale, posto che (v. Sez. 1, Ordinanza n. 734 del 15/01/2020) occorre qualificare il concordato come in continuità anche allorquando “alla liquidazione atomistica di una parte dei beni dell’impresa si accompagni una componente di qualsiasi consistenza di prosecuzione dell’attività aziendale”, determinando tale pur minima prosecuzione dell’attività di impresa l’applicazione dalla disciplina speciale prevista dall’art. 186-bis l.fall., salvi i casi di abuso dello strumento, con la conseguenza che il rilievo di “non continuità”, rinvenuta dalla Corte fiorentina, nella modificazione di una parte dell’attività produttiva (con la previsione della “esternalizzazione” dell’attività di logistica esterna ad altra società) e nella diminuzione dei dipendenti non rappresenta di per sé circostanza ostativa alla corretta qualificazione del concordato come in continuità, secondo il paradigma applicativo declinato dall’art. 186bis l. fall. (di talchè la motivazione impugnata dovrà essere necessariamente corretta in parte qua, ai sensi dell’art. 384, 4 comma, c.p.c.).

Tuttavia, tale condivisione di inquadramento giuridico della fattispecie non riesce a superare il profilo decisivo, anch’esso valorizzato nella sentenza impugnata, secondo cui per aversi continuità aziendale occorre che l’azienda, in relazione alla quale si propone ai creditori la “prosecuzione” dell’attività per ricavarne reddittività, sia comunque “in esercizio”, al momento della proposta di concordato.

Sul punto, per aversi continuità, occorre pur sempre esservi un’”azienda in esercizio” (cfr. Cass. 19 novembre 2018 n. 29742, ove si afferma espressamente che «la continuità aziendale, giusta l’art. 186-bis l. fall., è configurabile allorquando vi sia un’azienda in esercizio ed il debitore preveda di continuare a gestirla e/o di cederla a terzi o conferirla in società).

Anche più recentemente, è stato affermato (v. Cass. 1 marzo 2022 n. 6772), anche se in un’ipotesi di continuità cd. indiretta, che la possibilità di accedere ad un concordato in continuità (nel caso in cui l’azienda sia stata già affittata) richiede la necessità che l’azienda sia in esercizio al momento dell’accesso alla procedura, individuando, proprio nel contratto di affitto stipulato prima della proposizione della domanda di concordato (cd. affitto-ponte), uno strumento per garantire la prosecuzione dell’attività per evitare «il rischio di irreversibile dispersione che l’arresto anche temporaneo dell’attività comporterebbe».

Ne consegue che ciò che conta è che l’azienda sia in esercizio (non importa se ad opera dell’imprenditore stesso o di un terzo), tanto al momento dell’ammissione al concordato, quanto all’atto del suo successivo trasferimento cui essa dev’essere dichiaratamente destinata.

Orbene, risultava accertata in fatto che l’attività d’impresa fosse ormai cessata e non “più proseguita”, al momento della presentazione della domanda di accesso alla procedura concordataria ex art. 186bis l. fall., e ciò a causa di contingenti ragioni incidenti sulla convenienza di tale prosecuzione (crisi aziendale e incendio dello stabilimento).

Il principio di diritto:

“Anche in tema di concordato con continuità aziendale cd. diretta, il requisito della continuità aziendale, richiesto dall’art. 186bis l. fall. per l’ammissione della proposta alla relativa procedura concorsuale di soluzione della crisi di impresa, richiede che l’azienda, in relazione alla quale si propone ai creditori la “prosecuzione” dell’attività per ricavarne reddittività, sia comunque “in esercizio”, al momento della proposta di concordato, non rilevando invece come cause ostative all’ammissione della proposta al predetto concordato la modificazione di una parte dell’attività produttiva ovvero la diminuzione del numero dei dipendenti”.

Corte di Cassazione, ordinanza n. 17092 del 15 giugno 2023

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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