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Concessione alloggio di servizio: serve forma scritta?

Una società di servizi ha agito contro un ex dipendente per la restituzione di un immobile concesso in uso come alloggio di servizio. La Cassazione ha stabilito che la concessione alloggio di servizio, scaduta quando l’ente era ancora pubblico, non poteva trasformarsi tacitamente in locazione, essendo necessaria la forma scritta ad substantiam per i contratti della P.A. La precedente decisione di merito è stata cassata.

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Concessione alloggio di servizio: la trasformazione in locazione richiede la forma scritta

La recente ordinanza della Corte di Cassazione n. 4262/2024 affronta un tema cruciale: la trasformazione di una concessione alloggio di servizio in un contratto di locazione. La Corte chiarisce che se l’ente concedente, al momento della scadenza del rapporto, ha ancora natura di pubblica amministrazione, la nascita di un nuovo rapporto locativo non può avvenire tacitamente ma richiede inderogabilmente la forma scritta, pena la sua nullità. Analizziamo insieme la vicenda e i principi di diritto affermati.

I fatti di causa

Una grande società di servizi, un tempo ente pubblico, aveva concesso a un proprio dipendente un alloggio di servizio nel 1987. La concessione, della durata di tre anni e tacitamente rinnovabile per altri tre, era definitivamente scaduta nel gennaio 1993. Nonostante la scadenza, il rapporto era proseguito di fatto per molti anni alle stesse condizioni, anche dopo la trasformazione dell’ente prima in ente pubblico economico (1994) e poi in società per azioni (1998).

Nel 2011, la società aveva invitato l’ex dipendente a stipulare un nuovo contratto di locazione a canone aggiornato, ma di fronte al suo rifiuto, aveva agito in giudizio per ottenere la dichiarazione di occupazione sine titulo dell’immobile, con conseguente condanna al rilascio e al risarcimento del danno.

La decisione dei giudici di merito

Sia il Tribunale di primo grado che la Corte d’Appello avevano respinto le richieste della società. I giudici di merito avevano ritenuto che, dopo la scadenza del 1993, il rapporto si fosse tacitamente trasformato in un contratto di locazione abitativa, proseguendo alle medesime condizioni originarie. Secondo tale ricostruzione, in assenza di una formale disdetta, il contratto si era rinnovato nel tempo, rendendo legittima l’occupazione da parte dell’ex dipendente.

La concessione alloggio di servizio e la natura dell’ente

La Corte di Cassazione ha ribaltato completamente questa prospettiva, accogliendo il ricorso della società. Il punto dirimente, secondo gli Ermellini, non è tanto la durata del rapporto di fatto, quanto la natura giuridica dell’ente proprietario al momento esatto della scadenza della concessione originaria.

La Corte ha sottolineato che nel gennaio 1993 l’ente era a tutti gli effetti una pubblica amministrazione. Solo successivamente, nel 1994, è avvenuta la trasformazione in ente pubblico economico e, nel 1998, in società per azioni.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

Il cuore della motivazione risiede nel principio secondo cui i contratti stipulati dalla Pubblica Amministrazione devono, per legge, rivestire la forma scritta ad substantiam, ovvero a pena di nullità. Tale requisito formale è inderogabile e serve a garantire la trasparenza e il controllo dell’azione amministrativa.

Di conseguenza, nel 1993, alla scadenza della concessione, non poteva sorgere un nuovo contratto di locazione per fatti concludenti, come la semplice permanenza dell’inquilino nell’immobile e il pagamento del canone. Qualsiasi nuovo accordo avrebbe dovuto essere formalizzato in un atto scritto. In assenza di tale atto, nessun contratto di locazione è mai venuto a esistenza.

La Suprema Corte ha anche distinto il caso in esame da un precedente del 2015 (Cass. n. 8697/2015), richiamato dalla Corte d’Appello. In quel caso, la trasformazione del rapporto era avvenuta in un momento in cui l’ente si era già trasformato in società per azioni, e quindi era un soggetto di diritto privato non più vincolato ai rigidi requisiti formali della P.A.

Le conclusioni

La Cassazione ha quindi cassato la sentenza d’appello, rinviando la causa a un’altra sezione della stessa Corte per una nuova valutazione. Il giudice del rinvio dovrà partire dal principio che, dopo il gennaio 1993, l’occupazione dell’immobile è avvenuta in assenza di un valido contratto di locazione. Questa pronuncia riafferma un principio fondamentale: la natura pubblica di un contraente impone vincoli di forma invalicabili che non possono essere superati dalla prassi o dal comportamento tacito delle parti. La prosecuzione di fatto di un rapporto con un ente pubblico non è sufficiente a generare un nuovo vincolo contrattuale valido.

Una concessione alloggio di servizio, il cui proprietario è un ente pubblico, può trasformarsi in locazione senza un contratto scritto?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che, al momento della scadenza della concessione, l’ente proprietario aveva ancora natura di pubblica amministrazione. Pertanto, qualsiasi nuovo contratto, inclusa una locazione, avrebbe richiesto la forma scritta ad substantiam per essere valido. La semplice prosecuzione di fatto del rapporto non è sufficiente.

Perché la Corte di Cassazione ha ritenuto errata la decisione della Corte d’Appello?
La Corte d’Appello ha erroneamente applicato un precedente giurisprudenziale a un caso diverso. Non ha considerato che, alla data di scadenza della concessione (1993), l’ente proprietario era una pubblica amministrazione e non un soggetto privato. Questa differenza è cruciale perché i contratti della P.A. sono soggetti a requisiti di forma che impediscono la nascita di un rapporto di locazione per fatti concludenti.

Qual è la conseguenza della decisione della Cassazione per l’ex dipendente?
La decisione della Cassazione annulla la sentenza precedente. Il caso torna alla Corte d’Appello, che dovrà riconsiderare i fatti partendo dal principio che non si è mai formato un contratto di locazione. Di conseguenza, l’occupazione dell’immobile dopo la scadenza della concessione potrebbe essere considerata illegittima (sine titulo), e l’ex dipendente potrebbe essere condannato al rilascio dell’immobile e al risarcimento dei danni.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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